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Autore: ElfoMikey    16/01/2011    2 recensioni
"Quando qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.
Quel qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità, giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile."
Brendon non riesce a dimenticare, Ryan crede di avere il mondo hai suoi piedi.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ryden6

 

 

Capitolo sei

 

 

 (noticina: c’è un piccolo pezzo, all’inizio del secondo pov di Brendon che è in corsivo, si tratta di un pensiero al presente! )

 

 

 

 

 

Brendon pov

 

 

Non rividi Ryan fino a Natale, dopo quella volta. Non era successo altro. Solo un bacio, forse troppo breve, dentro quella stanza, che avevamo deciso di dimenticare. Era giusto così, perché non c’era nessun futuro da poter condividere insieme. Poi c’era Ariel che era ancora la persona con cui dividevo letto e cuore.

Prima di andarmene da casa sua avevo giurato a me stesso di non cascarci più. Ryan non aveva obbiettato, limitandosi ad annuire qualche volta e restare ad ascoltare le mie parole in silenzio.

Aveva confessato di essere innamorato di me e nonostante gli avessi detto che credevo alle sue parole, era così difficile provarci. 

Avevo detto di credergli e infatti era così, ma tutto era strano, nuovo. C’era quella sorta di timida consapevolezza di non essere più solo a provare un sentimento tanto grande, quanto irrimediabilmente difficile.

Pensai addirittura di fargli provare lo stesso dolore che avevo sentito io, le stesse sensazioni di vuoto e incertezza che mi avevano accompagnato per mesi. Però, pensandoci non sarebbe stato giusto o abbastanza maturo.

“occhio per occhio, dente per dente” no?  Ma quanto sarebbe servito?

A nulla perché non era la sua sofferenza che mi avrebbe fatto stare meglio.

Quella sera, in quella stanza, non c’erano certezze, la ragione aveva preso una strada differente e il cuore aveva combinato il più dolce dei casini.

Non scorderò mai più la sensazione della pelle liscia delle sue guance sotto il tocco delle mie mani o la sua bocca in cerca della mia.

Avevo perso così tanto tempo a immaginarlo che farlo davvero era assolutamente un’altra cosa.

Sospirai per l’ennesima volta guardando con sguardo perso fuori dalla finestra, in mano una tazza di cioccolata calda, oramai fredda.

Spencer mi osservava con un cipiglio inarcato dal divano, dov’era seduto insieme a Bill e alla piccola Genevieve e commentavano il mio attuale stato da morto-che-cammina-e-si-limita-a-sbuffare-come-una-locomotiva.

“E io mi chiedo come fa Ariel a non accorgersi di nulla!” commentò il mio batterista, scuotendo la testa e sprofondando nel divano chiaro di William.

“Che ci vuoi fare, è un ragazzino e i ragazzini sono così ottusi di questi tempi!” commentò Bill, rigirandosi un boccolo biondo della figlia fra le dita, mentre questa si assopiva sul petto del papà.

“Smettetela di prenderlo per il culo, Brend sta attraversando una brutta fase della sua vita! Gli ci vorranno, mesi se non anni per riprendersi e capire cosa cazzo vuole!”  esclamò Gabe, togliendomi dalla mani la tazza di cioccolata per porgermene un’altra che iniziai a sorseggiare.

Mugugnai un grazie, guardando male tutti.

Eravamo scappati a Chicago per incontrare Pete e avevamo approfittato per andare a trovare quella coppia di fottuttissimi novelli sposi.

Lì invidiavo da morire.

Loro e il loro amore eterno, il loro matrimonio a Las Vegas, la loro carriera ancora perfettamente intatta e la loro casetta da telefilm americano!

Ringhiai e Gabe mi picchiettò sulla testa con la mano un paio di volte, prima di mettersi al pc per trafficare con twitter.

Ringraziai il cielo per la possibilità di buttarmi totalmente nella musica, nei pochi giorni che restavano al Natale. Avevamo in  programma diversi concerti in zona e poi sarei ritornato a Los Angeles per passare il Natale con Ariel.

