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Autore: Mary15389    21/01/2011    2 recensioni
Quattro anni dopo l'arresto di Ronald Weems, un seriale con le sue stesse caratteristiche si ripresenta tra le strade di Washington. La squadra è chiamata a collaborare, ma un presentimento aleggia nei pensieri di tutti...
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Then you catch him CAP15 CAPITOLO 15
 
“Agente Prentiss e Dottor Reid.” I due federali mostrarono i distintivi all’accoglienza della clinica Saint James all’interno di un edificio antico e immenso. Un uomo di mezza età seduto al di là del bancone li osservò interessato. “Volevamo delle informazioni su Nathan Harris, un vostro paziente...” spiegò Emily, ma la strana figura la interruppe con voce particolarmente allegra.
“Errato signorina.” Rise.
Prentiss si irrigidì guardando Spencer che non aveva idea di quello che stesse accadendo. “Come prego?” chiese profondamente interdetta.
“Lei ha detto che è un nostro paziente, e questo non è vero.”
“La madre ci ha dato il vostro recapito, l’ha ricoverato qui quattro anni fa.” Intervenne Reid con voce tremante.
“Sapete? Io non sono autorizzato a dare informazioni, quindi forse è meglio che vi chiamo il medico.” L’uomo balzò dalla sedia trottando poi verso una piccola porticina al di là della quale scomparve.
La donna si voltò verso il giovane scuotendo il capo interrogativa. “Siamo sicuri che non era un paziente quello?” domandò con il dito indice proteso verso la porta in cui lo avevano visto dileguarsi.
“Buongiorno, sono il dottor Scott.”  La voce profonda di un autoritario medico li raggiunse alle spalle.
Il più rapido a voltarsi fu Spencer che mostrò il badge affermando, “Dottor Reid e Agente Prentiss.” Emily alle sue spalle aveva tirato fuori dalla tasca anche il suo tesserino. “Desideravamo parlare di Nathan Harris.” Il ragazzo magro deglutì profondamente dopo aver pronunciato quelle parole.
“Seguitemi nel mio studio, così possiamo metterci comodi.” Li invitò cordialmente l’uomo facendo loro strada lungo un corridoio intervallato da porte con spesse sbarre di ferro.
Raggiunto il suo ufficio, permise loro di entrare per primi. Si trovarono all’interno di una stanza elegantemente arredata, ogni fascicolo era meticolosamente sistemato negli appositi spazi. Quell’ambiente risplendeva di luce propria in quanto a ordine e pulizia. Prentiss non poté fare a meno di pensare che una tale precisione fosse normale visto quello che si trovava a dover affrontare ogni giorno quell’uomo; quello si rivelava essere l’unico posticino in cui poteva rimettersi in pace con se stesso.
Il dottore la riscosse dai suoi pensieri facendo cenno ai due agenti di prendere posto sulle comode sedie di fronte alla scrivania che aggirò per sedersi alla sua poltrona di pelle. Si sporse in avanti poggiando i gomiti sul vetro del tavolo e incrociò le mani a sostenere il viso. “Nathan Harris...” cominciò a parlare. “Sicuramente una bella grana. La madre lo accompagnò qui il pomeriggio del suo ricovero circa quattro anni fa e poi scomparve. Quel ragazzo non ha mai ricevuto una visita da nessuno, era irrequieto, alternava momenti di confusione, con momenti in cui si chiudeva nel suo mondo interiore a riflettere. Aveva una grande intelligenza però, voleva sempre sapere cosa gli stavamo facendo e perché.”
“Possiamo vederlo?” chiese improvvisamente Reid che non riusciva a trovare comodità sulla sedia su cui si era accomodato.
“Dottore, non vorrei sconvolgerla. Ma lui non è più un nostro paziente.” Pronunciò Scott mantenendo la calma. Un bagliore saettò nello sguardo di Spencer prima di spegnersi. Emily si sentì in dovere di intervenire.
“Ma come è possibile?”
