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Autore: kage    22/01/2011    1 recensioni
Nei primi anni del diciannovesimo secolo l'Europa e il Mondo guardano con timore l'implacabile ascesa di Napoleone Bonaparte. La prima coalizione antifrancese è stata spezzata e il vecchio continente non è che all'inizio di quelle che passeranno alla storia come le "Guerre Napoleoniche". Tuttavia, nella gelida Scozia un'altra vicenda prende piede, gesta che non troveranno spazio nei libri di storia ma che sono destinate a legarsi inesorabilmente a quelle del neo Imperatore di Francia.
La magia esiste ed è il fulcro di un pericoloso mondo sotterraneo la cui sopravvivenza è legata agli eventi che stanno sconvolgendo il continente, radici antiche germogliano in una primavera di acciaio e sangue mentre nuovi semi si preparano a disegnare ciò che ancora deve essere scritto: le colpe dei padri ricadono sui figli.
“Che cosa è la storia se non un gioco su cui tutti si sono messi d'accordo?” Attribuito a Napoleone
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap 1


«Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
non temerei alcun male.»

- Libro dei Salmi 23:4










1783 Higland, Scozia


Le fiamme crepitavano senza sosta sfigurando la notte con tremuli bagliori rivelatori di uno spettacolo di desolante bellezza. Del maniero dei Badwind, eretto sulle Higland oltre mille anni prima per resistere alle invasioni dei Sassoni, non restavano che pietre dissestate. Sembrava quasi che un bambino dispettoso avesse deciso di distruggere il castello di sabbia costruito poco prima. Nello fragore dell'incendio l'unica voce che si sollevava nella notte era quella di un infante, avvolto nelle fiamme come fossero state un morbido rifugio dal freddo ostile della notte. Difronte a lui, una figura incappucciata si stagliava contro la luce per la prima volta paralizzata dal dubbio. Osservava le aspre lame di fuoco accarezzare i bordi della sua veste senza lambirli, rapita. I segni si erano manifestati tutti, gli avvertimenti erano caduti nel vuoto, e quella era l'ennesima riprova della stupidità degli uomini. Era arrivato il tempo, eppure ora anche la sua mano tardava nell'agire. Come ridestandosi da un lungo sonno, la figura immerse repentinamente le mani nella fiamme sedandole e afferrò il bambino. Una risata ilare sovrastò allora il crepitio mentre il bambino si allungava per tirare i bordi del cappuccio dello sconosciuto evidentemente divertito dal repentino cambio di posizione.
Le spalle dell'uomo per lunghi istanti sembrarono fremere come sotto il peso dell'indecisione per poi piegarsi sconfitte. Una morsa si strinse sul suo cuore mentre nuovamente alzava lo sguardo sul bambino stretto tra le sue braccia. Nel tempo infinito di un battito di ciglia osservò una piccola piuma candida, simile a quella di un rapace, cadere mollemente sul petto dell'infante per tingersi immediatamente di nero come corrosa da fiamme invisibili. Sulla pelle diafana e perfetta dell'infante solo una piccola scottatura a testimonianza dello strano fenomeno evidentemente indolore.
Il bambino ignaro di tutto e stanco di giocare si era tranquillamente addormentato.
Il rumore di un cavallo lasciato libero al trotto, raggiunse la figura ammantata inducendola a girarsi per osservare un magnifico baio attraversare i cancelli dell'antica dimora ormai abbattuti dalle fiamme; il suo cavaliere ancora troppo lontano e abbaiato dalla luce vivida dell'incendio per poter scorgere qualcosa di diverso dalla distruzione di quel luogo.
Un urlo, quasi bestiale, risuonò per tutto l'altopiano mentre il nuovo arrivato si lasciava cadere in ginocchio d'innanzi al rogo inarrestabile. La figura incappucciata depose lentamente il bambino a terra, lontano dalle fiamme, mentre si voltava un ultima volta verso il corpo chino dell'uomo. I suoi occhi sembrarono accendersi per un attimo, illuminati dal riverbero dell'incendio mentre osservava quel corpo scosso dal dolore innalzare la sua pena fino al cielo, pochi istanti più tardi quegli occhi di donna erano spariti.

Al limitare del boschetto che si estendeva vicino ai ruderi incandescenti del castello cinque figure incappucciate, non viste, osservavano l'uomo piangere calde lacrime di rimpianto mentre traeva dalla distruzione un piccolo fagotto. Erano arrivati tardi, e un nuovo potere si era messo sulla loro strada, in silenzio diedero le spalle al rogo per sparire nella foresta.

I segni si erano manifestati.



1802, Edimburgo, Scozia


Dal vangelo delle ombre, capitolo primo.

1° Assioma della fede: “La magia esiste. Colui che opera le forze occulte è detto mago, e segue i dettami del Vangelo delle ombre.”

2° Assioma della segretezza “La magia e tutte le sue emanazioni devono rimanere occultate agli Ignari, perché la verità è protetta nel sapere dei pochi.”

3° Assioma del limite “Vi è un limite, invalicabile, la Morte. Cercare di scavalcarlo è bestemmia e dannazione.”



Demian L. Badwind non era un fatalista, anzi, ma quella mattina una vocina nella sua testa sembrava cercare di convincerlo a non alzarsi. Intorpidito dal lento risveglio, non poteva fare a meno di provare quella fastidiosa sensazione di anticipazione. Non sarebbe stata una bella giornata, ne era ormai più che certo quando venne raggiunto da una voce che confermò all'istante i suoi pensieri.
-Demian! Che diamine fai ancora a letto? Non hai visto che ore sono, possibile che te debba sempre essere in ritardo?- Quella voce leggermente acuta, e in quel momento venata dalla collera, ebbe il potere di fargli aprire titubante un occhio ceruleo. Attorno a se le coltri del suo letto a baldacchino in cui non ricordava di essersi infilato la sera prima. Doveva avere bevuto parecchio constatò in maniera quasi distaccata mentre si sedeva lentamente, l'altro occhio ancora rigorosamente chiuso, e una stilettata alla testa lo riportava drasticamente nel mondo dei vivi. Era ancora vestito come la sera prima a ben guardare; sapeva che festeggiare fino a tarda ora lo lasciava sempre in quelle condizioni la mattina dopo... Festeggiare... La consapevolezza lo colpì come una secchiata d'acqua gelida mentre scattava in piedi incurante del dolore alla testa e dello sguardo della proprietaria della voce che l'aveva ridestato. “Maledizione, maledizione, maledizione, come poteva essere stato cose stupido!” Ricordava la voce di Lance quando era andato a prenderlo per il “bicchiere della staffa” prima del grande giorno, diamine, se sopravviva a quella giornata lo avrebbe arso lui stesso! Decise mentre dalla sua bocca usciva una specie di ringhio e si spogliava della camicia del giorno prima, incurante del suo annoiato e irato pubblico, per darsi una sciacquata nella bacinella posta in un angolo della stanza. Pochi minuti dopo, un ombra di barba sul volto, seguiva la sua accompagnatrice lungo i corridoi della fortezza.

