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Autore: adamantina    18/01/2011    12 recensioni
“Alza le braccia e afferra il trapezio.
Ed è allora che
cambia –perché nonostante la rabbia, l’odio, l’indifferenza, la falsità, l’umiliazione, è questo che è lei.
Una trapezista, una Dragonfly, una libellula che vive per le ore passate nel suo elemento e muore un po’ ogni volta che deve scendere. Un essere alato capitato per sbaglio in un mondo dove al cielo non si guarda mai.
Un’atleta non per passione, ma per bisogno.
L’hanno definita nomade, zingara, ladra, puttana, ma lei sa qual è il suo unico vero nome. Ironia della sorte, è quello che il mondo –quel mondo corrotto e viziato che tanto odia- ha scelto per lei. Dragonfly.”

[Classificatasi prima al contest "Storie da piangere" di BlackHole 95 e vincitrice del premio "Miglior Storia". Partecipante al contest "La notte degli Oscar" indetto su Writers Arena Rewind.]
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia classificatasi prima al contest "Storie da piangere" di BlackHole95 e vincitrice del premio "Miglior Storia".
Partecipa al contest La notte degli Oscar indetto su Writers Arena Rewind.

 

DRAGONFLY



Le luci si spengono nel momento esatto in cui accende la sigaretta.

