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Autore: Hiromi    18/01/2011    7 recensioni
"Abitiamo in paesi diversi, entrambe vogliamo conoscere i nostri genitori, ma cosa possiamo fare normalmente? Ed ecco che io vado in Russia da te, e tu torni in Inghilterra presentandoti come me. Geniale, no?" Daphne Tachibana e Nadja Hiwatari si incontrano per caso a Parigi, e architettano un piano per riprendersi un loro diritto: conoscere i loro genitori. I guai sono alle porte!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Russia mon Amour

Russie mon Amour

 

“No, signorina, i maglioni a tinta unita li trova in fondo, non qui. Guardi, la ragazza con cui sta parlando la sua gemella ne ha uno in mano.

 

 

 

 

 

 

 

Se vi era una cosa che caratterizzava Nadja, era il sangue freddo che ostentava sempre, costantemente, anche in circostanze spiacevoli. Mentre gli altri perdevano la testa e si facevano cogliere dal panico, lei manteneva il suo proverbiale autocontrollo, e tramite quello, riusciva sempre in ciò che faceva.

 

Quel giorno, però, in quel centro commerciale, aveva solo voglia di svenire.

 

O di vomitare.

 

Cercando di mantenere un viso decente, si rivolse alla commessa. “Grazie, mi scusi.” la congedò in francese; quella annuì, dapprima squadrandola interrogativamente, poi andandosene nella direzione opposta.

 

Che cosa doveva fare, adesso? Non poteva certo darsela a gambe come una stupida.

Non fare l’idiota, si ammonì; decise di rivolgersi alle ragazze che le stavano davanti, cercando di sorridere e camminando nella loro direzione.

 

Delle statue di sale.

Il fattore che le diede la forza di proseguire fu la consapevolezza, seppur accennata, nell’anticamera del suo cervello, di non essere la sola ad essere quantomeno sorpresa.

La bionda aveva la mascella spudoratamente sprofondata, e la rossa gli occhi verdi così sgranati che di qualche millimetro in più sarebbero rotolati fuori dalle orbite.

 

E la bruna… Se ne stava rigida, impettita, come se avesse ingoiato un limone, e il suo colorito tendeva al verdastro.

 

Quando Nadja se la ritrovò davanti, pur sentendo un’ondata di nausea sopraffarla, non riuscì a parlare, anche perché non avrebbe saputo cosa dire.

 

“Wow!” esclamò la bionda dopo molti secondi di silenzio. “Abbiamo sette gemelli sparsi per il mondo e tu hai trovato in Francia la tua, Daph!”

 

Bastò questa frase a far accennare un sorriso a tutte, e fu solo per questo che la bruna si ricompose, sbattendo gli occhi e accennando ad un movimento del capo. “Dio, che shock…” ci furono delle risatine generali.

 

“Siete uguali.” Sam era ammirata, e stava osservando Nadja come fosse un animale raro. “Tu però hai i capelli più corti. E questa voglia sul collo.”

 

Ci furono dei secondi di imbarazzo che furono interrotti dall’altra ragazza. “Ora si che mi sono ripresa: mi era venuto un colpo prima!” altre risatine. “Piacere, Daphne.”

 

“Nadezda, ma tutti mi chiamano Nadja.” rispose, porgendole la mano.

 

“Oh, ma non è particolare per essere francese?” osservò la rossa, sbattendo gli occhi. “Samantha, comunque.”

 

Infatti sono russa. Sono a Parigi dai miei zii per la settimana bianca. E… Il vostro accento non è di qui.” chiese implicitamente, umettandosi le labbra.

 

“Io sono Elizabeth – Liz.” Si presentò la bionda. “Siamo inglesi, di Londra.”

 

Nadja sorrise. “Bellissima Londra: e come mai qui?”

 

Daphne si scambiò un’occhiata con le sue amiche, che sorrisero. “Gita d’istruzione.” poi si rivolse alla ragazza che le assomigliava in maniera impressionante. “Senti, devono essere i tuoi zii quelli che mi hanno scambiata per te.” quando la ragazza le rivolse un’occhiata interrogativa, Daphne continuò. “Due signori sui trentacinque, lei bionda color del grano, lui nero corvino?”

