«Quand'anche
camminassi nella valle dell'ombra della morte,
non temerei alcun
male.»
- Libro dei
Salmi 23:4
1°
1783 Higland, Scozia
Le fiamme
crepitavano senza sosta
sfigurando la notte con tremuli bagliori rivelatori di uno spettacolo
di desolante bellezza. Del maniero dei Badwind, eretto sulle Higland
oltre mille anni prima per resistere alle invasioni dei Sassoni, non
restavano che pietre dissestate. Sembrava quasi che un bambino
dispettoso avesse deciso di distruggere il castello di sabbia
costruito poco prima. Nello fragore dell'incendio l'unica voce che si
sollevava nella notte era quella di un infante, avvolto nelle fiamme
come fossero state un morbido rifugio dal freddo ostile della notte.
Difronte a lui, una figura incappucciata si stagliava contro la luce
per la prima volta paralizzata dal dubbio. Osservava le aspre lame di
fuoco accarezzare i bordi della sua veste senza lambirli, rapita. I
segni si erano manifestati tutti, gli avvertimenti erano caduti nel
vuoto, e quella era l'ennesima riprova della stupidità degli
uomini.
Era arrivato il tempo, eppure ora anche la sua mano tardava
nell'agire. Come ridestandosi da un lungo sonno, la figura immerse
repentinamente le mani nella fiamme sedandole e afferrò il
bambino.
Una risata ilare sovrastò allora il crepitio mentre il
bambino si
allungava per tirare i bordi del cappuccio dello sconosciuto
evidentemente divertito dal repentino cambio di posizione.
Le spalle
dell'uomo per lunghi
istanti sembrarono fremere come sotto il peso dell'indecisione per
poi piegarsi sconfitte. Una morsa si strinse sul suo cuore mentre
nuovamente alzava lo sguardo sul bambino stretto tra le sue braccia.
Nel tempo infinito di un battito di ciglia osservò una
piccola piuma
candida, simile a quella di un rapace, cadere mollemente sul petto
dell'infante per tingersi immediatamente di nero come corrosa da
fiamme invisibili. Sulla pelle diafana e perfetta dell'infante solo
una piccola scottatura a testimonianza dello strano fenomeno
evidentemente indolore.
Il bambino ignaro
di tutto e stanco
di giocare si era tranquillamente addormentato.
Il rumore di un
cavallo lasciato
libero al trotto, raggiunse la figura ammantata inducendola a girarsi
per osservare un magnifico baio attraversare i cancelli dell'antica
dimora ormai abbattuti dalle fiamme; il suo cavaliere ancora troppo
lontano e abbaiato dalla luce vivida dell'incendio per poter scorgere
qualcosa di diverso dalla distruzione di quel luogo.
Un urlo, quasi
bestiale, risuonò
per tutto l'altopiano mentre il nuovo arrivato si lasciava cadere in
ginocchio d'innanzi al rogo inarrestabile. La figura incappucciata
depose lentamente il bambino a terra, lontano dalle fiamme, mentre si
voltava un ultima volta verso il corpo chino dell'uomo. I suoi occhi
sembrarono accendersi per un attimo, illuminati dal riverbero
dell'incendio mentre osservava quel corpo scosso dal dolore innalzare
la sua pena fino al cielo, pochi istanti più tardi quegli
occhi di
donna erano spariti.
Al limitare del boschetto che si estendeva vicino ai ruderi incandescenti del castello cinque figure incappucciate, non viste, osservavano l'uomo piangere calde lacrime di rimpianto mentre traeva dalla distruzione un piccolo fagotto. Erano arrivati tardi, e un nuovo potere si era messo sulla loro strada, in silenzio diedero le spalle al rogo per sparire nella foresta.
I segni si erano manifestati.
1802, Edimburgo, Scozia
Dal vangelo delle ombre, capitolo primo.
1° Assioma della fede: “La magia esiste. Colui che opera le forze occulte è detto mago, e segue i dettami del Vangelo delle ombre.”
2° Assioma della segretezza “La magia e tutte le sue emanazioni devono rimanere occultate agli Ignari, perché la verità è protetta nel sapere dei pochi.”
