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Autore: Jack_Chinaski    17/01/2011    1 recensioni
Non mi sarei mai definito “una persona da Zoo” ma neanche una da cinema o da ristorante, forse non ero nemmeno una persona a quei tempi.
Nessuno mi chiamava papà o amore ero solo Tim Beardum, un anonimo venticinquenne.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gabbia, dal latina Cavea, è una struttura perlopiù d’acciaio di metallo o di legno e possiedono delle piccole fessure delimitate dalla distanza fra una sbarra e l’altra per permettere una giusta aerazione all’interno e impedire indì il soffocamento del suo contenuto.
E’ destinata agli animali.

Non mi sarei mai definito “una persona da Zoo” ma neanche una da cinema o da ristorante, forse non ero nemmeno una persona a quei tempi.
Nessuno mi chiamava papà o amore ero solo Tim Beardum, un anonimo venticinquenne.
Come adesso, anche in passato odiavo fermamente seguire e interessarmi alle novità del momento a prescindere se si parlasse di abbigliamento, elettronica, modelle su qualche manifesto gigante o in quel caso di una scimmia.
Però rimanevo sempre un ragazzo molto curioso e per mesi ero stato psicologicamente pressato da qualsiasi tipo di informazione e contattato nell’andare a vedere Monkey, la scimmia che stava riscuotendo un successo nazionale.
Non mi piaceva l’idea di cedere però dovevo ammettere di essere interessato a quel evento e allo stesso tempo preoccupato di come mi attraesse più una scimmia che una modella su un cartellone gigante.
Infine decisi di andare l’ultimo giorno dell’evento, la cui durata inizialmente era di pochi giorni col tempo diventati poche settimane e infine due mesi nella convinzione e speranza di trovare poca gente visto l’esoso afflusso dei giorni precedenti.
Arrivato lì non mi fu difficile trovare il motivo della mia visita vista la quantità di cartelloni da grandezze sempre maggiori col avvicinarsi anche di grida, rumori di macchine fotografiche alla preda.
Subito la mia idea iniziale fu superata dalla depressione e la scoperta di essermi sbagliato, c’era ancora un enormità di folla ad assistere allo spettacolo odierno di Monkey, cazzo.
Incalzai gli occhiali vista la miopia da cui ero affetto e il mio pochissimo coraggio nell’indossare le lenti a contatto, finendo sempre col ficcarmi un dito nell’occhio e frignare come un neonato ma questa è un'altra storia.
La gabbia per contenerlo era veramente immensa, fin troppo persino per un gorilla immaginiamoci per un semplice scimpanzé e infatti la maggior parte del suo spazio era occupato da rami artificiali e altri “attrezzi del mestiere” per Monkey, sullo sfondo c’era un enorme specchiata messa lì probabilmente per concedere ai visitatori di non perdersi eventuali movimenti nascosti dai rami interni o forse di fare del semplice narcisismo fra un acrobazia e l’altra.
Si specchiavano contenti e felici, consumando le loro dita e procurandosi una tendinite a furia di click qua e là e sembravano veramente convinti di star facendo una foto con la scimmia, immortalando quel riflesso.
Distratto da loro, mi accorsi di una telecamera che si notava nella specchiata ma che era posta più o meno alle nostre spalle ed in perfetta posizione per riprendere tutta la gabbia e quindi le mosse di Monkey.
Avevano paura di un furto dell’animale esotico? No, mi accorsi di star assistendo all’ennesima mera operazione commerciale quando seguendo il filo della camera vidi la sua fine nel retro di una piccola bottega a pochi passi dalla gabbia.
Mostrava con fierezza e colori accecanti una grossa scritta: “Monkey Photoshoot!!!” e sotto in piccolo: “Portatevi anche voi un ricordo di Monkey” ci mancavano solo i lumini ed era una perfetta messa funebre.
Indubbiamente l’idea per quanto macabra era assolutamente geniale, visto la quantità di gente che dopo aver scattato migliaia di foto personali sente il bisogno vitale di acquistarne altre a pagamento e perfettamente uguali, felici come se avessero acquistato anni di vita in più ad un prezzo stracciato.
Ma la felicità immotivata stava per finire perché mentre l’odierno tran-tran prendeva come sua abitudine forma, rispettando l’ordine della tabella qualcosa andò storto.
Monkey si fermò. 
Mi girai a fissarlo ed ebbi la pesante impressione che mi stesse guardando, proprio me fra tutti ma ero sicuro di essere mosso in quel pensiero solo dal mio egocentrismo.
Tutti intorno a lui si divertivano, godevano e lui era l’unico a sembrare veramente triste in quell’istante.
Sembrava incoerente come comportamento da parte sua e potevo pure prendermela sul personale, pensai.