“Quando ha compiuto la maggiore età ha subito firmato la dimissione. Seguiva le cure, era stato ricoverato minorenne, sua madre era scomparsa, non potevamo impedirglielo. Anche se a mio avviso non era sicuro, doveva essere tenuto all’interno dell’istituto ancora.”
“Come...come viveva il suo...essere...rinchiuso qui?” balbettò con difficoltà il giovane che non riusciva quasi a respirare.
“Male. E oserei dire che sia quasi un eufemismo. Si sentiva costretto, ripeteva che non sarebbe mai uscito di qui. Aveva paura anche di se stesso.” Il dottor Scott prese un respiro profondo ad accompagnare le sue ultime parole, poi si lasciò andare con le spalle contro la poltrona.
“Sa per caso dove sarebbe andato una volta uscito?” tentò l’agente Prentiss.
“Ha detto che sarebbe tornato a casa...”
“Cosa che non ha fatto.” Concluse Spencer interrompendo il medico. “Avete una cartella con i suoi referti?” domandò.
“Certo, gliela vado a prendere subito. Vogliate scusarmi.” Cordialmente si congedò per uscire dall’ufficio.
Il silenzio improvviso in quella stanza aveva mandato Reid in confusione, uno strano fischio gli tormentava le orecchie, mentre la vista gli si appannava. Si portò le dita a stropicciarsi le palpebre.
Prentiss lo fissava soffrire e decise di rompere il silenzio, “Non è ancora detto nulla. Non vuol dire nulla che non sia più ricoverato.” Cercò di infondergli coraggio, me quello che stava vivendo il collega era panico.
“Prendiamo questi documenti e torniamo dagli altri prima di prendere qualsiasi decisione.” Pronunciò lui con pochissimo fiato spingendosi in avanti e strofinando i palmi delle mani sul pantalone.
“Ecco qui tutto quello che ho trovato.” Il dottor Scott rientrò alle loro spalle sorridendo. “Qualcosa è andato perduto, diciamo che a volte anche i nostri assistenti meriterebbero di essere internati come pazienti.” Ironizzò non sortendo alcun effetto sui due agenti che non erano dell’umore adatto.
“È stato gentilissimo.” Emily si alzò in piedi porgendo la mano all’uomo, lo stesso fece Reid alle sue spalle.
“Per qualsiasi cosa sono a vostra disposizione.” Il medico li accompagnò cortesemente alla porta.
In silenzio i due agenti ripercorsero il corridoio e videro la gente rinchiusa in quelle stanze che avevano tutta l’aria di prigioni, anche se ben sapevano che la prima prigione che tutte quelle persone avevano era proprio la loro mente.
Sospirando raggiunsero il SUV e si diressero alla volta di Quantico.
 
“Ma che...” il pensiero sussurrato da Rossi mentre la donna lo trascinava contro la parete del vicolo.
In pochi secondi Derek fu al suo fianco, stava per afferrare la ragazza ma questa lasciò Dave prima che l’uomo potesse fare nulla.
“Io lo conosco...” biascicò abbassando gli occhi.
“Come?” intervenne Morgan mentre il collega si risistemava la giacca.
“Questo ragazzino. Io lo conosco!” affermò senza dire altro indicando la foto ancora tra le mani dell’uomo.
Derek sospirò alzando gli occhi al cielo, richiedendo quindi l’intervento del più paziente e distaccato David. “E hai qualcosa da dirci?” domandò freddo.
“Lui ci spia, tutte quante. Ha anche minacciato molte di noi, anche me. Ma non mi importa, se potete toglierlo di torno sono più contenta.” Sciorinò la prostituta guardandosi poi intorno per assicurarsi che occhi indiscreti non li stessero guardando.
“Ehi, hai altro da dirci?” si intromise Morgan spingendola quasi contro il muro. La ragazza scosse timidamente la testa in segno negativo per poi sgusciare via dalla morsa del ragazzo e scomparire oltre l’angolo.
I due agenti si guardarono negli occhi, prima che Rossi interrompesse il silenzio. “Questo non vuol dire nulla di certo. Le spia, ma non per forza deve anche ucciderle, che sia un ragazzo disturbato l’avevamo capito anche prima.” Spiegò brevemente.