3° Assioma del limite “Vi è un limite, invalicabile, la Morte. Cercare di scavalcarlo è bestemmia e dannazione.”
Demian L. Badwind non era
un fatalista,
anzi, ma quella mattina una vocina nella sua testa sembrava cercare
di convincerlo a non alzarsi. Intorpidito dal lento risveglio, non
poteva fare a meno di provare quella fastidiosa sensazione di
anticipazione. Non sarebbe stata una bella giornata, ne era ormai
più
che certo quando venne raggiunto da una voce che confermò
all'istante i suoi pensieri.
-Demian! Che diamine fai
ancora a
letto? Non hai visto che ore sono, possibile che te debba sempre
essere in ritardo?- Quella voce leggermente acuta, e in quel momento
venata dalla collera, ebbe il potere di fargli aprire titubante un
occhio ceruleo. Attorno a se le coltri del suo letto a baldacchino in
cui non ricordava di essersi infilato la sera prima. Doveva avere
bevuto parecchio constatò in maniera quasi distaccata mentre
si
sedeva lentamente, l'altro occhio ancora rigorosamente chiuso, e una
stilettata alla testa lo riportava drasticamente nel mondo dei vivi.
Era ancora vestito come la sera prima a ben guardare; sapeva che
festeggiare fino a tarda ora lo lasciava sempre in quelle condizioni
la mattina dopo... Festeggiare... La consapevolezza lo colpì
come
una secchiata d'acqua gelida mentre scattava in piedi incurante del
dolore alla testa e dello sguardo della proprietaria della voce che
l'aveva ridestato. “Maledizione, maledizione, maledizione,
come
poteva essere stato cose stupido!” Ricordava la voce di Lance
quando era andato a prenderlo per il “bicchiere della
staffa”
prima del grande giorno, diamine, se sopravviva a quella giornata lo
avrebbe arso lui stesso! Decise mentre dalla sua bocca usciva una
specie di ringhio e si spogliava della camicia del giorno prima,
incurante del suo annoiato e irato pubblico, per darsi una sciacquata
nella bacinella posta in un angolo della stanza. Pochi minuti dopo,
un ombra di barba sul volto, seguiva la sua accompagnatrice lungo i
corridoi della fortezza.
Ancora
infuriato per la sua
stupidità
finì di stringere i passanti della sua cintura e si concesse
di
iniziare a guardare dove metteva i piedi. A pochi passi lo precedeva,
con il morbido incedere di un carro da battaglia, Everen Silithoria
Elhendar. Poteva intendere l'irritazione della compagna solo
osservando la sua rigida postura, decisamente non doveva essere
felice di arrivare in ritardo a causa sua, e sebbene ormai fosse
abituato agli scoppi d'ira dell'elfa non poteva fare a meno di essere
un po' preoccupato per il suo ostinato silenzio. Se c'era una cosa
famosa alla fortezza, quella erano sicuramente gli scoppi d'ira
dell'elementalista della sua squadra. Si era chiesto spesso come si
sprigionasse, in un corpo così minuto, una potenza simile a
quella
della voce dell'incantatrice quando gli urlava contro. Arrivava a
mala pena al metro e sessanta e anche avvolta nella scura tunica del
loro ordine, sotto la quale di tanto in tanto riluceva la leggera
armatura di maglia elfica che era solita portare sotto di questa,
sembrava quasi una bambina dalle fattezze perfette. Era sempre stato
affascinato dalla bellezza eterea che caratterizzava la sua specie,
niente a che vedere con il fascino seducente di un vampiro, sembrava
quasi di osservare una pallida luce purissima: troppo debole per
ferire lo sguardo ma abbastanza forte da calamitarlo. Nessuno avrebbe
creduto una creatura simile capace di fare del male anche solo ad una
mosca, inutile dire quanto questa convinzione fosse sbagliata. Doveva
ammettere che certo, l'elfa era senza dubbio una creatura di buon
cuore e dalla pazienza quasi infinita,
come era solita ricordargli prima dei suoi scoppi d'ira di cui lui
era uno dei più frequenti bersagli, ma era sicuro che
chiunque
guardando oltre i morbidi tratti della sua razza e imbattendosi nei
suoi occhi, del colore delle foglie di vite, avrebbe intuito di
trovarsi dinnanzi ad una guerriera.