A casa non potevo tornarci, visto che non ero molto gradito.

O forse l’avrei passato con Pete e la sua di famiglia, visto che a quanto pare si era divertito a dire in giro che mi ero fidanzato con Ariel.

In realtà avrei fatto di tutto pur di non pensare ad Ryan.

“A proposito di ragazzini, dove si è cacciato Ariel?” chiese Bill, con un sorrisetto.

“E’ rimasto da Pete, lo raggiungiamo dopo.” Borbottai io, riuscendo a finire la cioccolata calda prima che si raffreddasse del tutto.

“Lui non sa nulla vero?” domandò Spencer, alludendo all’incontro piuttosto ravvicinato avuto con Ryan. Arrossii, mentre alla mente mi ritornava quel bacio, e mugugnai frustrato. “bene, direi proprio di no…” aggiunse ridendo della mia espressione.

Nemmeno Pete lo sapeva.

Solo loro tre erano venuti a conoscenza di quello che era successo tra me e Ryan una volta usciti dal locale.

Non l’avevo detto a Pete solo per non vedere il suo autocontrollo esplodere come una bomba.

E poi non sarebbe rimasto zitto nemmeno per tutto l’oro del mondo, di cui tra l’altro non aveva assolutamente bisogno.

Dovevo capire e pensare.

Me lo meritavo no, un po’ di tempo per farlo?

Nonostante sapessi dei sentimenti di Ryan nei miei confronti, c’erano ancora un sacco di cose che mi impedivano di correre da lui.

E non parlo solo di Ariel o della mia paura.

“Non lo considererei nemmeno un tradimento!” bofonchiò William, coprendo Genevieve con una coperta di pile.

“Ah no? Tu credi che infilare tre metri di lingua in gola a qualcuno che non è il tuo compagno non sia tradimento?!” strillai io, cominciando ad agitarmi.

“Che c’entra! Io bacio un sacco di gente quando sono sul palco!” ribattè Beckett. “insomma quando c’è la voglia perché reprimerla?”

“Ben detto amore!” commentò Gabe, mandandogli un bacio.

“Peccato che c’era quel sentimento chiamato amore, in mezzo a tutta quella faccenda!” strillai, posando la tazza sul tavolino per evitare di mandarla in frantumi dal nervoso.

“Touchè!” disse Bill, ridacchiando per un attimo.

Odiavo il loro essere così placidi e tranquilli, mentre dentro di me era in atto la terza e la quarta guerra mondiale! Tutte insieme!

Uscii da quella casa senza nemmeno salutare, con le risate di Bill e di Spencer che mi perforavano l’orecchio tanto erano fastidiose.

A Chicago faceva piuttosto freddo e affondai il naso nella sciarpa e rabbrividendo rumorosamente.

Fanculo a loro e al mio cervello che pensavo fottutamente troppo.

E fanculo anche al mio cuore.

Che aveva bisogno ancora di quel calore e di quella sensazione di pace e di completezza provata assieme a lui.

Stavo totalmente impazzando.

Mi guardai un attimo in torno prima di iniziare a camminare e a trafficare con cellulare. Le dita mi tramavano , un po’ per il freddo, un po’ per agitazione. Composi frettolosamente il numero di Ryan, mentre mi agitavo per richiamare un taxi.

Non avrei concluso nulla restando lì a rimuginare su quanto accaduto. Dovevo affrontarlo, tirare fuori le palle per una volta.

“Ryan? Sto arrivando da te. Dobbiamo parlare.” Esclamai, senza nemmeno accennare a un saluto.

“Bden? Ma, non sei a Chicago?” rispose, lui, la voce impastata di sonno.

“Sì, prendo il primo volo per Los Angeles.” Affermai, salendo sul taxi.

“Mi preoccupi, Brendon.” Feci una piccola risata.

“Dovresti conoscermi abbastanza da sapere che sono il Re delle decisioni prese all’improvviso. A dopo.”  Riagganciai con un sorrisetto sulle labbra mentre il taxi si dirigeva verso l’aeroporto.

