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Autore: Miss V Blackmore    15/01/2011    3 recensioni
Un piccolo scorcio di vita, un intreccio di esperienze e di emozioni, l’inizio di un percorso che nessuno sa dove condurrà. E l’unico modo per scoprirlo è scalare le nuvole e avere il coraggio di affrontare ciò che il viaggio proporrà giorno per giorno.
Scritta a quattro mani con KeikoHiragi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di lasciarvi alla lettura di questo fantastico capitolo, ci tengo a precisare che è stato scritto dalla mia tesora: Keiko.


Il mare è immenso e sconfinato, si estende sino all’orizzonte e si tuffa nel sole. L’uomo ha la sensazione di poter toccare quell’oro liquido e scivolare oltre quella linea di confine per convincersi di poter raggiungere il punto più lontano rispetto a dove si trova, ignorandone la distanza dalla terraferma. Per questo motivo gli esseri umani adorano incantarsi a fissare estasiati i tramonti: vogliono solo illudersi di poter raggiungere la propria meta, qualunque essa sia. E a volte, la loro destinazione, è così vicina da non essersi resi conto di essere già arrivati al capolinea.

Lily si gettò a peso morto sul letto dopo aver passato una decina di minuti a spazzolare i lunghi capelli castani, un gesto che Alex aveva imparato a ricondurre ad un rituale che le concedeva sicurezza e ripristinava i suoi poveri nervi ad uno stato di calma.
“Cos’hai Alex?”
“La domanda corretta sarebbe: cosa diavolo ti è preso, Lily.”
“Oh, andiamo… non mi dirai che…”
“Che?”
“Che non eri d’accordo!”
“Ovvio che no, non ero d’accordo.”
Alex aveva sbuffato  senza staccare lo sguardo dal romanzo che teneva tra le mani, fintamente presa dalla lettura di una riga su cui era già passata almeno una decina di volte: la testa, in quel momento, l’aveva felicemente lasciata fuori, un po’ sul sorriso di Matt, un po’ sullo spettacolo dell’oceano sotto il faro di Santa Monica, un po’ sulla stupidità di Zacky.
Insomma, era totalmente presa da altri pensieri, il primo dei quali era senza dubbio fuggire dalla casa di Brian Haner il più velocemente possibile.
Lily la fissò stringendo gli occhi a due fessure, avvicinandosi a lei a sufficienza per strapparle di mano il libro e gettarlo ai suoi piedi.
“Dammi tre validi motivi per cui non dovevamo accettare. E se saranno davvero validi, ti chiederò immensamente perdono. In caso contrario, mi sarai debitrice di un enorme favore.”
Alex si morse il labbro inferiore, sollevando lo sguardo verso il soffitto della stanza: da qualche parte, al piano inferiore o nelle stanze accanto, c’erano i loro idoli.
Be’, a essere sincere erano più gli idoli di Lily che suoi, per lei lo erano diventati  per ereditarietà, tipo teoria dei vasi comunicanti: da quando aveva conosciuto l’italo-americana la sua vita aveva preso una piega assurda, di quelle che ti fanno aprire gli occhi su quanto sia pericoloso restarsene aggrappati alle certezze senza osare mai.
Della cosa era a conoscenza da un pezzo, solo la parte difficile era stata trovare il coraggio necessario per buttare all’aria tutta la sua esistenza e provare a ripartire, in un qualsiasi posto in cui nessuno la conosceva, nessuno poteva dirle cosa fare o cosa non fare, libera di ridere e muoversi come meglio credeva.
Era stata Lily con il suo sorriso spensierato, con quel coraggio che sfociava spesso in un’incoscienza da bambina, con quella determinazione che la portava sempre nella direzione giusta per avvicinarsi ai suoi sogni, ad averla trascinata in California.
Alex le invidiava la capacità di non perdersi dietro paranoie e riflessioni pericolose, tipo quelle che la stavano assillando da quando Matt era uscito dalla stanza e lei si era trincerata al suo interno lasciando crollare ogni barriera emotiva.
“Allora, vediamo. Siamo arrivate a Los Angeles un mese fa, più o meno. Siamo andate da Kat Von D per farci tatuare” e sollevò il piede indicando le ali da pipistrello che si era lasciata marchiare sulla caviglia destra, soffrendo per altro come poche altre volte nella propria esistenza, “e abbiamo iniziato a parlare di cose di cui probabilmente non ho mai parlato nemmeno con mia madre. E okay, Kat ha la capacità magica di tirare fuori dalle persone cose che nemmeno loro credono di sapere, poter dire o fare, ma da qui al finire a casa di uno di questi pazzi ce ne passa, Lily.”
“Le motivazioni, Alex.”
L’inglese aveva sospirato, sprofondando ulteriormente tra le pieghe delle lenzuola color vinaccia del letto.
Certo che in fatto di gusti Brian non era esattamente allegro, eh.
“Oh, che cavolo di motivazioni vuoi che ci siano? Per una botta di culo – per la quale sconteremo la pena per tutto il resto della nostra vita, probabilmente – siamo finite a conoscere tu-sai-chi, siamo a dormire a casa di uno loro – con loro – e mi vieni a chiedere cosa c’è che non va?”
“Si, ovvio.”
“E’ tutto irreale, Lily. C’è la fregatura da qualche parte, e io sinceramente non ho la minima intenzione di…”
“Okay, hai violato il tabù. Tu hai semplicemente paura, non hai una motivazione plausibile per dire che stiamo sbagliando tutto.”
“Non ho detto questo, Lily.”
“L’hai pensato”, l’aveva accusata l’amica mettendo il broncio.
Ecco perché non si può parlare con lei di certe cose.
“No, ho solo detto che non voglio… okay mi arrendo, fa’ come ti pare:  ma ricordati tre cose. Sono famosi, possono avere tutte le donne che vogliono, sono anni luce lontano da noi.”
Lily l’aveva fissata incrociando le braccia sul petto, al pari delle gambe strette tra loro nella medesima posizione.
“L’ultima è una cazzata”, le aveva sibilato contro come se le avesse appena ammazzato tutti i sogni di una vita in mezzo secondo.
“Okay, sembrano esseri umani comuni, di questo ti do’ atto. Se sorvoliamo sul fatto che Zacky è palesemente schizzato, ma questo è un altro discorso. Il concetto è: quanto ci metti a perdere la testa per uno come loro? E non guardarmi così, Lily… cioè, sarebbe una reazione umana e matematica per chiunque.”
“Perché devi sempre pensare così tanto oltre?”
“Perché mi conosco Lily, e ti conosco, e non ho la minima intenzione di illudermi per due parole messe lì, al posto giusto, per fottermi.”
“Avevi giurato niente paranoie.”
Lily si era coricata accanto all’amica, scostandosi una ciocca di capelli dal volto e cingendole la vita con il braccio sottile.
“Domani ce ne andiamo di qui, hai vinto.”
“Ti ho distrutto ogni sogno, Lily?”
Non le aveva risposto, lasciando che il silenzio parlasse per lei, per quel suo respiro leggero che andava acquietandosi mentre ogni muscolo si rilassava a contatto con le lenzuola pulite e profumate di bucato fresco.
“L’ho visto come ti guardava, e come lo guardavi. E poi è Brian Haner, no? Quel Brian Haner. E’ come se io conoscessi Frank Iero, per dire.”
“Non capiresti più nulla?”
“Molto probabile. Vacci piano, okay? E’ un consiglio.”
“Non mi piace quando non ti lanci, Alex.”
“Non ho detto che non mi lancio con te, semplicemente porto il paracadute per entrambe.”
