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Autore: Little Shinedown    21/01/2011    4 recensioni
"Io ti ho dato fiducia Rachel ma tu non hai potuto ripagarmi perchè non ne avevi neanche tu in te stessa"
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm not so different

 

 

“Forza con quel bagher, devi tirarlo su il pallone Joan! Frances, tu cerca di coprire quel buco in centro, è la tua zona! Lucy levati subito le mani dai fianchi e stai in posizione! Kat, quante volte ti ho detto che il palleggiatore non deve mai dare la schiena alla rete, devi guardarla quella palla! Colpisci con più cattiveria, Mel, devi essere decisa! Se non tieni le braccia tese è normale che la palla ti arrivi in faccia Abigail! Non credere che non ti abbia vista Sam, i gestacci li fai al tuo gatto, ok?! Ragazze, in queste condizioni non andiamo da nessuna parte. Abbiamo un campionato da vincere e molto altro da guadagnare se solo vi impegnaste un po' di più! Cercate di concentrarvi su quello che fate!” la voce di Richard risuonò nella palestra producendo un lungo eco che rese le ragazze, già stremate dal lungo allenamento, ancora più spossate. Quella sera sembrava averne una per ognuna di loro tranne che per Rachel che seduta in un angolo della palestra , osservava gli schemi di gioco che avrebbero utilizzato durante le prime fasi di campionato. Non capiva molto, glielo si leggeva in faccia, ma faceva il possibile per assimilare quanto più poteva di quei concetti, facendo domande e ricevendo risposte dettagliate dall'allenatore. “Non è così male” pensò Rachel, osservando le sue nuove compagne correre da una parte all'altro del campo sotto i consigli e i rimproveri di Richard. Quella sera aveva, per la prima volta in vita sua, preso in mano un pallone da pallavolo e dopo un primo momento di “non so bene che farci con questo coso” ci aveva preso una certa confidenza anche se la paura di sbagliare e le amichevoli ma imminenti correzioni del ragazzo l'avevano un po' intimidita.

Rachel te la cavi bene, per essere la prima volta che tocchi un pallone, devi solo crederci un po di più” le aveva detto, dopo una serie di esercizi sul palleggio.

Doveva ammettere che, a dispetto dei suoi stereotipi sugli sport di squadra ma più precisamente sulle giocatrici di pallavolo, era stata ingiusta e piena di pregiudizi. In fondo quelle ragazze non sembravano così male, magari sarebbero potute diventare amiche e avrebbero potuto condividere un sacco di cose, avrebbero passeggiato insieme nelle vie del centro, ridendo e scherzando, commentando ogni ragazzo carino, si sarebbero sedute intorno ad un tavolino di un bar e con in mano un frappè, si sarebbero raccontate i loro segreti. Rachel, a quel punto, gli avrebbe parlato della sua passione per la chitarra e di quanto la musica fosse importante per lei e loro non l'avrebbero snobbata, come le sue compagne di scuola ma, anzi, l'avrebbero ascoltata con attenzione e magari le avrebbero chiesto di fargli sentire qualcosa, rendendola la ragazza più felice del mondo. Anche sua madre sarebbe stata orgogliosa di avere una figlia socievole che non passasse più i suoi pomeriggi strimpellando la chitarra, chiusa nella sua stanza con un'espressione perennemente malinconica sul volto. Forse erano loro la cura per la sua solitudine, forse aveva davvero trovato quello che cercava.

Rachel ma che diavolo vai a pensare! Sai che non potrai mai essere come loro! Tu sei diversa, lo hai sempre saputo!” una vocina nella sua testa le stava intimando di lasciar perdere. C'era sempre lei dietro ai suoi “no” agli inviti o al minimo accenno di cambiamento. Aveva provato a non dargli ascolto ma più cercava di ignorarla più questa diventava pressante, logorandole lentamente l'anima.