Forse era abbastanza intelligente da aver scoperto e capito cose come i diritti d’autore o lo sfruttamento della propria immagine e mentalmente s’era reso conto della quantità di soldi che si perdeva solo per non avere la capacità di digitare il numero di un avvocato.
Ma no, non era questo bensì qualcosa di più profondo a turbare l’animo di quell’ animale in gabbia.
La gabbia, era forse quella a intristirlo e a renderlo così poco partecipe alla gioia della comunità che in questi momenti lo circondava? 
Deve essere duro, pensai, stare in gabbia e nell’istante stesso gli occhi mi caddero sullo specchio alle sue spalle, notai come la visuale da lì desse l’impressione che dietro le sbarre ci fossimo noi, ci fossi io e allora capii cosa intristiva Monkey.
Non l’avevamo ancora capito, non c’e ne eravamo resi conto, non c’avevamo pensato o per essere sinceri non c’avevamo voluto pensare ma era esattamente così…eravamo noi quelli dietro le sbarre, eravamo noi quelli nella gabbia.
Qual’era la differenza fra noi e lui? Entrambi non eravamo forse circondati da cose messe lì per farci esibire nel continuo spettacolo della vita? Entrambi non ci prestavamo a divertire coloro che ci guardavano con curiosità, timore, disprezzo e un senso di superiorità perché convinti di essere aldilà delle sbarre, fuori dalla gabbia?
Gabbia non è il solo termine di una mera costruzione d’acciaio o di legno, gabbia è uno stile di vita, un modo di pensare e di fare pensavo preso da un improvvisa ansia e collera verso me stesso.
Ognuno ha la sua gabbia, ognuno si esibisce per il suo pubblico pagante e sogna il giorno in cui tornerà a muoversi selvaggio nella sua terra natia.
Non potevo fare niente per Monkey, non potevo fare niente per me stesso d’altronde.
Intento ad andarmene, sconfitto da questa esperienza mi destai dai miei pensieri e mi accorsi di come tutti stessero gridando infastiditi solo adesso.
La gente urlava, un paio di donne svenerò, i bambini erano in lacrime e mi parve di sentire persino uno minacciare la scimmia con un: “Tu non sai chi sono io!”
Monkey aveva smesso di agire, aveva smesso di muoversi e continuava a starsene fermo.
Mentre la folla prima sua grande estimatrice e ora suo peggior nemico continuava a sputargli addosso il suo disprezzo per quello che ora definivano come “solo uno schifoso animale in gabbia”, lui se ne stava ancora fermo.
Quando i suoi guardiani entrarono e lo incitarono, lui continuò a non muoversi.
Quando la stimolazione muscolare via elettricità comincio con un livello normale, lui non si mosse.
Quando raggiunse il livello massimo, lui non si mosse e infine quando arrivò al livello di Defibrillatore andò giù, cade ma lo fece di peso, senza muoversi.
La folla era completamente impazzita e fuggiva di qua e di là, convinti di dover ricevere la stessa sorte e forse per un attimo avevano colto anche loro di essere in una gabbia proprio come Monkey.
Il maldestro guardiano stava venendo letteralmente pestato da i suoi colleghi e fra le grida di dolore riusciva ancora a farsi uscire un: “Era solo una dannata scimmia!”
Me ne andai anche io, disgustato e depresso per aver assistito alla morte della creatura più vicino ad essere una persona vera che avevo conosciuto nella mia vita.
Ricordando quegli attimi vissuti, mi fa sorridere come una scimmia acrobata mi abbia dato una lezione di vita.
Con una gabbia ci nasci e ci cresci, non esistono chiavi e non esistono vie di fuga.
Questo però non vuol mica dire che non puoi fermarti e smettere, questo mi ha insegnato Monkey.
Rimane comunque la tua vita e quando ti sei rotto di dimenarti qua e là, ti fermi e aspetti.
Aspetti l’arrivo di un guardiano pronto a stimolarti elettricamente fino alla morte solo perché hai cominciato ad agire da solo, a pensare da solo e fare quello che ti va di fare.
Pronto ad ucciderti perché hai cominciato a vivere.
Sono passati tanti anni e io la forza di fermarmi ancora non l’ho trovata, ancora mi dimeno in queste quattro mura di metallo pronte a limitare le mie azioni, i miei pensieri e la mia libertà.
Ho messo su famiglia, ho trovato un lavoro stabile e mi sono affermato in qualche cosa, c’è gente che mi ama, mi vuole bene e si preoccupa per me eppure penso solo a come questo non faccia che aumentare la mia gabbia, a farmela sembrare più grande, più spaziosa ma rimane pur sempre una gabbia.
Però negli anni ho imparato anche ad avere pazienza e ad aspettare, quindi aspetto, aspetto il giorno in cui sarò troppo stanco per continuare e mi depositerò su un ramo, aspettando l’elettricità e la vita vera, anche se solo per pochi istanti.
   
 
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