 

“Oh, si.” la ragazza rise. “Così come queste due mi devono aver scambiato per te.”

 

Daphne inarcò le sopracciglia verso le sue amiche. “Capisco la somiglianza impressionante.” cominciò. “Ma lei ha i capelli lunghi appena sotto l’orecchio, io fino alla schiena. Ci sarà un po’ di differenza, no?”

 

“Non so, io non me ne sono accorta.” fece Sam, aggrottando le sopracciglia.

 

“Io un po’ si, ma lei indossava un maglione a collo alto, pensavo ti fossi dimenticata di liberare i capelli dal suddetto collo del maglione.” Daph alzò gli occhi al cielo, Nadja rise. “E comunque è stato un pensiero fugace che mi ha attraversato l’anticamera del cervello.”

 

Quando il cellulare della rossa squillò, la sua espressione parlò chiaro. “Ragazze, tra dieci minuti abbiamo il ritrovo con gli altri.”

 

“Che cosa?” Daphne era incredula. “Ma ho appena trovato una delle mie gemelle sparse per il mondo, non la posso mica lasciar andare così! Devo almeno fare una tonnellata di foto, sapere qualcosa di più e-

 

“Noi questo pomeriggio saremo al Louvre.” la interruppe Liz, consultando un foglio spiegazzato. “Puoi esserci?” chiese a Nadja.

 

Si, dai. Non capita tutti i giorni, in fondo.” il sorriso che rivolse alle tre ragazze fu timido e genuino. “Vi lascio il mio numero: mi mandate un sms e mi fate sapere a che ora e dove mi devo far trovare.”

 

Daphne era su di giri. “D’accordo. Tieni.” fece, porgendole il suo I-phone. “Scrivilo qui.”

 

L’altra le rese il cellulare qualche secondo più tardi. “Va bene, io vado. Ci vediamo questo pomeriggio, a quanto pare… Aspetto il vostro sms.” e, con un cenno della mano, salutò le tre ragazze, andandosene e incamminandosi verso la direzione opposta.

 

“Dai, andiamo che se no la Smith ci lincia.” Sam ripose il suo cellulare nella tasca sbrigativamente, lanciando alle sue amiche uno sguardo complice; le altre annuirono brevemente, incamminandosi a passo spedito verso il luogo di ritrovo.

 

“Mai avrei immaginato di poter incontrare qualcuno tanto uguale a me.” Daphne storse il naso. “E’… E’ identica!”

 

Si, poi mi ha fatto una buona impressione.” Liz sorrise.

 

“Vero.” intervenne Sam. “E’ timida ma simpatica.”

 

“Senza contare che ti ha fatto vedere come staresti con i capelli corti e mossi.” alla battuta della bionda, tutte e tre scoppiarono a ridere.

 

“Sono certa che alla mamma verrà un colpo.” rifletté Daphne. “Oh, non se lo immagina di certo!”

 

Liz fece per aprire bocca, ma fu interrotta da un urlo a mezza bocca da parte di Samantha: “Oh, mio Dio! E’ ovvio!”

 

 

 

 

Quando Nadja trovò i suoi zii, erano ancora nel reparto cosmetici: zia Karen si era appena spruzzata un Burberry sul polso per farlo annusare al marito che, per tutta risposta, le aveva dato un sensuale morso.

 

Erano fatti così: sin da quando si ricordasse, tra di loro c’era sempre stato questo amore folle condito da una passione spietata, alimentata giorno dopo giorno. Avevano trentasei e trentaquattro anni e si comportavano ancora come adolescenti di sedici anni, erano incredibili.

 

“Ehi, signorina!” alla voce dello zio rispose inarcando le sopracciglia. “Finito di fare la spiritosona?”