Avrei messo nei casini un sacco di persone, ma non mi importava, Ryan in quel momento era tutto ciò che mi interessava.

 

 

 

 

Ryan pov

 

Rimasi a fissare il cellulare per un po’, totalmente attonito.

Brendon avrebbe preso il primo volo per Los Angeles.

Perché? Cosa voleva dirmi? Addio e tante belle cose?

Mi alzai dal letto, pescando a caso i boxer che la sera prima erano finiti a terra senza tanto riguardo. Tornai a sbuffare, scuotendo le spalle di Sheila, la ragazza che la sera prima avevo rimorchiato in un bar, per svegliarla.

“Senti devi andartene.” Le dissi, vestendomi velocemente e buttando a casaccio i suoi vestiti sul letto.

“Ma sono solo le sette” mugugno questa, l’eye-liner tutto sbavato sulla faccia.

“Lo so, ma ho un impegno importante e quindi devi andartene.” Borbottai, non trovandola più tanto bella ed elegante.

Lei si alzò e camminò nuda e senza vergogna verso il bagno dove si sciacquò la faccia e rimise il vestito succinto della sera prima.

“Hai fatto? Bene, allora ciao eh!” bofonchiai ritrovandomi quasi a spingerla fuori dalla porta. Le si sistemò un attimo i lunghi capelli biondi e mi guardò in viso con la pretesa di un bacio che mai le avrei dato.

Mi riservò un’occhiataccia e qualche parola, prima di sparire. Cosa voleva dire quel: “Sei veramente come dicono tutti!”

Ero riuscito a crearmi una reputazione da maschera di ghiaccio? Non mi interessava molto del giudizio della gente. Non mi importava di nulla che non fosse me stesso e le persone a me care, il resto poteva benissimo fottersi.

Quella mattina feci tutto con il cuore in gola, cambiai le lenzuola e mi feci una doccia per togliermi di dosso l’odore di sesso e il profumo dolce di quella sciacquetta.

Brendon arrivò solo nel primo pomeriggio e non permise nemmeno che lo andassi a prendere in aeroporto.

Rimasi ad aspettarlo, in mano una tazza di caffè che non bevvi affatto.

Ero talmente agitato che non riuscivo a pensare a nulla di coerente. Hobo mi guardava incuriosita dal suo angolo, il capo inclinato e la coda scodinzolante.

Avrei pagato oro per essere calmo almeno quanto lei.

Il citofono suonò ed ero così in tensione che per lo spavento rovesciai un po’ di caffè sulla moquette.

Era arrivata l’ora.

Anche se detta in quel modo, aveva un non so che di macabro.

Imprecai sottovoce, leccando alcune gocce di caffè finite sulla mano, mentre mi affrettavo ad aprire.

Rimasi fermo davanti alla porta, sentendo i suoi passi salire frettolosamente le scale.

Appena me lo ritrovai davanti non feci in tempo a dire o a fare nulla che lui mi attirò in un abbraccio che mi mozzò il respiro. Rimasi con le braccia lungo i fianchi per un po’, mentre le sue mi stringevano dietro la schiena e le sue mani mi afferravano il maglione. Lo sentii sorridere sulla mia spalla, mentre strofinava il naso sul mio collo.

“Hai avuto compagnia…” mormorò.

Bofonchiai qualcosa e lui ridacchiò. “non è certo un problema.” Finì per precisare, mentre io mi rilassavo nell’abbraccio e le mie mani finirono ad accarezzare i suoi capelli neri. “è solo troppo dolce…” mugugnò, prima di baciarmi la base del collo.

Era così strano stare in quella posizione, dopo tutte le sue parole.

Ma si sapeva, Brendon era uno che amava parlare senza pensare, certo che non lo facesse nemmeno apposta.

Ero anche sicuro che, molto probabilmente, non sapesse ancora cosa fare e cercava in fretta la risposta.

Ero, in un certo senso, fortunato. Non perché sapevo già quello che volevo, ma solo perché non avevo l’impiccio di un altro legame.