Distratto
dai suoi
stessi pensieri vide la donna interrompere la sua marcia per poi
inspirare forte, come a voler placare i battiti del suo cuore, per
poi espirare piegando leggermente le spalle sui cui faceva mostra di
se la sua serica chioma, di un biondo talmente chiaro da ricordare il
platino, acconciata in una stretta treccia che le arrivava a
metà
schiena.
Si
girò
lentamente nella sua direzione. Il volto di tre quarti, lo sguardo
ormai privo di rabbia, le morbide labbra corrucciate dalla
preoccupazione, per chi dei due, lui non avrebbe saputo dirlo.
-Buona
fortuna
Demian.- La voce sottile, ridotta quasi a sussurro. L'attimo
successivo, senza aspettare alcuna risposta da lui, aveva fatto forza
sulla porta difronte a loro per sparire poco dopo al suo interno.
Rimasto
solo si
ritrovò a fissare quella stessa porta, gli occhi che pigri
inseguivano le venature del legno massiccio inerpicarsi verso l'alto,
alla ricerca del coraggio per entrare. Si ergeva per oltre tre metri
dinnanzi a lui. Il legno e i rinforzi in ferro battuto smaltati di
nero opaco, mentre al centro faceva mostra di se l'antico stemma dei
guardiani, due draghi scolpiti nell'argento più puro che in
un
circolo sembravano sul punto di azzannarsi la coda l'un l'altro. Un
simbolo dai molteplici significati che negli anni aveva imparato,
contro ogni aspettativa, ad ammirare e rispettare. Sul suo mantello
una spilla di bronzo raffigurava lo stesso simbolo, e gli attribuiva
il suo ruolo, almeno fino a quel giorno. Inspirò con forza
anche
lui, come aveva fatto pochi secondi prima la sua compagna, e si
concesse un ultimo sguardo alla sua sinistra dove, si sarebbe detta
intagliata nella nuda roccia, faceva mostra di se una delle imponenti
finestre che illuminavano il corridoio. Un passaggio quasi sospeso
sul Loch Nor, l'imponente fiordo marino che delimitava il confine tra
la città vecchia e la nuova, sotto ancora Edimburgo e poi il
freddo
mare del Nord, quasi placido in quel soleggiato giorno di fine
agosto. Di fronte a lui, ancora quella porta e oltre la sala
dell'adunata.
Appoggiò
le
braccia sui battenti della porta, un ultimo respiro, e senza che i
muscoli delle spalle dovessero contrarsi la porta cedette dolcemente
sotto il suo peso; era la resa dei conti.
La stanza, era rimasta tale e quale a come la ricordava dalla prima e unica volta che l'aveva vista, ormai quasi due anni prima. Ricavata all'ultimo piano del Mastio della fortezza, la torre più imponente e massiccia, era a pianta circolare e munita di due sole entrate: la prima, usata da lui in entrambe le occasioni in cui vi era entrato, immetteva in una sorta di anticamera, composta da un colonnato, l'argo circa tre metri che seguiva la curvatura della stanza formando una sorta di lungo chiostro aperto a forma di ferro di cavallo, li aspettavano coloro che dovevano essere esaminati; la seconda, dalla parte opposta rispetto all'altra, era incassata in un rialzo di scuro legno che dava direttamente su una serie di scranni dello stesso materiale. Gli alti scranni, si sviluppavano su due livelli, creando un soppalco dal quale scendevano due grandi stendardi: il primo, raffigurante i due draghi dei guardiani in campo nero; il secondo la maschera tagliata orizzontalmente, con i suoi occhi irridenti, in campo blu. Sulle alte e austere poltrone, al livello più basso, sedevano quindici uomini, Lord e maghi dell'ordine, ognuno di loro abbigliato secondo il proprio grado e nonostante l'età di alcuni, ormai quasi veneranda, tutti abbigliati con delle imponenti armature; al livello più alto: nove scranni di cui solo quattro occupati dai tre maestri dell'ordine presenti alla fortezza in quel giorno, e al centro da Lord Elendar Magnus II, governatore di Edimburgo e Gran Maestro dell'Ordine dei Guardiani di Scozia. Anch'esso vestito di una imponente armatura coperta di rune e antichi simboli mistici, sopra di questa drappeggiata con eleganza la tunica blu scuro dei Guardiani, sul petto ancora una volta i due draghi, uno dei quali, Belendor il drago ruggente di destra, coperto in parte da una ciocca dei lunghi capelli bianchi dell'uomo che ricadevano mollemente sul petto. Il volto del Gran Maestro era segnato da una mascella forte che sembrava quasi cesellata nel legno con i suoi tratti appuntiti rivelatori del suo sangue nordico e il naso adunco sormontato da due folte ciglia, bianche anch'esse, la fronte alta e segnata dai profondi solchi del tempo e infine gli occhi, attorniati da una fitta ragnatela di piccole righe simili a minuscole cicatrici, plumbei quasi a voler ricordare a chiunque ne incrociasse lo sguardo che quell'uomo, era stato forgiato dall'acciaio più duro.
