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Autore: MrEvilside    17/01/2011    4 recensioni
Haku aveva preso l’abitudine di aspettare il ritorno di Itachi nella veranda antistante villa Uchiha: a piedi nudi, si inginocchiava sulle assi del pavimento, rialzato rispetto al terreno sottostante, e leggeva le pergamene di tecniche segrete dell’acqua che talvolta Itachi gli portava.
[ estremamente what if...? ]
[ V classificata al Lettoriscrittori Contest indetto da Urdi: sviluppata la traccia numero 14, di 13d08c81 ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haku, Itachi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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La trama del manga è stata del tutto modificata, almeno per quel che riguarda la storia di Haku. Egli, infatti, non verrà trovato da Zabuza, che in questa one-shot non esiste, ma da Itachi, che gli offrirà asilo a villa Uchiha.
In questa one-shot viene analizzato il rapporto venuto a crearsi tra Itachi e Haku, tanto profondo che sarà lui l’unico a cui Itachi deciderà di rivelare la terribile missione che grava su di lui.
“Catabasi”, nel titolo, significa letteralmente “caduta in basso”; è sia un tema epico greco che una funzione tipica della fiaba (la cosiddetta “catabasi dell’eroe”, cioè il momento in cui l’eroe si trova in difficoltà), in questo caso si riferisce al tradimento che Itachi ha intenzione di compiere, ossia la sua caduta da ninja rispettato a nukenin (“ninja fuorilegge”).
Detto questo, vi lascio alla storia: non è un granché, è piccolina, ma in fondo mi piace; spero possa piacere anche a voi. :)





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Volontaria catabasi dell’angelo prediletto
 
Haku aveva preso l’abitudine di aspettare il ritorno di Itachi nella veranda antistante villa Uchiha: a piedi nudi, si inginocchiava sulle assi del pavimento, rialzato rispetto al terreno sottostante, e leggeva le pergamene di tecniche segrete dell’acqua che talvolta Itachi gli portava.
Di tanto in tanto si vestiva unicamente d’un paio di pantaloni di tela di sacco, i medesimi che indossava quando era stato trovato, e d’una maglietta a maniche corte, e rimaneva immobile e silente dal momento in cui Itachi usciva di casa a quello in cui vi faceva ritorno, spesso anche dopo giorni interi, e rifiutava con cortesia e deferenza ogni offerta di cibo da parte di Mikoto.
Al principio Sasuke gli si accomodava accanto e tentava di imitare la compostezza che sembrava essere in grado di mantenere all’infinito e Mikoto gli si avvicinava almeno una volta ogni ora per domandargli se avesse bisogno di qualcosa. In seguito, tuttavia, avevano compreso che il desiderio del ragazzino era non arrecar loro alcun disturbo, manifestando il meno possibile la propria presenza, e oramai si limitavano ad ignorarlo e a considerarlo soltanto se fosse stato lui il primo ad interpellarli – ancora non era mai avvenuto.
Era al ritorno di Itachi che Haku sembrava prendere vita, come se, sino all’istante in cui il giovane ANBU si profilava nel cortile della villa, fosse stato un giocattolo spento.
Il ragazzino aveva calcolato che, eccezion fatta per qualche motivo eccezionale, Itachi tornava alle diciotto e trenta, all’incirca. Sasuke era il primo a corrergli incontro, ogni volta, e quasi travolgeva Haku nella fretta di andare a salutare il fratello e chiedergli, speranzoso, se non potesse allenarsi insieme a lui, dopo cena.
«Sarà per la prossima volta, Sasuke,» rispondeva il ragazzo e lo colpiva sulla fronte con l’indice «questa sera vorrei vedere i progressi di Haku».
Era uno dei pochi momenti della giornata in cui Haku si prendeva la libertà di parlare con il fratello minore dell’uomo che aveva dato un senso alla sua esistenza. «Perdonatemi, signorino Sasuke» sussurrava quando il bambino gli passava accanto, rientrando in casa, ma lui si limitava a degnarlo a malapena d’uno sguardo deluso e accusatorio.
Poi Itachi gli appoggiava una mano su una spalla e rimaneva immobile per qualche istante, prima di seguire Sasuke all’interno della villa; guardava dritto innanzi a sé, tuttavia era come se Haku sentisse addosso quei suoi penetranti occhi neri.