Tempismo collaudato.
Non dovrebbe neanche guardare, tanto non le interessa, l’ha già visto mille e mille volte. Questo è quello che la ragazza si ripete, eppure il suo sguardo torna ancora sulla grande pista di sabbia circolare.
Una singola luce si accende e Mister K esce allo scoperto. La musica assordante lentamente si affievolisce per lasciare spazio al silenzio più totale.
Lei aspira il fumo della sua sigaretta, lentamente, distogliendo lo sguardo.
«Signore e signori, benvenuti.» La voce profonda di Mister K si espande tra il pubblico, attirando magnetica gli spettatori verso di lui. «Permettetemi di introdurvi… »
«Alla magia del circo» completa lei sulla voce di Mister K, muovendo solo le labbra e producendo uno sbuffo di fumo.
La musica riprende e lei appoggia la testa al palo di ferro.
«Cosa ci fai qua, bambina?»
Non alza nemmeno gli occhi.
«Penso» replica senza inflessioni.
«A che cosa?»
«Un po’ di questo, un po’ di quello.»
«Vuoi che ti legga la mano? Magari è la volta buona che vedrò uno straniero misterioso portarti via sul suo cavallo bianco.»
Lei emette una risatina che non ha nulla di allegro.
«Tutto quello che vedo nel mio futuro sono otto minuti di spettacolo, qualche applauso e una birra prima di andare a letto» replica.
«Sei troppo giovane per essere così cinica, bambina» sospira Madame Lumière.
«E tu sei troppo vecchia per pensare di capirmi, Madame» taglia corto la ragazza, per poi gettare la sigaretta a terra, calpestarla con il tacco e allontanarsi.
Entra in un carrozzone malandato e si veste. Non presta neanche attenzione a cosa fa, ormai i suoi gesti sono automatici quanto respirare. Prima i collant, leggeri e impalpabili, con una leggera smagliatura. Poi la tutina aderente, azzurro-verde, con i colori e i motivi di una coda di pavone. Ricorda ancora il giorno in cui Mister K gliel’ha regalata –dicendo che la sua libellula era diventata grande e aveva bisogno di cose da donna.
Cazzata, pensa pigramente. Io una donna non lo sono mai diventata, né lo diventerò mai.
Afferra una spazzola, si tira i capelli con tanta forza da farsi male per scioglierne i nodi e li lega in una coda di cavallo con un fiocco. Poi, il trucco.
È la parte che odia di più. Esprime appieno tutto quanto –la stupidità, l’apparenza, la falsità. La sua vita, insomma. Dopo qualche minuto di lavoro, sarebbe difficile riconoscerla. La ragazza dai capelli neri e lo sguardo vacuo è diventato un piccolo, leggiadro splendore con occhi decorati come le ali di una farfalla. Infila un paio di scarpe da ginnastica ed esce senza neanche guardarsi allo specchio. A che servirebbe?
Torna al tendone principale e aguzza le orecchie. Manca poco.
«Dove cazzo è?» sta urlando qualcuno.
Mister K, naturalmente.
Si prende tutto il tempo che vuole per entrare. L’uomo strabuzza gli occhi.
«Dov’eri?» ruggisce. Ma prima che lei possa replicare sbotta «Non mi importa. Sei pronta?»
Lei non replica, togliendosi le scarpe e cominciando a riscaldarsi. Si allunga, si piega, stira i muscoli freddi per prepararli.
Sente su di sé gli sguardi di tutti – ma che ve ne frega a voi, fatevi gli affari vostri.
«Sei pronta o no?» sibila Mister K.
Lei alza la testa.
«Io sono sempre pronta» replica, gelida, e gli passa davanti per raggiungere la sua postazione.
«Abbassa le ali, bambina. Non sei superiore a nessuno qui.»
Poi Mister K fa il suo ingresso nel tendone.
Lei ne sente solo la voce stentorea che riecheggia. Muove le dita dei piedi, sentendo una vaga morsa allo stomaco –non la definisce nervosismo da almeno dodici, tredici anni. È solo rabbia. Dio quanta ne ha accumulata, quante risposte ha taciuto. Quanti urli ha represso, per ridurli ad un salto mortale perfetto.
Quanto odio.
«E adesso, signore e signori, la nostra divina libellula. Soltanto per voi, la meravigliosa Dragonfly.»
Lei sospira, scioglie le spalle, batte le palpebre e si costringe al sorriso.
Poi esce. Mister K non la guarda nemmeno. Le luci si abbassano, la musica comincia a rimbombare, soave e leggiadra. Il trapezio scende e raggiunge la sua altezza quando lei, camminando sulle punte come una ballerina, arriva al centro. Alza le braccia e afferra il trapezio.
Ed è allora che cambia – perché nonostante la rabbia, l’odio, l’indifferenza, la falsità, l’umiliazione, è questo che è lei.
Una trapezista, una Dragonfly, una libellula che vive per le ore passate nel suo elemento e muore un po’ ogni volta che deve scendere. Un essere alato capitato per sbaglio in un mondo dove al cielo non si guarda mai.
Un’atleta non per passione, ma per bisogno.
L’hanno definita nomade, zingara, ladra, puttana, ma lei sa qual è il suo unico vero nome. Ironia della sorte, è quello che il mondo – quel mondo corrotto e viziato che tanto odia - ha scelto per lei. Dragonfly.
È il suo destino, vorrebbe scappare ma non può.
Dragonfly sa già che morirà nell’aria.

Dall’esterno dev’essere bello. Lei non lo sa, non si è mai vista. Non vuole vedere fotografie e filmati di se stessa sul trapezio, mentre vola.
Vuole ricordare quei momenti per come li vive lei, la libellula sgargiante che salta e cade, libera. E sorride.
A volte se lo dimentica – Dio, è così dannatamente bello che non gliene frega niente di come appare agli altri - ma Mister K glielo ricorda sempre.
Sorridi, Dragonfly. La gente non vuole un dramma, ma solo un sorriso.
Dragonfly allora sorride. Talvolta le viene automatico, mentre è a casa sua, lassù in aria, ma ogni tanto deve sforzarsi. Perché il suo luogo preferito la induce a dimenticarsi di tutto, ma qualche parola o ricordo si insinua in lei e le fa venir voglia di piangere mentre si libra nel vento.
Ma non piange mai, Dragonfly.
Lei è forte, bella, dura. Niente può scalfirla.
Niente…