 

“E di darmi della signora?” fece eco la zia, guardandola strana. “Che poi dove hai posato la parrucca che avevi preso? Stavi bene con i capelli lisci e lunghi…”

 

Nadja sorrise: non aveva idea di cosa poteva aver detto Daphne, ma una cosa era sicura. Nemmeno loro avevano mai incontrato i loro gemelli. “Beh, non è che fosse una parru-” il furioso trillo del cellulare la interruppe. “Scusate.” sorrisetto sul volto, rispose parecchi passi più in là. “Si? Daphne?”

 

“Tu sei russa.”

 

E’ un’accusa, per caso?Si.”

 

“Io non ho il padre. Mio padre era russo. E’ russo. Tu hai una famiglia? Oh, mio Dio, magari lo conosci.”

 

Tanti dati vorticarono nella mente di Nadja a velocità supersonica, e anche contemporaneamente.

 

“Daph. Calmati. Ripeti con calma, non le fai capire nulla.” la voce di Sam era di sottofondo.

 

All’altro capo del telefono si sentì un forte sospiro. “Nad… Io vivo con mia madre. Da sempre. E l’unica cosa che mi ha detto è che mio padre è russo. Ora… Io incontro una ragazza che è la mia fotocopia e che è russa…

 

“Quanti anni hai?” la voce di Nadja era glaciale, il suo cervello stava lavorando a velocità allucinante.

 

“Quindici. Faccio gli anni il 13 Luglio.” il filo di voce con cui lo disse si spezzò nell’ultima lettera.

 

Nadja chiuse gli occhi, sospirando rumorosamente. “Anche io.” fece, piano. “Come si chiama tuo padre?”

 

“E’ un blader molto famoso. E’ stato campione del mondo.” i battiti del cuore di Nadja accelerarono. “Kai Hiwatari.”

 

Nadja non fu in grado di dire niente per molti secondi. Sentiva solo il suo cuore martellare nelle orecchie e le lacrime pungerle negli occhi. Per confermare o altro scelse un’altra frase: “Hilary Tachibana è mia madre.”

 

Daphne era impietrita. “Oh, Dio.”

 

“Vediamoci questo pomeriggio. Urgentemente.” poi chiuse la comunicazione.

 

Resta calma, resta calma, resta calma.

 

Sentendosi visibilmente sconvolta e sull’orlo di una giustificata crisi di nervi, Nadja fece quello che faceva sempre quando il suo temperamento placido e tranquillo subiva dei cambiamenti da fattori esterni: cercò un punto focale.

In quel caso, era costituito da uno specchio.

 

Guardando quella ragazza così pallida e turbata, cercò immediatamente di restare ancorata alla realtà, e anche di trovare una scusa qualora i suoi zii le avessero chiesto spiegazioni. Dopodiché, una volta smesso di tremare, si voltò, andando verso la coppia che, come al solito, stava battibeccando riguardo qualcosa di non ben definito.

 

Eccolì lì, i suoi zii, tra le persone di cui si fidava di più al mondo. Eppure in quel frangente era furibonda con loro: la sua indole era pacifica per natura, ma, se stuzzicata, diveniva vendicativa a mai finire. E lei era sicura, sicura, che loro sapessero.

 

“Stai bene, tesoro?” la sorella di suo padre smise immediatamente di parlare con suo marito per rivolgersi a lei.

 

“Accidenti come sei pallida.” fece eco il marito. “Qualche brutta notizia?”

 

Nadja dovette farsi forza per non rispondere in maniera tagliente. “No, ho semplicemente discusso con una mia conoscente. Detesto le persone saccenti.” sputò fuori, velenosa.

 

Takao ridacchiò. “Meglio averti per amica che per nemica, Nad. Sembri così calma e pacata, ma se pungolata sei una iena.”

 

“Sangue Hiwatari.” commentò fieramente Karen, uno scintillio negli occhi viola.

 

“Andiamo a casa?” tagliò corto la brunetta. “Sono stanca.”

 

Mi devo calmare, o qui faccio una strage.

 

 

 

 

Sam e Liz si scambiarono uno sguardo preoccupato: guardare la loro amica che con la forchetta, giocherellava con il cibo, non era uno spettacolo che si poteva vedere tutti i giorni.

