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Autore: _Mary    16/01/2011    3 recensioni
C’era stato qualcosa che le aveva fatto capire che non tutto era andato come sarebbe dovuto. Era stata l’occhiata di una delle ragazze, rivolta a quella che sembrava la più anziana lì dentro. E poi, era stata tutta una giostra di bugie e pietose rassicurazioni, sul fatto che se la sarebbe cavata, che avrebbe potuto tenere in braccio il suo bambino già qualche ora dopo, che sarebbe andato tutto bene.
Seconda classificata al 'Classici Disney Contest' indetto da Lyrapotter sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Puzzle'
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Libellula.

 

There on the bottom inside
Looking lost like a child
But I know that you’re mine
We only need
forgiveness.

 

Faceva freddo. Merope si strinse ancora un po’ nel mantello logoro, divenuto di un colore indefinibile tra il grigio ed il marrone, non riuscendo a smettere di battere i denti.

 

Era vestita in modo troppo leggero per l’autunno, che stava velocemente morendo per cedere il posto all’inverno. Avrebbe voluto poter avere qualcosa per comprarsi un mantello più pesante. Avrebbe voluto tante cose, in realtà, non ultimo del cibo.

 

Quando aveva lasciato casa sua insieme a Tom non avrebbe mai immaginato di poter finire così. Ricordava di essersi chiusa alle spalle la porta, felice, portando in una sacca le poche cose che aveva. Aveva immaginato un futuro davanti a sé, un futuro che era durato troppo poco, e che aveva visto svanire durante una mattinata d’autunno che non avrebbe mai dimenticato.

 

Aveva fame. La fame non si placa con un mantello più pesante. Lo stomaco le gorgogliava così forte che si stupiva nessun altro potesse avvertire quel rumore. Le si contorceva al solo pensiero di un po’ di pane caldo, e non lo sentiva più se pensava a qualcosa di più raffinato.

Lei, però, non ci pensava. Aveva imparato a non riflettere su cose che non erano alla sua portata, l’aveva imparato da quando aveva capito che nulla era più alla sua portata. O forse, non lo era mai stato.

 

Si accoccolò meglio contro il muro, a gambe incrociate. Quel giorno sembrava che nessuno delle persone affrettate che passava di lì, per quell’angolo della Londra babbana, avesse tempo da spendere per poter trarre fuori anche soltanto un soldo dalla propria borsa colorata.

 

Merope sentiva battere i denti, ma non poteva farci nulla. Sperava che il bambino potesse non sentire tutto quel freddo. Lui non lo meritava.

 

Faceva sempre pena alla gente vedere una donna incinta costretta a chiedere l’elemosina. Per questo Merope non nascondeva la sua condizione, sperando che qualche caritatevole mano guantata lasciasse cadere qualcosa ai suoi piedi, in cambio di una benedizione. Con quei soldi, comprava da mangiare per mantenersi. Non era mai molto, una pagnotta di pane doveva durare il più a lungo possibile, anche quando diventava così dura o collosa da essere immangiabile. A volte le era sembrato di sentire dei denti quasi cedere contro pezzi particolarmente duri, e allora aveva bagnato quel pezzo con un po’ d’acqua, continuando a mangiare. Dei soldi ottenuti vendendo i cimeli di famiglia le era rimasto un unico Zellino.

 

Uno Zellino che non avrebbe mai usato, si era detta. L’ultimo ricordo collegato alla sua famiglia, alla sua casa che, ormai, era stata probabilmente abbattuta. Lo conservava stretto al petto, per poter pensare di non essere caduta così in basso da avere speso completamente tutto quello che aveva. Uno Zellino non era nulla, ma per lei significava un’ultima cosa: la dignità.

 

Qualcuno fece cadere un paio di monete sulla stoffa del suo mantello, proseguendo velocemente. Merope mormorò un ringraziamento, dopodiché decise di andarsene. Raccolse con cura la manciata di monete davanti a sé, sbatté accuratamente il mantello, per togliergli di dosso almeno un po’ di sporcizia, e si allontanò, cercando un posto in cui dormire. Avrebbe potuto Evocare una coperta o accendere un fuoco, ma non voleva.

 

Non voleva avere niente a che fare con la magia. Mai più. Neanche a costo di dormire in quel modo, rannicchiata in un vicolo. Da quando era comparsa la magia nella sua vita, tutto era andato a rotoli. Se non avesse mai deciso di provare a fare Incantesimi o a preparare filtri, a quell’ora sarebbe stata nella sua casa, al caldo.

 

Ma, si disse, non avrebbe neanche potuto godere di quei pochi mesi di serenità con Tom.

 

Aveva fame. Non sapeva se, addormentandosi in quel modo, il giorno seguente sarebbe riuscita a mangiare. Non voleva neanche spendere i pochi soldi della giornata, però. Fu in quel momento che vide, contro il verde brillante delle foglie di una siepe, quelle che sembravano bacche rosse.

 

Rosa canina. Solo il nome di quella pianta profumava di casa, dei pomeriggi d’infanzia in cui sua madre era ancora viva e preparava infusi, facendole sgranocchiare quei frutti rossi. Un odore buonissimo di abbraccio e calore, contro il freddo di quella sera.

 

Senza pensarci due volte, Merope colse più frutti che poté, mangiandoli mentre continuava a camminare. Il succo di quelle bacche le bagnava la bocca, e quel pasto insufficiente sarebbe stata la sua cena. Il giorno seguente avrebbe comprato del pane.