Finisce sempre troppo in fretta.
Otto minuti, cazzo. Come fai a concentrare una vita di emozione in otto minuti?
È impossibile.
«Sei stata meravigliosa, Shiri.»
Si gira per incontrare lo sguardo di Leon. Alza le spalle.
«Non chiamarmi così.»
«È il tuo nome.»
«Non più.»
Dragonfly si allontana, tutto ciò che vuole è andare a dormire e sapere che anche quella giornata è passata.
Ma Leon, testardo, la segue.
«Ti va una birra da me, Dragonfly?»
Lei si ferma e gli lancia un’occhiata penetrante.
«Ti va di andare al diavolo, Leon?»
«Non chiamarmi Leon.»
«È il tuo nome» lo scimmiottò lei.
«Non è vero. Non lo è mai stato.»
Dragonfly raggiunge il proprio carrozzone. Esita.
«Puoi venire dentro» concede. «Ma solo cinque minuti. Ho bisogno di dormire.»
Dragonfly è ancora vestita per lo spettacolo, quindi butta la faccia sotto l’acqua gelida e si strofina via il trucco a forza di sapone. Alla fine il suo viso è arrossato e gli occhi gonfi. Toglie la tutina e indossa un pigiama sformato, fingendo di non notare le occhiate che le lancia Leon.
Leon è il ragazzo dei leoni. Il suo vero nome è Matt, ma probabilmente nessuno lo chiama così da anni. Dragonfly vorrebbe che nessuno ricordasse il suo, di nome, ma Leon lo fa e continua a chiamarla Shiri.
Lo odia. Lei è la libellula, Dragonfly, punto.
Nessuno può negarle il diritto che si è conquistata.

Cornelia aveva appena sedici anni quando era scappata di casa, incinta. L’unica disposta ad ospitarla era stata una sua lontana zia che faceva la cartomante in un circo. Cornelia l’aveva ringraziata, profondendosi in lodi, finché non aveva sfornato la piccola Shiri. Dopodiché, se n’era andata ed era tornata dai suoi genitori ricchi sfondati, lasciando alla zia, alias Madame Lumière, un fagottino neonato. Da allora erano passati quasi vent’anni.
Shiri era cresciuta nel circo, non aveva mai conosciuto altro. Leon era diventato suo amico da subito, aveva appena due anni più di lei e i suoi genitori erano domatori. Prima che Shiri compiesse tre anni, Mister K era stato chiarissimo – se voleva restare, doveva darsi da fare. E così la bambina si era fatta insegnare l’arte del funambolismo ed era arrivata al trapezio a quattro anni. Da allora, non vi era più scesa. Il soprannome Dragonfly gliel’ha dato Mister K e ora è quello il suo nome.
È lei e basta. Il nome che le ha affibbiato sua madre non significa niente.
È una ninfa greca, le ha detto una volta Madame. Come se a lei importasse. Cornelia non ha voluto prendersi responsabilità – perché lasciarle il diritto di decidere il suo nome?
Dragonfly si sente solo Dragonfly.

La notte vola via e all’alba il carrozzone riparte. Una nuova città, una nuova meta, un nuovo spettacolo con l’unico intento di stupire e divertire le persone che li umiliano.
Leon offre uno spettacolo straordinario con i suoi leoni e poi Dragonfly lo segue con un meraviglioso triplo salto mortale.
Non appena il suo turno è finito, ancora con il costume di scena addosso, mette un paio di scarpe ed esce a fumarsi una sigaretta.
«Come ti chiami?»
La voce fa sussultare la ragazza e la sigaretta le cade nell’erba umida. Soffoca un’imprecazione e guarda storto il ragazzo appena arrivato.
Cade sua vittima senza ulteriori indugi.
È bello. Molto.
La osserva con due occhi smeraldini, i capelli scuri strategicamente scompigliati. Le mani sono sprofondate nelle tasche del giubbotto.
«Dragonfly» risponde.
«Intendevo il tuo vero nome.»
«È questo. Chi sei tu?»
«Christopher Roland, per servirti.»
Le fa un buffo inchino e le spiega di essere rimasto affascinato da lei quando l’ha vista volteggiare nel tendone come se fosse dotata di ali invisibili.
Dragonfly sorride, e ad ogni parola sprofonda di più.
Ormai è sua.

