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Autore: Ruta    18/01/2011    4 recensioni
E’ rabbia o rancore quello che mi trattiene dal pensare a te con la dolcezza che ci è dovuta?
O la pena del rimpianto dato dal sapere di averti perso per sempre? Axel…
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei dedicarla a tutti coloro che sperano e credono che un giorno il sogno possa realizzarsi,
che fanno del desiderio il perno attorno a cui far ruotare la loro esistenza.
A chi come me ha visto nell’autrice la rivalsa di ognuna di noi,
il sorriso al leggere la prima recensione
e la lacrima nel porre la parola fine ad ogni scritto.
Chi cresce e nel farlo non dimentica il bimbo che era e continua ad essere,
sperduto nella vastità degli adulti che siamo tenuti a diventare non per forza o sotto costrizione,
ma solo perché è giusto così,
l’ordine naturale delle cose,
il suo proseguire nel mondo.

 
Vorrei poterla dedicare anche all’autrice, ma lo faccio solo nel cuore e nell’intenzione.

 

 

 

 

 

In ira veritas

 

 

 

 

 

 

*

 

E’ rabbia o rancore quello che mi trattiene dal pensare a te con la dolcezza che ci è dovuta? 
O la pena del rimpianto dato dal sapere di averti perso per sempre? Axel…

 


Un’altra possibilità Eloise non l’aveva chiesta né tantomeno espresso a voce alta quel desiderio rimasto insepolto nel cuore, senza suono da offrire alle sue parole, sordo e muto.
Le ali fallaci della farfalla di quell’anelito inesplorato non s’erano spalancate ed era rimasta rintanata nel suo bozzolo di crisalide, cristallizzata nella stagione bruciata dell’autunno, in attesa giungesse quella dei cieli tersi e smaltati d’azzurro frastagliati dal tepore di raggi caldi, degli arcobaleni dalle vesti morbide sparpagliati sui prati delle colline, corolle schiuse come labbra per un sospiro dolce. Il profumo di nuovo, d’erba bagnata da lacrime di rugiada e spighe di grano acerbe a riempire i campi pallidi.
Eloise non amava quella parte dell’anno. Preferiva di gran lunga il gelo ombroso dei mesi freddi all’afa di quelli soleggiati e benché ammettesse tra sé la bellezza di quest’ultimi nell’avvicendarsi vivace di colori che ne contraddistinguevano i tratti, riconosceva altrettanto duramente l’assenza di pregi nella fastidiosa presenza di un numero maggiore di insetti, catturati dall’oro dell’astro mattutino quasi la sostanza che lo componesse fosse miele e non fuoco, come molti eretici avevano ipotizzato nelle loro carriere di studiosi avversi all’operato d’ignoranza espresso invece come salvezza dell’anima dalla Chiesa. Esisteva inoltre quell’anno un’ulteriore ragione che la trattenesse dall’apprezzare appieno il giungerne.