Erano scoppiate a ridere all’unisono, tuffando il viso tra i cuscini con l’animo più leggero. Era facile parlare, chiarirsi le idee dando voce ai pensieri e ai timori e tornare a guardare insieme al futuro con un po’ di sana illusione.
Lily era certa che quella fortuna sfacciata che le aveva portate sino a Los Angeles non le avrebbe tradite, non proprio in quel momento, quando la loro fata madrina faceva di nome Kat Von D e aveva spalancato loro le porte scintillanti dei sogni a portata di mano.

“Che avranno mai da ridere?”
Zacky fissava la distesa verde dell’imponente – quanto inquietante – parco della villa di Brian, il fumo della sigaretta a fargli compagnia nella notte californiana. Il sole di settembre, i bambini che riprendevano la scuola, gli adolescenti che invece marinavano andando negli stessi pub che avevano frequentato loro durante anni che sembravano essere passati in un soffio, lo innervosivano per la prima volta nella sua vita.
Tornare a casa era sempre stato un piacere, una certezza di serenità apparente e di riconquista della propria vita. Ora, invece, era tutto diverso e difficile, e Huntigton Beach era diventata una fossa comune in cui avevano deciso di gettarsi tutti insieme a marcire in compagnia.
“Sono donne, Zacky, non ti porre troppe domande.”
Il chitarrista aveva sollevato lo sguardo sull’amico, sorridendo divertito.
“Cos’è, qualche giornata ti è bastata per capire come funziona l’universo femminile? Non sei mai stato ferrato in materia, Matt. Lascia fare agli esperti.”
“E sarebbero?”
“Io e Syn, ovviamente.”
Matthew era scoppiato a ridere a propria volta, sedendosi accanto a Zacky ingollando un sorso di birra e fissando il cielo sopra di loro.
“Mi piacerebbe andare giù al molo ora, e stare lì a guardare l’oceano sino ad addormentarmi. Ti ricordi quando dormivamo in spiaggia?”
“Eravamo dei cazzoni e abbiamo fatto un sacco di casini.”
“Non abbiamo mai smesso, Zacky.”
Brian era appoggiato allo stipite della porta-finestra, perso dietro ai ricordi che tutti e tre cercavano di brandire come collante per restare insieme.
E non erano in realtà i ricordi la loro forza, ma quel legame che si crea con le persone a te più simili, quelle che per affinità elettiva ti ritrovi tra le mani e non sai bene come gestire.
Un po’ come le due che stavano ridendo – e forse ora dormendo – al piano di sopra.
“I guai sono solo all’inizio.”
“Casini con Michelle?”, gli aveva chiesto Matt indicandolo con la bottiglia mezza vuota tra le mani.
“Non la sento da qualche settimana, immagino sia meglio per tutti e due. Tu piuttosto hai deciso che cosa fare con Val?”
“Non c’è niente da fare, siamo a un punto morto. Lì, fermi ad aspettare entrambi di fare un passo falso e cadere di sotto.”
“Siete due coglioni.”
Zacky era quello che non aveva bisogno di dare giustificazioni per le sue uscite del cazzo, perché lui era quello che aveva ragione.
Sempre.
E benché Geena fosse semplicemente adorabile e perfetta, i fatti avevano cambiato le carte in tavola nelle loro esistenze e non bastava più cercare l’appoggio di chi c’era sempre stato, in chi conosceva ogni dettaglio della vicenda e sapeva sviscerarla e farla a pezzi centinaia di volte.
Quello di cui avevano bisogno era una ventata d’ossigeno – fosse di una settimana, un anno o una notte soltanto aveva poca importanza – per non sentirsi soffocare e sopraffare dall’orrore di vedersi scodellare davanti il peggio di sé stessi.
“Se vuoi farti una sana scopata non c’è niente di male. Lo fai e basta.”
“Stai facendo un mucchio di stronzate, Zacky, te ne pentirai.”
“Faccio quello che tu non hai il coraggio di fare, Matt. Cerco quello che mi fa stare bene. E questo non significa che non sia innamorato di Geena, significa… bah, che semplicemente una donna che non ti conosce non ti fa sempre le stesse domande. Una che ti porti a letto una notte soltanto non ti chiederà mai: come stai, Zacky? Io ne ho le palle piene di sentirmi chiedere come sto. Io voglio tornare a respirare. Vado a dormire.”
L’avevano lasciato rientrare, poi Brian e Matt si erano lanciati l’ennesimo sguardo carico di rimprovero per sé stessi, quello che li coglieva ogni volta che si rendevano conto di quanto la vita potesse essere bastarda e di quanto potevi perdere, in un colpo solo.
Perché non è la mancanza fisica quella che può farti male, ma il distacco che ne consegue, la crepa distruttiva che si espande come una chiazza d’olio maleodorante intaccando ogni cosa.
Anche la più bella.

I colpi sulla porta si erano fatti più insistenti, sino a quando Alex non era riuscita ad aprire gli occhi e lanciare un’occhiata al cellulare acceso ancora stretto tra le mani: le cinque e mezza.
Da quanto tempo si erano addormentate? Quattro ore?
Aveva lasciato scivolare il braccio di Lily lontano da sé, allungandosi quanto bastava per scendere dal letto e presentarsi alla porta della camera senza riuscire a connettere il cervello ai pensieri, risparmiandosi così una serie di paranoie di un vivace color fragola.
“Ti ho svegliata?”
“Direi di si… che ore sono?”, gli aveva risposto lei portandosi una mano alla bocca, cercando di trattenere uno sbadiglio a trentadue denti in stile il Re Leone appena sveglio.
“Le cinque e mezza. Ma  ti avevo detto che ti avrei portata a correre, no?”
Al sorriso di Matt, Alex aveva risposto stropicciandosi gli occhi e passandosi una mano nel nido di nodi e capelli arruffati che aveva in testa, realizzando solo in un secondo momento di essere a dir poco impresentabile, con una maglia di almeno tre taglie più grande dei Pistols dalla scollatura tagliata e le gambe nude.
“Non avevo pensato che… cioè, si, che potessi dormire.”
“Notte insonne?”
“Più o meno.”
“Dammi cinque minuti e andiamo a correre.”
Quello che doveva essere un sorriso indirizzato al ragazzo si era rivelata la smorfia d’orrore di chi è costretto a subire la peggiore delle torture, e Alex si era infilata le scarpe da ginnastica e un paio di shorts di jeans, indossando  sopra la maglia una felpa pesante.
Al piano di sotto, sette minuti e dodici secondi più tardi, si era presentata al fianco di Matthew sbadigliando.
“Scusami, devo ancora riprendermi  dalla levataccia.”
“Non volevo svegliarti, scusami.”
Lei era scoppiata a ridere, guardandolo di sottecchi da quella sua perenne posizione di svantaggio.
“Non si raccontano le bugie, Mister Shadows. Da quando si bussa a una porta alle cinque e mezza del mattino sperando che quelli dall’altra parte siano svegli? Ah, giusto, ma voi siete californiani, non dormite mai. Colpa di Las Vegas, eh?”
“L’avete vista?”
“Non ancora, ma temo possa essere la cosa più destabilizzante della mia vita.”
“Potremmo andare tutti insieme, sarebbe sicuramente più divertente. E due ragazze da sole in una città del genere sono soggette al peggiore dei trattamenti.”
E chi ci difenderà da voi?, si era domanda d’impulso Alex, scacciando il pensiero-minaccia scrollando il capo e puntando il dito contro il petto di Matt, visto che l’altezza massima che poteva raggiungere era proprio quella.