Nessuna risposta dal ragazzo di colore che si incamminò nuovamente sulla via principale in direzione del SUV. “Torniamo a Quantico.” Disse semplicemente quando avevano quasi raggiunto la vettura.
 
L’agente speciale Aaron Hotchner era nel suo ufficio a studiare referti e altri incartamenti quando un lieve bussare alla sua porta gli fece sollevare lo sguardo verso l’agile figura di Jennifer.
“Hotch, ci sono tutti. Se vogliamo aggiornarci...” espose in tono calmo e pacato.
“Arrivo subito.” Fece cenno l’uomo invitandola a precederlo. Lui richiuse ciò su cui stava lavorando, prese un foglio e si alzò dalla poltrona richiudendosi la porta alle spalle e raggiungendo la sala conferenze. Tutti occupavano le loro sedie intorno al tavolo. Tutti tranne il dottor Reid che come sempre ultimamente preferiva un’irrequieta posizione in piedi in un angolo della sala.
“Qui ho il referto di Gideon sulla perizia psicologica.” Affermò posando il foglio sul tavolo. “Per chi non l’ha già letta...” concluse.
Rossi si allungò sul tavolo per raccogliere il documento e leggerlo rapidamente.
“Sappiamo il perché.” Lo anticipò Emily nel vederlo intento a proferire una domanda, “La madre di Nathan Harris ha chiesto a Jason di non screditare il loro buon nome, ma di scrivere lo stretto e necessario.” Spiegò.
“La stessa madre che lo ha accompagnato al ricovero e l’ha abbandonato non avendo più sue notizie per i seguenti quattro anni.” Intervenne Spencer dal fondo.
Derek batté un lieve colpo sul tavolo gettando indietro la testa, non sapeva come dire al ragazzino che loro sapevano per certo che fosse lui ad importunare le donne sulla strada. Parlò al suo posto Dave.
“Noi siamo riuscite a parlare con una prostituta che ha riconosciuto nella foto del sospettato il giovane che le spia e le minaccia. Ma non ha saputo dire altro.” Gli occhi di tutti saettarono verso il dottor Reid che si premurò ad aggiungere:
“So già che è in giro...alla clinica Saint James, dove Sarah ha detto di averlo ricoverato, abbiamo saputo che compiuta la maggiore età ha firmato per essere dimesso e le sue tracce si sono perse...” era incapace di dire qualsiasi altra parola.
“Ma il fatto che sia stato riconosciuto come un molestatore di prostitute, non vuol dire che sia un assassino. Giusto?” chiese preoccupata JJ con l’intento di tranquillizzare il collega in primo luogo ma anche se stessa.
Nessuno disse nulla, e Spencer concentrò la sua attenzione sulla cartella che teneva tra le mani, “I medici erano contrari al rilascio di Nathan, mi sono fatto dare i referti. Segue una cura meno invasiva di quella di Weems, nonostante i suoi problemi fossero maggiori. È sicuramente in grado di commettere un omicidio, anche nel caso in cui stia seguendo correttamente la somministrazione dei farmaci, cosa di cui dubito fortemente.”
“Perché lo credi?” intervenne David.
Il giovane arricciò le labbra prima di rispondere, “Non lo so...lo sento semplicemente.” Allungò quindi il fascicolo della clinica sul tavolo. Fascicolo che prontamente Hotch afferrò e lesse.
“Ha mostrato grande intelligenza, ma non ha passato i test sotto provocazione. Tutti i sintomi psicotici sono presenti. Dobbiamo sapere il profilo che ne aveva fatto Jason con la perizia.” Sospirò sconfitto.
“Se solo quella donna non l’avesse fatto praticamente sparire...” ringhiò Derek.
Un lungo silenzio calò in quella sala, quando infine il volto di Reid si illuminò. Arrestò la sua camminata frenetica e si avvicinò al tavolo.
“Un modo ci sarebbe...” esclamò e tutti rimasero in attesa di sapere cosa avesse in mente.
  
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