Il
sopracciglio
sollevato dell'uomo e la dura occhiata che gli rivolse gli fecero
intendere che il suo ritardo non era passato inosservato, maledicendo
ancora la propria stupidità, iniziò a guardarsi
attorno alla
ricerca di volti noti, contrariamente a quanto dicesse la tradizione
infatti c'erano molti spettatori nella galleria. Evidentemente molti
dei guardiani e cavalieri che in quel momento risiedevano nel
castello dovevano aver preso la cosa come un piacevole diversivo
dalle incombenze quotidiane. Peccato che per lui e un'altra
quarantina di sfortunati quella giornata sarebbe stata un calvario.
Accanto
a lui si
materializzò dalla piccola folla Sir Robert, l'uomo che gli
aveva
fatto da magister negli
ultimi due anni seguendo l'addestramento suo e dei suoi compagni e
guidandoli sul campo. Quasi del tutto calvo, a sentire lui per colpa
degli scavezzacollo che gli venivano affidati, due profondi occhi
castani e una barba tenuta perfettamente in ordine; era quanto di
più
simile ad uno schiavista avesse incontrato nella sua esistenza. Anche
in quell'occasione non si dimostrò meno generoso di
attenzioni
prendendolo per un gomito e guidandolo, come se fosse stato una
specie di animale senza ragione, in un loculo di pietra di cui
Demian ignorava l'esistenza oltre che l'utilità.
-Siedi qui e aspetta il tuo turno, potrai sentire ciò che
accade ai
tuoi compagni ma non vedere le prove: così è
stato deciso
quest'anno.-
Incredibile ma vero, avrebbe passato le prossime ore in quella specie
di loculo a sentire le urla degli altri senza sapere neanche cosa
sarebbe successo, pensò con sconforto.
- La parola d'ordine per ritirarti in caso di grane è
“viva
Napoleone”, fatti valere ragazzo. - Le ultime parole ebbero
l'effetto di una seconda doccia gelata, tanto che non riuscì
neanche
a rispondere all'uomo prima che l'altro se ne andasse. Era stata una
sua sensazione o lo schiavista gli era parso genuinamente
preoccupato? Comunque ormai non gli restava che aspettare il suo
turno e raccogliere le energie.
-Bene, pare che finalmente tutti i contendenti siano ai loro posti. Quest'oggi, come si ripete ormai da oltre ottocento anni, si terrà la Prova, l'ultimo scalino che ogni aspirante deve compiere per salire al rango di confratello e divenire un Guardiano a tutti gli effetti. Le aspettative sono grandi così come lo saranno le delusioni per coloro che non dovessero superare questo difficile contenzioso. Come vuole la tradizione della Prova, l'esame consisterà in un duello con un emanazione magica di livello avanzato. I vostri magister vi hanno informato circa la formula per interrompere lo scontro, mentre le regole per il resto sono semplici, sopravvivete al vostro avversario. Che la forza di Arthorius tenda il vostro braccio mentre la fiamma di Merlino guida la vostra mano.- Le parole del Gran Maestro, scandite con voce dura e potente, segnarono l'inizio della Prova per gli sventurati aspiranti Guardiani.
