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Autore: fatina83    18/01/2011    1 recensioni
Sophie è una ragazza semplice che fa l'incontro della sua vita ma il problema e che la sua semplicità andrà a scontrarsi inevitabilmente con quella di lui molto più dura e problematica. Riuscirà a cavarsela e uscirne comunque a testa alta???
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jackson Rathbone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo11 : STRANO APPUNTAMENTO
 
Il giorno della premier si avvicinava e presto avrei rivisto di nuovo Jay, dopo quel bacio quasi sfiorato non facevo che pensare a lui. Cercavo in tutti i modi di  concentrarmi su altro, ma la sua completa assenza occupava i miei pensieri per tutto il giorno. Le sue telefonate arrivavano in tarda serata, e completamente stanco ed assonnato mi dava solo la buona notte. Quel giorno o meglio la sera prima mi aveva chiesto un favore, voleva che lo accompagnassi a comprare il completo per la Premier, voleva un consiglio e io accettai volentieri, per me era l’occasione per rivederlo anche se avrei passato con lui pochissimo tempo, mi aveva avvisato su questo, ma mi bastava. Mi preparai e presto fui pronta, il suo messaggio arrivò poco dopo e mi fiondai giù rischiando anche di cadere per le scale, era troppa la voglia di rivedere quegli occhi. Cercai la sua auto e dopo una breve ricerca la trovai, lui era li dentro nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole, come al solito tra l’altro, era difficile per lui fare un passo senza essere riconosciuto. 
Entrai dentro e subito gli sorrisi, avevo una gran voglia di abbracciarlo e di dirgli che mi era mancato, ma era meglio che il mio entusiasmo rimanesse nascosto.
«ciao, come stai? » chiesi forse con un po’ di enfasi
«Bene adesso che ti vedo sorridente, allora sei pronta per passare una mattina un po’ …diversa» che carino che era quel suo sorriso
Accennai un sì e presto sfrecciammo tra le strade di Los Angeles. L’auto si fermò a Beverly Hills e lì scendemmo.
 
«vieni, devo andare a prendere delle cose, portarle al mio agente e poi ho un appuntamento qui vicino ad un’un atelier con il mio personal stylist».
«hai un personal stylist» chiesi curiosa
«si, ho qualcuno che mi dice come vestirmi, come pettinarmi e anche qualcuno che mi dice cosa dire» era molto deluso, si sentiva che questo modo di fare non gli piacesse molto, beh neppure a me sarebbe piaciuto una cosa del genere, era come essere un eterno bambino, con la mamma che ti prepara i vestiti sul letto prima di andare a scuola.
«non sembri molto contento di questo»
«ogni tanto vorrei fare a modo mio, come quando mi preparo per i miei concerti, lì s’ che mi diverto, ma per le occasioni ufficiali sono legato».
Arrivammo in prossimità di un grande palazzo fatto tutto di specchi, entrammo e rimasi incantata, la struttura era particolare, ma non fu quello che mi lasciò sbalordita, era un ambiente elegante, mi sentivo fuori luogo, alle pareti milioni e milioni di foto di personaggi importanti e tutte una più bella dell’altra. Ci avvicinammo alla reception e la ragazza fece un mega sorriso al mio accompagnatore
 
«Salve Jackson, come va?…le tue foto sono pronte, sono contenta che sei venuto personalmente a ritirale» una ragazza molto aggraziata lo salutò con molta appagamento, era molto carina, ma allo stesso tempo era vuota dentro, non so come spiegarlo ma i suoi modi erano veramente fuori dal comune, cercava il contatto con la sua mano, uscì da dietro al bancone e lo andò ad abbracciare
«ciao Sara, grazie mille, ma sai, a Pach servono subito, sarà lei poi a parlare con Taylor per confermare il tutto»
«ok, allora vado a prenderti le foto»
La ragazza si allontanò e lui si avvicinò a me, mi osservò e notò lo sguardo meravigliato che avevo in quel momento.
«allora che te ne pare»
«è bellissimo qui ma…cos’è»
«è lo studio fotografico di un famoso fotografo di Los Angeles, ho dovuto fare delle foto per un giornale e il mio agente vuole dare un’occhiata a tutte le foto prima di far procedere con la stampa, oltre al servizio ho fatto anche un’intervista, ma quella non è modificabile»
«ma se ti dicono cosa dire, diciamo che non hai di che preoccuparti». Tornò subito serio e per l’ennesima volta mi resi conto che avvolte dovevo contare fino a dieci prima di aprire la bocca, non lo conoscevo bene ma avevo capito che quel suo mondo lo portava a fare cose che a lui non andavano molto giù.
 