Il mattino dopo, Dragonfly non è nel suo carrozzone.
Arriva alle prove con un’ora di ritardo, cosa che non è mai successa prima.
E sorride.
Leon la avvicina quasi con sospetto.
«Che è successo, Shiri?»
Lei neanche bada al nome che ha usato. Alza le spalle.
«Cosa dovrebbe essere successo?»
Si allontana soave, quasi ridendo.
Leon si morde un labbro e tace.
Mentre prova, per tutto il giorno, la testa di Dragonfly è altrove.
La sua prozia, Madame Lumière, lo capisce immediatamente e teme che la sua predizione scherzosa si sia avverata.
«Sembra che uno straniero sia veramente venuto a prendermi, Madame» le confida Dragonfly. «Non su un cavallo bianco, forse, ma mi ha promesso che mi porterà via da qui, sai. Mi ha detto che mi ama e che mi farà fuggire da tutta questa falsità… »
Madame Lumière non può replicare, un nodo le stringe la gola. Ricorda Cornelia, la madre di Dragonfly, e teme per la nipotina. Ma se la avvertisse, certamente lei non le darebbe retta. Il suo cuoricino è stato preso in gabbia dal profetizzato straniero misterioso, ragazzo di città, ricco e affascinato dalla libellula prigioniera.
Non mi darebbe retta, ecco la giustificazione che trova Madame per non dover affrontare un discorso difficile. Odia i conflitti, e lei è la sua bambina. Deve solo aver fiducia in lei.
Quella sera sembrerebbe come tutte le altre.
«Signore e signori, benvenuti. Permettetemi di introdurvi alla magia del circo.» comincia Mister K come ogni sera.
E poi, più tardi:
«E adesso, signore e signori, la nostra divina libellula. Soltanto per voi, la meravigliosa Dragonfly.»
Dragonfly esce, sale sul trapezio e comincia il suo numero.
Ma è diverso stavolta.
È consapevole che c’è qualcuno nella folla che la sta guardando –Christopher, il suo amore da una notte che sembra una vita.
Ci mette tutta la sua vita, in quel numero, Dragonfly. Ogni emozione di rabbia e di gioia, di odio e di amore, di orgoglio e di passione è riflessa in salti spettacolari come non se n’erano mai visti.
Il pubblico tace, assolutamente ammaliato da quella bellezza in un liso costume verde-azzurro che non è certo un essere umano, ma forse un angelo venuto sulla Terra per mostrare agli uomini un’anteprima delle meraviglie del Paradiso.
E Dragonfly vola, ma non per la gente che la osserva. Soltanto per lui, e perché sa che questa è la sua ultima notte.
Rinuncerà al trapezio, al volo, per fuggire con lui.
Rinuncerà all’aria, alla sua casa, alla sua vita, al suo cuore e si affiderà a lui. Per questo dedica al mondo il suo ultimo spettacolo – perché è consapevole che sarà il suo ultimo volo. Ma Dragonfly ora tornerà sulla Terra –e già pensa ad una casa, a viaggi, paesaggi, bambini, sorrisi e baci.
La sua innocenza le è stata sottratta e lei è stata lieta di donarla e di donare se stessa.
Forse, dopotutto, Dragonfly è diventata una donna.

