Open your eyes
Life is but a walking shadow.
Out, out, brief candle!
[La vita
non è altro che un’ombra in cammino.
Spegniti,
spegniti, breve candela!]
Macbeth,
Shakespeare
Oscurità.
Non vedo niente, solo un’immensa
distesa di oscurità di cui non vedo la fine né l’inizio.
Intorno a me sento delle voci
sommesse, mai sentite.
“Si è svegliata?”
“No, non ha ancora aperto gli
occhi”
“Forse è morta… Siete sicuri che
l’esperimento sia andato a buon fine?”
Esperimento? Quale esperimento?
Dove mi trovo? Ho caldo… Mi sento
prigioniera. Liberatemi!
“Non è morta! Non vedi che
respira?”
“Bellissima. Assolutamente
perfetta: abbiamo creato un’opera d’arte!”
“È ancora presto per esultare.
Non ha ancora aperto gli occhi e non da’ segni di vita… Forse alla fine risulterà
un fallimento come gli altri”
Io sono un fallimento? Perché… Ho
questa opprimente sensazione? Sono stanca, voglio dormire. Lasciatemi in pace.
Lasciatemi da sola.
“Si sveglierà, non vi
preoccupate. Ha solo bisogno di un giusto incitamento…”
“Ah, Dottore… Che cosa vuole
fare?”
Sento un picchiettio sommesso
contro una superficie di vetro. Un rumore che cade nel vuoto, proprio come me.
Io mi trovo in mezzo al limbo, conducendo una non-vita… Non sono morta e non
sono viva. Non dovrei neanche vivere, se è per questo. Ma sono stata richiamata
da qualcuno…
Strano, mi ricordavo di essere
morta. Forse lo sono, o forse no. Ma non voglio risvegliarmi: voglio restare
sospesa nell’oscurità, a un passo dall’alba e dal risveglio. Il sonno mi
proteggerà per sempre.
Nulla mi farà più paura.
Nulla più mi ferirà.
“Svegliati, apri i tuoi occhi!
Apri gli occhi per una nuova vita!”
Una nuova vita, eh…
Sono rinata dalle mie stesse
ceneri in nuovo corpo, per tornare a camminare, vivere e respirare. Pronta per
obbedire a un nuovo padrone. Pronta per soffrire di nuovo.
Di quel momento ho pochi ricordi
confusi e immagini sbiadite di persone vestite di bianco. Solo due cose sono
rimaste impresse nella mia memoria: quella voce che mi invitava ad aprire gli
occhi e quella luce accecante che fece fuggire l’oscurità. È buffo pensare che,
più tardi, la stessa scena si ripeterà in un altro luogo, o meglio in un altro
mondo. Anche lì, stessa storia.
Una nuova vita, una nuova morte.
E forse una nuova rinascita.
Il ragazzo correva verso quella
che pensava fosse la loro salvezza. Non sapeva di preciso dove si trovasse, o
se quel mondo fosse veramente abitato da qualche essere umano. Solo di una cosa
era certo: finalmente era riuscito a fuggire, era riuscito a eludere il sistema
di sorveglianza e a varcare la soglia di quella prigione. Portando con sé lei.
Quell’esperimento imperfetto agli
occhi degli altri, ma che poteva risultare un’arma potente nelle giuste mani.
Peccato solo che fosse rotta. Almeno in parte.
Non importava. In un modo o
nell’altro, si sarebbe impossessato anche dell’ultimo pezzo del mosaico per
poter portare a termine il suo compito. Anzitutto, era necessario metterla al
sicuro.
Lontano da loro.
Non potevano sapere dove si
trovassero, avevano perso le loro tracce prima che lui si teletrasportasse in
questo mondo sconosciuto: ci metteranno del tempo prima di riuscire a scovarla.
Bene.
Quei bastardi, però, l’avevano
colpito. Il suo corpo era ricoperto dal sangue, suo e di coloro che gli avevano
sbarrato la strada. I suoi vestiti erano ormai ridotti a uno straccio, forse
era stato perfino infettato dal morso di quei cani. Non voleva diventare come
loro! Non poteva…
Ma lei era incolume e
questo bastava per calmarlo. Non si era mai accorto di quanto fosse pesante…
Ci siamo quasi!
Finalmente il castello era
vicino. L’aveva visto da lontano, appena arrivato, e gli era sembrata l’unica
ancora di salvezza. Quel castello di un bianco immacolato, sicuramente dimore
di un re – pensava -, che sembrava toccare il cielo perennemente nero, la cui
unica luce era rappresentata da una gigantesca luna a forma di cuore. Brillava
di strani colori, ma era bellissima.