L’arte era la mia passione e con la parola arte includevo anche le foto artistiche e non solo, per me tutto era arte, anche la forma strane di una foglia o il colore limpido di una pozzanghera, era quello per me il bello della fotografia, fotografare il mondo nelle sue sfaccettature, non persone e celebrità come forse lo era per il novantanove percento delle persone di quella città che andavano in giro per le vie con una macchinetta sempre pronta dentro la borsa per non perdere nessuna occasione.
 
La ragazza tornò con in mano una busta, la poggiò al bancone e dopo aver dato un modulo da firmare, riprese a fare gli occhi dolci.
«allora quando ti rivedrò, mi devi un caffè…ricordi?!? »
«non lo so, magari al prossimo servizio fotografico, credimi sono davvero impegnato e tra poco partirò per il tour, sai dove suoniamo, perché non vieni a fare un salto tra qualche mese suoneremo qui vicino, sulla 24th»
«e non c’è modo di vederci prima, magari soli, senza la sorellina»
«sorellina….ahahahah…non è mia sorella» sorrise lui mentre a me stavano già fumando le narici.
«ah…scusami, non volevo allora è…»
Il comportamento di quella ragazza mi fece diventare di mille colori, verde di invidia, per la spontaneità che aveva avuto, rossa di rabbia, per averci provato, nera furiosa per aver pensato che fossi sua sorella. Decisi di interrompere quel suo volersi vendere e portare via Jay dalle grinfie di quella donna senza ritegno
«allora Jay, hai fatto, abbiamo altre cose da fare ricordi» cercai di allontanare la preda dagli artigli del predatore e grazie al cielo lui mi ascolto.
«certo Sophie, andiamo… ciao Sara, è stato un piacere averti rivisto alla prossima»
 
Sorrise appena fuori dal palazzo mentre io tenni il broncio per tutto il tragitto, se ne accorse, ma non sembrava darci peso, anzi sembrava divertito da quel mio comportamento.
«allora, vuoi tenere il broncio per tutto il tempo che starai con me oppure vuoi di nuovo parlarmi? »
«non faccio il broncio»
«si invece, appena sei salita in macchina avevi un sorriso che illuminava la giornata e adesso, tra poco spunteranno le nuvole, cosa è successo?» come se non lo sapesse…mi ero ingelosita e non dovevo…accidenti a me e quella Sara.
«nulla di che»
«vediamo se riesco a farti sorridere, vuoi vedere le foto? »
«dici che posso?»
«certo sono le mie foto» 
Ci sedemmo su una panchina lungo la strada e mi passò la busta. L’aprì delicatamente e cercai di tirale fuori, senza per questo toccarle, non avrei mai voluto rovinarle, ungerle o ancora peggio lasciare le mio impronte sulla patina di lucido.  Scivolarono fuori e le guardai una per una. Erano bellissime, lui era bellissimo, gli occhi erano nascosti dietro un paio di Ray-Ban bianchi e il suo solito sorriso illuminava la foto come se fosse lui il sole. Erano davvero tante, una più bella dell’altra e il soggetto era capace di tenere lì chiunque le ammirasse, aveva un magnetismo unico e non sapevo ancora come io facessi a resistergli.
 