Pensai un attimo a Nick, che continuavo a tralasciare e a mettere in secondo piano.

“Brendon, siamo sulla porta, possiamo andare di là?” chiesi, mentre lui di tutta fretta chiudeva la porta il piede, sfilandosi il giaccone e la sciarpa e appoggiandoli malamente sull’attaccapanni, tanto che caddero poco dopo. Brendon non ci fece caso e tornò ad abbracciami, come se non lo facesse da tempo. Ed era vero, il nostro continuo cercarci i quei anni ci avevano donato una totale dipendenza dei nostri abbracci.

Ancora mi era impossibile capire come avevo fatto a resistere così tanto, senza il suo corpo caldo contro il mio.

Brendon si staccò giusto un poco per poter spostare le sue mani sul mio viso e sorridere come se fosse incantato.

“Sembri un maniaco con quella faccia!” commentai, senza evitare di ridere della sua espressione.

“Tu sì che sai distruggere questi momenti perfetti, Ryro!” esclamò ridacchiando, pizzicandomi lievemente una guancia.

Lo fissai come incantato per un momento che sembrò quasi infinito, rischiando seriamente di piangere.

Okay non esattamente, ma mi emozionai.

Fu bellissimo sentire di nuovo quel nomignolo tutto speciale che prendeva significato solo se detto dalle sue labbra.

“Che c’è?” chiese, inclinando lievemente il capo.

“Dillo ancora.” Ordinai, sorridendo.

“Cosa? Che sei un rovina momenti perfetti?” ridacchiò e io negai.

“L’atra cosa.” Borbottai agitando le mani.

Chiusi lentamente gli occhi, mentre il suo volto si avvicinava al mio fino a che le sue labbra non furono a un soffio dalle mie.

“Ryro?” mormorò dolcemente.

Mi limitai solo a porre fine alla distanza fra le nostre labbra, cercando di trasmettergli tutto quello che in quel momento stavo sentendo.

Gli afferrai le spalle quasi con disperazione, avvicinando ancora di più il suo corpo al mio.

Avevo paura, una paura matta che potesse cacciarmi e tornare dal suo ragazzo.

Invece sospirò sulle mie labbra, aprendole docilmente alla mia lingua che aveva preso a ricalcare la linea morbida e perfetta della sua bocca. Il suo sapore così nuovo per me, mi inebriò al tal punto che venni percosso da brividi piacevoli in tutto il corpo.

Fu così intenso che cercai con tutte le mie forze di non cadere a terra, mentre lui mi trascinava lentamente verso la mia camera.

Viaggiammo alla cieca per un po’, finchè Brendon non mi sospinse leggermente contro lo stipite della porta, staccandosi un attimo per riprendere fiato e infilare una gamba fra le mie cosce.

“Non doveva succedere questo…” lo sentii mormorare. “almeno non subito.”

“Non lamentarti… va bene così.” Lo rimproverai, dopo un altro bacio. “ c’è tempo per parlare.”

Affondò il viso nel mio collo e lo sentii mormorare in assenso, mentre le sue mani scendevano lungo la mia schiena.

“Okay, Ryro…”

 

 

 

Brendon pov

 

Andare lì e parlare. Era quello che dovevo fare no? E allora perché diamine gli stavo succhiando la faccia sdraiati sul suo letto, invece che stare seduti, sul divano per esempio, a discutere civilmente di quello che stava succedendo?

Nulla però in questo momento sembra più giusto delle sue braccia e delle sue labbra su intorno a me, su di me. Allora cervello, per favore, disattivati, se vuoi eclissati, ma smetti di farmi pensare a tutte queste cose negative.

Ho deciso che pensare porta più guai che benefici.

 

Era tanto tempo che non mi rivolgevo a lui con quel nomignolo. Non l’avevo fatto di proposito, era uscito dalle mie labbra con una spontaneità così impensabile che rimasi sorpreso anche io. Fu la cosa migliore che feci, perché Ryro si avventò su di me con una passione tale da lasciarmi totalmente spaesato.