Ancora infuriato per la sua stupidità finì di stringere i passanti della sua cintura e si concesse di iniziare a guardare dove metteva i piedi. A pochi passi lo precedeva, con il morbido incedere di un carro da battaglia, Everen Silithoria Elhendar. Poteva intendere l'irritazione della compagna solo osservando la sua rigida postura, decisamente non doveva essere felice di arrivare in ritardo a causa sua, e sebbene ormai fosse abituato agli scoppi d'ira dell'elfa non poteva fare a meno di essere un po' preoccupato per il suo ostinato silenzio. Se c'era una cosa famosa alla fortezza, quella erano sicuramente gli scoppi d'ira dell'elementalista della sua squadra. Si era chiesto spesso come si sprigionasse, in un corpo così minuto, una potenza simile a quella della voce dell'incantatrice quando gli urlava contro. Arrivava a mala pena al metro e sessanta e anche avvolta nella scura tunica del loro ordine, sotto la quale di tanto in tanto riluceva la leggera armatura di maglia elfica che era solita portare sotto di questa, sembrava quasi una bambina dalle fattezze perfette. Era sempre stato affascinato dalla bellezza eterea che caratterizzava la sua specie, niente a che vedere con il fascino seducente di un vampiro, sembrava quasi di osservare una pallida luce purissima: troppo debole per ferire lo sguardo ma abbastanza forte da calamitarlo. Nessuno avrebbe creduto una creatura simile capace di fare del male anche solo ad una mosca, inutile dire quanto questa convinzione fosse sbagliata. Doveva ammettere che certo, l'elfa era senza dubbio una creatura di buon cuore e dalla pazienza quasi infinita, come era solita ricordargli prima dei suoi scoppi d'ira di cui lui era uno dei più frequenti bersagli, ma era sicuro che chiunque guardando oltre i morbidi tratti della sua razza e imbattendosi nei suoi occhi, del colore delle foglie di vite, avrebbe intuito di trovarsi dinnanzi ad una guerriera.
Distratto dai suoi stessi pensieri vide la donna interrompere la sua marcia per poi inspirare forte, come a voler placare i battiti del suo cuore, per poi espirare piegando leggermente le spalle sui cui faceva mostra di se la sua serica chioma, di un biondo talmente chiaro da ricordare il platino, acconciata in una stretta treccia che le arrivava a metà schiena.
Si girò lentamente nella sua direzione. Il volto di tre quarti, lo sguardo ormai privo di rabbia, le morbide labbra corrucciate dalla preoccupazione, per chi dei due, lui non avrebbe saputo dirlo.
-Buona fortuna Demian.- La voce sottile, ridotta quasi a sussurro. L'attimo successivo, senza aspettare alcuna risposta da lui, aveva fatto forza sulla porta difronte a loro per sparire poco dopo al suo interno.

Rimasto solo si ritrovò a fissare quella stessa porta, gli occhi che pigri inseguivano le venature del legno massiccio inerpicarsi verso l'alto, alla ricerca del coraggio per entrare. Si ergeva per oltre tre metri dinnanzi a lui. Il legno e i rinforzi in ferro battuto smaltati di nero opaco, mentre al centro faceva mostra di se l'antico stemma dei guardiani, due draghi scolpiti nell'argento più puro che in un circolo sembravano sul punto di azzannarsi la coda l'un l'altro. Un simbolo dai molteplici significati che negli anni aveva imparato, contro ogni aspettativa, ad ammirare e rispettare. Sul suo mantello una spilla di bronzo raffigurava lo stesso simbolo, e gli attribuiva il suo ruolo, almeno fino a quel giorno. Inspirò con forza anche lui, come aveva fatto pochi secondi prima la sua compagna, e si concesse un ultimo sguardo alla sua sinistra dove, si sarebbe detta intagliata nella nuda roccia, faceva mostra di se una delle imponenti finestre che illuminavano il corridoio. Un passaggio quasi sospeso sul Loch Nor, l'imponente fiordo marino che delimitava il confine tra la città vecchia e la nuova, sotto ancora Edimburgo e poi il freddo mare del Nord, quasi placido in quel soleggiato giorno di fine agosto. Di fronte a lui, ancora quella porta e oltre la sala dell'adunata.
Appoggiò le braccia sui battenti della porta, un ultimo respiro, e senza che i muscoli delle spalle dovessero contrarsi la porta cedette dolcemente sotto il suo peso; era la resa dei conti.

