Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: smiles    18/01/2011    4 recensioni
Bella ed Edward si conoscono dall'età di sette anni e sono migliori amici, praticamente inseparabili.
La vita di Bella viene sconvolta quando Edward scompare nel nulla senza lasciare tracce di sè.
Ma lei non può perdere la speranza, sa che in qualche modo ritroverà la persona a cui tiene di più al mondo.
Edward tornerà a Forks? E sarà sempre lo stesso o qualcosa in lui sarà irreversibilmente mutato?
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Make a Wish - Chapter 1 Autore: smiles
Categoria: Twilight
Titolo: Make a Wish
Generi: Erotico, Malinconico, Romantico.
Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti.
Contesto: Nessun libro/film.
Rating: Arancione.
Avvertimenti: OOC.
Introduzione: Bella ed Edward si conoscono dall'età di sette anni e sono migliori amici, praticamente inseparabili.
La vita di Bella viene sconvolta quando Edward scompare nel nulla senza lasciare tracce di sè.
Ma lei non può perdere la speranza, sa che in qualche modo ritroverà la persona a cui tiene di più al mondo.
Edward tornerà a Forks?  E sarà sempre lo stesso o qualcosa in lui sarà irreversibilmente mutato?


MAKE A WISH

Chapter 1. Disappeared

Continuano senza sosta le ricerche di Edward Masen, il diciassettenne scomparso il ventidue settembre a Forks. Le autorità competenti ci informano che stanno seguendo diverse piste importanti ma fino ad ora nessuna sembra portare a svolte significative.
La voce della telecronista si dissolse lentamente, man mano che mi allontanavo dall'abitazione in cui qualcuno stava guardando il telegiornale cittadino a tutto volume. Era doloroso sentir ripetere costantemente le stesse cose. Edward Masen, lo studente modello, il ragazzo per bene, il cittadino perfetto, era scomparso e da allora nessuno sapeva più che fine avesse fatto. Tutti erano addolorati. La gente guardava sua madre Elizabeth con occhi rattristati, pieni di compassione. Ma nessuno poteva capire cosa provava, cosa provavamo noi. Un dolore lacerante che ti toglie il respiro e ti fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Lentamente sparisci, vieni risucchiato, proprio come lui. Edward era il mio migliore amico. Dolce, premuroso, sempre disponibile; il fratello che non avevo mai avuto.
L'avevo conosciuto all'età di sette anni, quando si trasferì a Forks con sua madre e suo padre, Edward Masen Senior. Quel ricordo mi riempiva il cuore di dolce nostalgia e felicità. Stavo tranquillamente passeggiando con mia madre e mio padre per il parco cittadino quando vidi l'altalena, il mio gioco preferito. Lasciai prontamente le mani dei miei genitori e cominciai a correre a perdifiato per poterci salire, ignorando le urla di mia madre che mi supplicava di stare attenta a dove mettevo i piedi. Inciampai in un sassolino che era sfuggito alla mia vista e caddi rovinosamente per terra, sbucciandomi un ginocchio. Le lacrime si addensarono subito dentro i miei occhi finendo poi per bagnarmi le guance e desideravo solo che mia madre venisse a soccorrermi.
«Ti sei fatta male?» domandò una vocina alle mie spalle, mentre io mi mettevo seduta sull'erba umida. Mi si parò davanti un ragazzino magro e slanciato, i capelli bronzei e gli occhi verdi. Scioccamente pensai che fosse il "Principe Azzurro". Era così che doveva essere no? Bello, dolce, sempre pronto a soccorrere una fanciulla indifesa; ma lui era vestito con maglietta e calzoncini, niente mantello o cavallo bianco in vista.
«Sì, guarda», piagnucolai indicandogli il ginocchio sanguinante. Si inginocchiò davanti a me e guardò la ferita, esaminandola con cura come fosse un medico.
«E' solo un graffietto», mi rassicurò lui sorridendomi. Estrasse un cerotto celeste con delle piccole faccine sorridenti stampate sopra dalla tasca dei pantaloncini e, dopo aver soffiato delicatamente sul mio ginocchio, lo poggiò sopra coprendo la parte lesa. «Ora è a posto», mi sorrise ancora.
Mia madre fu in pochi secondi vicino a me, ansiosa come sempre, a controllarmi. «Ti sei fatta male tesoro? Hai battuto la testa? Charlie, andiamo immediatamente al pronto soccorso!» strepitò Renèe completamente fuori di sè.
«Ma mamma, sto bene, lui mi ha aiutata», dissi asciugandomi le guance con il dorso della mano. Già a quei tempi odiavo gli ospedali. Mia madre non sembrava essersi nemmeno accorta della sua presenza perciò guardò stralunata il ragazzino che si alzò, scuotendosi la terra dalle gambe.
«Oh, ma che bravo bambino», cinguettò contenta.
Lui non le rispose, ma si rivolse a me. «Mi chiamo Edward, vieni a giocare con me?» domandò porgendomi una manina per aiutare ad alzarmi. Io accettai più che contenta.
«Io mi chiamo Isabella», dissi sistemandomi il detestato vestitino a fiori che mi aveva comprato mia madre.
«Per me tu sarai Bella», rispose mentre già correva verso lo scivolo. Da quel giorno il mio soprannome divenne Bella.