“Se la fortuna gira dalla vostra parte e riusciamo a vincere a qualsiasi cosa possibile, allora affare fatto. Lily sarà la donna più felice del pianeta.”
La loro, più che una corsa, si era rivelata una passeggiata in riva al mare mentre il sole ancora dormiva, e con lui tutta Huntigton Beach.
“Allora affare fatto, renderemo Lily la donna più felice del pianeta.”
Alex era scoppiata a ridere di nuovo, le mani affondate nelle tasche della felpa e il cappuccio sollevato sopra la nuca per ripararsi dalla brezza mattutina.
“Ma in California non dovrebbe esserci sempre caldo? Si gela!”
“Non ci ho mai fatto troppo caso, quando ci vivi probabilmente ci fai l’abitudine e ti convinci ci sia sempre caldo.”
“A Londra lo diciamo senza troppi problemi, che piove di continuo e fa freddo. Voi fate pubblicità ingannevole per attirare turisti, giocate sporco.”
Era scoppiato a ridere di nuovo, costringendo Alex ad assumere l’ennesima espressione buffa – ridicola, avrebbe giurato lei - visto quanto Matt la stava beatamente prendendo in giro.
“Cos’ho detto di così strano ora?”
“Sei buffa, gesticoli tantissimo quando parli, ti dimeni e non stai ferma un attimo. Sembra che tutto ciò che dici sia una grandissima verità.”
“Be’, in effetti è così. Allora io direi di fare questa fantomatica corsa a questo punto, no?”
Non aveva aspettato la sua risposta, si era tolta le scarpe sentendo la sabbia gelida scivolarle tra le dita dei piedi ed era schizzata in avanti senza pensare a nulla, solo a correre e correre sino al molo, per poter vedere il sole allungare i propri raggi sul loro nuovo mondo e chiudersi su di loro.
“Ma quanto cazzo sei veloce?”
“E’ solo perché sono più piccola di te”, era stata la risposta di Alex, che aveva scrollato le spalle per dare minor importanza alle proprie parole.
“Cavoli, ma è bellissimo!”
Aveva indicato il sole fare capolino oltre le case e le ville di Huntigton Beach, gettandosi a sedere sul pontile osservando sotto di loro alcuni surfisti diretti in acqua.
“Qui non dormite davvero mai voi…”
“Siamo abituati ad avere un ritmo di vita decisamente frenetico.”
“Di solito il mare calma i nervi, non li agita.”
“Ma questo è l’oceano.”
“E cosa c’entra?”, gli aveva fatto eco lei, mentre il ragazzo le si era seduto accanto contemplando una città della quale faceva fatica a ricordare i particolari, come una vecchia amante di cui dimentichi il nome. Quante città avevano sostituito Huntigton Beach, negli anni? Ognuna simile a un porto, tantissime in riva all’oceano, nessuna come la loro città natale.
“Non ti manca mai tutto questo quando siete in tour?”
Nemmeno gli avesse letto nel pensiero, Alex gli aveva rivolto la domanda guardandolo negli occhi, cercando di sistemare dietro l’orecchio una ciocca di capelli che si ostinava a sferzarle il viso.
“Si mi manca, ma me ne rendo sempre conto quando ritorno. Cioè, credi sempre che le altre città possano darti quello che ti offre Huntigton Beach e invece non è mai così.”
“Be’, ogni città diventa speciale nel momento in cui hai dei ricordi particolari che ti legano a lei. Qual è la tua città preferita?”
“Huntigton Beach.”
“Okay, ricevuto. E comunque ho vinto di nuovo io”, gli aveva fatto eco lei coricandosi per poter  guadare l’oceano alle loro spalle.
“E’ bello qui. Non sembra la California che ci rifilate nei film.”
“Non siamo noi a produrli, ma siamo fighi tanto quanto nei film.”
“Non puoi scaricare la colpa della pubblicità ingannevole su Hollywood. Guarda lì.”
Gli aveva indicato un punto tra l’oceano e il cielo dove non c’era nulla di differente rispetto al resto, ma il cantate era stato costretto a distendersi a propria volta per osservare quello che Alex voleva mostrargli.
“Lì non c’è niente.”
“Mi devi il mio premio.”
La verità era che Alex amava i tramonti, vi si perdeva dentro e si emozionava sino alle lacrime, per quel motivo ringraziava Dio – in cui non credeva, ma era tanto per dire – di essere in presenza di un’alba ancora grezza e grigia anziché di un’esplosione di arancione, perché era certa che in quel momento si sarebbe seriamente messa a piangere come una cretina.
Se ne stava lì, distesa su un vecchio pontile a osservare un punto di incontro tra cielo e mare sentendosi un po’ morire, parecchio stupida e decisamente fuori luogo con uno che faceva di nome Matthew Sanders ed era finito su miriadi di copertine di Kerrang! solo nell’ultimo anno.
Che cavolo andava a dire a uno così? Cioè, nemmeno lo conosceva e se ne stava lì a fare della filosofia gratuita su un pensiero scemo che le era venuto in mente.
Vedi quel punto? E’ differente da tutti gli altri perché è il primo che ti viene da fissare quando osservi l’orizzonte. E’ centrale allo sguardo, è perfetto, è il punto di incontro di due rette che hanno un fuoco che schizza via, lontano dallo sguardo.
E se quelle due rette fossimo noi?
Sei proprio la solita stupida sentimentale, Alexandra.
“Non abbiamo puntato nulla, o sbaglio?”
“Allora decido io il premio!”
Si era rizzata a sedere alzando le mani verso il cielo allungando i muscoli per poi tornare a guardarlo mentre se ne stava ancora coricato, sufficientemente incredulo da ritenere di avere a che fare con una pazza probabilmente.
“Non credo valga.”
“Be’, aspetta di sapere cos’è. Non sei curioso?”, gli aveva chiesto con un tono esageratamente deluso che aveva costretto Matt a fare i conti con l’ennesimo sorriso del primo mattino.
Era bello ridere appena svegli, era un ottimo esorcismo per tenere lontani i cattivi pensieri.
Cattivi o brutti? Una domanda da un milione di dollari, Matt.
“E cosa sarebbe?”
“Quando lo deciderò io, dovrai svelarmi un segreto. E non potrai negarmelo.”
“Scusa, ma poi non sarebbe più un segreto. E potrei mentirti, no?”
“Ma io l’ho vinto e tu… be’, tu non hai la faccia di quello che ti prende per il culo. Non come quel tuo chitarrista.”
Aveva sbuffato e Matt l’aveva osservata cambiare espressione per poi tornare improvvisamente allegra.
“Non l’avevamo deciso prima.”
“ Be’, lo decidiamo ora.”
Si era alzata in piedi afferrando le scarpe da ginnastica tra le mani, il tempo necessario per dare a Matt l’occasione per sfiorarle il polso senza riuscire ad afferrarla e scoppiare a ridere dandogli le spalle, iniziando a correre inseguendo i propri passi.
Il ragazzo aveva indugiato sul molo a fissare il punto dell’orizzonte che gli aveva indicato Alex, la sua voce che lo chiamava dalla spiaggia accompagnata da una risata divertita mentre inseguiva orme ormai cancellate dalle onde dell’oceano.
Erano un po’ una metafora del loro ritorno forzato ad Huntigton Beach, in cerca di un equilibrio che non avrebbero mai trovato continuando a tormentarsi  guardando al passato, e forse Zacky aveva ragione: lui era l’unico ad aver avuto il coraggio di dare un nome a quello che lui e Brian non osavano nemmeno immaginare.