La stanza, era rimasta tale e quale a come la ricordava dalla prima e unica volta che l'aveva vista, ormai quasi due anni prima. Ricavata all'ultimo piano del Mastio della fortezza, la torre più imponente e massiccia, era a pianta circolare e munita di due sole entrate: la prima, usata da lui in entrambe le occasioni in cui vi era entrato, immetteva in una sorta di anticamera, composta da un colonnato, l'argo circa tre metri che seguiva la curvatura della stanza formando una sorta di lungo chiostro aperto a forma di ferro di cavallo, li aspettavano coloro che dovevano essere esaminati; la seconda, dalla parte opposta rispetto all'altra, era incassata in un rialzo di scuro legno che dava direttamente su una serie di scranni dello stesso materiale. Gli alti scranni, si sviluppavano su due livelli, creando un soppalco dal quale scendevano due grandi stendardi: il primo, raffigurante i due draghi dei guardiani in campo nero; il secondo la maschera tagliata orizzontalmente, con i suoi occhi irridenti, in campo blu. Sulle alte e austere poltrone, al livello più basso, sedevano quindici uomini, Lord e maghi dell'ordine, ognuno di loro abbigliato secondo il proprio grado e nonostante l'età di alcuni, ormai quasi veneranda, tutti abbigliati con delle imponenti armature; al livello più alto: nove scranni di cui solo quattro occupati dai tre maestri dell'ordine presenti alla fortezza in quel giorno, e al centro da Lord Elendar Magnus II, governatore di Edimburgo e Gran Maestro dell'Ordine dei Guardiani di Scozia. Anch'esso vestito di una imponente armatura coperta di rune e antichi simboli mistici, sopra di questa drappeggiata con eleganza la tunica blu scuro dei Guardiani, sul petto ancora una volta i due draghi, uno dei quali, Belendor il drago ruggente di destra, coperto in parte da una ciocca dei lunghi capelli bianchi dell'uomo che ricadevano mollemente sul petto. Il volto del Gran Maestro era segnato da una mascella forte che sembrava quasi cesellata nel legno con i suoi tratti appuntiti rivelatori del suo sangue nordico e il naso adunco sormontato da due folte ciglia, bianche anch'esse, la fronte alta e segnata dai profondi solchi del tempo e infine gli occhi, attorniati da una fitta ragnatela di piccole righe simili a minuscole cicatrici, plumbei quasi a voler ricordare a chiunque ne incrociasse lo sguardo che quell'uomo, era stato forgiato dall'acciaio più duro.

Il sopracciglio sollevato dell'uomo e la dura occhiata che gli rivolse gli fecero intendere che il suo ritardo non era passato inosservato, maledicendo ancora la propria stupidità, iniziò a guardarsi attorno alla ricerca di volti noti, contrariamente a quanto dicesse la tradizione infatti c'erano molti spettatori nella galleria. Evidentemente molti dei guardiani e cavalieri che in quel momento risiedevano nel castello dovevano aver preso la cosa come un piacevole diversivo dalle incombenze quotidiane. Peccato che per lui e un'altra quarantina di sfortunati quella giornata sarebbe stata un calvario.
Accanto a lui si materializzò dalla piccola folla Sir Robert, l'uomo che gli aveva fatto da magister negli ultimi due anni seguendo l'addestramento suo e dei suoi compagni e guidandoli sul campo. Quasi del tutto calvo, a sentire lui per colpa degli scavezzacollo che gli venivano affidati, due profondi occhi castani e una barba tenuta perfettamente in ordine; era quanto di più simile ad uno schiavista avesse incontrato nella sua esistenza. Anche in quell'occasione non si dimostrò meno generoso di attenzioni prendendolo per un gomito e guidandolo, come se fosse stato una specie di animale senza ragione, in un loculo di pietra di cui Demian ignorava l'esistenza oltre che l'utilità.
-Siedi qui e aspetta il tuo turno, potrai sentire ciò che accade ai tuoi compagni ma non vedere le prove: così è stato deciso quest'anno.-
Incredibile ma vero, avrebbe passato le prossime ore in quella specie di loculo a sentire le urla degli altri senza sapere neanche cosa sarebbe successo, pensò con sconforto.
- La parola d'ordine per ritirarti in caso di grane è “viva Napoleone”, fatti valere ragazzo. - Le ultime parole ebbero l'effetto di una seconda doccia gelata, tanto che non riuscì neanche a rispondere all'uomo prima che l'altro se ne andasse. Era stata una sua sensazione o lo schiavista gli era parso genuinamente preoccupato? Comunque ormai non gli restava che aspettare il suo turno e raccogliere le energie.


-Bene, pare che finalmente tutti i contendenti siano ai loro posti. Quest'oggi, come si ripete ormai da oltre ottocento anni, si terrà la Prova, l'ultimo scalino che ogni aspirante deve compiere per salire al rango di confratello e divenire un Guardiano a tutti gli effetti. Le aspettative sono grandi così come lo saranno le delusioni per coloro che non dovessero superare questo difficile contenzioso. Come vuole la tradizione della Prova, l'esame consisterà in un duello con un emanazione magica di livello avanzato. I vostri magister vi hanno informato circa la formula per interrompere lo scontro, mentre le regole per il resto sono semplici, sopravvivete al vostro avversario. Che la forza di Arthorius tenda il vostro braccio mentre la fiamma di Merlino guida la vostra mano.- Le parole del Gran Maestro, scandite con voce dura e potente, segnarono l'inizio della Prova per gli sventurati aspiranti Guardiani.

Tre ore più tardi, Demian aveva sentito qualunque tipo di urla e imprecazioni provenire dalla stanza celata al suo sguardo, invocare il nome di Napoleone a più riprese. Non sapeva neanche se i suoi compagni si fossero battuti o meno, ne gli era stato possibile capire gli esiti dei vari scontri. In cuor suo non poteva che augurarsi che Everen e Lance, ai cui giorni avrebbe messo fine personalmente quella sera, si fossero salvati, degli altri non importava granché.


Lord Magnus osservava la folla accorsa a seguire gli scontri degli aspiranti, quell'affluenza era a dir poco insolita ma non lo stupì affatto, d'altronde quel giorno stava per accadere qualcosa che non si vedeva in quelle sale da più di trecento anni, tanto era passato da quando l'ultimo spezzaincantesimi d'Inghilterra aveva incrociato spada e bacchetta in quei luoghi. Alla sua destra Lord Malcom, l'anziano guardiano dei registri della fortezza, scandì con decisione il nome dell'aspirante successivo. -Demian L. Badwind- Immediatamente, un basso brusio si scatenò nella sala, facendo fremere infastidito un sopracciglio dell'anziano scribano. Prima che potesse dire alcunché comunque il chiasso si acquietò al passaggio del giovane che, come evocato dalle parole dell'anziano mago, s'incamminò al centro della stanza circolare, in attesa.

