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Autore: yliean    20/01/2011    2 recensioni
È nel mio magico mondo di Alagaesia che nacque una ragazza dai colorati capelli arcobaleno e dai profondi occhi castani, unica superstite di una razza sterminata.
Visse nascosta alla società per 16 anni.
Il suo casuale incotro con Eragon sconvolgerà le sorti di Alagaesia.
La sua venuta scatenerà forze occulte e farà sbocciare amori, il tutto per la brama di scoprire la vera natura di sè stessi.
* Ecco la mia prima ff!! Spero vivamente che vi piaccia!! Entrate e leggete e scoprirete la mia Alagaesia!!*
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Nasuada, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Cap 3                             PRIGIONIERA

Come avevo previsto, atterrammo in uno spiazzo di terra battuta, dove trovai ad attenderci, ad una decina di metri circa, un gran numero di persone. La figura più appariscente era, però, una donna dalla pelle stranamente nera, circondata da urgali, nani, maghi, paggi e guardie. Tutti furono investiti dalla tempesta di sabbia che Saphira aveva provocato con le sue ali, mentre atterrava. Passato il vento rosso, Eragon mi rimise le manette, poi scese dal dorso del suo drago e, infine, aiutò me, prendendomi malamente per un braccio e tirandomi verso terra.
Fu quando poggiai i miei piedi nudi sulla sabbia, che la vidi. I miei occhi corsero veloci tra i visi delle persone, ma si fermarono schifati su di lei. Stavo proprio cercando le fattezze di quel viso. Tra la folla c’era un’elfa bellissima dagli occhi dorati (*), che mi guardava insistente. In quell’attimo mi si offuscò il cervello e una rabbia ceca mi colpì al cuore, come una freccia avvelenata. Quelli erano gli occhi di un’assassina, che, come chiunque appartenesse alla sua razza, aveva distrutto la mia vita. Un lampo attraversò i suoi occhi stupendi, che acquisirono la luce della consapevolezza. Mi aveva riconosciuto. E la mia comparsa doveva farle paura. Ora tutti avrebbero conosciuto la loro vergogna, il loro inutile massacro di una razza di Alagaesia. Magari, i Varden li avrebbero condannati a morte, e loro, sarebbero spariti, cancellati, come fecero con la mia stirpe. E se non li avessero sterminati i Varden, allora, lo avrei fatto io, torturandoli e facendoli soffrire. Mi sentii malvagia, cattiva come non lo ero mai stata. Sentii il dolce sapore della vendetta, assaggiai un ipotetico sapore di sangue e, per poco, ne provai piacere. Ciò mi fece schifo. Ero caduta in tentazione. Sarei diventata come loro, se non fossi fuggita dai Varden in tempo. Sarei diventata io stessa il mio nemico e avrei fatto la cosa che più disprezzavo: avrei ucciso.
Distolsi il mio sguardo da quello dell’elfa e lo posai sul viso di Eragon, che, assistito da un paggio, stava scaricando dal dorso di Saphira le borse e le provviste. Quando lo osservai negli occhi notai subito la differente impressione che procuravano, rispetto a quella gelida delle iridi dell’elfa: il loro colore scuro li rendeva più caldi e affidabili, anche se sembravano stanchi e rassegnati. Il mio intuito mi urlava che lui non apparteneva a quella terribile razza.
Mentre Eragon e le persone tra la folla erano occupate, o a parlare tra loro o, come il cavaliere, a finire di disfare i bagagli, io ero ancora immobile e poco considerata. Se volevo scappare quello era il momento giusto. Dove, però? Il più lontano possibile dall’accampamento, naturalmente!