Vivere nell’ignoranza, senza formulare ipotesi o nomi, a volte era la medicina migliore: d’altra parte, se il cieco non ha mai conosciuto il mondo, non potrà mai rimpiangere ciò che non ha mai potuto avere.

Lily se ne stava seduta sul divano in compagnia di Zacky, le mani strette in grembo mentre lo fissava torva.
“Cristo, ti dico che non le ho fatto niente!”
“Secondo me l’ha nascosta nel baule della macchina”, aveva rincarato la dose Brian dalla cucina, mentre era alle prese con una pila di pancake che Lily aveva prontamente provveduto a preparare per tutti quanti.
Anche per quella cretina della sua amica probabilmente morta annegata nell’oceano.
“Morta, ovviamente.”
“Vaffanculo, Brian. Questa qui già pensa che sia un pazzo maniaco, non peggiorare la situazione.”
“Veramente non hai fatto nulla per far supporre il contrario, eh”, l’aveva rimbeccato Lily continuando a tenersi a una distanza di sicurezza necessaria a farle saltare il divano con rapidità in caso di movimenti sospetti da parte del chitarrista.
Si be’, il numero due, il numero uno era dall’altra parte intento a versare succo d’acero sui pancake già pronti.
“Certo che metterti ai fornelli, Syn, non è esattamente una cosa virile.”
“Non sono ai fornelli, sto sciroppando l’acero… ne vuoi un po’?”
La domanda era stata rivolta a Lily, Brian che come un idiota si era passato una cucchiaiata di succo in bocca ammiccando alla ragazza, scoppiando poi a ridere all’unisono con Zacky.
“Almeno non faccio solo io la figura del pervertito qui in mezzo. Visto?”
Il viso di Lily aveva assunto la tonalità delle tende del salotto, un fantastico color amaranto: dove cazzo era Alex?
Il francesismo, nel caso, era assolutamente lecito, perché avrebbe resistito si e no ancora dieci minuti in compagnia di Zacky e Synyster Gates – Brian Haner probabilmente stava dormendo da qualche parte, in perfetto stile Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Solo che lei preferiva di gran lunga Jekyll, ad Hyde – dopodiché avrebbe trovato un qualsiasi pretesto per suicidarsi.
“Chi è il pervertito Zacky?”
La voce di Matt le era apparsa come un messaggio divino – non era evidentemente giunta la sua ora di schiattare – e il volto di Alex che aveva fatto capolino a lato del ragazzo, sorridente e decisamente stanco, erano tutto ciò che poteva renderle quel poco di lucidità mentale che le era rimasta.
“Dov’eri finita?”
“A correre.”
I due sportivi si erano lanciati un’occhiata sorpresa prima di scoppiare a ridere per aver risposto all’unisono a una domanda decisamente scontata.
“L’ho svegliata presto, colpa mia.”
“Io non ho sentito nulla.”
“E’ perché non ti svegliano nemmeno i festeggiamenti del carnevale di Rio de Janeiro sotto casa, Lily.”
“Giusto, dovremmo andare a Rio quest’inverno a festeggiare”, aveva  proposto deciso Zacky in risposta all’inglese, nascosta dietro la Muraglia Sanders.  
“Visto?”
Zacky aveva lanciato un’occhiata offesa ad Alex, incrociando le braccia sul petto per accentuare il tutto.
Visto cosa?”
“Che sei un maniaco.”
“Io non farei tanto la schizzinosa”, aveva puntualizzato Lily prendendo le difese del chitarrista che – sorpreso – le aveva sorriso con una gratitudine a dir poco esagerata.
“Zacky ci ha trovato una sistemazione.”
Alex si era ammutolita, spostando lo sguardo da uno all’altro almeno una decina di volte, per poi focalizzarsi all’improvviso sui rumori che giungevano dalla cucina.
“Ehi Brian, non restiamo qui. Giusto?”, gli aveva chiesto allarmata, nemmeno le avessero proposto di dormire all’aperto nel mezzo della Death Valley.
“Chiedilo a Zacky, è lui il vostro salvatore.”
“Questo è tutto da vedere… “, aveva borbottato tra se’ Alex senza curarsi troppo di non farsi sentire dagli altri.
“Allora?”
Allora cosa, Lily?”, l’aveva rimbeccata lei mentre l’amica supportava innocentemente il pazzo.
“Be’, non sei curiosa di sapere cos’ha trovato Zacky?”
“No.”
“Ma come no! Non ci prendere per il culo dai, non puoi non essere curiosa!”
Zacky si era sollevato dalla propria posizione, cercando di vedere l’espressione della ragazza, ma senza risultato.
“Potrei anche non esserla.”
“E’ una bugia, non crederle. E’ la curiosità fatta persona.”
“Lily, io e te facciamo i conti dopo. Sentiamo: cosa sarebbe questa fantomatica sistemazione?”
Alex si era portata accanto al divano, sgusciando lontano dal comodo nascondiglio che offrivano le spalle di Matt.
“Un bungalow sull’oceano.”
Alex aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca in una “O” perfetta, prima di richiudere il tutto cercando di trattenere lo stupore, ma ovviamente il suo sguardo carico di stelle era una risposta più che sufficiente qualora qualcuno non si fosse reso conto dello stupore che gli si era dipinto in faccia alle parole di Zacky.
“Sta scherzando?”, aveva chiesto a Lily.
“No che non scherzo.”
“Non lo sto chiedendo a te, ma a lei!”
“No no, è tutto vero. Dopo la colazione andiamo all’appartamento.”
“E’ di un’amica di Geena, dice che non ci sono problemi e potete restare quanto vi pare. Visto che non sono un maniaco?”
“Potresti essere un maniaco altruista, no?”
Il suono del telefono aveva preso a propagarsi per la cucina, e i tre ospiti si erano zittiti per cercare di comprendere chi  fosse all’altro capo del telefono.
Lily aveva avuto un sussulto, e qualcosa le aveva serrato il cuore in una morsa di gelosia pura. Okay, Brian non era più sposato da un anno, poteva almeno illudersi di avere una possibilità su un milione con lui, no? E chissà perché, era certa fosse Michelle dall’altro capo del telefono.
“Si, okay, arrivo subito. Non ci sono problemi, tranquilla.”
Lily aveva visto Brian chinare il capo e scuotere la testa, Zacky tornare a sedere e strattonare Alex bruscamente, costringendola a sedere accanto a lui sul divano.
“Gates, colazione e poi giù alla spiaggia. Io porto la piccola tigre e tu Lily, okay?”
“Ehi, mi hai fatto male.”
“Tu continui a non avere un livido in pieno viso. Sono io quello messo peggio, te lo ricordo.”
Zacky si era voltato, rivelando un eccezionale ematoma di categoria A, viola e che si stava espandendo a macchia d’olio tutto attorno alla palpebra e sullo zigomo.
“Scusa scusa scusa, non volevo. Certo che ho una mira pazzesca, eh.”
“Mai pensato di giocare a baseball?”
“Lo odio.”
La voce di Matt era diventata un sottofondo sordo, sottile e fastidioso: Alex aveva preferito ignorarlo, concentrandosi sulle battute di Zacky ma Lily, invece, aveva la seria intenzione di non lasciar perdere nemmeno una di quelle dannate parole.
E sapere – con una logica assolutamente elementare – che Matt stava correndo da Valary, le dava fastidio. Cioè, non che avesse chissà quali idee su di lui, però… però allora perché portarsi via Alex nel cuore della notte?
Non era giusto anzi, era proprio scorretto.