Il Gran Maestro osservò il giovane farsi strada nel circolo con passo sicuro, incurante della folla che li circondava al pari del ragazzo. Forse non era quello il termine che più si adattava a quel giovane che, immobile, attendeva l'inizio della sua Prova. In quegli anni di continuo addestramento il diciassettenne che era entrato alla fortezza per completare la sua istruzione magica con i Guardiani di Scozia, era maturato in un uomo e ora, due anni dopo, del ragazzo non rimanevano che gli stessi crini corvini selvaggi e troppo lunghi sia sul collo che sugli occhi e quelle stesse pozze d'acqua di sorgente che attente scandagliavano la stanza alla ricerca della minaccia che lo attendeva. Alto più di un metro e ottanta, con spalle larghe e i tratti del induriti dalla concentrazione, le mani impegnate da bacchetta e spada, era senza dubbio un avversario in grado di incutere timore; la fiamma della sua magia ardeva forte e agitata.

I quindici Lord sotto il suo scranno si alzarono in quel momento, e come un sol uomo presero a salmodiare lentamente, mentre le rune che delimitavano il grande cerchio nel cui centro aspettava il giovane mago, si accendevano come animate di luce propria. Pochi istanti più tardi ad una decina di passi dall'attendente una roboante colonna di fiamme apparse nel cerchio, e mentre le fiamme prendevano rapidamente delle fattezze antropomorfe, l'esperto mago sentì un familiare brivido lungo la schiena rizzargli i capelli sulla nuca, quell'emanazione sembrava permeata di un potere sinistro, un rapido sguardo agli uomini sotto di lui e la consapevolezza che quel rituale aveva qualcosa di inaspettato anche per loro lo colpì. La Prova però, ormai iniziata, non si poteva fermare...


A pochi metri da lui, un'enorme colonna di fuoco si sprigionò dal nulla investendolo con una vampata di calore e un sordo boato, alcuni istanti dopo le fiamme vorticarono fino a formare una specie di lungo braccio disarticolato che distese nella sua direzione. L'attimo successivo qualcosa di simile ad un torrente di fiamme venne scatenato nella sua direzione per schiantarsi li dove era stato prima di rotolare su un lato.
“Maledizione” Demian imprecò mentalmente mentre guadagnava in un lampo la posizione eretta, si era salvato per puro istinto di sopravvivenza, le gambe erano scattate prima che il suo cervello rilevasse la minaccia incombente. Era stato fortunato, ma non poteva affidarsi a quella risorsa se voleva uscire vivo da quello scontro, rifletté dando una rapida occhiata al punto in cui erano esplose le fiamme poco prima: la roccia era spezzata e dall'aspetto vetroso. Il vortice di fiamme intanto sembrava essersi condensato nell'imponente figura, dalle sembianze vagamente umanoidi, che lo fronteggiava. Sembra quasi che le fiamme fossero imprigionate dentro uno specchio, al punto che il loro vorticare dentro la creatura sembrava come riflesso in una polla d'acqua in una danza quasi ipnotica. Un braccio della creatura scattò nuovamente nella sua direzione innescando un altro fiume di lava verso di lui, questa volta tuttavia non si fece trovare impreparato e rapidamente, schermandosi con la bacchetta, alzò uno scudo attorno a se. L'impatto, molto più violento di quanto si fosse aspettato, fece vacillare le sue difese costringendolo ad arretrare di qualche passo mentre rapidamente iniziava a salmodiare in lingua gaelica per ridestare la forza della sua barriera. Era così concentrato nella sua opera che attribuì il repentino aumento della temperatura, che lo investì, al cedimento della sua difesa; invece improvvisamente sul suo fianco sinistro un lampo attirò la sua attenzione giusto in tempo per scorgere l'enorme creatura accanto a lui. “Per le gonne di Ginevra!” Fu il suo unico assurdo pensiero, l'attimo successivo qualcosa di simile al colpo di un ariete in fiamme sfondò la sua, già malconcia, barriera colpendolo duramente al fianco e mozzandogli il fiato mentre lo scaraventava a svariati metri di distanza. Mentre rotolava sul duro selciato della sala, per un attimo i suoi sensi andarono in affanno, il colpo doveva avergli inferto dei danni alla milza piuttosto gravi a giudicare dal sangue che gli era salito in gola, pensò tra se mentre cercava di riemergere dalla nuvola di dolore che sembrava avergli annebbiato il cervello. Rimettendosi in piedi sputò a terra un grumo di sangue, mentre la sua mente registrava rapidamente che il suo mantello e la blusa stavano bruciando. Ancora troppo intontito per pensare di estinguere le fiamme con un incanto, scartò subito di lato per evitare una nuova esplosione di fiamme e si strappò rapidamente di dosso gli indumenti incendiati. Il suo corpo sembrava reagire ancora agli stimoli nonostante i colpi subiti, ma sapeva che il calore liquido che sembrava scivolargli nelle membra non era un buon segno. Rapidamente l'adrenalina che aveva in circolo sarebbe stata metabolizzata e allora avrebbe iniziato a sentire lo scotto per i suoi errori. Nuovamente dovette gettarsi di lato per scansare un ennesima palla di fuoco, così facendo avrebbe consumato le sue energie troppo rapidamente, e i continui getti di lava non sembravano intaccare minimamente le forze del suo avversario. Dove aveva subito l'ultimo devastante attacco giaceva anche la sua spada, dubitava che in un simile scontro si sarebbe rivelata utile quindi decise di non curarsene mentre scartava nuovamente di lato rimettendosi in movimento. Era il momento di usare le sue carte migliori, decise tra se mentre cercava di evocare il suo potere. In quegli anni si era allenato a lungo per riuscire a padroneggiare la sua vista, e nonostante i suoi sforzi riusciva ancora a controllarla solo per pochi minuti e al prezzo di un esorbitante quantitativo di energie. Senza indugiare oltre, iniziò ad isolare i rumori dalla sua mente, lo sguardo fisso sul colosso di fiamme e le gambe sempre in movimento: la sua sopravvivenza, da quel momento affidata alla pratica e all'addestramento a reagire al pericolo. Non era facile, anzi, era maledettamente difficile ricreare la calma di cui necessitava per destare il suo potere, ma mai come in quel momento era necessario. Poi come sempre accadeva quando riusciva ad evocare il suo dono, improvvisamente vide.