Spostò lo sguardo su Richard, impegnato momentaneamente con il cellulare: stava scrivendo un messaggio; anche lui sembrava una persona cordiale. Si era dimostrato attento e paziente davanti alle sue domande e anche se si era a divertito a prenderla un po' in giro all'inizio, non aveva esitato ad aiutarla ad integrarsi nella squadra. Un brava persona insomma, se non fosse per quel piercing al sopracciglio che gli conferiva un' aria un po' fattona.

Il suono acuto di un fischietto la riportò alla realtà.

“Ragazze, per oggi può bastare!”

Notò l'espressione sollevata sui volti delle ragazze, nel sentire quelle parole. Era un tipo tosto lui.

“Spero di vedervi più cariche e motivate la prossima volta!” disse, guardandole bere avidamente dalle borracce.

“Abbiamo iniziato da poco, dacci tempo!” ribatté Kat, asciugandosi la bocca.

“Ve lo darei volentieri, ragazze, ma ho appena avuto conferma dalla società che tra una settimana inizieremo una serie di partite amichevoli. Una specie di pre-campionato. La prima partita è Sabato prossimo, qui in palestra”

“Non posso crederci!” esclamò Mel “siamo solo alla fine di Ottobre, saranno un paio di mesi che ci alleniamo, non siamo pronte. In più la parte migliore se ne è andata! Come puoi pretendere di farci giocare!?”

“Non è stata un'idea mia. Conoscete chi comanda ai piani alti! Prendetevela con lui!” ribatté Richard, seccato.

“Tu conosci la nostra situazione, potevi opporti!” intervenne a quel punto Joan.

“Mi è stato comunicato adesso, per messaggio oltre tutto” disse prendendo in mano il cellulare, come per dimostrare la veridicità di ciò che diceva.

“Ragazze ma perché siete cosi pessimiste? É vero Ali ed Emma erano le due colonne portanti della nostra squadra, ma sapevamo che prima o poi se ne sarebbero andate”

“Chissà perché...” sussurrò Sam sarcastica.

Richard la fulminò con lo sguardo senza dire nulla. In fondo non aveva tutti i torti, era anche colpa sua se le due ragazze se ne erano andate. Fu percosso da un brivido, quando ripensò ai lunghi capelli neri di Ali, che tante volte aveva accarezzato e ai profondi occhi verdi di Emma che riuscivano a penetrarlo fino in fondo all'anima. Era inevitabile che succedesse un casino prima o poi. Non è mai consigliabile tenere il piede in due scarpe, Richard lo sapeva bene e capiva il risentimento delle ragazze verso di lui ma ora era troppo tardi per ripensare agli errori commessi.

“...e comunque” continuò “possiamo farcela anche senza di loro. Abbiamo solo bisogno di un po' di convinzione”

“Tu credi?” chiese Frances speranzosa.

“Io credo molto in voi, altrimenti non sarei qui anche quest'anno ad allenarvi. Conosco le vostre potenzialità e i vostri limiti, so che potete farcela!” rispose lui con un sorriso stanco.

“Ora andate, ci vediamo Giovedì” disse infine.

 

 

Non appena le ragazze si furono congedate dall'allenatore, si precipitarono nello spogliatoio per discutere dell'ultima notizia. C'era chi come Joan vedeva il pre-campionato, come una cosa positiva, chi come Mel rimaneva ferma nella sue posizioni, chi come Frances e Kat, rassicurate dall'allenatore, non vedevano l'ora di giocare, chi come Sammy, si sentiva carica di responsabilità e forse anche un po' in colpa per non riuscire ad infondere alla squadra il coraggio e la fiducia necessaria, chi come Lucy, abituata ai lussi, non aveva mai riposto grande fiducia in un ragazzo con i capelli lunghi e l'aria trasandata, chi come Abigail, non aveva mai smesso di credere e poi c'era Rachel che silenziosa si stava cambiando, assorta in ben altri pensieri. Lo spogliatoio era diventato un coro di voci che, per chi ne stava fuori ricordava una pentola di fagioli in fase di ebollizione.