Aveva incrociato lo sguardo di Brian prima di scivolare di nuovo accanto a Zacky ed Alex, e lui le aveva strizzato l’occhio facendole segno di restare in silenzio, e che dopo, avrebbero parlato.

“Scusami se ti ho chiamato senza preavviso.”
Matt aveva passato almeno un’ora nel cercare le parole con le quali affrontare Valary, ma l’unica cosa che si era detto era che tanto valeva essere sinceri, no?
Alla fine sarebbe stato meglio per tutti.
“Avevo bisogno di vederti, tutto qui.”
“Avevamo detto che era un periodo di riflessione, Val. Se continuiamo a vederci o sentirci ogni giorno non riusciremo mai a capire cosa vogliamo.”
“Io so cosa voglio. Voglio te, e non voglio perderti.”
Il ragazzo aveva sollevato gli occhi sulla moglie restando a fissarla seduto sulla panchina del parco, nascosta da alberi secolari che li avevano visti crescere e persino morire.
Giorno dopo giorno dietro gli stessi pensieri e le stesse persone, incastrati in un mondo perfetto incapace di cambiare e rinnovarsi.
“Val siamo fossilizzati a quindici anni fa. Non siamo andati da nessuna parte.”
“Siamo andati ovunque insieme, Matt. Abbiamo creato gli Avenged Sevenfold e li abbiamo fatti conoscere al mondo, abbiamo… abbiamo vissuto insieme ogni istante della nostra vita. Come fai a dire che non siamo andati da nessuna parte?”
“Perché se ti guardi attorno ti rendi conto che siamo cambiati tutti, e noi non siamo riusciti ad assecondare la curva che il mondo prendeva mano a mano che si stringeva su di noi.”
“Sono solo cazzate, Matt. Questa storia di Jimmy…”
Si era morsa il labbro inferiore, chinando il capo con aria di scusa.
“Vedi Val? Ogni volta che c’è un fottuto problema tiri fuori la solita scusa. Il fatto è che io non ce la faccio a reggere ancora, a fare finta che tutto sia come prima. Non c’è più niente che sia come un tempo, è tutto diverso e siamo cambiati anche noi. Tutti quanti.”
“Vuoi lasciarmi, vero?”
“Voglio solo avere il tempo per pensare senza dover dare giustificazioni.”
“Ho ricevuto il messaggio. Torno da Michelle a questo punto, almeno le farò un po’ di compagnia. Siete tutti uguali, voi cinque. Non avete mai capito un cazzo di come si risolvono i problemi e continuate a spalleggiarvi anche ora. Non siete mai diventati adulti, Matt. E’ questo che vi sta fottendo il cervello ora.”
Matt l’aveva guardata allontanarsi da lui di qualche passo, senza concedergli un abbraccio o una carezza: aveva sempre amato la forza di Val, la voglia che aveva di spaccare il mondo con lui, la forza che non la faceva piangere mai ma in quel momento, probabilmente, gli sarebbe bastato vederla nella veste morbida della moglie innamorata e non in quella incazzata che ti prenderebbe a schiaffi se solo ne avesse la forza fisica, per sistemare le cose in un secondo.
“Passo tra qualche giorno a restituirti le chiavi di casa. Cerca di cavartela e non fare troppi casini, okay?”
“Saprò cavarmela Val. Grazie.”
La cosa che Matt non riusciva più a sopportare era il non poter mostrare la propria fragilità, il poter lasciar fluire le emozioni fuori: dall’altro lato, Val era un muro che non sapeva – o non riusciva – a raccogliere il suo dolore.
Che cazzo di coppia erano, se insieme non riuscivano nemmeno più a mostrarsi per ciò che erano realmente?
Due sconosciuti che abitavano sotto lo stesso tetto e lui aveva bisogno di sentirsi di nuovo vivo, non bloccato nel corpo di un personaggio da poster persino per la donna che aveva giurato di amarlo per tutta la vita.
Matthew Sanders sarebbe riuscito a essere solo una persona come tante, per qualcuno al mondo, o sarebbe sempre stato M. Shadows?

 

“Spiegami perché dobbiamo fare la spesa a quest’ora. Ci sarà l’universo al supermercato.”
“Si ma il tuo socio stava morendo di fame, non so se l’hai notato che stava agonizzando sul divano.”
“Veramente credo avesse altro in mente, comunque, visto che non ho la minima intenzione di passare la giornata chiuso in mezzo al casino, facciamo un giro.”
“Stai scherzando spero.”
“No, ma è meglio se ti allacci la cintura, Lily. Sono pur sempre amico di Zacky”, e con quella frase aveva premuto il piede sull’acceleratore, inchiodando la ragazza al sedile dell’auto guidando come un pazzo per le strade di Huntigton Beach sino ad arrivare alla loro meta.
Alla meta di Brian, a voler essere pignoli.
“Dove stiamo andando?”
“Vediamo se indovini.”
“Non mi va, preferisco gustarmi la sorpresa. Siamo dentro o fuori Hungiton?”
“Sul margine.”
Lily si era voltata a guardarlo, il profilo perfetto del chitarrista che si stagliava  contro l'oceano che andava scivolando sempre più lontano da loro, mentre l'entroterra si faceva sempre più vicino.
“Cosa dovevi dirmi?”
“Riguardo a cosa?”
“A casa tua mi hai fatto segno di restare in silenzio che avremmo parlato dopo.”
“Davvero? Non me lo ricordo”, aveva replicato lui con un sorriso angelico stampato in volto.
“Era quando Matt era al telefono con Valary.”
“Chi ti dice che fosse lei?”
“Perché non credo che il tuo amico abbia una lista di donne da cui correre appena lo chiamano senza preoccuparsi di chi ha attorno.”
“Matt si preoccupa sempre troppo per chi ha attorno, si vede che non lo conosci.”
Lily si era zittita, costretta a vergognarsi delle proprie parole dall'accusa di Brian. Non voleva giudicare Matt ma era una conseguenza logica farlo, dato che se n'era andato senza salutare, cogliendo al volo l'occasione quando Alex era salita in camera per cambiarsi.
“Scusa, non volevo essere brusco.”
“No, scusami tu. Non ne avevo il diritto.”
Lily aveva posato il mento tra le mani, osservando il paesaggio cambiare attorno a loro sino a vedere – a pochissima distanza – la famosa scritta candida che recitava “Hollywood”.
“Che cosa significa?”
“Facciamo spesa qui.”
“Tu sei pazzo, ma che differenza faceva restare ad Huntigton?”
“Ci sono già troppi problemi là sotto, non mi va di peggiorare situazioni dall'equilibrio precario.”
Le piaceva parlare con Brian, ascoltarlo mentre dava voce a ogni pensiero con la tranquillità con cui lei si sarebbe confidata con Alex.
“Sono i soliti problemi, le persone non sanno mai quale strada intraprendere. Nemmeno noi lo sappiamo Per quanto la gente ci consideri delle divinità, non le siamo. Vorremmo sbagliare come tutti e invece non possiamo farlo.”
“Se puoi evitare di sbagliare perché devi provare per forza?”
“Come fai a sapere che ti stai sbagliando nel momento in cui fai qualcosa? E' come se ti precludessi delle strade a causa di preconcetti. Per dire...”
Aveva spento l'auto e si era voltato verso di lei sporgendosi sino a sfiorarle la punta del naso con il proprio, osservandola diventare rossa e allungare le mani verso di lui allontanandolo impacciata.
Aveva un buon profumo, Brian, di quelli che ti stordiscono e ti lasciano con il loro ricordo nel tempo.