«sono bellissime»
«bene…vedo che ti è tornato il sorriso»
«scusami per prima»
«ti ha dato fastidio che ti abbia scambiato per mia sorella? »
«no, figurati e che…bè lei ci provava spudoratamente e tu sembravi assecondarla» “ ma che diavolo mi passa per la testa… gli ho appena confessato che mi piace… ecco sono regredita… ecco la dodicenne che c’è in me salire di prepotenza… pista fammi largo… ocche adesso un colpo di tosse e CRESCI STUPIDA”
«allora sei gelosa? »
«per nulla, è solo che non ti ci vedo con una come lei» dissi in tono serio e mi alzai di scatto accelerando il passo per non fargli vedere il mio viso, che sicuramente era diventato di mille colori dall’imbarazzo.
Percorremmo ancora un po’ di strada ed all’improvviso mi ritrovai davanti al palazzo dove lo avevo scontrato quel giorno, il mio primo giorno a L.A.
«è qui …che ci facciamo qui? »
«ti ricordi del posto vedo… qui c’è il mio agente, ci metterò solo pochi minuti»
Questa volta non lo seguì del tutto, rimasi fuori nella sala d’attesa mentre lui entrò direttamente nell’ufficio. Da dentro sentivo i toni di voce incendiarsi, stavano urlando, garbatamente uno contro l’altro, ma non si riusciva a capire l’argomento. Dopo pochi minuti Jay venne fuori, vistosamente arrabbiato, con i tratti del viso tesi e la mascella serrata.
«non mi importa…questa volta faremo come dici tu, ma non ci rinuncio non posso sempre fare tutto quello che mi dici» e sbatté la porta, mentre con lo sguardo mi chiese di seguirlo.
 
Non gli dissi nulla per tutto il tragitto, evitai di toccare l’argomento, di farlo agitare di nuovo, visto che sembrava essersi calmato. Sfiorai per un secondo la sua mano e tutto sembrò cambiare, i denti mollarono la presa e dalla sua espressione imbronciata nacque un sorriso. Prese la mia mano e la strinse, lui era diventato rosso, mentre il mio colore era sicuramente più acceso del suo, la tenne stretta, fiero ed orgoglioso camminava per quella strada, come se volesse farsi vedere da tutti, come se gli facesse davvero piacere quella inconsueta situazione. Entrammo in atelier e dentro c’erano 2 persone ad aspettarlo. Avevano già deciso ed accostato un paio di abiti ed indumenti, dopo aver parlato con lui lo aiutarono a portarli nel camerino.
 
«arrivo, mi provo questi abiti e mi raccomando, voglio che tu mi dica cosa ne pensi»
«va bene» risposi accennando un sorriso
Sparì dietro ad una porta per venire fuori poco dopo, aveva messo un bellissimo vestito scuro, stava davvero bene, anche se quel filo di barba non sembrava convincere i suoi collaboratori ma a me piaceva. Cercò il consenso nei miei occhi e con un sorriso gli comunicai che stava benissimo. Il cambio abiti fu veloce e procedette così per altre 3 volte. Ogni volta sembrava meglio della precedente.
 
La mattinata passò in un baleno e lui a causa dei suoi impegni dovette portarmi presto al campus. Il cellulare gli suonò in continuazione per tutto il tragitto che dal negozio portava all’UCLA, ma dopo la prima occhiata fece finta di nulla, continuò a guidare e a parlare come niente fosse. Appena arrivati si fermò.
 
«spero che ti sia divertita»
«molto, mi è piaciuta la sfilata di moda sai»
«a me non tanto, non mi piace ogni volta attendere che mi diano l’ok, non lo sopporto, a me quando piace una cosa la compro, ma quando ci sono loro, è impossibile»
«immagino, ma ti stavano davvero bene quegli abiti, soprattutto la camicia grigia e il gilet sopra i jeans»
«bene abbiamo gli stessi gusti» il telefono ruppe la nostra conversazione e con lei limitò pure il tempo. Lui si irrigidì e abbassò lo sguardo.
«devo andare, ci vediamo mercoledì mattina, ricordati» scesi dalla macchina e lui sfrecciò via.
Per tutto il giorno tornò in mente quella ragazza tanto bella quanto sfacciata che gli aveva fatto un’assidua corte. Iniziai a pensare che forse stava andando da lei e per questo il mio cervello iniziò il suoi solito monologo pessimistico e occupò i miei pensieri per 2 giorni.
 
