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Autore: Terrucch    21/01/2011    0 recensioni
Una giovane donna, in un'epoca e in un luogo non ben definiti, scampa miracolosamente a un incendio che uccide la sua famiglia. Trovata da due giovani, viene ospitata nella loro villa.
Una notte comincia ad accorgersi di una presenza a lei familiare, e che i due ragazzi sanno molto più di quel che dicono..
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


Non era molto conscia di sè, o di dove si trovasse.
Era spaventata, innoridita, inoltre c’era qualcosa che stava trattenendo.
Nella sua mente balenarono luci e urla confuse.
-Jean,Jean vieni, si è svegliata!-
In quell'istante si accorse che un paio di occhi blu la stavano guardando, un pò perplessi -ehm...almeno credo.- aggiunsero.
-Che begli occhi-, pensava, smarrita, mentre un turbinio di luce e ombre le confondeva la vista. Era tutto così...confuso, incomprensibile.
Un'altra persona si avvicinò, e lì la ragazza capì di essere sdraiata. Voleva parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un suono lamentoso.
-Ah, non parlare ok? Tranquilla, sei al sicuro adesso.- disse una voce velata vicino a lei.
Senza accorgersene e senza sapere il motivo, Emilia cominciò a piangere tra le braccia dello sconosciuto dagli occhi blu, ma nel contempo si rese conto che stava liberando tutto il dolore che aveva trattenuto.

capitolo uno
Falene

Le sensazioni sono soggettive, differiscono da soggetto a soggetto, differiscono sempre.