Allora le mie gambe si mossero da sole. Mi misi a correre nella direzione opposta alle tende. Dopo poco, sulla terra battuta, iniziai a sentire fili d’erba che mi carezzavano la pianta del piede, infine c’era solo erba. Il terreno era della stessa consistenza di quello del bosco, di cui sentivo già abbondantemente la mancanza. Per fortuna stavo scappando per farvi ritorno, e per arrivarvi il più velocemente possibile, costrinsi i muscoli delle gambe a fare gli straordinari. Il mio desiderio di tornare nella foresta era incontenibile, così accelerai come mai avevo fatto in precedenza. Ma corsi per poco, perché davanti a me atterò maestosa Saphira e subito dopo mi ritrovai schiacciata sull’erba, da un corpo. Esso si alzò e mi strattonò con malagrazia. Solo Eragon sapeva essere così sgarbato. Il ragazzo sospirò esausto ed esclamò ironico:<<  Come corri veloce ragazzina! >>  lo guardai spietata e a stento trattenei il mio commento cattivo:“ Merito del mio desiderio di liberarmi al più presto di te e dei Varden!! ” Pronunciare una frase così puntigliosa avrebbe potuto seriamente mettermi in una spiacevole situazione, anche più pericolosa di quanto già non fosse, in particolar modo se il cavaliere si fosse rivelato molto permaloso, come  sosteneva Saphira.
Mentre tornavamo insieme a Saphira nello spiazzo di terra battuta, la signora dalla pelle nera mandò due Kull enormi a sorvegliarmi. Lei doveva essere sicuramente la regina. Il suo portamento autoritario e il numero di guardie di cui era circondata lo confermavano. Ma era una donna molto giovane (25 anni) e, soprattutto, molto bella. Indossava un vestito rosa chiaro, che risaltava molto sulla sua pelle scura, bordato da fili e disegni in oro e argento, e  i suoi capelli, scurissimi, erano tenuti ordinati in treccia, arrotolata sull’alta nuca. Con la schiena ritta si avvicinava a noi, insieme al suo plotone di guardie, e all’elfa. Quando ci trovammo a meno di un metro di distanza, Eragon s’inchino valorosamente e anche Saphira abbassò leggermente la testa. Ebbi l’innata sensazione di trovarmi davanti ad una grande regnante, che si faceva amare dai suoi sudditi.
<< Nasuada, Arya, Orik, Jurmundur, Nar Garzhvog, Orrin… piacere di rivedervi.>> annunciò Eragon, però, furono ben poche le persone che prestarono attenzione alle sue parole perché erano tutte impegnate a squadrarmi. Solo l’elfa mi guardava diretta, negli occhi, e io tornai a sentire l’odio e il desiderio di vendetta. Poi la regina notò il mio ciondolo e anche lei mi guardò negli occhi.
<< Chi sei? >> mi domandò la regina, scura in volto. Quella domanda era diventata monotona… come la mia risposta inesistente. Rimasi muta, come sempre.
<< Non penso te lo dica >> Intervenne Eragon, che le era accanto.
<< l’ha detto solo a Saphira, che, oltretutto, non me lo vuole rivelare… >> continuò poi. La mia sensazione era esatta: di Saphira ci si poteva fidare e, a quanto pareva, la dragonessa poteva nascondere qualche informazione al suo cavaliere.
<< Mi ha solo annunciato che non è pericolosa. >> finì il moro.
<< Sai quanto mi fidi del tuo parere Saphira, ma io devo garantire il bene dei Varden. >> disse la regina rivolgendosi direttamente a Saphira.
<< Non posso evitare di sottoporti all’esame della mente, avendo come prova della tua bontà solo l’opinione di Saphira. Invece, visto che porti quel simbolo al collo ed eviti di rispondere alla mia domanda, dovrò sottoporti a controlli più accurati. >>annunciò, poi, rivolgendosi a me.
<< Portatela nell’area prigionieri. >> ordinò agli urgali.
<< Se collaborerai e ti lascerai esaminare, potrai essere libera. Ma dobbiamo assolutamente capire chi tu sia realmente, in qualunque modo. È per il bene di tutta Alagaesia, capito? >> mi consigliò a pochi centimetri dal viso. Mi aveva appena minacciato, per caso? Era seriamente un modo per dire “ O confessi spontaneamente, o lo farai comunque sotto tortura ”? Oppure me lo aveva detto solo per impaurirmi? Tuttavia quella frase sembrava contraddire le sue precedenti parole rivolte a Saphira. Non sembrava fidarsi davvero del giudizio della dragonessa.