Da quando aveva parlato con la probabile gemella era crollata in uno stato catatonico caratterizzato da evidente depressione. Alle continue domande delle altre persone, si curavano di rispondere in maniera il più possibile vaga, anche se non era facile, con una Daphne che non collaborava in nessun modo.

 

Il suono della nuova canzone di Katy Perry interruppe le loro elucubrazioni mentali: la bruna guardò il suo cellulare con tanto d’occhi, leggendovi sul display un MAMMINA che, fino ad allora, era sempre stato accolto con entusiasmo.

 

“Che faccio, ora?” che non volesse parlarle le si leggeva in faccia: mostrava un volto pallido e sconvolto e quasi.... disgustato?

 

Sam inarcò le sopracciglia. “Non hai mai evitato tua madre.” commentò. “Quindi dovrai affrontarla. Per ora… Beh, da’ qua.” fece, con un gesto della mano. Daphne le porse il cellulare, e l’altra rispose. “Pronto, Hilary? Si, sono Samy.” ridacchiò. “Benissimo, come ieri e l’altroieri.” Intanto Daphne si stava mordendo le labbra: poteva sentire appena la voce di sua madre chiedere alla sua amica di lei. “La tua dolce figliola è… beh, impegnata, puoi immaginare. Si, ti faccio richiamare. A presto.” la comunicazione venne chiusa.

 

“Grazie.” soffiò.

 

La rossa aveva le sopracciglia fin sopra nei capelli. “Mi auguro almeno che questo pomeriggio sia fruttuoso per te.”

 

Liz mostrò un’espressione corrucciata. “In che senso?”

 

“Spero che sia tutto un gigantesco equivoco.” sbuffò. “Altrimenti sarà un casino.”

 

La bruna si morse le labbra. “Lo scopriremo, suppongo…”

 

 

 

 

Il Louvre era un museo gigantesco e bellissimo: a Daphne sarebbe piaciuto, se se lo fosse goduto davvero.

 

Invece era costretta a stare con il gruppo per ascoltare noiose spiegazioni circa quadri e sculture che avevano studiato a scuola in storia dell’arte. L’ansia la stava mangiando viva, le stava corrodendo le interiora, il cervello, fin dentro l’anima. Lei doveva sapere.

 

“Smettila di mostrare quell’espressione sofferente, mi fai agitare.” sibilò Liz. “E poi se non ti domini la Smith e la Watson capiranno che c’è qualcosa che non va.”

 

Daphne si morse le labbra, ma non disse nulla: cercò semplicemente di sgomberare la testa dai pensieri e assunse un’aria normale, fingendo di ascoltare; passarono così i minuti, lunghi come giorni, fino a quando la vibrazione del cellulare la fece sobbalzare. Nadja era arrivata.

 

Alzò la mano per farsi notare da un’insegnante, e una volta attirata l’attenzione della signorina Watson, riuscì ad inventarsi qualcosa di non troppo grandioso. “Non mi sento granché bene: potrei andare a prendere una boccata d’aria fuori?”

 

La docente la squadrò, e probabilmente dovette pensare che la vivace Daphne Tachibana, pallida e silenziosa, doveva stare veramente male, perché le lanciò un’occhiata preoccupata. “Stiamo finendo, tra un po’ usciremo di qui e vi lasceremo liberi. Riesci a resistere qualche minuto?”

 

Forse anziché parlare di nascosto e in fretta e furia sarà più utile parlare con calma… Si, va bene.” quando tornò dalla amiche, porse il cellulare a Sam. “Scrivi a Nadja che non appena possiamo la raggiungeremo. La Watson ha detto che a minuti ci lasceranno liberi.

 

 

 

 

Quindici minuti più tardi, sistemandosi il cappellino alla francese e gli occhiali da sole, Nadja sospirò, seduta nel bar nel quale aveva dato appuntamento alle altre ragazze. Nervosissima e preoccupata, non avrebbe saputo resistere un minuto di più, se non avesse scorto le figurette delle inglesine affacciarsi in lontananza e venire verso di lei. Facendo un cenno, si preparò con un sospiro al confronto, sgomberando il tavolo dalla sua borsa nera.