Non durò molto e presto mi ritrovai catapultato sul suo letto in un groviglio di gambe e braccia intrecciate e di bocche che non avevano intenzione di sciogliersi.

Avevo mandato il cervello a fare un viaggio e dato al mio cuore le redini del mio corpo.

Poteva farci quello che voleva.

Mi staccai dalle labbra di Ryan solo per seguire la linea della mascella e affondare la bocca nel collo, mordendo lievemente. Lo sentii sussultare e infilare una mano nei miei capelli per poterli tirare leggermente e richiamarmi per un bacio umido e diverso da quelli, quasi insicuri, che c’eravamo scambiati precedentemente.

Si mosse leggermente per riuscire a farmi spazio fra le sue gambe che intrecciò con velocità intorno ai miei fianchi. “Ora, non potrai più scappare.” Mi soffiò sul viso, sogghignando.

“Non ho alcuna intenzione di farlo…” gli mormorai, tornando a baciarlo e a trafficare con la zip del suo maglione dannatamente hippie.

Glielo sfilai con lentezza, tastando strati di pelle che mai avrei immaginato di esplorare. Ricalcai con i polpastrelli la visibile sporgenza delle costole, togliendogli diversi sospiri.  Mi concentrai sul delizioso ombelico che capitanava sulla sua pancia piatta, fino a lasciare un lieve segno sulle ossa, dannatamente eccitanti del suo bacino lievemente sollevato. Ne approfittai per cingergli la vita con le mani e tirarlo a me, mentre lui armeggiava con i bottoni dei jeans, per arrivare dritto al punto. Ma io non volevo che finisse tutto in fretta.

Erano anni che desideravo fare l’amore con lui e non volevo che tutto finisse in una sveltina per appagare i sensi.

Volevo fosse diverso.

E poco importava se sembravano pensieri d’adolescente.

Gli baciai il centro del petto, riuscendo a distinguere benissimo i battiti accelerati del suo cuore e il suo respiro rumoroso. Mi concentrai a vezzeggiare la pelle liscia con la lingua e le labbra, mordendo, succhiando e baciando per quelli che sembravano solo pochi secondi, finchè Ryro non mi richiamò con voce supplichevole. Alzai lo sguardo per osservarlo bene in viso, che era lievemente rosso dall’eccitazione e dall’impazienza.

Era la perfezione. Avrei voluto vedere il suo viso stravolto e appassionato per sempre.

Per quella prima volta, nemmeno una volta Ryro riuscì a prendere le redini di quel gioco meraviglioso. Lo spogliai lentamente, tracciando ogni più piccola parte del corpo. Finchè non me lo ritrovai nudo e splendido, che artigliava i miei abiti per togliermeli. Non mi aprì del tutto la camicia che mi ritrovai a sfilare e lanciarla chissà dove dietro di noi. Sentii per lunghi minuti le sue dita sul petto che tastavano eccitate i muscoli tonici. Guardai Ryro con un sopraciglio sollevato, ghignando maliziosamente.

Quando fummo entrambi privi di ogni indumento, me lo tirai addosso, ribaltando le posizioni. Appoggiai la testa sul cuscino, mormorando parole sconnesse sulle sue labbra, mentre lentamente entravo dentro di lui.

È difficile da spiegare, perché anche oggi non ho ancora ben chiaro cosa stava succedendo nella mia anima in quel momento.

Capii solo che quella sensazione di completezza, di felicità si raggiungeva solo facendo l’amore.

Osservai come incantato il viso rilassato di Ryro che diventava sempre più rosso e la pelle cominciava a ricoprirsi di una leggera patina di sudore, quando le mosse accelerarono. Tornai a ribaltare la posizione dopo un lento e dolce dondolio pieno di dolcezza e passione, ritrovandomi ancora una volta incatenato da quelle gambe e da quelle braccia calde e forti. Cercai la sua mano quasi con disperazione, intrecciando le sue dita e baciandone il dorso con riverenza assoluta. Non la lasciai finchè i sensi non ci lasciarono stravolti, soffocando urla e gemiti in un bacio.