«Haku» lo chiamava, semplicemente, ed in questo modo lo assolveva dal suo peccato, aver fatto ingelosire Sasuke, ed alleviava, almeno in parte, l’acuto senso di colpa che provava – come osava offendere i familiari di Itachi?
La cena si svolgeva in modo del tutto informale: all’inizio gli Uchiha – Fugaku in particolare – si erano comportati con il rigido contegno ed il garbo che si riserva agli ospiti, ma oramai Haku era così strettamente legato alle loro vite che persino il capostipite discuteva degli affari di famiglia in sua presenza.
Era forse il momento in cui Haku si trovava più a disagio: in mezzo a loro, che lo avvolgevano con il calore delle chiacchiere basate fondamentalmente sul nulla e talvolta lo coinvolgevano nella conversazione, ricordava che quel medesimo calore l’aveva tratto dal trascorrere del tempo con i suoi genitori, quando ancora suo padre non odiava lui e sua madre.
Era grato agli Uchiha dell’ospitalità che gli regalavano senza volere nulla in cambio, tuttavia, quando quelle memorie emergevano nella sua mente e scavavano nel suo petto, portandosi via il suo cuore, quasi li odiava.
Itachi forse se ne avvedeva, poiché concludeva sbrigativamente la cena e lo invitava a venire con lui in cortile.
Qualche volta Shisui Uchiha – il cugino di Itachi ed il suo migliore amico, ruolo, quest’ultimo, che gli aveva permesso di guadagnare inconsapevolmente il rispetto e la devozione di Haku – assisteva agli allenamenti e scoppiava a ridere ogniqualvolta Itachi riprendeva Haku e questi si scusava apostrofandolo come “signor Itachi”, abitudine che presto Shisui aveva fatto propria.
Quella sera in cui Itachi non sembrava essere intenzionato ad allenarlo – si era seduto a terra e con un gesto l’aveva esortato a fare lo stesso – Shisui non era presente.
Spifferi freddi si insinuavano nei pantaloni di tela e sotto la maglietta di Haku, messaggeri dell’autunno oramai prossimo, mentre il bambino si inginocchiava rispettosamente dinanzi a Itachi, che tuttavia gli fece cenno di sistemarsi a gambe incrociate, in una posizione meno formale e più confortevole.
Haku obbedì e attese con pazienza che fosse Itachi a parlare per primo, qualora l’avesse desiderato.
«Haku, ti ricordi la notte in cui ci siamo conosciuti?» domandò il ragazzo dopo il silenzio più lungo che avesse mai riempito l’esistenza del bambino – nemmeno il silenzio che aveva seguito la morte di suo padre per sua stessa mano era stato tanto opprimente.
«Sì, signor Itachi».
Ricordava le urla di suo padre, i singhiozzi di sua madre, i ninja che facevano irruzione della casa che puzzava di morte e Itachi che lo prendeva per mano e lo trascinava via dal cadavere ancora caldo della giovane donna che gli aveva dato la vita, il sangue e l’abilità innata che aveva rovinato la loro famiglia.
Itachi non gli aveva rivolto la parola prima che il villaggio fosse svanito dietro di loro: correva con il suo corpo gracile sulle spalle e aveva voluto sapere il suo nome.
«Uccidesti tuo padre per aiutare tua madre» commentò Itachi, stranamente assorto. «Lo facesti per amore» riprese «e nessuno potrà mai biasimarti per ciò che hai tentato di fare, anche se tua madre non poteva più essere aiutata». Incrociò i suoi occhi e quelle iridi, tanto scure da confondersi con le pupille, costrinsero Haku all’immobilità – non aveva mai visto occhi tanto tristi. «Ora, Haku, se io ti rivelassi che dovrò uccidere tutto il mio Clan per amore del mio villaggio, tu manterresti il mio segreto e mi faresti una promessa?»
E improvvisamente Haku si sentì travolgere da una consapevolezza: Itachi si considerava simile a lui e per questo aveva intenzione di confidargli qualcosa che riteneva soltanto lui avrebbe potuto capire appieno, poiché aveva vissuto una tragedia della medesima portata.
Come la volta in cui l’aveva freddato con l’occhiata più terribile che Haku avesse mai dovuto sostenere perché aveva affermato di essere inutile, Itachi gli stava dando la possibilità di trovare un senso alla propria vita.
«Sì, signor Itachi» disse ancora.