Al comando ricevuto dalla regina, gli urgali enormi mi portarono nella tenda adibita a prigione. Prima di giungervi, però, attraversammo buona parte dell’accampamento e io fui esposta agli sguardi curiosi, spaventati e, alcuni, anche spietati della popolazione Varden. Sicuramente avevo un aspetto penoso, con il vestito verde stropicciato e sporco, i capelli incrostati di sabbia e, probabilmente, puzzavo anche di sudore! Gli alleati contro Galbatorix, però, mi disprezzavano come se fossi stata un mostro, un essere degno solo di morire, e, allo stesso tempo, un’attrazione turistica indecente.
Quando arrivammo nella tenda, i due esseri enormi, (e loro puzzavano davvero), mi legarono i polsi al palo di legno, che sorreggeva la tenda in mezzo alla stanza. Terminata l’operazione uscirono dalla mia prigione, senza dire una parola, abbandonandomi a me stessa. Rimasi completamente sola in quella tenda tetra. Cosa ci facevo legata e imprigionata lì, io? Non avevo commesso alcun crimine! Dovevano imprigionare gli elfi! Erano loro i criminali! Erano gli assassini! Loro avevano distrutto, ucciso e massacrato! Loro si erano resi pari a quel mostro di Galbatorix!  Se la regina mi avesse lasciato in quella tenda avrebbero ucciso anche me! Ero io la vittima! Loro avevano distrutto la mia famiglia! Era colpa loro se non avevo più un padre e una madre!
Le lacrime mi salirono agli occhi e piansi. Piansi a dirotto. I miei singhiozzi erano disperati: avevo perso tutto. Io, non avevo più nulla. La mia casa era lontana chilometri, i miei unici amici, pure. Mi avevano sradicato già due volte dalla mia casa, prima, bruciando il mio villaggio e costringendomi a fuggire, poi, rapendomi dalla mia dimora nella foresta. Ora, ero sola. Non sarei potuta sopravvivere a lungo in quel luogo, infestato da elfi, che, probabilmente, mi volevano morta. O sarei, come già era successo, caduta in tentazione, ne avrei ucciso uno e sarei stata condannata a morte. Sarei passata all’altro mondo, e avrei incontrato il mio popolo, se non fossi scappata. Da sola, però, non sarei mai riuscita a slegarmi o a eludere le guardie. Forse Saphira mi poteva aiutare. Aveva già dimostrato di essere una dragonessa affidabile e fedele, se le avessi chiesto un aiutino, forse, me lo avrebbe dato… Ma Saphira era parte dei Varden, avrebbe rivelato il mio presunto tentativo a loro, i quali, avrebbero aumentato la sorveglianza, e io, allora, non avrei avuto neanche una minima possibilità riandarmene di nascosto. Non avevo speranze.
Mentre la tristezza e la disperazione si impossessavano del mio corpo, della mia mente e del mio cuore, udii dei passi all’interno della tenda. Mi voltai verso l’entrata e osservai con terrore quell’essere nell’ombra. Mi stava aspettando la morte: l’elfa mi si era avvicinata, mi sovrastava e, intanto, mi guardava truce.
<< Che vuoi? >> chiesi con finto coraggio.