Da millenni i più grandi eruditi e studiosi di magia avevano teorizzato che il potere, di qualunque branca della magia, fluisse negli oggetti e nelle creature, permeandoli a partire da un centro, un fulcro del potere magico, come la stessa fiamma dell'incantatore, e che si diramasse come un fiume dalla sua più pura sorgente fino a permearli in ogni dove. Lo avevano teorizzato certo, ma quelli come lui, la genia ormai quasi estinta, gli spezzaincantesimi, loro beh... loro vedevano. Ed eccola li, in mezzo a tutte quelle fiamme l'inconfondibile luce della magia del costrutto di fiamme si contorceva in un globo luminoso nell'ampio petto della creatura, irradiandosi come un'intricato fiume di lava fino a risplendere in ogni fiamma e bagliore generati da quel corpo incandescente. Senza indugiare oltre, conscio del fatto che il suo potere lo avrebbe sorretto al massimo per pochi altri minuti, evocò nella mano libera dalla bacchetta i poteri della sfera d'acqua, condensando nel suo palmo il vapore emesso dal suo stesso corpo in una lancia di ghiaccio infusa del suo potere, l'istante successivo l'aveva scagliata con tutta la sua forza verso quel centro pulsante di energia.

La lancia era ancora ad una spanna dal petto della creatura quando si accorse che qualcosa non andava: improvvisamente sul corpo dell'elementale comparvero degli altri tracciati di potere magico sovrastando il suo intricato disegno con altri due o forse addirittura tre fitti reticoli sottili, segno della lontananza delle loro sorgenti, ma senza dubbio alieni alla creatura. Non c'erano scritti ne testimonianze approfondite circa i poteri degli spezzaincantesimi, storicamente rari e poco inclini a condividere il proprio sapere, ma Demian sapeva, e sebbene simili nel colore e nella forma quelle emanazioni di energia, per lui, erano differenti tra loro come il giorno dalla notte. Come aveva temuto, la sua lancia venne deviata nella sua traiettoria da una forza invisibile e attraversò il petto del costrutto senza arrecare danno andando ad esplodere contro la barriera che li isolava dal resto della sala.
“Si sono preoccupati di ogni evenienza, sono colpito” fu il suo unico pensiero mentre sentiva la sua sicurezza iniziare a scemare lentamente.


La stanza si ostinava a girare attorno ad Everen mentre questa cercava di mettersi a sedere, aveva il petto e il capo fasciato da spesse bende, e doveva trovarsi nel sanatorio a giudicare dai tendaggi che limitavano il suo campo visivo. Non ricordava di esserci arrivata da sola, quindi doveva aver perso i sensi alla fine dello scontro. “Quella banshee mi ha provato più di quanto pensassi.” Decretò tra se mentre la stanza prendeva a girare più velocemente in risposta al suo tentativo di scendere dal letto. Cercando di normalizzare la respirazione aspettò pazientemente che il mondo smettesse di girare, i piedi nudi sulla fredda roccia del pavimento le infondevano un curioso senso di sicurezza, quasi fossero due ancore nella sua personale tempesta. Poco lontano da lei, su di una sedia, giacevano le sue vesti e i suoi stivali. Un passo dopo l'altro si avvicinò fino a toccarli, la camicia era pulita e non presentava tagli ne sangue, qualcuno doveva avergliene portata una nuova per quando si fosse svegliata, rifletté, mentre si infilava l'indumento attenta a muovere il meno possibile il fianco ferito dagli artigli della creatura con cui si era battuta poco prima. Lentamente sollevò anche il suo giaco di maglia elfico. Sul costato e su una spalla portava ancora i segni dello scontro subito. Necessitava di riparazioni e avrebbe anche dovuto pulirlo dal sangue incrostato, ma se ne sarebbe preoccupata in un secondo momento. Per quanto leggera aveva la sensazione che se avesse vestito l'armatura nelle sue condizioni non sarebbe più stata in grado di muovere un solo passo.
Finendo di abbottonarsi la camicia di morbida seta, agguantò la blusa, dello stesso blu delle brache che portava dallo scontro. Per un solo attimo osservò la sua immagine allo specchio lucidato accanto alla bacinella per la toletta. La pelle era solcata in più punti da graffi e abrasioni, e dalla fasciatura al capo una lunga goccia vermiglia doveva esserle colata sullo zigomo delicato durante il breve sonno, i capelli argentei ormai liberi dalla costrizione della treccia ricadevano in un groviglio arruffato sulla schiena. Non appena avesse avuto qualche goccia di potere avrebbe dovuto provvedere a curarsi le ferite, ma in quel momento era decisamente troppo debole per fare qualcosa che non fosse il semplice camminare. Tanto sarebbe bastato comunque, perché la fastidiosa sensazione di claustrofobia che sentiva dalla mattina si era acuita enormemente da quando si era svegliata in quel letto.

Qualcosa di malvagio stava per accadere in quei luoghi.