«Anche se dovrò uccidere tutte le persone presenti in questa villa, tutte quelle presenti in questo quartiere? Anche se si tratta dei miei parenti, se dovrò uccidere la mia stessa madre, mio padre e mio fratello minore?» insistette il ragazzo: Haku sapeva che stava decidendo se fidarsi di lui oppure ucciderlo, tuttavia, al tempo stesso, si chiese se non lo stesse in qualche modo implorando di denunciare il crimine che gli stava rivelando di voler compiere.
«Signor Itachi,» lo chiamò il ragazzino con quella sua voce morbida e candida «posso farlo io al vostro posto, se lo desiderate».
Per la prima volta, Itachi Uchiha cedette allo stupore.
Batté ripetutamente le palpebre sugli occhi sgomenti, aggrottò le sopracciglia e rimase in silenzio per alcuni istanti prima di irrigidire la mascella e distendere la bocca in una linea dura.
«No» ribatté con ferma gentilezza. «Tu sei troppo buono, Haku: non permetterò che questa maledizione gravi sulle tue spalle a causa del mio egoismo. La missione è stata affidata a me e sarò io a portarla a termine. È anche una responsabilità nei confronti del mio villaggio».
«Potrei aiutarvi» propose Haku. «Voi mi avete salvato e mi avete dato uno scopo: servirvi. Commettere un atto simile vi fa soffrire molto, signor Itachi: vi chiedo di permettermi di placare quel dolore almeno un poco. Non ho una casa, dopotutto. Lasciare il villaggio della foglia per me sarebbe molto più semplice che per voi».
«No» ribadì una seconda volta Itachi. «Preferirei che tu in questi giorni passassi quanto più tempo possibile con i miei familiari, quando io non ci sono; mi rendo conto che non è la stessa cosa che se io fossi presente, ma è di gran lunga meglio così. In questo modo potrò almeno illudermi di non stare comportandomi da ipocrita con loro. Puoi farlo, Haku?»
Il ragazzino era sempre stato abituato ad essere ritenuto un’arma.
Era stato naturale per lui pensare di sostituirlo – o come minimo di affiancarlo – come assassino del clan Uchiha, se questo avesse potuto alleviare la terribile sofferenza che si rifletteva nel suo sguardo.
Tuttavia, considerò che rimanere vicino alla sua famiglia avrebbe potuto dargli il medesimo sollievo – se non persino di più.
«Posso assistere agli allenamenti del signorino Sasuke, signor Itachi?»
Itachi non gli aveva mai sorriso prima e, pur se in quel sorriso sembrava essere racchiusa tutta la tristezza del mondo, Haku pensò che fosse bello. E caldo, quando la mano del ragazzo si allungò a stringergli la spalla.
«Grazie, Haku».
Poi Itachi si ricompose e si alzò in piedi: indossava un elegante kimono del colore dei nontiscordardimé, che fasciava con grazia la sua figura asciutta ed i cui orli frusciarono appena quando, accompagnando il movimento del ragazzo che si portava in posizione eretta, la brezza della sera si insinuò tra le pieghe della veste.
«Si sta facendo freddo» commentò, sebbene fosse stato addestrato a resistere a temperature ben più rigide – e sapeva perfettamente che Haku era abituato al gelo del Paese delle nevi perenni. «È ora che rientriamo e ci corichiamo entrambi, non trovi?»
«Come desiderate, signor Itachi» assentì il ragazzino in tono deferente.
«Dormirai con me, questa notte» soggiunse Itachi, precedendolo lungo il sentiero che li avrebbe condotti all’ingresso della villa.
Sasuke stava sonnecchiando nel letto del fratello maggiore; questi si cambiò d’abito, vestendosi del kimono da notte, e si infilò cautamente sotto le lenzuola, al fianco del bambino, che inconsciamente si strinse alla nuova fonte di calore che gli veniva offerta.
Haku si stese accanto ad Itachi, bene attento a smuovere il meno possibile le coperte, di modo da non disturbare il minore dei due Uchiha.
Faceva caldo, sotto quelle lenzuola.
Ad Haku piaceva, il calore, molto più di quanto non gli piacesse la neve.
Tre giorni più tardi – a tre giorni dall’inizio del periodo di addestramento di Sasuke sotto la supervisione di Haku – Shisui Uchiha si suicidò.

  
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