Tre ore più tardi, Demian aveva sentito qualunque tipo di urla e imprecazioni provenire dalla stanza celata al suo sguardo, invocare il nome di Napoleone a più riprese. Non sapeva neanche se i suoi compagni si fossero battuti o meno, ne gli era stato possibile capire gli esiti dei vari scontri. In cuor suo non poteva che augurarsi che Everen e Lance, ai cui giorni avrebbe messo fine personalmente quella sera, si fossero salvati, degli altri non importava granché.
Lord Magnus osservava la folla accorsa a seguire gli scontri degli aspiranti, quell'affluenza era a dir poco insolita ma non lo stupì affatto, d'altronde quel giorno stava per accadere qualcosa che non si vedeva in quelle sale da più di trecento anni, tanto era passato da quando l'ultimo spezzaincantesimi d'Inghilterra aveva incrociato spada e bacchetta in quei luoghi. Alla sua destra Lord Malcom, l'anziano guardiano dei registri della fortezza, scandì con decisione il nome dell'aspirante successivo. -Demian L. Badwind- Immediatamente, un basso brusio si scatenò nella sala, facendo fremere infastidito un sopracciglio dell'anziano scribano. Prima che potesse dire alcunché comunque il chiasso si acquietò al passaggio del giovane che, come evocato dalle parole dell'anziano mago, s'incamminò al centro della stanza circolare, in attesa.
Il Gran Maestro osservò il giovane farsi strada nel circolo con passo sicuro, incurante della folla che li circondava al pari del ragazzo. Forse non era quello il termine che più si adattava a quel giovane che, immobile, attendeva l'inizio della sua Prova. In quegli anni di continuo addestramento il diciassettenne che era entrato alla fortezza per completare la sua istruzione magica con i Guardiani di Scozia, era maturato in un uomo e ora, due anni dopo, del ragazzo non rimanevano che gli stessi crini corvini selvaggi e troppo lunghi sia sul collo che sugli occhi e quelle stesse pozze d'acqua di sorgente che attente scandagliavano la stanza alla ricerca della minaccia che lo attendeva. Alto più di un metro e ottanta, con spalle larghe e i tratti del induriti dalla concentrazione, le mani impegnate da bacchetta e spada, era senza dubbio un avversario in grado di incutere timore; la fiamma della sua magia ardeva forte e agitata.
I quindici Lord sotto il suo scranno si alzarono in quel momento, e come un sol uomo presero a salmodiare lentamente, mentre le rune che delimitavano il grande cerchio nel cui centro aspettava il giovane mago, si accendevano come animate di luce propria. Pochi istanti più tardi ad una decina di passi dall'attendente una roboante colonna di fiamme apparse nel cerchio, e mentre le fiamme prendevano rapidamente delle fattezze antropomorfe, l'esperto mago sentì un familiare brivido lungo la schiena rizzargli i capelli sulla nuca, quell'emanazione sembrava permeata di un potere sinistro, un rapido sguardo agli uomini sotto di lui e la consapevolezza che quel rituale aveva qualcosa di inaspettato anche per loro lo colpì. La Prova però, ormai iniziata, non si poteva fermare...
A
pochi metri da
lui, un'enorme colonna di fuoco si sprigionò dal nulla
investendolo
con una vampata di calore e un sordo boato, alcuni istanti dopo le
fiamme vorticarono fino a formare una specie di lungo braccio
disarticolato che distese nella sua direzione. L'attimo successivo
qualcosa di simile ad un torrente di fiamme venne scatenato nella sua
direzione per schiantarsi li dove era stato prima di rotolare su un
lato.