Scostò la tenda che la divideva dagli altri ospiti del sanatorio con un gesto deciso, attorno a lei altri malati giacevano dietro a tendaggi simili a quello che aveva ospitato il suo riposo. Improvvisamente il forte odore di erbe medicinali, pozioni e dolore che da sempre impregnavano quella lunga galleria colpirono i suoi sensi, fino a quel momento come assopiti. Non aveva mai amato quel luogo sebbene fosse stata costretta a visitarlo spesso negli anni che aveva trascorso alla fortezza. Era sicura che non dipendesse semplicemente dalle motivazioni che, come quel giorno, la portavano in quelle stanze. “E' come se le mura avessero assorbito il dolore e la disperazione dei feriti degli ultimi mille anni”. Si ritrovò a pensare ancora una volta mentre alla massima velocità consentitagli dalle fitte al fianco sinistro marciava verso la porta con un espressione, sperava, abbastanza determinata da tenere alla larga i guaritori e risparmiarle noiose spiegazioni e lamentele. Rivolse un rapido cenno del capo a due compagni che sedevano su un letto vicino all'uscita, le tende divisorie aperte per consentire ai due degenti di ammazzare il tempo giocando a carte. L'attimo successivo imbocco la massiccia porta del sanatorio concedendosi finalmente di respirare a fondo dell'aria meno malevola.
Si concesse una manciata di secondi ancora per raccogliere le forze e poi prese ad incamminarsi lungo il corridoio. Si trovava al piano terra dell'ala est della fortezza, e il maschio era nell'ala ovest, doveva spicciarsi. La lunga galleria, al pari delle altre arterie principali della rocca, era larga circa quattro metri, il soffitto alto quasi sei era sorretto da una lunga serie di archi incrociati, al centro dei quali, ordinati, pendevano dei lumi a petrolio che da li a qualche ora sarebbero stati accesi dalla guardia serale. L'arredamento, come per tutte le aree comuni, era spartano e composto solo da qualche vecchia panca di legno e da qualche rado candelabro di ferro battuto. Le mura possenti e antiche erano di blocchi di roccia grandi come la testa di un uomo e perfettamente incastrati a creare una superficie liscia e omogenea, sebbene tremendamente fredda. Unico vezzo all'arredamento spartano della fortezza era la lunga stuola di tessuto semplicemente ricamato che copriva la parte centrale della pavimentazione, forse con lo scopo più pratico che estetico di attutire i passi ferrati delle guardie notturne. Dopo aver attraversato circa metà del lungo corridoio scorse finalmente il piccolo portale ad arco che cercava, una lieve spinta e dopo aver aperto il chiavistello si immise nel cortile interno della fortezza, quel giorno stranamente deserto. Senza perdersi d'animo procedette con passo rapido sulla terra battuta del campo d'arme, il maschio del castello d'innanzi a lei oltre le più piccole torrette interne. Rapidamente passò sotto un cancello aperto, alto appena quattro metri e largo due, e senza preoccuparsi del cambio di atmosfera iniziò ad incedere attraverso quelli che erano in tutto e per tutto dei giardini perfettamente tenuti. Raggiunto l'imponente abete che campeggiava al centro del piccolo giardino si concesse una seconda pausa, così da assimilare un po' della forza della pianta e ridare luce alla sua fiamma interna. Poi riprese la sua marcia nervosa. Superò il piccolo chiostro che delimitava quel piccolo rettangolo di verde, senza curarsi per la prima volta delle raffinate incisioni che ornavano le strette colonnine che sempre l'avevano affascinata, per infilare un altro piccolo portale molto simile a quello che aveva usato per uscire dal corridoio dell'ala est. Era nella torre dei due draghi; il sudore le colava lungo il collo e sulla schiena per lo sforzo a cui si stava sottoponendo ma non se ne curò. Evitando i corridoi principali dell'elegante torretta si inerpicò per gli stretti camminamenti usati dalle guardie, ringraziando per la prima volta le infinite ronde notturne, sorbite per punizione, che gli avevano impresso nella mente ogni passaggio e scorciatoia della fortezza. Dopo quattro piani di scale e piccoli corridoi, in grado di far perdere l'orientamento anche a qualcuno nato in un labirinto, attraversò finalmente un'altra piccola porta di servizio, disillusa nel muro affinché fosse quasi invisibile. Finalmente d'innanzi a lei si estendeva il lungo corridoio che aveva percorso quella stessa mattina. Uno dei quattro camminamenti sospesi che fungeva da collegamento tra la rocca e l'antico Mastio, ultimo baluardo contro un eventuale invasione e sentinella imperitura del porto di Edimburgo. Un ultimo corridoio e fu davanti il portale che aveva varcato quella mattina per iniziare la sua Prova, un mormorio concitato proveniente da dietro la porta ebbe il potere di gelarle la leggera patina di sudore sulla schiena. Mentre spingeva lentamente un battente della porta con la spalla, attenta a non sollecitare il fianco offeso, un solo pensiero rimbombava nella sua testa.
“Durante la Prova, agli spettatori era imposto il silenzio, sempre...”


Immediatamente lo sguardo acuto dell'elfa individuò il compagno al centro della grande arena circolare, non faceva che correre, cambiando direzione di continuo con scatti repentini, evitando terribili getti di fiamme. Aveva perso il mantello, e doveva essersi strappato la parte superiore della tunica dell'ordine, i cui lembi bruciacchiati pendevano ora dalla cintura stretta in vita. Muovendosi per evitare i colpi del suo avversario, sovente, portava la mano al fianco destro. “Deve essersi ferito” Ne dedusse rapidamente, mentre uno scintillio al centro della stanza le rivelava che l'altro aveva perduto la spada. Un altro scoppio mancò di poco lo spezzaincantesimi, abbaiando per un attimo i sensibili occhi dell'elfa, che preoccupata per le condizioni di quello non aveva degnato di uno sguardo il suo avversario. Sgranò gli occhi nell'istante in cui segui l'ennesimo getto di fiamme fino alla sua sorgente: un colosso di fiamme dalle fattezze antropomorfe era fermo praticamente al centro della stanza e sembrava divertirsi a fare il tiro al bersaglio con il giovane incantatore, per poi cercare di arderlo vivo con degli scatti repentini durante i quali si lanciava sul suo avversario usando i suoi getti di fiamme come efficace diversivo. “C'è qualcosa di maledettamente sbagliato in questa Prova.” pensò tra se, e vedendo il Gran Maestro in piedi sullo scranno seguire lo scontro con una smorfia preoccupata a deturpargli il volto, ebbe la conferma che temeva. La temperatura nella stanza, era aumentata di parecchi gradi e quasi tutti gli spettatori si erano tolti ormai da tempo i mantelli, gli sguardi rapiti dalle fiamme. Osservando l'arena si stupì di non aver notato prima che la barriera protettiva, normalmente invisibile, era invece quasi del tutto in vista. Dal cerchio di rune tracciate a terra si alzava un'alta cupola azzurrognola, all'interno della quale l'aria incandescente vorticava selvaggiamente creando piccoli gorghi di fumo. Il potere e il calore scatenato al suo interno doveva essere enorme a giudicare dalla forza con cui rilucevano le antiche rune poste sul terreno. Tuttavia, la barriera sembrava tenere, e questo non spiegava il caldo nella stanza. “Dovrebbe rimanere confinato all'interno della cupola... Che sta succedendo?”. Un getto di fiamme esplose nuovamente una decina di passi dietro al mago, e questa volta, l'elfa fu sicura di vedere parte della deflagrazione balenare oltre la cupola in fiamme vermiglie. Stupita, fece alcuni passi tremolanti verso il cerchio, arrivando al limitare dello stretto colonnato.
“Ecco perché il calore ha invaso la stanza!”