Come quella notte d’estate, il silenzio rotto solo dalle sporadiche canzoni della natura. Mentre a Julian la notte regalava una sensazione di rilassamento dai problemi e dai guai quotidiani, una sorta di scatola ammantata di stelle in cui poteva chiuderli fino al sorgere di una nuova aurora, Emilia, due ringhiere di candida pietra bianca più in là, non faceva altro che aumentare la sua angoscia. Con ancora stretta tra le mani l’unica testimonianza della sua esistenza su questa Terra, la ragazza ingoiava con tutte le sue forze le lacrime e l’amaro cibo che era la compassione di coloro che aveva attorno ora.
Nel piccolo riquadro, in toni di grigio e seppia, vi erano un uomo e una donna, con due ragazze. Anche senza il colore, Emilia vedeva l’azzurro brillante degli occhi del padre, il rosso delle labbra e l’oro dei gioielli della madre, il biondo cenere dei capelli della sorellina.
Lei li scrutava, nella notte buia la cui unica fonte di luce erano le candele che vibravano le loro fiamme attraverso i vetri della stanza, conferendo alla balconata a mezzaluna i toni dell’arancio e del giallo, come se improvvisamente i soggetti di quella fotografia potessero prendere vita e sussurrarle parole di conforto. Ma sarebbero state inutili, non avrebbero alleviato le sue pene e la sua solitudine.
Fu allora che si accorse di non essere da sola, fisicamente.
Un’ombra si trovava in piedi al limitare del piccolo boschetto che si trovava a fianco di quella bellissima tenuta bianca. Un’ombra che dapprima le sembrò familiare ma poi, quando nella sua mente balenò la verità, così scioccante da fare male, la ragazza volle raggiungerla, sua sorella.
Sentiva il suo battito accelerato e la passione del momento la spingeva a non ascoltare la logica che le diceva che era una cosa impossibile, poichè lei stessa aveva visto tutti loro morire bruciati dal fuoco di un maledetto incendio, con le loro urla che avevano tormentato il suo sonno da quel giorno, ogni notte, ogni notte.
-Fermatevi!- esclamò improvvisamente una voce un pò seccata, una voce che a Emilia era familiare, ma troppo scioccata com’era, non aveva nemmeno provato a collegarla a un volto.
Continuava invece a fissare quel punto nel buio: l’ombra non c’era più, era svanita, perduta, lei temeva per sempre.
La rabbia prese il sopravvento sulla sua mente e sul suo corpo al punto da accecarla e indurla a voltarsi e sferrare un colpo a colui che la stava trattenendo per un braccio, che le impediva di gettarsi giù da quella balconata e raggiungere così la sua amata sorella perduta.
Julian, che non si aspettava una reazione simile, barcollò appena, ma riuscì facilmente a schivare il colpo e a bloccarla per i polsi.
- Lasciatemi subito! - Ordinò lei con impeto e rabbia: nutriva la disperata speranza che se avesse fatto presto, se avesse corso, lei sarebbe stata ancora lì ad aspettare il suo abbraccio e sarebbero tornate a casa insieme, dove i loro genitori le avrebbero accolte. E si sarebbe resa conto che quello che aveva vissuto fin’ora era solo uno stupido incubo.
- Volete inseguire un’utopia?! Qualcosa che non è reale?!- chiese lui alla ragazza adirato, stringendo forte i polsi anche mentre Emilia gradualmente smetteva di dimenarsi, come se si potesse sgretolare e cedere se non continuasse a tenerla.
- Lei era lì, vi dico! Era reale! Lasciatemi! – Emilia era già sull’orlo delle lacrime, ancora. E dire che prima non ricordava nemmeno quando ne aveva versate l’ultima volta. Non capiva, non voleva capire. Più il tempo passava più le sue possibilità diminuivano.
- Emilia, lei è morta! – sbraitò allora Julian, colto da un impeto improvviso. – E’ morta e non tornerà mai più. L’avete vista voi stessa, non è così?- e siccome Emilia era sconvolta e non ribatteva nemmeno per insultarlo, ripetè la domanda, così da enfatizzarla e farla penetrare nella sua mente, con la speranza che con la logica sarebbe rinsavita. – Non è così?!-
Ormai a Emilia non importava più niente. Avrebbe tanto voluto essere morta con loro, quella notte. Stava sprofondando in un mare nero, nel quale Julian la stava affogando ancora di più. O forse la stava tirando fuori?
Julien stava lì in piedi, non allentando però la presa sui suoi polsi, in imbarazzo per aver perso il controllo, ma anche molto adirato per la sua reazione (o la mancanza di essa).
Era più alto e massiccio rispetto alla giovane, perciò lei doveva alzare la testa per poter vedere la rabbia sincera negli occhi di lui, di quel colore così scuro e carico che sembravano quelli delle bambole di porcellana. Inoltre, i suoi capelli corvini e spettinati gli conferivano un’aria più selvaggia e arrabbiata.
- Se fosse stata davvero vostra sorella, avrebbe davvero fatto in modo che moriste gettandovi dalla balconata?! -
Ma Emilia continuava a fissare in silenzio il bosco, i suoi occhi pieni di lacrime e arrossati. I polsi le cominciavano a dolere, ma non le importava, nessun dolore era come quello che provava nel cuore.
- Rispondete, diamine! – esclamò lui, stringendo più forte e costringendola ad affacciarsi in modo molto incauto alla ringhiera, sicuro nella sua presa.
Emilia pensava alla sua piccola Maria, a quanto si volevano bene. No, di certo, non avrebbe mai creato una situazione simile.
E mentre si crogiolava in un tremendo pianto isterico e disperato, Julian sciolse la presa e fece per andarsene, lasciandola sola nel suo dolore, ma non potè varcare la soglia, poichè Emilia aveva improvvisamente colto un particolare che la insospettiva: - Aspettate! Io non vi ho detto che si trattava di mia sorella Maria. Se non è reale, come potete averla vista anche voi?! – domandò.
Nei suoi occhi verdi ora Julian vedeva benissimo il barlume di speranza che prima era solo una scintilla, e si disse che doveva calpestarla, quella luce, prima che potesse causarle un dolore ancora più insopportabile.
- Ho solo tirato a indovinare. Quando avevate la febbre, urlavate il suo nome e quello dei vostri genitori nel sonno. -
Una piccola bugia bianca detta in un sussuro tenue come la luce di quelle candele, contornata da una verità che alleviava leggermente il suo senso di colpa.
Julian non sapeva mentire, ma il fatto che veramente aveva udito lei chiamare la sua famiglia in preda alle allucinazioni della febbre rendeva il suo tono più convincente.
Ma lei non potè ribattere, sapeva perfettamente che era la verità, gli incubi in cui riviveva la catastrofe erano più vivi che mai nei suoi sogni, come anche durante il giorno.
Si coprì il volto con le mani, mentre un nuovo torrente di lacrime rompeva la diga creata dal suo orgoglio e il giovane spariva silenziosamente dietro la porta, amareggiato e addolorato, ma badando bene far sì che lei non se ne accorgesse.