“Maledizione”
Demian imprecò mentalmente mentre guadagnava in un lampo la
posizione eretta, si era salvato per puro istinto di sopravvivenza,
le gambe erano scattate prima che il suo cervello rilevasse la
minaccia incombente. Era stato fortunato, ma non poteva affidarsi a
quella risorsa se voleva uscire vivo da quello scontro,
rifletté
dando una rapida occhiata al punto in cui erano esplose le fiamme
poco prima: la roccia era spezzata e dall'aspetto vetroso. Il vortice
di fiamme intanto sembrava essersi condensato nell'imponente figura,
dalle sembianze vagamente umanoidi, che lo fronteggiava. Sembra quasi
che le fiamme fossero imprigionate dentro uno specchio, al punto che
il loro vorticare dentro la creatura sembrava come riflesso in una
polla d'acqua in una danza quasi ipnotica. Un braccio della creatura
scattò nuovamente nella sua direzione innescando un altro
fiume di
lava verso di lui, questa volta tuttavia non si fece trovare
impreparato e rapidamente, schermandosi con la bacchetta,
alzò uno
scudo attorno a se. L'impatto, molto più violento di quanto
si fosse
aspettato, fece vacillare le sue difese costringendolo ad arretrare
di qualche passo mentre rapidamente iniziava a salmodiare in lingua
gaelica per ridestare la forza della sua barriera. Era così
concentrato nella sua opera che attribuì il repentino
aumento della
temperatura, che lo investì, al cedimento della sua difesa;
invece
improvvisamente sul suo fianco sinistro un lampo attirò la
sua
attenzione giusto in tempo per scorgere l'enorme creatura accanto a
lui. “Per le gonne di Ginevra!” Fu il suo unico
assurdo pensiero,
l'attimo successivo qualcosa di simile al colpo di un ariete in
fiamme sfondò la sua, già malconcia, barriera
colpendolo duramente
al fianco e mozzandogli il fiato mentre lo scaraventava a svariati
metri di distanza. Mentre rotolava sul duro selciato della sala, per
un attimo i suoi sensi andarono in affanno, il colpo doveva avergli
inferto dei danni alla milza piuttosto gravi a giudicare dal sangue
che gli era salito in gola, pensò tra se mentre cercava di
riemergere dalla nuvola di dolore che sembrava avergli annebbiato il
cervello. Rimettendosi in piedi sputò a terra un grumo di
sangue,
mentre la sua mente registrava rapidamente che il suo mantello e la
blusa stavano bruciando. Ancora troppo intontito per pensare di
estinguere le fiamme con un incanto, scartò subito di lato
per
evitare una nuova esplosione di fiamme e si strappò
rapidamente di
dosso gli indumenti incendiati. Il suo corpo sembrava reagire ancora
agli stimoli nonostante i colpi subiti, ma sapeva che il calore
liquido che sembrava scivolargli nelle membra non era un buon segno.
Rapidamente l'adrenalina che aveva in circolo sarebbe stata
metabolizzata e allora avrebbe iniziato a sentire lo scotto per i
suoi errori. Nuovamente dovette gettarsi di lato per scansare un
ennesima palla di fuoco, così facendo avrebbe consumato le
sue
energie troppo rapidamente, e i continui getti di lava non sembravano
intaccare minimamente le forze del suo avversario. Dove aveva subito
l'ultimo devastante attacco giaceva anche la sua spada, dubitava che
in un simile scontro si sarebbe rivelata utile quindi decise di non
curarsene mentre scartava nuovamente di lato rimettendosi in
movimento. Era il momento di usare le sue carte migliori, decise tra
se mentre cercava di evocare il suo potere.
In quegli anni si era allenato a lungo per riuscire a padroneggiare
la sua vista,
e nonostante i suoi sforzi riusciva ancora a controllarla solo per
pochi minuti e al prezzo di un esorbitante quantitativo di energie.
Senza indugiare oltre, iniziò ad isolare i rumori dalla sua
mente,
lo sguardo fisso sul colosso di fiamme e le gambe sempre in
movimento: la sua sopravvivenza, da quel momento affidata alla
pratica e all'addestramento a reagire al pericolo. Non era facile,
anzi, era maledettamente difficile ricreare la calma di cui
necessitava per destare il suo potere, ma mai come in quel momento
era necessario. Poi come sempre accadeva quando riusciva ad evocare
il suo dono, improvvisamente vide.