“Non sta andando bene, non sta andando affatto bene.” Era la verità, un'altra manciata di minuti a quel ritmo e il suo avversario lo avrebbe trovato fermo ad aspettare il colpo finale, le sue energie scarseggiavano. I colpi che evitava non sempre lo lasciavano indenne a giudicare dalla chiazza rossa che si stava allargando sulla sua camicia all'altezza della spalla destra, delle schegge di pietra incandescente gli erano penetrate nella carne come lunghi spilli, e ora un sottile rivolo di sangue era colato lungo il braccio fino alla mano; piovevano gocce vermiglie. Le carte della sua mano si erano pericolosamente assottigliate, lo sapeva. Attorno a lui intanto la barriera che lo separava dal resto della sala era divenuta totalmente visibile si stupì, quando aveva evocato il suo potere, ormai qualche minuto prima, non l'aveva degnata di particolare interesse.
Un esplosione lo colse talmente vicino da fargli perdere l'equilibrio facendolo rotolare verso i limiti dell'arena. Mentre si rimetteva faticosamente in ginocchio, il corpo stordito dalle ondate di dolore liquido che partivano dalla spalla offesa, un rapido bagliore lo indusse a gettarsi nuovamente di lato, incurante della ferita. L'istante successivo un getto di lava centrò con violenza la barriera, la sua scia dove era stato il suo busto fino all'istante precedente. Mentre masticava una sonora imprecazione, e il dolore alla spalla tornava a farsi sordo, vide la barriera sussultare sotto il getto incandescente e, avrebbe potuto giurarlo, flettersi leggermente sotto il colpo subito. Molto strano, quella barriera aveva retto gli incanti lanciati durante le Prove di centinaia di incantatori e aveva sempre resistito senza problemi perché costruita dai fondatori dell'Ordine, incantatori dal potere inimmaginabile.
“Qualcosa non quadra.”
Con un ringhio quasi ferino, si rimise in piedi; la sua lucidità nuovamente messa a dura prova dal pulsare continuo della spalla malconcia.
“Muovermi, devo continuare a muovermi. Sono allenato a pensare sotto sforzo, cerchiamo di non gettare alle ortiche due anni di fatiche per questo acciarino andato a male.”
Un fiammata gli passo talmente vicina da risucchiargli l'aria dai polmoni, impattando con la barriera però, esplose senza che questa mostrasse alcun segno di cedimento.
“Che la stiano potenziando? Poco probabile, deve esserci qualcosa che mi sfugge.”
La barriera doveva essersi indebolita solo in alcune zone, ma perché? Qualcosa nella sua testa gli suggeriva che la risposta a quel curioso quesito avrebbe potuto rivelarsi una valida chiave di volta per lo scontro. Un urlo di donna lo distolse repentinamente dai suoi pensieri. “Everen?” L'istante successivo vide un proiettile incendiario saettare nella sua direzione, questa volta diretto una decina di passi davanti a lui. Il tempo di articolare il pensiero di fermarsi e una potente esplosione e la conseguente onda d'urto lo scagliarono all'indietro. Schegge infuocate gli si conficcarono nel petto. Rialzandosi lentamente a sedere un conato di vomito gli riempì la bocca di sangue, la camicia che si tingeva di rosso anche sul petto, mentre da un sopracciglio spaccato, il suo sangue appiccicoso gli velava l'occhio sinistro tingendo di rosso metà del suo mondo.


A pochi passi dalla sua posizione la roccia , ancora incandescente, spezzata dal colpo e la risposta ai suoi interrogativi. Rotolando di lato, così da evitare il successivo getto di fiamme, si rimise in piedi con stizza, le gambe ormai pesanti e impacciate nel rispondere agli stimoli della testa. Un piano, la sua ultima possibilità a giudicare dal sangue che gli imbrattava le vesti, iniziò a formarsi rapidamente nella sua mente. Il suo sguardo, febbrile, iniziò a muoversi per l'arena. L'istante successivo, mentre le gambe già scattavano ebbre delle sue ultime forze, individuò il suo campo d'azione. Come animato da una nuova follia si scaglio contro l'enorme creatura, i suoi getti di fiamme deviati senza timore al prezzo delle sue ultime energie. Finalmente, si ritrovò abbastanza vicino al colosso da sentirne l'intossicante calore sulla pelle, con un colpo dello stivale fece saltare la spada, a terra praticamente dall'inizio del combattimento, afferrandola con la mancina; la bacchetta ormai inutile ai suoi piedi. Iniziò allora un furioso scontro all'arma bianca, fatto di potenti affondi e repentine schivate, che ben presto si tramutò in una lenta ritirata. I colpi di spada per quando precisi non sembravano sortire effetto contro il corpo di fiamme del suo avversario, che al contrario contrattaccava con le enormi braccia fiammeggianti usandole come rudimentali quanto efficaci randelli.


