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Autore: BaronessSamedi    15/01/2011    5 recensioni
Brevissima one-shot ispirata ad una grande canzone, Iron Man dei sublimi Black Sabbath, che sicuramente mi picchieranno per questo. A chi legge suggerisco anche il relativo spin-off che ne ha tratto Anopticon.
Genere: Dark, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 La piccola città si preparava a trascorrere una notte di attesa e di timore, e ancora non lo sapeva, e dormiva ignara dell’orrore che stava per abbattersi su di lei. Imposte e serrande erano chiuse come occhi che si rifiutano di vedere. Per tanto tempo gli abitanti si erano rifiutati di vedere l’Uomo di Ferro, e ora che la creatura era tornata ad esigere la sua vendetta continuavano ad ignorarla, come avevano sempre fatto, sorvolando sulla sua esistenza come su una brutta fiaba che si racconta ai bambini per spaventarli e farli correre sotto le coperte, quando gli adulti vogliono starsene un po’ soli.
I ragazzini lo canzonavano quando passavano vicino alla fabbrica abbandonata in cui si diceva che la creatura conducesse la sua vita solitaria, per poi scappare urlando quando l’Uomo di Ferro, con gran stridore delle sue giunture metalliche, si alzava per avvicinarsi alla finestra dalla grata divelta.
Prima che la creatura arrivasse ad affacciarsi, quelli erano già lontani, erano corsi via fingendo paura e orrore, quando in realtà l’unico sentimento che provavano era la più crudele indifferenza – ammesso che sentimento la si possa definire.
Ma lui cosa poteva farci, se la fattucchiera crudele che aveva assemblato un tale errore non gli aveva dato la capacità di controllare la sua forza? Non era in grado di giocare con quei bambini, o di abbracciare un amico. La sola volta che aveva provato a scherzare con quella graziosa bambina bionda, l’unica ad averlo avvicinato, incurante del suo aspetto mostruoso, era successo l’irreparabile. Da allora era stato condannato a vivere in isolamento, senza farsi vedere, per generazioni e generazioni, con la sola compagnia della sua stessa orrida leggenda che teneva lontani dal suo rifugio gli esseri umani. Chi mai avrebbe potuto amarlo? Tutti sarebbero fuggiti lontano da lui, spinti dalla paura di passare per strambi inaccettabili. Mostri, proprio come lui.
Ma ora la creatura voleva vendetta.
Eccola fare il suo ingresso nella piazza della chiesa, inutile e pomposo baluardo di una superstizione che quella notte non avrebbe salvato nessuna delle sue vittime. Aveva deciso che, se non poteva essere amato, tanto valeva ispirare disgusto e terrore. Essere temuti, nella sua mente elementare e animalesca, equivaleva a essere rispettati. Sempre meglio la paura, che l’indifferenza, la derisione, il ridicolo. Sapeva che tutti sbirciavano dalle finestre prudentemente sbarrate. Ora tutti sapevano che lui era lì fuori. E che ormai era troppo tardi per quel gesto di pietà o di amore che avrebbe potuto fermarlo.
   
 
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