 

“Scusa il ritardo, ma almeno adesso abbiamo un’oretta, e non minuti contati.” esordì Liz.

 

“Che look, sembri una star che non vuol farsi riconoscere.” provò a scherzare Sam.

 

Nadja si morse il labbro inferiore. “Ho pensato che se ci vedessero i vostri compagni…” lei e Daphne si guardarono come bombe ad orologeria.

 

“Va bene, perciò terrai gli occhiali da sole.” provò a smorzare la tensione Liz.

 

Seguirono diversi secondi di silenzio, interrotti da un sospiro di Sam. “Andiamo, ragazze: so che siete spaventate, ma non fatevi prendere dall’ansia, dai! Siete qui per confrontarvi. Non per uccidervi a vicenda.”

 

Nadja annuì. “Hai ragione.” poi si rivolse a Daphne. “Sei nata il tredici Luglio.” lei annuì. “Anche io. E Hilary Tachibana è tua madre, così come mio padre è Kai Hiwatari.” lei annuì, rigidissima. “Bene. A me hanno sempre detto che mia madre si chiama Hilary Tachibana, e stamattina mi hai detto che tuo padre si chiama come mio padre. E, ti assicuro, che di suoi omonimi non ce ne sono.

 

“Poi siete palesemente uguali…” continuò Liz. “… Siete gemelle.”

 

“Che situazione.” commentò Sam.

 

Un singhiozzo interruppe la scena.

Daphne stava piangendo, palesemente sconvolta. Le tremavano le spalle, e presto si coprì gli occhi con le mani.

 

“Ehi…” le fu subito accanto Sam.

 

“Non è giusto.” singhiozzò la brunetta. “Io e mia madre siamo migliori amiche, ci adoriamo, ci diciamo tutto. Perché, perché, perché, non mi ha detto che ho una gemella?!” e giù una scarica di singhiozzi.

 

“Credo che sia a causa della storia tra i nostri genitori.” ragionò Nadja; Daphne la guardò, gli occhi pieni di lacrime. “Non so cosa ti hanno raccontato, ma mio padre è un uomo freddo, tutto d’un pezzo, che non si lascia andare ai sentimentalismi… Eppure mi hanno detto che per mia – nostra – madre lo fece. E lei, un giorno, si mise il suo cuore sotto le scarpe e sparì; da quel giorno decise che nella sua vita ci sarebbe stato posto solo per una sola donna: io.

 

“Non posso credere che Hilary farebbe mai qualcosa di simile.” esclamò Sam, sconvolta.

 

“A me è sempre stato detto così.” disse Nadja, scrollando le spalle. “Che lei lasciò gli amici e mio padre fregandosene anche di me per seguire i suoi sogni, solo perché qui si sentiva pressata.”

 

Sentendo descrivere sua madre come una prepotente arrivista, in Daphne crebbe un moto di contrarietà. “Non ci credo.” fece, asciugandosi le lacrime. “C’è di più, molto di più. Ne sono sicura.”

 

“Tu su papà che hai sentito?”

 

Praticamente niente. Mamma non ne parla mai. Me ne parla zio Max, ma dice solo che è il miglior blader che lui abbia mai conosciuto, e glissa sempre quando gli chiedo di lui e mamma insieme.” fece, sistemandosi i capelli. “Di lui ho avuto soltanto una foto, che ho trovato nel comodino di mamma… ecco, la porto sempre con me.”

 

La foto, era in realtà un’istantanea strappata a metà, sbiadita dal tempo, che ritraeva un bel giovane sui vent’anni in smoking, probabilmente durante una serata di gala, sorridente e con una luce particolare negli occhi viola.

 

“E’ mio padre.” la voce di Nadja era sicura, mentre cercava qualcosa nella tasca interna del suo trench. “E ora il puzzle si ricompone… In ogni senso.” tra lo stupore generale, estrasse l’altra metà dell’istantanea, raffigurante una bella ragazza bruna dalla pelle candida con un sorriso raggiante.