Il silenzio regna sovrano quando Leon la vede. È uscito dal suo carrozzone e la sta aspettando, anche se immagina che lei non tornerà.
Ma lo fa.
E subito Leon capisce che è successo ciò che temeva.
Dragonfly indossa il suo abitino decorato come una coda di pavone, ma il trucco è colato sul viso e la fa sembrare un brutto clown. I collant sono strappati, la coda di cavallo scompigliata.
Sembra che, dopotutto, Dragonfly sappia piangere.
Le si avvicina.
«Vattene, Leon» ansima lei, scacciandolo brutalmente.
E Leon prende una decisione – non lo sa, ma sarà il momento più importante della sua vita. Annuisce e si allontana, lasciandola sola.
Dragonfly va verso il tendone non ancora smontato. Il trapezio è lì, al suo posto.
Ha bisogno d’aria, Dragonfly.
Si arrampica sul trapezio usando i due nastri che pendono alle sue estremità, come ha fatto tante volte, scossa da singhiozzi muti.
Si aggrappa al trapezio come ad un’ancora.
Ha perso tutto.
La sua innocenza, la sua autostima, la sua voglia di vivere, il suo amore.
Trema come una foglia e si dondola leggermente.
Ha bisogno di volare, Dragonfly.
Quando ha raggiunto una velocità sufficiente, salta.
Non è un salto difficile, niente di diverso da ciò che ripete tutti giorni da ormai una vita.
Ma una libellula non può volare con le ali spezzate, e a Dragonfly sono state rotte con brutalità quella notte stessa.
Questo è l’ultimo volo della libellula, l’ultimo tributo al suo elemento naturale.

Madame Lumière sapeva cosa sarebbe successo.
Era realista, consapevole che quel ragazzo avrebbe spezzato il cuore della sua bambina, ma pensava che tanto non le avrebbe dato retta se avesse provato ad avvertirla.
Chissà per quanto tempo si porterà dietro quel rimpianto.
Forse per sempre, o forse berrà per dimenticare. Ma tanto i ricordi tornano sempre, e i rimpianti sono il genere peggiore di ricordi, quelli che ti tormentano in ogni momento della tua vita.
Lo sa bene Leon, l’ultimo ad aver visto la libellula con le ali spezzate.
Si porterà nel cuore il ricordo della bambina con cui aveva giocato da piccolo e che aveva lasciato che finisse nelle mani di chi non voleva altro che rubarle la sua bellezza, la sua innocenza, le sue ali.
E si porterà nella tomba il rimpianto di non averla fermata quella notte – un semplice “non me ne andrò” sarebbe stato abbastanza. Avrebbe dovuto saperlo, per quanto fosse sciocco, che una libellula non può volare senza ali.
Avrebbe dovuto immaginarlo… avrebbe dovuto, ma non l’ha fatto, e mille “se” non cambieranno le cose.
E chissà Christopher Roland, se ha mai saputo cosa aveva fatto. Io penso di sì. Può darsi che non abbia letto il trafiletto in dodicesima pagina nel giornale locale che accennava ad una “tragedia al circo”, ma deve sicuramente aver sentito qualcosa. O no?
So che si è sposato, qualche tempo dopo, ma dopo soli dieci mesi ha deciso di farla finita. Un’arma da fuoco, crudele, nulla a che vedere con la dolce morte in aria che ha inflitto a Dragonfly.
Io credo che Christopher non abbia mai dimenticato l’angelo che aveva ucciso.
Ma questo non può saperlo altri che lui.
In questo momento, vedo solo una piazza vuota – il tendone è stato ritirato, i carrozzoni sono pronti a ripartire, gli animali chiusi nelle loro gabbie.
Il circo cambia città, e stasera sarà di nuovo pieno di gente ignara che assisterà ad uno spettacolo memorabile.
Mister K annuncerà ancora:
«Signore e signori, benvenuti. Permettetemi di introdurvi alla magia del circo.»
Ma non ci sarà nessuna Dragonfly ad incantare con salti a mezz’aria, nessun nuovo trapezista a sostituirla – non ancora.
Perché, da questa notte, la libellula non volerà più.



 

   
 
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