Piuttosto, un paio.
Era stato incredibilmente difficile nascondere la croce che portava tatuata sul braccio durante i turni in ospedale e nonostante sapesse Domina Heraclis fosse a conoscenza da tempo vi potesse essere quella reale possibilità, Eloise non era stata pronta a farne parola con altri, figurarsi farne mostra. Megan e anche Lara ne erano perciò all’oscuro e così preferiva continuassero a rimanere. Con il bel tempo dunque s’apriva alla sua mente una sfilza d’inconvenienti, dovuti all’accorciarsi delle divise o al rimboccare di maniche che diveniva frequente in aula quanto fuori, tra le strade della cittadella.
Non c’era altra soluzione, pensò con un sospiro affranto e mesto, allontanando il libro con gesto distratto e stendendosi più comodamente sul materasso.
Chiamare Bryce perché accorresse in suo aiuto in tale campo, all’occhio dell’altro sarebbe risultato doveroso, se non propriamente un obbligo. Ne immaginò la reazione giuliva e al sorriso di soddisfazione che gli avrebbe acceso il volto, sorrise anche lei. In cambio di quel sorriso in fondo anche una giornata intera trascorsa nelle più disparate botteghe di sartoria, a provare e farsi acconciare vestiti, farsi prendere le misure con le braccia indolenzite per l’essere costretta a tenerle alzate come un manichino umano, essere sballottata di qua e di là, diventava un boccone meno aspro, una noia più facile da sopportare, ma non accettare.
Inoltre c’era lui. Axel.
Da tempo aveva smesso di porsi domande sul come esattamente fosse stato possibile ritrovarlo, come se quegli anni di dolore e odio reciproco che mai aveva avuto quel nome se non nel proprio cuore annebbiato dalla sensazione d’abbandono, ferito dall’indifferenza del suo sguardo, fossero stati semplici conseguenze di un errore di valutazione. Un calcolo sbagliato.
Axel stesso l’aveva ammesso, le aveva confidato all’orecchio con voce suadente e il respiro contro la clavicola, le ciglia che le solleticavano la gola come i pizzi del merletto che gliel’aveva coperta prima lui aprisse i bottoni che lo tenevano imprigionato all’abito, senza gualcirlo. Quegli anni di lontananza, la sofferenza agrodolce nel vederlo voltarle le spalle e fare lo stesso nella malaugurata coincidenza di un incrocio, sguardi che mai s’incontravano se non a mezz’aria dove la linea di messa a fuoco dell’altro s’era già infranta in nulla, combattenti pronti a dar manforte in guerra e ad impugnar le armi, opponenti di un abbraccio inestricabile di poli opposti. Tutto questo ne era stato il risultato, un tentativo andato male, conclusosi in uno stillicidio insensato e senza motivazioni. Era per proteggerla da chissà quali e quanti invisibili nemici che, seppur a malincuore, s’era distaccato da lei e ora v’era tornato incurante. Una rondine che fa ritorno al nido di casa dopo essere migrata via, la colpevolezza frustante di un atto innocente nel suo intento, ma non nell’effettiva portata del suo seguirne.
L’ultimo motivo era quello che la rendeva tanto pensierosa. Sapeva per sentito dire e per chiacchiere ascoltate un po’ qui un po’ lì, pettegolezzi frammentati captati tra le dicerie assurde divulgate dalle bocche larghe dei più assidui e loquaci spiriti salottieri delle Confraternite, nonché dalla scarsamente apprezzata risata in cui Ashton era in modo assai poco galante scoppiato, in merito ad un suo preciso porgli quesito al riguardo, di una probabile quanto plateale intenzione da parte del Duca dell’Ordine della Chiave di chiederla in sposa. L’idea Axel avesse anche solo preso in considerazione un tale proposito, bastava a gelarle il sangue. Naturalmente poi s’aggiungeva ad incrementare quell’emozione di fastidio e disagio, la riflessione volesse domandarglielo davanti all’intero corpo degli studenti. Decisamente, il frequentare tanto assiduamente Gil Morgan doveva avergli provocato seri danni alla capacità di valutazione, se si aspettava non solo lei approvasse qualcosa di quel genere, dichiarazione in piena regola in ginocchio con tanto di serenata sotto la sua finestra, ma addirittura se ne sentisse lusingata.
Sbuffò e il libro al suo fianco venne chiuso da dita stizzite.
Gettò uno sguardo cupo di presentimenti nefasti alla piccola meridiana sul comodino, di fianco alla luce languida della candela morente. Lo stoppino galleggiava in un lago di cera della stessa tonalità dell’olio bollente lasciato a friggere sui focolari delle cucine. L’idea di affondarvi le dita una volta raffreddato, le era sempre parsa allettante. Strani polpastrelli ricoperti della pasta dura che la cera diventava una volta solidificata, come la più inespugnabile e fragile delle armature. Neve d’ambra pronta a liquefarsi al primo soffio inclemente di sole, troppo vicino. Axel…
Strinse i pugni contraendo le nocche, i tendini tesi sui dorsi, fino a farle divenire bianche quanto le lenzuola candide su cui era stesa. Possibile non riuscisse a smettere di pensare a lui? Sembrava il tempo non avesse fatto altro che incrementare i suoi sentimenti, acuirne la percezione piuttosto che usurarli per l’incuria e il logorio del consumo.
La brezza piacevole che provò a ricostruire sulla pelle e sapeva per certo soffiare a quell’ora tarda, le punse il petto del bisogno impulsivo d’affacciarsi, tutto pur di scacciare il molesto frullare di quei tarli di dubbio ad arroventarle il capo. Le imposte erano serrate e sul chiavistello che le chiudeva, protezione aggiuntiva, era apposta una croce benedetta per bandire e tenere lontano esseri inopportuni.
La consapevolezza nei dintorni fosse ben presente la figura della creatura di nome Erin, posta a sorvegliare ormai Sophia Lord quanto lei, bastò a calmare l’ansito di preoccupazione irrefrenabile che le aveva stretto il respiro, strangolandoglielo nella cassa toracica. Inoltre nei paraggi rimanevano Cain, perenne figura ai servigi della riscoperta sorella minore nei panni di cavalier servente, Adrian sorvegliante di entrambi i fanciulli e di quando in quando Ashton che ancora pareva avere misteriosi conti in sospeso da risolvere.