Da millenni i più grandi eruditi e studiosi di magia avevano teorizzato che il potere, di qualunque branca della magia, fluisse negli oggetti e nelle creature, permeandoli a partire da un centro, un fulcro del potere magico, come la stessa fiamma dell'incantatore, e che si diramasse come un fiume dalla sua più pura sorgente fino a permearli in ogni dove. Lo avevano teorizzato certo, ma quelli come lui, la genia ormai quasi estinta, gli spezzaincantesimi, loro beh... loro vedevano. Ed eccola li, in mezzo a tutte quelle fiamme l'inconfondibile luce della magia del costrutto di fiamme si contorceva in un globo luminoso nell'ampio petto della creatura, irradiandosi come un'intricato fiume di lava fino a risplendere in ogni fiamma e bagliore generati da quel corpo incandescente. Senza indugiare oltre, conscio del fatto che il suo potere lo avrebbe sorretto al massimo per pochi altri minuti, evocò nella mano libera dalla bacchetta i poteri della sfera d'acqua, condensando nel suo palmo il vapore emesso dal suo stesso corpo in una lancia di ghiaccio infusa del suo potere, l'istante successivo l'aveva scagliata con tutta la sua forza verso quel centro pulsante di energia.
La lancia era ancora ad una spanna dal petto della creatura quando si
accorse che qualcosa non andava: improvvisamente sul corpo
dell'elementale comparvero degli altri tracciati di potere magico
sovrastando il suo intricato disegno con altri due o forse
addirittura tre fitti reticoli sottili, segno della lontananza delle
loro sorgenti, ma senza dubbio alieni alla creatura. Non c'erano
scritti ne testimonianze approfondite circa i poteri degli
spezzaincantesimi, storicamente rari e poco inclini a condividere il
proprio sapere, ma Demian sapeva, e sebbene simili nel colore e nella
forma quelle emanazioni di energia, per lui, erano differenti tra
loro come il giorno dalla notte. Come aveva temuto, la sua lancia
venne deviata nella sua traiettoria da una forza invisibile e
attraversò il petto del costrutto senza arrecare danno
andando ad
esplodere contro la barriera che li isolava dal resto della sala.
“Si sono preoccupati di ogni evenienza, sono
colpito” fu il suo
unico pensiero mentre sentiva la sua sicurezza iniziare a scemare
lentamente.
La stanza si ostinava a girare attorno ad Everen mentre questa
cercava di mettersi a sedere, aveva il petto e il capo fasciato da
spesse bende, e doveva trovarsi nel sanatorio a giudicare dai
tendaggi che limitavano il suo campo visivo. Non ricordava di esserci
arrivata da sola, quindi doveva aver perso i sensi alla fine dello
scontro. “Quella banshee mi ha provato più di
quanto pensassi.”
Decretò tra se mentre la stanza prendeva a girare
più velocemente
in risposta al suo tentativo di scendere dal letto. Cercando di
normalizzare la respirazione aspettò pazientemente che il
mondo
smettesse di girare, i piedi nudi sulla fredda roccia del pavimento
le infondevano un curioso senso di sicurezza, quasi fossero due
ancore nella sua personale tempesta. Poco lontano da lei, su di una
sedia, giacevano le sue vesti e i suoi stivali. Un passo dopo l'altro
si avvicinò fino a toccarli, la camicia era pulita e non
presentava
tagli ne sangue, qualcuno doveva avergliene portata una nuova per
quando si fosse svegliata, rifletté, mentre si infilava
l'indumento
attenta a muovere il meno possibile il fianco ferito dagli artigli
della creatura con cui si era battuta poco prima. Lentamente
sollevò
anche il suo giaco di maglia elfico. Sul costato e su una spalla
portava ancora i segni dello scontro subito. Necessitava di riparazioni
e avrebbe anche dovuto pulirlo dal sangue incrostato, ma
se ne sarebbe preoccupata in un secondo momento. Per quanto leggera
aveva la sensazione che se avesse vestito l'armatura nelle sue
condizioni non sarebbe più stata in grado di muovere un solo
passo.