Una ad una tutte le ragazze uscirono dallo spogliatoio dirigendosi vero l'uscita della palestra, salutarono Bob, il custode, che rispose con un grugnito e salutarono Richard, che appoggiato al cancello stava fumandosi una sigaretta.

Non appena vide Rachel buttò la cicca per terra, per poi pestarla.

“Credi di tornare?” chiese di soppiatto, prendendola alla sprovvista.

“Non lo so” rispose lei, cercando di simulare indifferenza.

“Non farti impressionare da quello che è successo oggi, sono una squadra unita”

“Non lo metto in dubbio ma non so se voglio continuare con questo sport. D'altronde non l'ho scelto io” disse lei, tirando un sospiro.

“Provare non costa nulla” ribatté il ragazzo.

“É vero ma non so quanto uno sport di squadra possa mettermi a mio agio”

Richard parve sorpreso “Perché?”

“É una lunga storia...” rispose lei, cercando di tenersi, il più possibile, sul vago.

Lui le lanciò un'occhiata indagatrice e sembrò capire in quel momento ciò a cui si riferiva la ragazza.

“Beh fai come credi. Se ti va, però, vieni Sabato alla partita. Stai in tribuna,

guarda come si gioca e rifletti su quello che vuoi fare”

“Ci penserò”

“Ci conto” disse lui avvicinandosi ad un'auto rossa, posteggiata sul ciglio della strada. “Ti serve un passaggio?” chiese estraendo le chiavi da una tasca.

“Grazie, ma faccio volentieri due passi”

“A Sabato, allora”

“A Sabato” ripeté lei con un mezzo sorriso.

 

 

“Beh?” esclamo Miranda O' Connor, non appena vide sua figlia sull'uscio di casa.

“Beh che cosa?” rispose Rachel piuttosto seccata.

“Come è stata la tua prima lezione di pallavolo?”

“Niente di che: le ragazze hanno litigato e l'allenatore sembra uscito da un rave party”

Miranda sembrò dispiaciuta “Non è stato un gran che allora...”

“In effetti no”

“Ma lo sport ti piace?”

“Ho giocato poco ma non sembra male”

“Quindi ci tornerai?” chiese speranzosa la donna.

“Non lo so, forse... ma perché insisti così tanto con la pallavolo, non mi sembra che ti abbia mai appassionato lo sport!”

Miranda abbassò la testa imbarazzata “Vedi Rachel, tuo padre sostiene che la causa del tuo carattere chiuso e scontroso sia io. Voglio dimostrargli che non è così, che sono io la prima che ti spinge ad aprirti”

“Vuoi discolparti insomma”

“Beh Rachel detto così sembra quasi che...”

“No, no mamma, tu vuoi discolparti! Tu vuoi che papà pensi che tu faccia il possibile per rendermi una ragazza uguale alle altre, se poi non ci riesci, pazienza! Sono io la disadattata, tu almeno ci ha provato! Non è forse questo quello che pensi di me?”

“Rachel, tesoro, non fare così...”

“Così come, mamma? Decidi tutto tu per me: quello che devo indossare, come mi devo comportare e perfino che sport devo praticare! É assurdo!” gridò Rachel diventando rossa per la rabbia.

“Io... io vorrei solo che tu sia più simile alle altre. Vorrei solo vederti più allegra e serena” disse sua madre tra i singhiozzi.

“Di che cosa ti vergogni? Del fatto che sono remissiva e scontrosa piuttosto che un'oca giuliva? Hai paura di quello che potrebbero dire le tue amiche quando vengono a fare yoga, forse? Se è così mamma, beh mi dispiace ma non sarò mai un'oca giuliva, non ci riesco! Non sono nata per farlo!” disse ad un passo dallo scoppiare in lacrime. Fece per dirigersi verso la sua stanza, quando si girò un ultimo istante verso la madre.

“Dammi il numero di papà, gli dirò che non è colpa tua se sono diversa” 

  
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