I tre moschettieri del Re.
Quel pensiero la fece scoppiare in una risatina silenziosa soppiantando la precedente inquietudine. Rimanere troppo a lungo sola ormai le procurava un’angoscia inspiegabile nella sua irrazionalità.
Eppure l’ombra alle sue spalle la seguiva docile e fedele, come un cagnolino ammaestrato e affettuoso che le si attorcigliava alle caviglie e le leccava i piedi, fremente e scodinzolante. Una massa scura che inghiottiva nel suo bistro nerofumo tutta l’esigua luminosità della penombra offerta da quell’unica candela posta a lato del letto. Le finestre cigolarono un poco spalancandole, ma a quel punto lei aveva già i gomiti ben piantati sul davanzale di pietra smerigliata e lo sguardo perso nell’orizzonte, oltre le inferriate, dove il crepuscolo ammassato sulla linea di confine tra cielo e terra, andava soppiantato dal sorgere caliginoso della luna e da uno strato fitto di nebbia, stralci di nuvole cadute, piovute direttamente dal cielo.
Respirò a pieni polmoni l’aria profumata e satura di un odore strano simile all’incenso.
La sera era di una piacevole tonalità blu, carica dei nodi sfilati che il risvegliarsi delle stelle procurava al manto della notte. Si lasciò cullare dal quel carezzevole alito di vento, chiudendo gli occhi e sentendo le spalle sciogliersi dalla postura irrigidita in cui s’erano intorpidite a causa di quel lungo e penoso meditare. Quando le orecchie però arraffarono l’inizio di uno sconnesso risuonare di note sotto il portico del balconcino del piano inferiore, corde pizzicate da nocche gentili e assuefatte a quel movimento, familiare musica quanto la voce che la pregava di abbandonarsi arrendevole alle braccia dell’amato, le parve di percepire oltre il velo di rabbia che le offuscò la vista e la vampata di rossore che le fiorì in volto, anche la risata pregna di ironico sarcasmo di Ashton.
Lo sguardo divertito e insieme accorato di Axel dabbasso era confuso nell’oscurità, ma Eloise fu lesta ad ingoiare lo stupore e a rientrare scrollando per la disapprovazione la testa e battendo i piedi per terra con furia ad ogni passo, come una bambina stizzita.
Dannazione ad Axel, probabilmente sarebbe stato preferibile che non fosse come un libro aperto per lui, che non la comprendesse così a fondo.
Che avesse scelto quel modo d’agire, ben consapevole forse che prenderla per esasperazione carpendole il sì sospirato fosse l’unica strategia possibile, la riempiva di sdegno, ma anche di qualcos’altro. La candela annegava nelle sue stesse lacrime, sparse a ventaglio sul legno di noce attorno al candeliere ramato, mentre il canto si trasformava in una nenia disperata e straziante per il suo rifiuto, tale da farla ringhiare sommessamente un’ultima volta.

 

 

 

 

N/A:

E’ una mostruosità lo so, ma come mi sono divertita a scriverla!
Volevo realizzare da tempo qualcosa su questa meravigliosa saga –finora solo un libro, ma per me rimane tale-, ma tutto mi sembrava così opaco e noioso rispetto all’originale e vorrei ben vedere XD! Stamattina tocca al prompt “rabbia” quindi. Non so per quale ragione, ma la prima persona a cui l’ho associata è stata Eloise e così è nata questa cosetta.
Nel filone dei suoi pensieri, che in effetti sono l’unico blocco che costituisce l’intera breve storiella, ho cercato di seguire il più fedelmente possibile gli accenni che nella sua personalità l’autrice lascia intuire nel libro. Il fatto che preferisca l’inverno è quindi una mia supposizione naturalmente, basata però su una certa logica a ben vedere. Alcune volte Eloise pensa ad Aldenor, la città natale, casa, ai suoi lunghi inverni con nostalgia e riflettendo anche sul disgusto che nutre verso gli insetti, prendendo nota del proliferare degli stessi in estate e primavera, beh… scritto ora mi sembra un po’ un’idiozia ad esser sinceri. Pensando al come Axel avrebbe fatto la tanto decantata proposta mi sono posta un altro problema: era possibile che Eloise accettasse così semplicemente di vincolarsi ufficialmente?
Non sto mettendo in dubbio che si amino, ma ufficializzare il tutto è un’altra cosa. Negli ultimi capitoli Eloise mi era sembrata raddolcita, più propensa nei confronti di Axel, nel riscoprire i suoi sentimenti per lui e accettarli. La tranquillità del sapersi al sicuro aveva soppiantato il terrore del sentirsi braccata e la paura della portata di quell’amore antico e familiare, ineludibile dalla sua vita.
Che Axel si diverta a prenderla per esasperazione anche questo mi era apparso plausibile riflettendoci su, ma ora mi sa tanto di sciocchezza. Insomma l’idea che lui le faccia una serenata è abbastanza ridicola rileggendo. Chiudiamo gli occhi perciò e dedichiamo qualche minuto in segno di rispetto alla sua dignità che ho brutalmente assassinato. Il libro ispiratore per chi non lo conoscesse è “Black Friars - L’Ordine della Spada” dell’autrice Virginia de Winter. Lettura doverosa e altamente consigliata dalla sottoscritta e da altre migliaia di persone credo. 
Per maggiori informazioni vi rimando al sito dell’autrice (http://www.virginiadewinter.net/home/).    
Spero la lettura sia stata comunque piacevole e vi abbia strappato un sorriso magari, dato che lo scopo era principalmente questo. In effetti ritengo possa solo far ridere, ma si apprezzi lo sforzo più che il tentativo.
Un saluto a tutti e un abbraccio ;)!  

  
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