 

A volte andava così: non sempre poteva permettersi di mangiare. C’era chi si stupiva nel vederla così magra, nel vedere la pelle del suo viso tanto tesa sopra i suoi zigomi, e nel vederla accarezzarsi il ventre con quelle mani quasi scheletriche, in un gesto che era una fragile carezza contro il freddo dell’autunno. Merope a volte rimaneva a lungo ad osservare i passanti, a vedere come tutti evitavano il suo sguardo.

 

Alla fine, scelse una panchina vicino ad un’aiuola. A volte qualcuno veniva a scacciarla, temendo che fosse una malintenzionata. Merope non aveva la forza e la voglia di resistere, e si trascinava via, inseguendo l’ombra di un avvenire in cui potesse avere un tetto o, almeno, una coperta.

 

Avrebbe potuto cercare un lavoro. Non voleva. Non voleva fare più niente, non aveva neanche la forza di morire. Voleva soltanto consumarsi, spegnersi lentamente, espiando almeno in parte le sue colpe, cullata dai ricordi di giorni passati. Vagabondava senza meta, e le dispiaceva di non riuscire a provare poco più di un tiepido affetto per la vita che portava in grembo, ma era così.

 

Non provava più niente per nessuno, nemmeno per se stessa. Ed aveva deciso di morire così, in modo anonimo, a causa del freddo o della denutrizione.

 

Si sdraiò cautamente su un fianco. Non sapeva esattamente da quanto tempo fosse scivolata nel sonno, esausta, prima di sentire qualcuno avvicinarsi. Tentò di aprire gli occhi, ma non ce la fece. Aveva freddo, aveva fame e probabilmente sarebbe morta quella notte. Tanto valeva che qualcuno la uccidesse subito.

 

Eppure, dopo qualche borbottio incomprensibile, sentì qualcosa di morbido posarsi su di lei. L’abbraccio di una coperta in una serata come quella stupì Merope a tal punto da costringerla ad aprire gli occhi, cercando con lo sguardo lo sconosciuto.

 

Che fosse un angelo o cosa, Merope non lo seppe mai. Il giorno dopo arrivò alla conclusione che dovesse essere un mago o una strega, per avere Evocato per lei una coperta.  Chi, altrimenti, avrebbe potuto regalargliene una? Una parte di lei sapeva di dover essere grata per quel dono, e che forse, rimanendo in quella zona, l’individuo misterioso si sarebbe fatto di nuovo vivo per aiutarla. Fu per quello che se ne andò di nuovo, portando però con sé quel dono inaspettato.

 

Era verde, in stoffa abbastanza pesante, e Merope notò il ricamo di una libellula in un angolo. Una libellula che spiccava il volo verso il sole, lasciandosi alle spalle la terra.

 

Alzò lo sguardo al cielo, cercando il sole, nascosto da un mare di nuvole in movimento. Avrebbe voluto poter spiccare il volo anche lei, e forse il misterioso donatore l’aveva intuito.

 

Ma non avrebbe mai potuto. Aveva perso le ali da molto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Di ritorno dopo la chiusura del contest Only One-shot, al quale questa fic si è classificata terza – ringrazio la giudiciA e mi complimenti di nuovo con le partecipanti *___*
Non ho molto da dire, il contest consisteva nello scegliere un 'pacchetto' che conteneva vari elementi - i miei erano 'Povertà', 'Zellino', 'Rosa canina', 'Libellula'. Mi limito a riportare il giudizio ricevuto. Posterò il prossimo ed ultimo capitolo dopodomani <3

Un abbraccio,

Ilaria

 

Libellula, _Mary

• Grammatica e forma: 10/10;

• Caratterizzazione dei personaggi: 5/5;

• Originalità della trama: 5/5;

• Attinenza al tema assegnato: 10/10;

• Utilizzo dell'elemento assegnato: 4.5/5;

• Utilizzo dei prompt: 4/5;

• Gradimento personale: 1.75/2;

• Cambio pacchetto: //

Totale: 40.25/42

 

Mi ha colpita, non lo nego.

Non ho mai seriamente letto nulla su Merope, e devo dire che questo sprazzo che hai dato della sua vita mi piace. Sono quasi sicura che leggerò la tua raccolta, prossimamente.

La grammatica e la forma sono perfette, non ho trovato nulla di errato in questa shot.

Anche l'originalità ha il punteggio massimo perché, come ho detto prima, non ho mai letto nulla di così incentrato su Merope. Solo una fic di Yaya, che però descriveva un altro momento della sua vita.

La povertà che trasuda da queste righe mi ha stretto il cuore; il tema è stato perfettamente centrato.

Avrei voluto che utilizzassi meglio sia lo Zellino – che comunque contribuisce a caratterizzare la protagonista – che i due prompt, per questo le due penalizzazioni; in ogni caso sono “minime” mezzo punto per ciascuno.

Merope mi ha convinta solo alla fine. La sua caratterizzazione inizialmente non mi ha “dato” (non mi viene in mente nessun altro verbo al momento ._.) molto, ma rileggendo ho trovato un personaggio davvero strano e sfaccettato, che mi ha soddisfatta completamente.

Il gradimento personale è molto alto perché, come ti ho già detto, questa shot mi ha colpita molto.

 

   
 
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