L’orologio compì numerosi giri, instancabile ma monotono scandiva il passare dei secondi, dei minuti e delle ore indifferentemente, con una sorta di crudeltà, di violenza in ogni rintocco.
Più e più volte Emilia si era ritrovata a indugiare con lo sguardo nella direzione della verdeggiante selva a pochi passi dalla tenuta, sospirando, delusa, disperata e inconsolabile per non essere riuscita a scorgere nemmeno una volta quel fantasma osservarla tra i rami.
- Curioso. Di solito le persone tendono a temerli, gli spiriti – si ritrovò a pensare, rendendo ironico quel suo atto, la speranza, di follia, di inutile e disperata follia.
Intanto, poco distante, un paio di stivali battevano un ritmo molto veloce sui pavimenti pregiati dei corridoi in cerca di qualcuno.
Emilia si sporse leggermente ma con cautela dalla porta della sua stanza adottiva, solo per curiosità invero. Non è che le importasse granchè del resto del mondo in quel frangente.
Julian era stato all’estero per alcuni suoi affari, lui ed Emily non si erano salutati nè rivisti dopo la vicenda di quella notte, e d'altronde lui non sapeva proprio che cosa dire o fare, considerando che erano già in rapporti non troppo buoni ancora prima.
Durante il viaggio aveva avuto modo di riflettere molto sulla questione e su quello che, per rispetto al cugino, colui che ora andava cercando, aveva tenuto nascosto alla ragazza: la verità su ciò che aveva visto.
Quando lo raggiunse lo trovò seduto nello studio, intento a tenere la contabilità e a controllare il bilancio degli affari.
Alzò a malapena lo sguardo sotto gli occhiali da vista: purtroppo era un pò miope e, almeno per leggere, necessitava delle lenti. I suoi occhi grigioverde attraversarono quelli blu del cugino e in un attimo recepì ciò che stava per dire.
- Cielo Julian, sei proprio testardo. Ti ho già dato un milione di validi motivi per cui per ora è meglio tacere. Lascia almeno che elabori il lutto.- La sua voce era leggermente irritata, ma aveva un chè di sapiente.
- Ma Jean, ha visto la falena. Ero presente, l'ho vista anche io. E non si dà pace. Come credi che possa "elaborare il lutto" se non è nemmeno sicura che ci sia qualcosa per cui essere in lutto?! - ribattè lui con veemenza. Odiava essere interrotto. Soprattutto dal suo cugino saccente.
- Le falene non sono esseri viventi. - rispose allora Jean, puntualizzando.
- Non è questo il punto. Lei nemmeno sa cosa sono le falene. Se le riapparisse ancora? Se non ci fossi stato io sarebbe volata giù dal parapetto! - esclamò allora Julian, stizzito.
- D'accordo ma...più è all'oscuro di tutto meglio sarà per la sua anima. Potresti sconvolgerla, potrebbe non crederti. Hai ragione a volerle dire la verità, ma..- abbassò leggermente lo sguardo, riflettendo -...ma non è pronta. -
Julien sbuffò e si massaggiò le tempia destra. Immaginava già prima che sarebbe stata una partita persa sin dall'inizio e inoltre il suo discorso non faceva una piega, cosa che lo irritava terribilmente.
- D'accordo, farò come volete, cugino - concluse dirigendosi verso la porta che dava sul corridoio con l'intento di non voltarsi. Sapeva, senza nemmeno vederlo, che Jean stava sorridendo, di un sorriso che si usa fare quando si pensa a un bambino che mostra qualcosa che per lui è nuovo alla sua mamma, che ovviamente ha già visto, conosce quell'oggetto.
Quello che non immaginava però era che quella conversazione aveva avuto più di due partecipanti.
Lì davanti a lui, ancora tremante di rabbia, c'era Emilia, che lo fissava furente mentre di nuovo le lacrime, stavolta lacrime di frustrazione, le rigavano il volto fiero.

  
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