Lo guardai in viso e lo trovai con gli occhi socchiusi e il sorriso più bello del mondo solo per me.

“Se sapevo prima cosa si provava a fare l’amore, non avrei atteso così tanto per ammettere di amarti.” Sussurrò, abbandonando il capo all’indietro, mentre io con la mano libera gli scostavo le ciocche umide di sudore dalla fronte.

“Mannaggia a te, tutto tempo perso!” scherzai, tornando a rubargli le labbra per un bacio languido.

Ero totalmente rilassato, come catapultato in una dimensione parallela che aveva le sembianze di un letto comodo e del corpo accogliente di Ryro. Mi scostai da lui e mi misi al suo fianco, tirando su le lenzuola e la coperta pensate, accarezzandogli con le mani le gambe che erano scosse da un lieve tremore. Osservai la stampa chiara delle lenzuola e sorrisi.

“Ho ancora le tue lenzuola.” Mormorai fra i suoi capelli. Lo sentii irrigidirsi e mordicchiarsi un labbro. “ehi, è tutto okay.”

“Sono stato un bastardo.” Commentò. Io alzai gli occhi al cielo.

“Oh no!” dissi. “sei stato molto peggio!” aggiunsi. Lui sbuffò e si rigirò per abbracciarmi il busto. Mi baciò la mascella per un dolce attimo, mentre i suoi occhi cioccolato mi osservavano con la più riuscita espressione da cane bastonato. Dovetti distogliere lo sguardo per non cedere.

“Potrei mai perdonarmi?” sussurrò, sfarfallando le ciglia in modo esagerato, facendomi ridere.

“Non c’è nulla da perdonare, Ryro. Abbiamo fatto degli errori, gli abbiamo commessi insieme. Lui annuì e tornò a sospirare.

“Che facciamo ora?” chiese dopo qualche minuto di beato silenzio.

“Per favore Ryro non rovinare questo momento.” Sbottai, alzando le braccia e sventolando le mani. “è troppo presto per tornare alla realtà!” bofonchiai poi, tornando a rannicchiarmi fra le sue braccia.

Lui sorrise e mi baciò la testa.

Non avevo assolutamente voglia di affrontare il mondo fuori da quella stanza.

 

 

 

Ryan pov

 

George Ryan Ross III era felice.

Non in senso relativo certo. Non era come comprare una chitarra nuova o i biglietti per un concerto desiderato.

Ero felice nel vero senso della parola. Brendon era al mio fianco, lo volevo da sempre, lo amavo, lui amava me. Tutto era praticamente perfetto, così perfetto da far quasi schifo alla gente a dirla tutta. Forse c’era troppa perfezione dell’aria e capitolammo nella realtà come se fossi stati scaraventati a terra.

Brendon si alzò dal letto poche ore dopo, sul viso un’espressione dispiaciuta, mentre cercava il suo cellulare,che, uscito dalla tasca dei jeans, era volato sotto il letto. Lo raccattò e ancora nudo si sedette a gambe incrociate sul letto contando le chiamate perse e i messaggi ricevuti.

“Tre chiamate perse da Ariel, una da Spencer e due da Dallon e dieci di Pete.” Elencò, grattandosi la testa arruffata. “ah! Senza contare i tre messaggi di minaccia di morte!” esclamò. “senti questo: Brutto figlio di una donna mormone, dove cazzo solo le tue chiappe? Se ti prendo Bdon ti do fuoco alle palle!” ridacchiò. “questo era di Pete.”

“L’avevo in qualche modo intuito!” dissi sarcasticamente, sbuffando e portandomi le braccia dietro la testa. “cos’hai intenzione di fare ora?” chiesi occhieggiando il suo corpo nudo stendersi dolcemente su di me. Mi baciò la spalla scoperta, prima di posarci sopra la testa e strofinare il naso contro il mio collo.

“Non vorrei muovermi da qui nemmeno per un momento…” borbottò, cercando la mia mano per intrecciare le nostre dita. “ma devo andare, Ariel, Pete e la band mi aspettano.” Disse in un lieve sussurro.

