Elogio al male

Il suo respiro era accelerato.
Gli occhi sgranati.
Le mani tremanti.
Come era possibile tutto ciò?
Lui se lo chiedeva, continuava a domandarselo.
Come poteva essere possibile?
Aveva perduto la sua anima, parte di essa, eppure non si era sentito più vivo.

Lo sguardo era fisso su di lui.
Sul cadavere dagli occhi spalancati che sembrava cercasse ancora di capire.
Un ghigno si dipinse sul suo volto.
Ce l'aveva fatta.
Era diventato il migliore.
Alcuni lo definirebbero, lo definiranno, il peggiore.
Curioso come questi due termini assumano significati diversi per le persone che li pronunciano.
Era il peggiore, per altri.
Il più cattivo.
Era diventato il migliore, per sé stesso.
Il più bravo.
Il più oscuro.
Il più temuto.

Il potere genera invidia, lo sapeva bene.
Continuava a ripeterselo.
Soddisfazione.
Gloria.
Tutto sommato poteva sopportare l'invidia.

Con gli occhi sgranati si fissò le mani, aperte, che avevano fatto cadere la bacchetta al suolo.
Il suono del legno sul pavimento di marmo echeggiò nella grande stanza disabitata.
Curioso come in quell'istante la sua anima fosse morta, eppure lui era l'unico vivo in quel luogo.
Poteva sentire il suo respiro, poteva sentire i polmoni aprirsi, assaporare l'aria, l'ossigeno vitale.
Poteva sentire le costole premere contro la pelle.
Poteva sentire il cuore battere, pulsare contro le tempie a causa dell'affanno dell'incanto pronunciato.
Non poteva cessare di sorridere.
Chiuse gli occhi e alzò il capo al cielo, in contemplazione.
Aveva raggiunto l'immortalità.