Il vento fece volare alcuni fogli sopra la mia testa, risvegliandomi dai miei ricordi. Dannazione, i volantini! pensai mentre mi sbracciavo per recuperare quelli che si erano staccati dal mucchio che reggevo in una mano. Uno di essi piroettò leggero in aria, sferzato dal vento autunnale, finendo schiacciato contro un palo della luce. Edward Masen, ragazzo scomparso. Chiunque avesse notizie è pregato di contattare il capo della polizia Charlie Swan. Quella era la scritta che campeggiava sui volantini di cui era tappezzata l'intera città, accompagnata da una foto di Edward. Io stessa mi occupavo del volantinaggio, benchè con i volantini si risolvesse davvero ben poco. La polizia, nonostante rassicurasse i giornalisti dicendo di avere "diverse piste importanti", brancolava nel buio più totale da ormai dodici giorni e sette ore, il momento di cui le sue tracce sembravano mescolarsi al nulla. Una vocina fastidiosa nel mio cervello mi sussurrava di smetterla di sperare, ormai era andato. La scacciai scuotendo la testa e tornai al mio lavoro; presi un volantino, spruzzai una striscia di colla a caldo sul retro e lo appiccicai con forza contro un palo della luce. Ripei quell'operazione ancora e ancora, camminando per le strade poco trafficate di Forks.
La gente mormorava che fosse scappato, alla sua età si commettono tante stupidaggini dicevano, ma io conoscevo troppo bene Edward per credere ad una sciocchezza simile. Il maledetto giorno in cui era scomparso eravamo andati a scuola insieme come ogni mattina, discutendo tranquillamente dei compiti che il signor Banner ci aveva assegnato per quella settimana.
«E' un despota, non può pretendere che facciamo una tesina di cinquecento parole sulle fasi della mitosi cellulare. E' inumano!» aveva commentato Edward passandosi una mano tra i capelli perennemente scompigliati.
«Ti lamenti tu che sei il migliore della classe? Secchioncello ingrato che non sei altro», lo apostrofai ridendo e lui rise con me.
«Spiegami dove trovo cinquecento parole per descrivere la mitosi, io ne ho solo quattro: profase, metafase, anafase e telofase», spiattellò tranquillamente termini di cui avevo sentito parlare in classe ma di cui ovviamente non ricordavo il significato. «Perciò signorina Swan lei è ufficialmente costretta a venire a casa mia per fare i compiti insieme.»
«E va bene, ma tanto lo sai già che finirai per fare tutto tu», lo avvertii.
«Ti legherò alla sedia fino a quando non avrai scritto la tua tesina», scherzò lui, si girò per lasciarmi un bacio sulla guancia e si diresse a lezione d'Inglese, unica materia che non avevamo in comune. Quella fu l'ultima volta che lo vidi.
Quel pomeriggio avremmo dovuto vederci, lui era assolutamente tranquillo e felice, non sarebbe scappato. Lui mi raccontava tutto, se c'erano problemi me lo avrebbe detto o comunque l'avrei capito; era il mio migliora amico dannazione! Era la persona che conoscevo di più al mondo. No, lui era stato costretto ad andarsene, me lo sentivo. Dovevo aggrapparmi alla speranza che sarebbe tornato, altrimenti sarei morta.
Il cielo stava diventando scuro ed io ero troppo persa nei miei pensieri per continuare a tappezzare la città con i volantini. Mi diressi verso il mio pick-up rosso, unico mezzo di trasporto che possedevo, poi mi sedetti al posto di guida gettando violentemente i volantini sul sedile del passeggero. Quasi mi sembrò di vederlo lì seduto come ogni pomeriggio mentre tornavamo da scuola, lamentandosi di quanto fosse lenta la mia macchina o giocando con la radio mal funzionante. Il motore prese vita con un rombo e feci inversione, dirigendomi verso casa mia.