 

Mancavano solo 2 giorni al Red Carpet di New Moon e mia sorella non la smetteva di stressarmi, voleva a tutti i costi che le regalassi un bell’abito per l’occasione per farsi notare sta volta perchè, come diceva lei, era cresciuta. I miei sarebbero atterrati nel pomeriggio mentre quella mattina avevo pensato di invitare Sophie a passare con me la mattinata, soliti giri da fare, ma almeno sarei stato un po’ con lei. Quel bacio sfiorato mi era costato molto, avevo letteralmente sbranato Ben a casa, ma ormai la frittata era stata fatta e quindi dovevo aspettare un altro momento speciale come quello. Chissà quando.
Avevo appuntamento con lei alle 10, niente colazione questa volta…erano troppe le cose da fare e quando fui vicino al campus le inviai un messaggio e lei poco dopo era già da me. Dopo i soliti convenevoli partimmo verso Beverly Hills, era quella la meta mattutina e nonostante non avevo manifestato nei suoi confronti tanta gioia, era comunque con il solito sorriso stampato sulle labbra. Mi piaceva guardarla con il vento che entrava dal finestrino e che le scompigliava i lunghi capelli castani, il sole l’abbaglio varie volte e quando riapriva gli occhi la luce le illuminava lo sguardo facendomi tremare dall’emozione.  
 
Prima tappa, Taylor Phoenix. Entrammo nello studio deserto e lei come una turista sembrò scrutare ogni piccolo dettaglio di quella stanza. Mi avvicinai alla reception e parlai con la ragazza, Sara credevo che si chiamasse e per fortuna non sbagliai.
 
«Salve Jackson, come va?…le tue foto sono pronte, sono contenta che sei venuto personalmente a ritirale»
«ciao Sara, grazie mille, ma sai, a Pach servono subito, sarà lei poi a parlare con Taylor per confermare il tutto»
«ok, allora vado a prenderti le foto»
Sara si allontanò, ne approfittai per avvicinarmi alla mia accompagnatrice, era molto timida in quella specifica situazione era come se si trovasse in un luogo magico, aveva gli occhi sgranati, si vedeva ogni piccola sfumatura di quella meraviglia.
«allora che te ne pare»
«è bellissimo qui ma…cos’è»
«è lo studio fotografico di un famoso fotografo di Los Angeles, ho dovuto fare delle foto per un giornale e il mio agente vuole dare un’occhiata a tutte le foto prima di far procedere con la stampa, oltre al servizio ho fatto anche un’intervista ma quella non è modificabile»
«ma se ti dicono cosa dire, diciamo che non hai di che preoccuparti» dopo quella piccola confessione iniziai a sentirmi un perfetto stupido.
 
Sara tornò poco dopo con le foto e nonostante lei si comportava come sempre, il suo atteggiamento sembrava dare fastidio a Sophie e decisi un po’ di giocarci, sapevo che Sara ci provava sempre con me e non volevo darle false speranze, ma le occhiatine fulminee di Sophie che sembravano volerla fulminarla con lo sguardo tirava fuori il bastardo che c’era in me. Dopo vari incomprensioni uscimmo dallo studio fotografico e la piccola Sophie faceva il musino imbronciato offesa per la situazione, anche se negava il reale motivo, sapevo che in fin dei conti gli interessavo e non poco.
 