Lily aveva distolto lo sguardo prima che il ragazzo potesse spostarsi dalla propria posizione e magari tentare di prenderla di nuovo per il culo, ridendo divertito del suo viso color pomodoro.
“Visto?”
“Visto cosa? Che sei scemo?”
“Tu credevi fosse sbagliato e ti sei preclusa una strada.”
E brava scema.
“Pensaci: perché sarebbe stato sbagliato?”
Bella domanda, forse perché aveva giurato ad Alex che si sarebbe gettata con il paracadute e invece la sua era una discesa libera che la stava facendo vorticare in aria prima di farla schiantare al suolo?
“Entriamo, o non saremo mai a casa in tempo per la  cena.”
Non l'aveva aspettata e Lily era stata costretta a gettarsi all'inseguimento del ragazzo cercando di mantenere il passo, come una bambina che tenta di imitare gli adulti. Ma Brian l'avrebbe baciata davvero?
Era poco probabile a essere onesti, ma il solo ricordo bastava a farla arrossire, nemmeno stesse pensando a quel ben di Dio che il ragazzo ostentava senza troppi problemi.
Okay, avrebbe pensato a una valida risposta da dare a Brian, non prima di aver scritto ad Alex la novità dell'ultima ora: Brian forse ha provato a baciarmi. Ma non ne sono sicura.

“Che razza di messaggio è?”
Alex aveva brontolato a mezza voce, mentre Zacky trascinava diverse valigie in una delle camere da letto, la prima in linea d’aria rispetto alla posizione del salotto.
“Che cosa?”
“Non sono affari tuoi.”
“Sempre simpatiche e carine, vero? E pensare che sono qui a sfacchinare ad aiutarti mentre Brian se la sta spassando per negozi.”
“Si vede proprio che non la conosci.”
Alex gli aveva lanciato un’occhiata divertita, osservandolo intento nel suo improvvisato lavoro di facchino. per poi avvicinarsi e sfilargli di mano la chitarra di Lily, superando Zacky e adagiando lo strumento accanto al letto.
“Cioè? Non mi dirai che è una pazza furiosa innamorata di Brian al punto da tentare di violentarlo mentre sono soli… devo avvisarlo del pericolo che sta correndo. Povero, ingenuo…”
“Sai che sei veramente scemo?”, era stata la laconica risposta della ragazza al tentativo del chitarrista di recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
“Lily adora fare shopping, portarla in un centro commerciale equivale a restare ore ed ore ed ore a scegliere un paio di calzini.”
“Dove cazzo… posso fumare?”
“Non nella mia futura stanza, esci in giardino o in spiaggia o dove ti pare ma non qui.”
“Sarà la tua? Fantastico!”
Le era bastato mettere il naso in casa per innamorarsi della camera  posta all’altro capo del salotto, sulla cui parete  si apriva una finestra che si affacciava sul mare, racchiusa in una nicchia ottagonale alla cui base era stato ricavato un secondo letto protetti da un’alcova intima e sicura.
“Ti sei innamorata della visuale, vero? Non mi sembri il tipo alla Wendy e Peter Pan.”
Zacky aveva spalancato la finestra per far entrare la brezza marina, facendo sbattere così la porta della camera alle loro spalle.
“Ho preso un colpo, sei pazzo?”
“Sei suscettibile mica poco… e a te piacerebbero i film dell’orrore?”
“Be’, sarei una deficiente se credessi che esistono gli zombie, no?”
Alex si era avvicinata alla porta decisa ad uscire dalla stanza, ma la stessa cosa aveva pensato Zacky – o aveva invece pensato di non lasciarla uscire? – e avevano girato il pomello della porta nel medesimo istante, con la medesima forza.
L’uno a destra, l’altra a sinistra, e il pomo d’ottone si era magicamente staccato dalla porta restando nel palmo di Zacky.
“Cosa cazzo… sei un idiota con la laurea tu!”
Il chitarrista aveva spostato lo sguardo dal pomo alla porta, seguito a ruota da Alex che osservava il legno bianco come se si aspettasse che iniziasse a parlarle.
“Perché non si apre?”
“Forse perché abbiamo rotto la serratura?”
“Sei un genio, Zacky. No dico, non potevi startene alla finestra anziché venire qui a fare non-so-cosa? Ora chiamo Lily e le dico di venirci ad aprire.”
Alex aveva portato la mano alla tasca posteriore degli shorts, salvo assumere il colore candido e immacolato della porta un istante più tardi.
“Non ti senti bene?”
“Merda. Ho il cellulare di là.”
“Perfetto, allora credo proprio che avremo un interessante incontro a due sino al ritorno di Syn e Lily.”
“Chiama Brian, no? Io qui con te non ci voglio stare un minuto di più”, e dopo avergli lanciato un’occhiata in tralice si era allontana da lui di almeno tre passi, facendolo ridere di gusto.
“Ho dimenticato il cellulare in macchina.”
“Non ci credo, stai raccontando una bugia”, gli aveva risposto sgranando gli occhi nemmeno le avesse rivelato di essere il mostro di Dusseldorf.
“Vuoi perquisirmi?”
“Deficiente!”
Si era lasciata cadere sul letto a peso morto, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso su Zacky.
“Se potessi uccidermi lo faresti, vero?”
“Ovvio. Sei stato così idiota da lasciare il telefono in auto!”
“E tu così cretina da lasciarlo nell’altra stanza”, l’aveva rimbeccata puntandole il dito contro la fronte con una leggera pressione che lei aveva assecondato cacciando indietro la testa.
“Okay, hai vinto. Questa è una tregua, ma solo se giuri e spergiuri che ti comporterai da vero uomo.”
“Su questo ci puoi contare.”
“Intendevo dire galant’uomo. Come si dice dalle vostre parti? Principe azzurro? Cavaliere?”
“Non esistono più nemmeno nelle favole quelli.”
Le aveva risposto lui sedendosi accanto ad Alex costringendola ad allontanarsi come se fosse un lebbroso.
“Non mordo eh.”
“Non si sa mai, meglio essere prudenti con quelli pieni di tatuaggi e piercing. Comunque, nel caso non dovessi comportarti come Dio comanda, sai cosa ti aspetta.”
Gli aveva posato un dito sullo zigomo, dove il livido si era propagato in una chiazza violacea e pulsante.
“Ahio, cazzo! Fa un male cane!”
“Scusa.”
Gli aveva assestato una linguaccia per poi alzarsi e andare  alla finestra, osservando la distesa azzurra che si propagava al di sotto di essa sino all’orizzonte.
“Non possiamo nemmeno buttarci di sotto.”
“Perché?”
“E’ una pozza profonda e potrebbe essere pericoloso. Il dislivello è comunque di qualche metro, se non si è capaci di tuffarsi come Dio comanda rischiamo di romperci l’osso del collo.”
Alex si era ritratta dalla finestra sconsolata, e il solo pensiero di ammazzarsi anziché restare nella stessa camera di Zacky Vengeance aveva del ridicolo.
Se non si fosse rotta qualcosa sarebbe morta affogata, per cui era meglio rischiare e prendere il chitarrista a colpi di spazzola in viso, se si fosse rivelato necessario.
Le ragazze di mezzo mondo, comunque, avrebbero pagato oro per esser e al suo posto, e lei quello che stava chiedendo a un fantomatico dio era di riavere Lily a casa nel minor tempo possibile.
“Quindi sono chiusa qui dentro con te. Perfetto. La tua cara Huntigton Beach porta sfiga.”
“Secondo me porta una fortuna sfacciata invece.”
“E’ tua quella?”