Già, casa mia. La fiera dell'odio, avrei dovuto dire. Detestavo mia madre che continuava a ripetermi che Edward sarebbe tornato presto, detestavo mio padre perchè era il dannatissimo capo della polizia e non riusciva a trovare il mio migliore amico scomparso, detestavo la mia casa perchè in ogni angolo sembrava celato un ricordo di Edward pronto a sbucare fuori dagli oggetti. Cosa non meno importante detestavo me. Detestavo me e basta, senza nessun motivo in particolare.
Uscii dall'auto sbattendo lo sportello e mi misi a frugare nella tasca in cerca delle chiavi, lo sguardo perennemente basso a fissare le mie scarpe rovinate. Girai la chiave nella serratura e mi ritrovai nel caldo e asciutto soggiorno di casa mia.
«Tesoro, la cena è pronta», disse mia madre affacciandosi appena dalla cucina mentre io mi dirigevo già verso la mia stanza.
«Non ho fame», mormorai con il solito tono distaccato salendo le scale.
«Bella tu devi mangiare, non hai nemmeno fatto colazione oggi», il suo tono era supplichevole, non sapeva essere autoritaria. Non mi presi neanche la briga di rispondere, entrai in camera mia sbattendo la porta e mi lasciai andare sul letto. Sentii i passi di mia madre sulle scale, sbuffai e mi voltai su di un fianco fissando la finestra.
«Piccola, lo so, tu stai male ma non puoi ridurti alla fame. Io ti capisco...»
«Tu non capisci niente!» la interruppi tirandomi di scatto a sedere sul letto. «Dite tutti così! Io ti capisco, so come ti senti, bla bla bla. Voi non sapete un cazzo, questa è la verità!» Non passò neanche un secondo prima che la sua mano mi colpisse il viso in uno schiaffo. Mi sfiorai la guancia con la mano, fissandola stupefatta. Si sedette sul mio letto, abbracciandomi con forza mentre mi lasciavo andare ad un pianto liberatorio. Ora lo capivo, l'aveva fatto per farmi sfogare, era la prima volta che piangevo dopo la scomparsa di Edward.
«Non ti capisco, hai ragione, non posso stare male quanto stai tu ma guarda come ti sei ridotta. Edward vorrebbe questo? No, lui ti vorrebbe felice non distrutta.»
«Mi manca troppo mamma», dissi tra i singhiozzi, «rivoglio il mio migliore amico indietro.»
«Vedrai che tornerà presto, è un bravo ragazzo», tentò di rassicurarmi. Mi abbracciò sino a quando non mi addormentai ormai esausta sulla sua spalla.

Mi ridestai dal torpore che erano ormai le dieci di sera. Mi sentivo intorpidita e stanca, perciò decisi di fare una doccia rilassante prima di andare definitivamente a dormire. Il giorno dopo sarebbe stato impegnativo, avevo un compito in classe di biologia e due ore di letteratura inglese. L'acqua calda mi sciolse i muscoli e il cervello, lasciandomi in uno stato tranquillo e privo di qualsiasi pensiero negativo. Mia madre potevo anche avere ragione, forse Edward sarebbe tornato presto.
Mi strinsi nell'asciugamano e tornai in camera dopo aver pettinato i capelli. Indossai un pantalone della tuta e una maglietta leggera, una mise che usavo spesso come pigiama, e mi persi a osservare il cielo oltre la finestra, poggiandomi con i gomiti sul marmo freddo. Aprii la finestra per lasciar passare il vento, mi piaceva la sensazione di freschezza che lasciava sulla pelle e rimasi lì a guardare le stelle brillare pallidamente nel cielo di inizio ottobre. Una stella cadente attraversò il cielo in una frazione di secondo, catturando la mia attenzione.
Esprimi un desiderio. Le parole mi risuonarono nelle orecchie come se fossero state appena dette, ma erano solo il pallido ricordo della sua voce. Ricordavo perfettamente quando nelle sere d'agosto passate a La Push mi aveva sussurrato quelle parole ogni qual volta una stella cadente illuminava il cielo.
«Voglio che Edward torni», mormorai a mezza voce, guardando la scia svanire nel cielo.
Bella. Potevo giurare di aver sentito qualcuno sussurrare il mio nome e in quel preciso istante qualcosa si mosse tra gli alberi. Mi scostai dalla finestra e la chiusi di scatto. Diamine, ora avevo anche le allucinazioni! Mi fiondai sotto le coperte e aspettai che Morfeo venisse a condurmi nel sonno, sapendo che l'indomani sarebbe stato diverso.









- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -


Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti! Quando la fantasia chiama mi tocca rispondere perciò eccomi qua con un'altra fanficion, diametralmente diversa dalla precedente!
Spero che questa storia vi piaccia, l'idea mi è balenata in testa questa mattina e ho subito scritto il primo capitolo per non perdere l'ispirazione. Sarà una storia che avrà uno svolgersi un po' erotico e OOC come piacciono a me. Edward tornerà, non tornerà, perchè è andato via? Lo scoprirete solo leggendo i prossimi capitoli (;
Quindi, non vi spoilero niente e vi rimando al prossimo aggiornamento, ci sentiamo prestissimo!
Bacioni, Mary.
P.S: Seguite l'altra fanfic che sto scrivendo, Escaping.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: smiles