<< Cosa sei? >> ribatté lei con voce quasi tremante. Mi osservava intensamente con i suoi grandi occhi dorati, che, in quel momento, sembravano appartenere a una pazza nevrotica. Sembrava proprio che l’eletta dalla natura avesse paura di me. Forse era una di quegli elfi a cui era stata narrata la presunta pericolosità della mia stirpe, inventata, però, dai loro avi per giustificare il massacro. Se mi credeva in grado di compiere terribili magie, significava che era terrorizzata da me, e quindi non sarei morta. Perlomeno, finché non avesse saputo quanto false fossero davvero le sue credenze. Ma, ahi me, la mia speranza era mera illusione perché il tic nevrotico che colpiva i suoi occhi faceva pensare che, presto, avrebbe avuto un collasso dovuto all’ansia, e che, in uno scatto pazzoide-omicida, avrebbe estratto un oscuro pugnale da una qualche tasca nascosta del suo bell’abito porpora, e che, infine, con esso, mi avrebbe squartato. Oppure, in maniera più semplice, mi avrebbe torturato con una formula magica, o, da vera primitiva, strozzata con le sue manine delicate.
In seguito all’oscuro terrore che mi aveva portato a immaginare una mia ipotetica morte, mi misi a cercare un modo per sopravvivere alla nera strada senza speranza che avevo imboccato: se non avessi ritrovato in fretta le mie facoltà mentali, sarei impazzita di dolore. L’odio che avevo provato verso lei e la sua razza, non era mai stato tanto vero e profondo come in quel momento, in cui l’elfa dagli occhi dorati torreggiava sopra di me con tutta la sua altezza, mentre io ero legata, rannicchiata e indifesa. Era terribilmente straziante vedere l’assassino potente, il quale, al contrario, avrebbe dovuto essere legato come un animale al posto mio. Se non fossi riuscita ad aggrapparmi a una sensazione diversa dall’odio, non sarei mai più tornata dal pozzo  senza fondo in cui ero precipitata. Fu allora che la sentii nascere nel profondo del mio cuore, e allora, mi dedicai intensamente a cercare di alimentarla. Pensai ai miei genitori, morti a causa di una guerra inutile, al mio villaggio e ai miei amici, tutti bruciati, e al mio bosco da cui mi avevano rapito. La sensazione che provavo non era certamente migliore dell’odio ma mi permise di ritornare dal pozzo terribile in cui l’elfa mi aveva gettato. Era stato il mio potente desiderio di vendetta a salvarmi, che mi permise di prendere la giusta dose di coraggio per affrontare al situazione. Raccolsi, quindi, le mie energie e trovai la forza di ripercorrere la strada nera e tornare nel lume della ragione. E finalmente, con l’intenzione di spaventarla ulteriormente, le sputai in faccia la mia identità:
<< Sono l’ultima della razza che voi esseri immondi avete distrutto.>> 
Infine mi preparai moralmente a soccombere. Attesi, a occhi chiusi, la morte, certa che sarebbe arrivata. In quel lungo momento non provai nessun terrore verso l’oblio che mi aspettava. Se mi avesse ucciso, la storia della terribile guerra scatenata dagli elfi contro la mia stirpe sarebbe inevitabilmente venuta alla luce, e il mio popolo sarebbe almeno stato conosciuto da tutta Alagaesia. Avrei quindi ricevuto, almeno in parte, una rivincita. Una piccola luce di speranza si era accesa nel mio cuore, dopo il primo momento tremendamente sconfortante. Ora avevo un obbiettivo. Finalmente avevo terminato di piangermi inutilmente addosso. Io, Kiara, avrei fatto conoscere a tutto il mondo la mia stirpe. Quello sarebbe stato il mio obbiettivo, l’ultima cosa e la più importante che avrei fatto. E sarebbe stata la migliore.
Percepii che, in quel momento, la morte non sarebbe giunta, ma se la mia sensazione si fosse rivelata errata, la avrei almeno guardata negli occhi.
Vidi invece il colorito di quell’elfa splendida diventare pallido pallido, aprì leggermente le labbra e spalancò i suoi occhi. Era chiaro che provasse un immenso terrore. Secondo me era spaventata anche a causa dell’ espressione decisa e spietata che avevo assunto dopo essermi ripresa dal pozzo in cui ero caduta. Poter osservare la paura che le provocavo era un sogno divenuto realtà.