Dopo una lunga pausa, Zacky aveva indicato la custodia della chitarra che poco prima teneva tra le mani Alex, e lei in risposta si era sollevata in piedi consegnandogliela.
“No, è di Lily. Infatti avrei dovuto portarla di là, ma mi scocciava lasciarti solo con le mie valigie. Puoi suonarla se vuoi, anche se dubito possa essere all’altezza di uno come te.”
“Una chitarra è pur sempre una chitarra. Le note le suona comunque. Tu non suoni?”
“Io disegno. Nel tempo libero si capisce.”
“Voglio vedere qualcosa di tuo.”
“Non è niente che possa piacere a uno che si tatua teschi e pipistrelli addosso.”
“Se io suono tu potresti disegnare.”
“Potrei anche leggere o ascoltare musica, volendo.”
“E’ un modo per ingannare l’attesa. Così non alzo le mani su di te e tu stai al sicuro. Semplice no?”
“Basterebbe che tenessi a freno lingua e ormoni. Non ce l’hai una ragazza tu?”
L’aveva borbottato più tra sé e sé che non per ricevere una risposta da Zacky – lo sapevano anche in muri che viveva con Geena – per cui era del tutto superficiale porre una simile domanda, e infatti il ragazzo si era limitato a sfilare lo strumento dalla propria custodia accennando i primi accordi.
“Ha un bel suono.”
“E’ una chitarra acustica, per forza ce l’ha.”
Stava per aggiungere qualcosa che doveva suonare molto patetico e romantico – tipo che le chitarre acustiche avevano un’anima dolce e malinconica, rispetto a quelle elettriche -, per cui era tornata a rovistare nel proprio zaino alla ricerca di matite e blocco da disegno trattenendosi dall’apparire una totale scema.
Non voleva mostrare a un perfetto sconosciuto una parte di lei che aveva a che fare proprio con quella Wendy, con un mondo fatto di sogni che dovevano scontrarsi con la realtà e di una vita che voleva inventarsi da zero.
La parte debole o, come avrebbe detto Lily, quella più dolce e fiabesca, ma erano tutte cose strambe uscite dalla bocca di una piccola peste.
Se dovevano aspettare, tanto valeva ingannare il tempo alla meno peggio no?
“Che facevi a Londra?”
“Tirocinante in ospedale.”
“Tipo la centralinista?”
“No, tipo il medico. In ospedale ci sono anche quelli, non so se li hai mai visti.”
La bocca di Zacky era rimasta spalancata il tempo sufficiente per dare aria al cervello e lasciarlo di nuovo senza, ma Alex aveva più il sentore che fosse semplicemente riuscita a zittirlo.
“Non puoi essere davvero un medico. Cioè, tu? Piccoletta e tutta incazzosa?”
“Che diavolo vorresti dire?”
Alex continuava a tracciare righe nere sul foglio bianco, sollevando di tanto in tanto il viso per osservare Zacky intento a suonare ed armeggiare con la chitarra di Lily.
“Se non la sai usare puoi anche evitare di rompergliela. O ti ammazza, e lei è capacissima di farlo sul serio.”
Lui era scoppiato a ridere chinando il capo in quel suo modo strano che aveva di nascondere un bel sorriso, quello che Alex aveva deciso di immortalare.
In fondo doveva pur farsi perdonare per avergli rovinato il faccino da rockstar, no?

Brian stava letteralmente trascinando Lily lungo le corsie del supermercato, indeciso se scappare con lei e non fare più ritorno ad Huntigton Beach e fregarsene di Michelle, dei casini del divorzio e degli amici di sempre, o se stare calmo ed evitare l’ennesimo colpo di testa da coglione.
Restava il fatto che secondo lui Zacky aveva perfettamente ragione su tutta la linea.
“Ti prego Brian, compriamo anche quello!”
“Cazzo, sembra che tu abbia cinque anni! Guarda il carrello della spesa, non c’è una cosa che non abbia miliardi di calorie. Ma come fate a essere tanto magre se mangiate solo questo schifo?”
“Certo che una predica del genere fatta da un californiano è veramente ridicola, eh”, gli aveva risposto lei gettando nel carrello della spesa un sacchetto di frutta mista ovviamente per Alex, o l’avrebbe ammazzata se non fosse tornata con una minima percentuale di cibi biologicamente incorruttibili.
Il rumore sordo che si era propagato per tutto il supermercato aveva costretto Lily ad arrestarsi con il braccio sollevato nel tentativo di recuperare i cereali preferiti dell’amica, lo sguardo terrorizzato puntato su Brian.
“Cos’è stato?”
Lui aveva sollevato le spalle, ma il secondo suono era stato talmente chiaro e vicino a loro – all’inizio della loro corsia – che si erano visti costretti a spostare entrambi la propria attenzione sul tizio vestito di nero e con il passamontagna in testa che stava loro dinnanzi.
“Questa è una rapina, alzate il culo e uscite di lì. Immediatamente. Avanti!”
Lily si era aggrappata al braccio di Brian, pallida come un morto, avanzando a piccoli passi nella direzione indicata dal rapinatore.
“E’ uno scherzo, vero?”
“Non credo Lily.”
“Cioè… fammi capire bene. Tu mi hai portata sino a Hollywood per fare una cazzo di spesa e siamo così sfigati da essere coinvolti in una rapina?”
“Non vorrei sembrarti banale ma la risposta è: si.”
“Zitti voi due e camminate più veloci!”
Il tizio incappucciato aveva allungato una spinta a Lily facendola inciampare nei propri piedi, e solo la schiena di Brian – sulla quale aveva sbattuto il naso – le aveva impedito di finire a terra.
“Ehi, vacci piano”, aveva scoccato gelida la ragazza allo sconosciuto.
“La prossima volta che la tocchi finisci nella merda, amico.”
“Non credo che tu possa essere in condizione di dettare le regole del gioco, bello.”
Lily aveva serrato la mano su quella di Brian chiusa a pugno, appoggiandovisi con il peso dell’intero corpo per far scivolare via la tensione dal ragazzo.
“Lascia stare, non ha fatto nulla.”
Lily, che aveva sempre avuto il temperamento di una pentola a pressione, avvertiva il pericolo di quelle pistole puntate discretamente vicine a loro, per quel motivo aveva dato sfoggio di una diplomazia che – con ogni probabilità – aveva scoperto di avere in quell’esatto istante.
Certo, se le avessero toccato Brian, non sarebbe stato tutto così semplice per loro.
“Stai bene?”
Brian era seduto accanto a lei, entrambi con la schiena appoggiata al reparto prodotti per l’infanzia tra biberon, giocattoli di gomma e pannolini.
“Si. Grazie per avermi difesa prima.”
“Credo che l’avrebbe fatto chiunque al mio posto. Insomma, questi sono dei pezzi di merda.”
Lily aveva sfiorato il telefono nella tasca dei pantaloni, ma senza osare tirarlo fuori: nei film di solito li requisivano, non voleva rimanere coinvolta in quella storia più di quanto non potesse già esserla. Ma perché era così sfortunata? Poteva essere un’uscita romantica con Brian, magari una specie di appuntamento, e invece erano stati sequestrati da quattro cretini.
“Perché sei voluto venire sino a Hollywood?”
“Perché è diversa da Huntigton e non ci incontri le solite facce.”
Forse non voleva incontrare Michelle.
“Capisco.”
Aveva lanciato un’occhiata a Brian e una cosa era certa: non era felice. Cioè, magari non lo era a causa della situazione ma aveva addosso sempre quell’aura un po’ malinconica che… che la rendeva un po’ triste e le faceva salire addosso una gran voglia di farlo ridere.