Lì lei sarebbe stata al
sicuro.
Allentò il passo e ricominciò a
prendere fiato, ormai esausto e al limite delle proprie forze. Arrivò dinanzi
al portone e fece ancora qualche passo, per poi gettare un ultimo sguardo alla
luna e accasciarsi a terra sfinito. L’oggetto che teneva in braccio, come se
fosse stato un bambino da proteggere o un tesoro di enorme valore, cadde a terra
con un sonoro tonfo di fianco al corpo del ragazzo.
Lui attendeva, in una specie di
dormiveglia a cui era ormai abituato da anni. Attendeva che qualcuno, chiunque,
si accorgesse della loro esistenza.
Sperando in qualche aiuto che
temeva non sarebbe mai arrivato.
Il primo a notarli fu Axel.
Il ragazzo con i capelli rossi si
accorse della loro presenza dopo aver udito il tonfo di quel pacco. Risuonò nel
castello, rompendo il silenzio a cui era abituato. Si voltò e si affacciò a una
finestra, gettando occhiate attente a scorgere ogni minimo movimento sospetto
nel cuore della notte. Alla fine guardò in basso e li vide: un ragazzo in una
pozza di sangue e un enorme pacco avvolto in stracci polverosi e sporchi, dalla
forma allungata e con il profilo di un essere umano.
Nonostante il ragazzo non potesse
provare alcun sentimento, un brivido gli percorse la schiena, vedendo quello
spettacolo. Aprì un portale oscuro, deciso di chiedere aiuto a qualcuno.
In breve tempo dodici individui
vestiti di nero comparvero dal nulla e circondarono il corpo del ragazzo,
escludendo lo strano pacco. Il primo a chinarsi sul corpo era un uomo vecchio,
con i segni leggermente visibili di rughe lungo il volto scarno e magro.
L’uomo, che si chiamava Vexen, controllò il polso al ragazzo, mostrando una
smorfia contrariata e disgustata dalla vista di tutto quel sangue.
“È ancora vivo, ma non per molto”
“Che cosa possiamo fare? L’avevo
visto dall’alto e non potevo certo sapere delle sue vere condizioni…” cercò di
giustificarsi Axel.
“Zitti, si sta riprendendo!”
ordinò un ragazzo, chiamato Zexion, con un enorme ciuffo blu che copriva
l’occhio, lasciando quell’altro, di un azzurro intenso, scoperto.
Il ragazzo mosse
impercettibilmente una mano, poi emise un debole gemito e alzò la testa per
incontrare gli occhi dei dodici individui che lo guardavano. Il suo volto era
stanco e affaticato, ricoperto di cicatrici che lo facevano sembrare più
vecchio, nonostante alcuni tratti del viso indicavano una gioventù ancora
fresca ma sull’orlo del degradamento; gli occhi, neri come la notte eterna,
erano solcati da profonde occhiaie ma nel suo sguardo ardevano fiamme
combattive e piene di speranza, forse anche di supplica. I capelli, con i ricci
scompigliati che ricadevano dolcemente sulla fronte, erano argentei. Un colore
innaturale per un ragazzo della sua età.
“Aiutatemi” sussurrò
flebilemente.
“Chi sei?” domandò bruscamente un
uomo con una benda sull’occhio e delle cicatrici lungo il volto.
“Non ho molto tempo… Vi prego,
prendetela con voi”
Detto questo, alzò debolmente una
mano e indicò il pacco fuori dal cerchio. I Nessuno gettavano occhiate furtive
ad entrambi. Poteva essere una trappola.
“Da dove vieni?” chiese Axel.
Il ragazzo sospirò e vomitò
sangue. Mentre gli altri indietreggiavano disgustati, il ragazzo cominciò
lentamente a svanire mentre il suo corpo veniva invaso da una luce quasi
accecante.
“È giunto il momento di andare…”
disse tristemente.
“Ehi, aspetta! Dove credi di
scappare?!”
Il ragazzo guardò fisso negli
occhi coloro che si trovavano di fronte a lui e sorrise placidamente.
“Ve la lascio in custodia,
tornerò a prenderla… Proteggetela, vi prego: è la nostra ultima speranza!”
Con queste ultime parole,
scomparì avvolto dalla stessa luce di prima, lasciando i Nessuno con quel pacco
e con poche parole enigmatiche. Parole di speranza.