 

“E’ mia madre.” ormai Daphne si stava molto lentamente riprendendo dallo shock. Qualcosa iniziava a quadrare, come ad esempio le foto, che si incastravano alla perfezione.

 

“Sembra che qualcuno, accecato dalla rabbia, abbia strappato la foto quand’era tutta intera.” fece Sam, prendendo entrambi i pezzi. “Osservate i bordi: sono perfettamente dritti, tranne qui, dove vi è un inizio trasversale.” fece il gesto di strappare un tovagliolo che non accennava a collaborare. “Vedete?”

 

Nadja la ascoltava con attenzione. “Beh, wow.”

 

Liz sbuffò. “Mandala pure affanculo. E’ che dice sempre che deve fare la psicologa criminale.” qui ci fu una breve risata generale.

 

Daphne si ravviò una ciocca dietro l’orecchio prima di guardare la ragazza che aveva conosciuto appena quella mattina. “Beh, allora mi sembra proprio di capire che siamo… sorelle.” lo disse corrucciando le sopracciglia, come se non riuscisse a crederlo possibile.

 

“Un po’ di più a dire il vero: siamo gemelle.” le rispose l’altra con un sorrisetto quasi di scuse.

 

Daphne ridacchiò nervosamente, nascondendo la bocca dietro le mani, come se, così facendo, potesse venire meno il suo nervosismo. “Oh, Dio…”

 

“E adesso che fate?”

 

Sam guardò la bionda Elizabeth di traverso. “Tu un po’ zitta no, eh?”

 

“Beh, avrebbero dovuto affrontare il problema, prima o poi.”

 

Nadja scosse la testa. “Non ne ho idea. Io… Vorrei conoscere mia madre… E vorrei anche capire come mai ci hanno separate senza dirci nulla, ma non so co-”

 

“Ho un’idea geniale.” la interruppe Daphne.

 

“Si salvi chi può.” rantolò Liz, mentre Sam, da atea, si faceva il segno della croce.

 

Ma la loro amica non diede segno di averle minimamente ascoltate. “Tu abiti a Mosca, io abito a Londra. Tu vuoi conoscere mamma, io papà.” qui sorrise largamente. “Bene. Io torno alla base tra qualche giorno, e tu pure, quindi abbiamo qualche giorno di tempo per studiarci e conoscerci, perché io torno a Mosca come Nadja, e tu in Inghilterra come Daphne.” quando vide gli occhi della gemella raggiungere le dimensioni di due palline da tennis, sbuffò. “Oh, so bene che la pagliacciata non potrà durare, ma che altro proponi? E’ il solo modo per stare un po’ con i nostri vecchi e per sapere la verità. E vuoi sapere una cosa? Ad un certo punto… Beh, dovranno venire a scambiarci… Lì si che ci sarà da ridere.”

 

“Ci sarà proprio da ridere, perché papà detesta essere preso in giro.” grugnì l’altra.

 

“Trovami una persona che l’adora.” ribatté fieramente Daphne. “E poi anche lui ci ha preso per i fondelli.”

 

Furono queste parole a far scattare qualcosa nella testa della razionale e assennata Nadja. “Okay, ci sto.”

Anche se so che me ne pentirò.

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa è stato svelato. u___u

Qualcosa, che, ovviamente, era chiaro. Le somiglianze con “Genitori in Trappola” finiscono qui, perché da questo momento in poi la storia prenderà una piega completamente, assolutamente diversa: sarà sempre una commedia, certo – la Hiromi non si smentisce mai xD – ma di tanto in tanto avrà anche toni più… seriosi. u.u

Torneranno tuuuuutti i personaggi. E quando dico tutti, dico tutti. O quasi. xD

Anyway, state sintonizzati, dovremmo aspettare due capitoli per vedere Kai e Hila come genitori. *.* Ma avverrà, ve lo assicuro. ;)

Nel frattempo, ditemi come vi sembra. =D

 

Un bacione,

 

Hiromi

   
 
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