A lei Brian piaceva da impazzire, perché era tutto quello che lui aveva salvato da Synyster Gates, da quella fama che li aveva travolti inaspettatamente per nascondere agli estranei ciò che possedeva di umano e… semplicemente meraviglioso?
Persa nei propri pensieri – la voce di Alex che l’aveva interrotta sul più bello, pronta a far capolino dai ricordi della nottata precedente a proposito di un paracadute per due che si era ben guardata dal portarsi dietro – non si era accorta che Brian le si era avvicinato a sufficienza per ripararle la vista in direzione delle casse del supermercato.
“Cosa succede?”
“Non hai davvero sentito nulla?”
“No, stavo pensando e… no, non ho sentito.”
“Credo abbiano sparato a qualcuno perché ho sentito delle urla. Meglio che restiamo fermi qui e che non tiriamo fuori cellulari o cose simili. Credo si siano incazzati per una cosa del genere. Hanno già chiamato la polizia, è scattato l’allarme subito dopo il loro arrivo qui dentro.”
“Ti sei accorto di tutto questo?”
“No, è stato un passaparola generale. Hai paura?”
“Un po’. Ma mi fido di te.”
Aveva appena messo la propria vita nelle mani di Brian Haner, un perfetto sconosciuto – chitarrista della sua band del cuore e indiscusso principe azzurro di una vita, almeno nei suoi più rosei sogni – per cui, semplicemente, stravedeva.
E quello era solo un eufemismo.
Brian le aveva passato il braccio attorno alle spalle avvicinandola a sé, annullando la distanza che li separava.
“Okay, non dovevo portarti a Hollywood, ma mi sembrava una bella idea per mostrarti qualcosa di diverso.”
“Be’, non fa nulla: non li hai mica chiamati tu, no? ”
Lui le aveva scoccato il suo sorriso più diabolico, costringendola a trattenere le risate.
“O si?”
In ogni caso, Brian Haner, tutto quello che posso dirti è che non si può non adorarti.

“Tieni.”
Alex aveva disegnato tutto il giorno, accompagnata dagli accordi di Zacky, per poi andarsi a sedere accanto al lui sul letto porgendogli il blocco da disegno.
“Cazzo ma sei bravissima! Sono persino più bello che dal vivo! Si vede che hai colto l’essenza della mia anima.”
“Immagino sia l’essenza della tua musica, idiota. Se ti piace puoi tenerlo.”
“Me lo regali sul serio?”
“Si, io non so che farmene, ho miliardi di schizzi ovunque ormai. E’ tuo, per farmi perdonare dell’occhio nero. Mi dispiace sul serio.”
Alex aveva guardato l’orologio della sveglia, spostando poi lo sguardo sulla distesa nera che li circondava al di fuori della finestra.
“Ma quanto ci mettono a rientrare? Ormai è tardissimo.”
“Brian avrà convinto Lily a restare fuori a cena o l’avrà portata a casa sua o in un motel o…”
“Zacky basta! Okay, mi metto a dormire.”
“Questo significa che dormiremo insieme?”
Aveva ammiccato lui stirando le braccia in maniera tanto idiota che persino una tonta come Alex aveva compreso la tecnica più vecchia del mondo, scansando così lo pseudo-abbraccio del chitarrista scostandosi di lato e afferrando il cuscino dalla propria parte del letto matrimoniale per poi alzarsi in piedi e guardarlo sinceramente divertita.
“Si. Tu resti qui, io vado sulla panca ad aspettare Peter Pan.”
“Ma starai scomoda, scema.”
“Starò comodissima, fidati. E poi tu non ci staresti lì sopra, sei troppo grosso.”
“Hai così tanta paura? Oggi sono stato un signore, no?”
“Mai fidarsi di un musicista, sono i peggiori. E comunque tranquillo, torneranno a casa e sarà questione di poche ore. Buonanotte.”
E con quelle ultime parole aveva strattonato il copriletto, lasciando a Zacky solo un lenzuolo e un letto decisamente troppo ampio da riempire da solo.
“Sicura che non vuoi dormire sul letto? Dormo io sul pavimento.”
“Ora non esagerare. Sogni d’oro, Zacky.”
“Buonanotte Wendy.”
“Idiota.”
“Scema.”
Zacky si era girato verso la porta, cercando di udire al di là di essa un qualsiasi rumore di passi. Aveva persino sperato che Matt si facesse vivo per un qualsiasi motivo, ma con ogni probabilità aveva sistemato le cose con Val ed erano tornati felicemente a casa insieme, i problemi ancora una volta riposti nel cassetto per poi riemergere alla prima complicazione. Era così da un anno e mezzo ormai, perché continuare a prendersi per il culo?
Zacky era persino certo che Geena si stesse comportando come lui, e solo per quel motivo non erano scattate scenate di gelosia e scazzi perpetui.
Almeno, era ciò che si raccontava per placare la coscienza che gli ricordava che Zacky Vengeance non poteva conquistare il mondo senza poi pagarne lo scotto.
Si era rigirato per la centesima volta tra le lenzuola, fermandosi a osservare Alex che si agitava nel suo nido invaso di cuscini, l’I-Pod nelle orecchie e una mano a sfiorare il pavimento.
Si era alzato cercando di non fare rumore, portandosi accanto a lei e osservando il display luminoso scandire la scritta Seize The Day.
Si era seduto lì, accanto a lei, la schiena appoggiata alla parete, la testa tra le mani.
Si, stava per diventare tutto un grandissimo, fottuto casino.
Lo avvertiva dal fremito che provava alla punta delle dita di mettersi a comporre musica, che le cose stavano prendendo una piega assolutamente sinistra.

Quando gli agenti di polizia avevano circondato l’edificio e gli spari avevano preso a correre ovunque, Lily aveva seriamente creduto di morire.
Brian continuava  a tenerla stretta e lei, quando aveva visto il fascio di luce azzurra sferragliare dentro il supermercato, aveva deciso che non voleva sapere se c’erano cose sbagliate o cose giuste.
C’erano solo cose, al mondo, che dovevi scegliere se fare o meno e fregartene delle conseguenze.
“Brian?”
Lui si era girato a guardarla e lei aveva deciso, perdendosi in quegli occhi caldi e malinconici, che doveva farlo: se doveva morire, sarebbe morta felice.
Felice davvero come mai prima di allora.
Magari sarebbe morta di felicità, e allora poteva anche fregarsene dei rapinatori e degli spari.
Aveva sollevato il viso appoggiando le proprie labbra su quelle di Brian, gli occhi chiusi per non rendere tutto troppo rapido e difficile o complicato o.
Semplicemente, le aveva appoggiate lì, come se se fosse una cosa normale da fare mentre stanno per ammazzarti, ecco.
Nei film capitava, tanto valeva provare anche nella vita vera.
Brian era rimasto spiazzato, poi semplicemente aveva passato la mano dietro la nuca di Lily e l’aveva attirata a sé, stringendola con un po’ più di forza e dischiudendo le labbra su quelle di lei.
Cosa cazzo poteva significare un bacio in punto di morte?
Nulla, assolutamente nulla.
Oppure significava esattamente il contrario: tutto un mondo di illusioni e pretese a cui lui nemmeno voleva pensare.
Se doveva scegliere tra una rottura di palle o morire da coglione, preferiva decisamente la seconda, ma almeno se la sarebbe spassata sino alla fine.

*
Grazie a tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo e che lo hanno letto. Le recensioni fanno sempre piacere... <3
   
 
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