Io annuii. “però ritorno presto. Appena lascio El e accontento Pete con i concerti. Aggiunse, sollevando la testa per scoccarmi un bacio sulle labbra e successivamente aprirle in un largo sorriso.

“Vuoi lasciare Ariel?!” domandai, sgranando gli occhi. Brendon mi guardò un attimo interdetto, sbattendo le lunghe ciglia.

“Non dovrei?” mi chiese, un po’ confuso.

“No!” strillai, alzandomi con i gomiti dal letto.

“Cosa?Ryan ma ti senti quando parli?” ribattè lui.

“Non vorrai mica lasciarlo a Natale!” Brendon rimase per un minuto buono a fissarmi, aprendo la bocca di tanto in tanto per cercare di dire qualcosa.

“Okay, chi sei? Dov’è Ryan Ross?” borbotto.

Perché quando cercavo di essere carino e gentile subito le persone si preoccupavano per la mia salute mentale?

“Non sei per nulla divertente. È solo un ragazzino cazzo, ne uscirà distrutto!” cercai di spiegare.

“Amore, da quando ti preoccupi di Ariel? E della sua salute psicologica?”  non risposi alla domanda e mi limitai a scuotere le spalle.

Non sapevo perché avevo dato quella risposta. Forse mi dispiaceva veramente per quel ragazzino o forse volevo solo che Brendon pensasse per bene a quello che stava facendo.

Ovviamente mi pentii immediatamente di aver costretto Brendon ad aspettare la fine delle feste per lasciare l’australiano e tornare da me. Ma quella era un’altra storia.

“Per favore, vogliamo goderci il tempo rimasto prima che tu parta?” gli sussurrai sulle labbra.

“Va bene, ma fammi avvertire Ariel.” Acconsentì e lo sentii scivolare via dal mio corpo per riprendere il cellulare e telefonare al suo fidanzato.

Odiai ogni singolo momento di quella telefonata e quel tono troppo dolce che utilizzò per parlare con Ariel.

Aveva inventato una scusa patetica, e la sua voce era così incerta che mi fece sorridere.

Non sapeva dirle le bugie. E sapevo che Ariel non gli aveva creduto. Ero anche sicuro che, molto probabilmente, avesse intuito dove fosse scappato così di corsa il suo adorato Brendon.

Appena la telefonata terminò, mi sorrise tornò a sedersi sul letto, sporgendosi verso di me.

“Allora che facciamo?” chiese. “ti va un film?”

Io alzai un sopracciglio. “Un film? È così che le chiami adesso, le tue performance?” lui sbuffò e si lasciò trascinare ancora una volta su di me, per tornare in quel meraviglioso oblio che erano le sue labbra.

Fui invaso da una strana sensazione che mi spinse a tenerlo stretto a me per lunghi minuti, mentre ripetevamo la stessa lenta danza che a ogni gesto diventava sempre più importante.

Qualcosa che non avevo mai provato, nemmeno con Keltie. Qualcosa di così immensamente sconosciuto, ma immensamente bello. Avevo paura di annegare dentro quelle sensazioni, visto che ero sempre stato una persona piuttosto controllata e sempre decisa a evitare i coinvolgimenti. Di qualsiasi tipo.

Ma quando si è innamorati di una persona come Brendon, l’ultima cosa di cui bisogna preoccuparsi è la coerenza.

Sapevo già che sarebbe stato difficile, per i nostri caratteri così differenti e le abitudini che non riuscivano a combaciare, ma perché condannare qualcosa quando ha appena preso piede, se quello che riesce ad unire è solo e puro amore?

Oh cazzo, ecco che mi trasformavo in un romanticone da attore di soap opera.

Dannato Urie.

“Cosa pensi?” mi chiese lui, lievemente affannato.

“Che per colpa tua diventerò troppo dolce.” Borbottai, come se fossi schifato. Lui rise, mordicchiandomi la pelle sotto all’orecchio, facendomi perdere il respiro.

“Basta pensare a cose inutili!” mi rimbeccò giocosamente, scendendo pericolosamente verso il basso.