«vediamo se riesco a farti sorridere, vuoi vedere le foto? »
«dici che posso? »
«certo sono le mie foto»
Lungo la strada trovammo una panchina e li decidemmo di sederci. Le diedi le foto e iniziò a sorridere, era bella quando rideva, le si illuminava il viso, spostò una ciocca di capelli dietro le orecchie e sbuffò via il ciuffo da davanti gli occhi, con cura ripose le foto nella busta e le richiuse
« sono bellissime»
«bene…vedo che ti è tornato il sorriso»
«scusami per prima»
«ti ha dato fastidio che ti abbia scambiato per mia sorella?»
«no, figurati e che…bè lei ci provava spudoratamente e tu sembravi assecondarla»
«allora sei gelosa?»
«per nulla, è solo che non ti ci vedo con una come lei»
Si, era gelosa e tutto ciò le dava un’aria più interessante, come avrei voluto baciarla, in quel momento, in quella panchina. Le gote si colorarono di rosso e chinò la testa dall’imbarazzo, ad un tratto si girò dall’altra parte non appena vide che la stavo fissando. Si alzò di scatto e dopo avermi sorriso mi chiese quale sarebbe stata la prossima tappa. Era finito così il momento magico, senza che io ne potessi approfittare, in fin dei conti, non ero mai stato uno intraprendente.
Dopo un’altra piccola marcia giungemmo nello studio di Pach, riconobbe subito la zona e il palazzo e dopo averle detto cosa eravamo venuti a fare entrammo. Si accomodò mentre io entrai direttamente nello studio. Pach era al telefono, ma ero atteso quindi appena mi vide salutò chi c’era dall’altra parte della cornetta,
 
«ehy ciao Jack, allora come è andata la prima parte del tour»
«ciao, bene…qui ci sono le foto che ha fatto Taylor»
Le prese in mano e iniziò a dargli un’occhiata
«che te ne pare? Pensi che possiamo dare l’ok per il servizio»
« si, penso che non ci siano problemi, ho avuto un ottima critica» dissi soddisfatto del lavoro e del gudizzo che era stato da poco espresso.
«chi ha visto queste foto? »
«le ho fatte vedere ad una mia…ad una ragazza»
«Jay sai come la vedo io questa cosa»
«non mi importa Pach»
«e chi è questa ragazza, cosa fa? »
«è una studentessa si chiama Sophie»
«non voglio che ti faccia vedere in giro con lei»
«cosa? »
«dico che lei è una cattiva pubblicità…sai cosa vuol dire per te avere una ragazza tra i piedi, che molte fans ti metteranno da parte…tu hai bisogno di popolarità, devi andare in giro con qualcuno di importante non con delle ragazzine “DISPONIBILI” »
«basta non ho intenzione di ascoltarti…farò quello che pare a me»
«non la porterai alla premier vero?!? »
«non l’avrei portata con me, è troppo presto per farle conoscere questo mondo
«vuoi un consiglio, non farglielo mai conoscere, liberatene, ti presento una ragazza»
«non voglio conoscere nessuno»
«allora andrai da solo»
Mi alzai dalla sedia, infuriato e senza controllo, aprì di scatto quella porta e ebbi io l’ultima parola
«non mi importa…questa volta faremo come dici tu, ma non ci rinuncio non posso fare sempre tutto quello che mi dici» sbatté la porta e incrociai il suo sguardo interrogativo in quella sala d’aspetto, le accennai un sorriso ed uscimmo da lì.
 
 Avevo passato una bellissima domenica mattina in compagnia di Sophie e devo proprio ammetterlo, mi ero innamorato, non mi importava quanto duro potesse essere il mio lavoro, sentirla a fine serata riusciva ad appagarmi dalla fatica appena conclusasi. Avvolte mi chiedevo cosa dovessi fare per rendere felice il mio Manager, per farle accettare ogni mia decisione, ogni mio colpo di testa, ma per lei Sophie era solo un capriccio che presto sarebbe sparito. La mia caparbietà e la mia faccia tosta aveva prevalso a quel tavolo, ero riuscito ad invitarla a cena, ma inutile, la contropartita era stato Robert, e sì, le avevo detto che lo avrebbe conosciuto e in cambio io avrei avuto come premio una cena con lei. Non mi preoccupava tanto Robert, perché lui aveva la testa e gli occhi su un’altra ragazza, ma non riuscivo a non pensare al fatto che lui fosse più apprezzato di me agli occhi di Sophie, ero geloso, ma la mia preoccupazione più grande iniziava ad essere il mio mondo e le persone che mi circondavano.

  
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