Everen capì che tutto era perduto quando vide il compagno scattare in avanti.
“Deve aver perso troppo sangue, che diamine pensa di fare con una spada contro una montagna di fiamme?” Non c'era via d'uscita lo sapeva, e vedere il pubblico finalmente in silenzio, non fu che un ulteriore conferma. Il furioso attacco lentamente scemò in una difficile ritirata; il giovane mago doveva guardarsi da qualunque parte del corpo del suo avversario, ed era quindi praticamente costretto a girargli attorno per impedire che questo risolvesse lo scontro semplicemente caricandolo con la sua mole. Cosa voleva dimostrare comportandosi in questo modo? Conosceva lo spezzaincantesimi da due anni e sebbene amasse prendersi i suoi rischi non l'aveva mai visto combattere una battaglia persa con tanto ardore.
Intanto i Lord seguivano lo scontro, le mani serrate sui lignei scranni, gli sguardi scuri e fissi mentre si consumava quella che nei pensieri di molti era già una tragedia.
La ritirata giunse alla sua fine, nei pressi di una delle enormi finestre che davano sul Loch Nor, lo spezzaincantesimi praticamente a contatto con la barriera, la sua figura ridotta ad ombra fugace per i suoi attoniti spettatori tra il rogo del suo avversario e la pallida luce estiva che inondava la sala.
Poi, il caos.

Lo spezzaincantesimi avvertì il contatto con la barriera come una leggera pressione lungo la sua schiena, un leggero riverbero lo informò di trovarsi in prossimità di una delle finestre.
“Il dado è tratto.” Pensò tra se mentre abbatteva un altro inutile fendente con il braccio sinistro, ormai lento e pesante. Si fece di lato schivando un prevedibile ma devastante affondo del braccio fiammeggiante per poi compiere il suo piano. Con la rapidità donata al suo corpo dalla disperazione calò la spada sul duro selciato, la lama, antico cimelio della sua famiglia e veterana di molti scontri, rifiutò di cedere il passo perfino alla pietra, trovando una commettitura del selciato e entrandovi per una spanna. L'istante successivo ciò che restava della sua magia fluì nella lama, risvegliando al contempo ciò che restava del potere di coloro che l'avevano brandita prima di lui, poi la mano lasciò la presa e il potere rudemente incanalato nell'arma reclamò la libertà irradiandosi dall'acciaio e cancellando tutto ciò che si trovava nelle sue immediate vicinanze.
L'onda d'urto, perfino superiore alle sue aspettative investì Demian quando, grazie ad uno scatto repentino, era già oltre il raggio distruttivo dell'incanto da lui innescato. Come aveva temuto, prima ancora che la nube di detriti si fosse posata il ruggito incollerito del suo avversario gli comunicò che il suo attacco non aveva sortito nessun effetto. Giaceva sulla schiena intontito dalla caduta quando il colosso di fiamme si volse, le spalle ora alla finestra, scoprendolo ormai incapace perfino di muoversi.
Demian giurò di aver visto le fiamme sul volto senza tratti del suo avversario formare un malefico ghigno. L'attimo successivo, il braccio destro alzato verso il mostro, scatenò la sua ultima carta.

Ricordava ancora il giorno in cui, ancora dodicenne, il suo tutore gli aveva descritto le varie scuole di magia praticata... “Ci sono otto scuole di magia consentite alle creature mortali: le quattro elementali, quella dell'illusione, quella della guarigione, quella della trasmutazione e infine quella del sangue...” la branca scoperta dai cainidi attraverso lo studio della sete e del loro potere, il segreto della longevità dei maghi più potenti, e una delle scuole più affini per gli studi di uno spezzaincantesimi. Perché come il potere magico, il sangue scorre e si irradia nei corpi, silente mezzo di trasporto di energie e vitalità.
Quasi sorrise mentre osservava una goccia vermiglia cadere dal suo palmo, il tempo dilatato negli ultimi attimi prima che il suo incanto giungesse al termine. Come se un sadico bambino gliele stesse disegnando nella carne con uno stiletto appuntito, sentì le sue vene e le sue arterie, diramarsi nel suo corpo dal cuore, caldo centro del suo essere, e districarsi per tutto il corpo. Sentì le sue ferite, la dove i vasi erano recisi, e i suoi polmoni caricare la sua linfa di ossigeno. Poi, dopo aver raggiunto anche i capillari più lontani, gli sembrò che tutto il suo sangue tornasse al cuore in un istante per poi fluire, selvaggio, quasi scavando nelle sue arterie, verso il braccio levato. L'attimo successivo una potente esplosione senza rumore investì la bestia di fiamme scagliandola verso l'enorme finestra e poi nel vuoto poiché, con le rune nel terreno spezzate dall'esplosione precedente, non vi era più alcuna barriera a trattenerla.



Quella mattina la guardia del porto e numerosi passanti giurarono di aver visto una palla di fuoco rotolare per le ripide pendenze del fiordo marino, per poi inabissarsi nelle gelide acque del Mare del Nord in un enorme gayser. Per molto tempo nelle bettole della capitale scozzese si parlò del nuovo obice da duecento libbre istallato sulle mura del castello. Altri ancora convinti narrarono a lungo del riarmo del temuto Mons Meg, l'enorme cannone della fortezza che taceva ormai da quasi due secoli.






«Gli uomini di genio sono meteore destinate a bruciare per illuminare il loro secolo.»
Attribuita a Napoleone Bonaparte


Note:

Che dire, eccoci qui, ho riveduto e corretto gli errori che ho trovato, se doveste imbattervi in altri orrori simili cercherò di correggerli ove mi sarà possibile.

Che dire non pretendo di essere uno scrittore ne di scrivere un capolavoro. Quello che esce dalla mia tastiera nasce e prende vita dal mio unico desiderio di tentare di scrivere una storia che mi piacerebbe leggere, se i miei sforzi aiuteranno a passare qualche ora anche ad altri la cosa non può farmi che piacere!

La storia ad oggi è arrivata al suo sesto capitolo, capitoli che devono essere ancora revisionati e in alcune parti leggermente riscritti.


Infine il prossimo capitolo “Giuramenti” che spero di mettere on-line tra una settimana (ma qui l'esito degli esami sarà determinante per le tempistiche!) vedrà l'azione cedere il posto ad un po' di vita di tutti i giorni nella fortezza di Edimburgo, mentre il lento muoversi degli eventi inizierà la sua pigrissima corsa.

  
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