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Autore: AmaranthineMess    17/01/2011    0 recensioni
Amore impossibile
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ISTINTO ANIMALE

E ascoltava quella musica, estasiata e contenta, e anche se in quel periodo aveva molto sofferto, quella melodia le ricordava quanto era stata bene prima del suo periodo “buio”. A quanto era stata bene quando c’era lui. Quella canzone glielo ricordava in ogni nota, in ogni strofa c’era una parola che la riportasse a lui e al ricordo di lui e al suo odore.
Adorava quando lui le si sedeva accanto e iniziava ad accarezzarla. E lei sentiva di essere felice. Con lui era felice.
E ascoltava quella canzone e ripensava quando lui arrivava stanco dal lavoro e lei gli andava incontro, lo salutava sulla porta e lui le sorrideva, la coccolava un po’, poi andava a farsi una doccia e caricava nel giradischi proprio quella canzone che, adesso, era solo portatrice di ricordi. La stessa che lei stava ascoltando adesso. Ma senza di lui.

Lei a volte pensava che il loro era un amore impossibile. Si fissava per giorni su quel pensiero e non lo lasciava più. Soltanto a sera, quando lui rientrava in casa  e, stanco, le preparava la cena, capiva che quel sentimento leggero e felice non poteva che essere amore. Si sentiva amata. E ne era felice. E lui, la sera, davanti la televisione, le si sedeva accanto. Sempre nello stesso punto. Per tre anni di felicissima convivenza.  Il loro rapporto non implicava grandissimi cambiamenti da un giorno all’altro. Erano sempre gli stessi. Ripetevano pressappoco gli stessi movimenti tutti i giorni. Ma non diventò mai un’abitudine. Non divennero mai un’abitudine, l’uno per l’altra.

Poi una sera lui le aveva parlato come non aveva mai parlato prima. E le aveva detto che era l’unica felicità della sua vita, e anche se tutto, là fuori, faceva schifo – disse, indicando la finestra semiaperta -, lui stava bene lì dentro, e questo gli bastava. Poi scoppiò in lacrime. E lei gli si avvicinò. E cercò di consolarlo, quanto più ne fosse capace. Ma non era brava a comunicare con lui, in questi momenti. Sapeva comunicargli l’amore, la gratitudine, ma non sapeva condividere con lui il dolore. E non sapeva neppure alleviare quell’angoscia che viveva dentro il suo amato. Poi lui l’accarezzò e si chiese con chi stesse parlando. Poi si alzò dal divano. Lei lo rincorse. Voleva spiegazioni per quella frase tagliente e cattiva. Ma lui prese le chiavi di casa dal cesto dell’ingresso, uscì di casa e richiuse la porta con veemenza.
E lei pianse. E si arrabbiò. Ma si arrabbiò con se stessa. Perché non era capace di alleviare i dolori del suo uomo. Non ne era capace. Non poteva proprio fare di più di ciò che faceva. Ma lo amava. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo felice. Sapeva di non essere “quella giusta” per lui, erano troppo diversi, ma lo amava, e quando c’è di mezzo un amore folle e incondizionato, - pensava - allora crollano tutti i preconcetti sulla coppia e  le caratteristiche affini o meno dei due amanti. Credeva questo lei, raggomitolata su se stessa. Chiusa dentro se stessa. Ne era convinta. E lo amava.

Poi lui era tornato a casa, tardi. Era triste e arrabbiato e stanco. Quando era entrato in casa lei gli era andata incontro. Ma lui le aveva detto di togliersi dai piedi e di smetterla di piagnucolare. E allora lei aveva insistito – avrebbe tanto voluto che lui accettasse il suo sebben piccolo conforto – e lui le aveva dato un calcio fortissimo, che le tolse il fiato e la scaraventò vicino la porta della cucina. Aveva male, ma si rialzò e lo seguì di là, in camera da letto. E lui non la guardò neppure, quando lei entrò nella stanza. Ma lei fece sentire la sua voce. Bisbigliò qualcosa che lui non capì. Non la capiva quasi mai. Ma lei continuava ad amarlo.

E allora lui estrasse una pistola dal cassetto del comò e se la puntò alla tempia. E lei non sapeva cosa fare. Lui si accomodò sul letto, tranquillo, lei gli si precipitò accanto. In quel momento desiderò che lui la uccidesse prima di uccidere se stesso. Non voleva vedere la morte del suo uomo.
Ma la vide.

Il colpo fu forte. Fortissimo. Si spaventò, vide il sangue. Sentì che lui non respirava già più. E  gli si accoccolò accanto. E stette lì, ferma. E passò la notte accanto a quel corpo gelido e privo di ogni emozione, come, una volta, passava la notte accanto un corpo caldo e protettivo. E rimase accanto a lui. E desiderò ancora di poter morire accanto a lui.
L’indomani furono trovati dalla vicina. Che chiamò subito la polizia. Poi la vicina la prese e la portò via dal suo uomo. Lei cercò di divincolarsi per restare accanto a lui, la graffiò, ma alla fine cedette.
E adesso era, triste, seduta sul davanzale della finestra a ricordare la propria storia. E a ricordare quanto amasse quell’uomo. E quella canzone si faceva sempre più insistente e arrogante nel suo ruolo di ambasciatrice, nel presente, di momenti passati. Era stata ospitata dalla vicina che l’aveva trovata, quella mattina, insanguinata, sul letto. E l’aveva lavata, quella stessa mattina, ma il sangue non voleva venir via. Aveva ancora una piccola macchia di sangue dietro l’orecchio. E ne era gelosa. Poi la vicina la chiamò. “Micia, è pronta la pappa”. E lei si diresse verso quella cucina odorosa di pesce, alzando la coda in segno di gratitudine.
La canzone , intanto, era già finita.

   
 
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