Dopo avermi reso un poco di giustizia, l’assassina, tornò lentamente nell’ombra da cui era venuta, e uscì dalla mia prigione.
Tornai più volte, nell’arco della giornata, a rimuginare su tutte le situazioni che avevo vissuto. Avevo scoperto di avere un obbiettivo che consisteva nel poter osservare crudelmente la sofferenza degli elfi. Era stato bellissimo constatare il terrore cieco che l’assassina dagli occhi dorati provava verso di me, e avrei avuto piacere di poterlo scorgere, allo stesso modo, anche sui visi di tutte le altre persone appartenenti alla stessa razza. La mia vendetta non sarebbe stata sanguinaria, ma psicologica e morale. Io avrei fatto conoscere, a tutti, in Alagaesia la tragica vicenda del mio popolo, e gli elfi sarebbero stati disprezzati, umiliati ed emarginati. Se in seguito fossero stati, o no, condannati a morte, per me non aveva più alcuna importanza. Sarei stata semplicemente contenta di assistere alla scoperta mondiale sulla razza eletta dalla natura, creduta magica e favolosa, che, grazie a prove concrete, sarebbe risultata finalmente terribile e infame.
Il mio sogno era rappresentato, quindi, non solo dall’umiliazione totale degli elfi, ma anche da una rivoluzione ideologica negativa verso la loro specie. Speravo, persino, che tutte le razze di Alagaesia li cancellassero dalla loro memoria per evitare la nausea che saliva naturalmente udendo il solo nome di quella stirpe violenta, che ne aveva eliminato un’altra, al contrario, pacifica. Che gli elfi potessero essere dimenticati totalmente, era un obbiettivo troppo ambizioso, concretamente irrealizzabile, poiché avevano, da sempre, svolto un ruolo fondamentale nella regolazione del funzionamento della vita di tutti Alagaesia. La speranza di umiliarli non sarebbe stata vana: ero decisa a rendere la mia idea un’azione concreta, anche se fosse diventata reale solo in un futuro molto lontano.
Ciò che era molto incerto, stranamente, era il presente.
Quel dì era apparso lunghissimo, il più pesante della mia vita, e, a causa, proprio, delle emozioni, delle sensazioni e degli incontri che avevo fatto, ero esausta, affamata e molto preoccupata.
“ Cosa succederà domani? ” mi chiedevo continuamente e, esattamente per colpa sua, non riuscii a prendere sonno e neanche a toccare cibo. Eppure era tutta la giornata che non mangiavo, e se non lo avessi fatto subito sarei svenuta, invece appena posavo lo sguardo sul cibo portatomi a mezzogiorno, mi si chiudeva lo stomaco. Decisi infine di impiegare le mie ultime forze a cercare l’entrata del mondo dei sogni, in cui sarei stata, tutto sommato, abbastanza tranquilla.
Ma purtroppo la mia dura giornata non era ancora giunta al termine.
Nel cuore della notte, quando stetti quasi per addormentarmi, nella mia tenda entrò una persona. Quando la sentii avvicinarsi, aprii gli occhi di scatto e vidi Eragon.
 

(*) Arya probabilmente non ha gli occhi dorati, ma è una caratteristica inventata per render la mia storia, d’altra parte questa è una “ What if…? ”, no? ^^
Ecco qua il terzo faticato capitolo, spero che vi si piaciuto.
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE per le recensioni a  BloodyVampire e dreamover e a tutti coloro che mi seguono e leggono questa storia!!
(Piccolissimo spoiler: nel prossimo capitolo si capirà un po’ meglio la vicenda dello sterminio e si scoprirà definitivamente la razza, anche se immagino l’abbiate già ampiamente intuita…
<< Io so cos’ è… >> disse, Arya sussurrando cupa.
Tutti si scambiarono degli sguardi spaventati, in particolare gli elfi.
<< E chi sarebbe, di grazia? >> urlò re Orrin alzando le mani al cielo, spazientito.
<< È un…
AL PROSSIMO CAPITOLO!!)
 
  
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