Smisi di pensare sul serio.

Rotolammo fra le coperte per ore. E finalmente riuscii a assaporare ogni singolo centimetro di quel corpo dannatamente eccitante, senza essere interrotto dalle sue mani o dalla sua bocca provocante.

Quando la lancetta del suo orologio da polso segnò la mezzanotte, ogni cosa si fermò. Restammo abbracciati. La mia schiena appoggiata al suo petto, le gambe intrecciate. Desideravo così tanto che le lancette di quell’orologio si fermassero, che quasi pregai Dio. Non sarebbe durato a lungo, lo sapevo io e anche Brendon, ma cercava lo stesso di diffondermi tutto l’amore possibile.

“Ryro?” Brend richiamò la mia attenzione, baciandomi la spalla, mentre voltavo leggermente la testa verso di lui per poter guardarlo negli occhi.

“Uhm?”

Mi sorrise, per un attimo, luminosamente, posandomi un piccolo bacio sulle labbra.

“Buon Natale.”  Esclamò, lasciandomi stupito. Lanciai un veloce sguardo al calendario per notare che era veramente il 25 dicembre.

“Buon Natale anche a te.” risposi.

Certamente il miglior Natale di sempre.

Mi svegliai non so quante ore dopo, per colpa della sveglia bastarda che avevo scordato di disattivare. Aprii gli occhi di scatto e mi voltai verso la parte del letto occupata da Brendon.

Miserabilmente vuota.

Sbuffai, portandomi le ginocchia al petto.

Solo in quell’attimo di silenzio capii che non era la sveglia a infastidirmi, ma il rumore insistente del citofono. Mi vestii in fretta, probabilmente mettendomi il maglione all’incontrario. Barcollai fino alla porta per ritrovarmi il viso sorridente di Jon e quello dolce di Cassie.

“Non ci posso credere!” esclamò appena mi vide. “hai passato la vigilia di Natale ad ubriacarti?!” domandò, lanciandomi addosso un pacchetto dalla carta lucida e rossa. Ne lanciò uno anche a Hobo che prese a scartare freneticamente con le zampine.

“Oh un felice e gioioso Natale anche a te, Jon caro!” ribattei, mentre baciavo le guance delle sua fidanzata. “e comunque non l’ho passato da solo.” Aggiunsi, mentre mi fiondavo in cucina per preparare del caffè.

“Nick è stato qui?” chiese, mentre Cassie gli picchiettava il petto per farlo stare zitto.

“No.” Risposi seccamente, perdendomi un attimo nei ricordi della sera precedente.

“Amore, sta sorridendo!” lo sentii borbottare con la sua fidanzata. “altro che bere, si è fatto di funghi allucinogeni!” alzai gli occhi al cielo, totalmente esasperato. Non gli avrei dato certo la soddisfazione di dirgli che avevo passato tutta la vigilia di Natale con Brendon. E sapevo che stava morendo dalla voglia di saperlo.

“Jon, per favore, sta zitto e lascialo parlare!” commentò Cassie, aiutando Hobo a finire di scartare una pallina di gomma colorata.

“E’ inutile perché non gli dirò proprio nulla!” esclamai, portando in salotto il caffè. Mentre Jon si lamentava di quanto fossi stronzo, i miei occhi caddero sullo schienale scuro del divano, dove era ancora malamente appoggiata la sciarpa di Brendon. Era una vecchia sciarpa che portava sempre con sé. Mi ricordo che gliela regalò sua madre per Natale, tanto tempo fa. Aveva un buco all’estremità che nonostante fosse stato cucito e ricucito, Brendon lo riformava sempre quando ci giocava con le mani. Me la portai al viso, costatando la morbidezza e l’odore dell’ammorbidente mischiato a quello di Brendon. Sorrisi, prima di avvolgerla intorno al collo.

Aveva un motivo in più per tornare da me.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Ringrazio infinitamente  B_Lady e  Annabellee che hanno commentato il capitolo precedente *-* grazie mille!

E voi? Almeno due paroline me le scrivete?

Al prossimo capitolo !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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