Finendo di abbottonarsi la camicia di morbida seta, agguantò
la
blusa, dello stesso blu delle brache che portava dallo scontro. Per
un solo attimo osservò la sua immagine allo specchio
lucidato
accanto alla bacinella per la toletta. La pelle era solcata in
più
punti da graffi e abrasioni, e dalla fasciatura al capo una lunga
goccia vermiglia doveva esserle colata sullo zigomo delicato durante
il breve sonno, i capelli argentei ormai liberi dalla costrizione
della treccia ricadevano in un groviglio arruffato sulla schiena. Non
appena avesse avuto qualche goccia di potere avrebbe dovuto
provvedere a curarsi le ferite, ma in quel momento era decisamente
troppo debole per fare qualcosa che non fosse il semplice camminare.
Tanto sarebbe bastato comunque, perché la fastidiosa
sensazione di
claustrofobia che sentiva dalla mattina si era acuita enormemente da
quando si era svegliata in quel letto.
Qualcosa di malvagio stava per accadere in quei luoghi.
Scostò la tenda che la divideva dagli altri ospiti del
sanatorio con
un gesto deciso, attorno a lei altri malati giacevano dietro a
tendaggi simili a quello che aveva ospitato il suo riposo.
Improvvisamente il forte odore di erbe medicinali, pozioni e dolore
che da sempre impregnavano quella lunga galleria colpirono i suoi
sensi, fino a quel momento come assopiti. Non aveva mai amato quel
luogo sebbene fosse stata costretta a visitarlo spesso negli anni che
aveva trascorso alla fortezza. Era sicura che non dipendesse
semplicemente dalle motivazioni che, come quel giorno, la portavano
in quelle stanze. “E' come se le mura avessero assorbito il
dolore
e la disperazione dei feriti degli ultimi mille anni”. Si
ritrovò
a pensare ancora una volta mentre alla massima velocità
consentitagli dalle fitte al fianco sinistro marciava verso la porta
con un espressione, sperava, abbastanza determinata da tenere alla
larga i guaritori e risparmiarle noiose spiegazioni e lamentele.
Rivolse un rapido cenno del capo a due compagni che sedevano su un
letto vicino all'uscita, le tende divisorie aperte per consentire ai
due degenti di ammazzare il tempo giocando a carte. L'attimo
successivo imbocco la massiccia porta del sanatorio concedendosi
finalmente di respirare a fondo dell'aria meno malevola.
Si concesse una manciata di secondi ancora per raccogliere le forze e
poi prese ad incamminarsi lungo il corridoio. Si trovava al piano
terra dell'ala est della fortezza, e il maschio era nell'ala ovest,
doveva spicciarsi. La lunga galleria, al pari delle altre arterie
principali della rocca, era larga circa quattro metri, il soffitto
alto quasi sei era sorretto da una lunga serie di archi incrociati,
al centro dei quali, ordinati, pendevano dei lumi a petrolio che da
li a qualche ora sarebbero stati accesi dalla guardia serale.
L'arredamento, come per tutte le aree comuni, era spartano e composto
solo da qualche vecchia panca di legno e da qualche rado candelabro
di ferro battuto. Le mura possenti e antiche erano di blocchi di
roccia grandi come la testa di un uomo e perfettamente incastrati a
creare una superficie liscia e omogenea, sebbene tremendamente
fredda. Unico vezzo all'arredamento spartano della fortezza era la
lunga stuola di tessuto semplicemente ricamato che copriva la parte
centrale della pavimentazione, forse con lo scopo più
pratico che
estetico di attutire i passi ferrati delle guardie notturne. Dopo
aver attraversato circa metà del lungo corridoio scorse
finalmente
il piccolo portale ad arco che cercava, una lieve spinta e dopo aver
aperto il chiavistello si immise nel cortile interno della fortezza,
quel giorno stranamente deserto. Senza perdersi d'animo procedette
con passo rapido sulla terra battuta del campo d'arme, il maschio del
castello d'innanzi a lei oltre le più piccole torrette
interne.
Rapidamente passò sotto un cancello aperto, alto appena
quattro
metri e largo due, e senza preoccuparsi del cambio di atmosfera
iniziò ad incedere attraverso quelli che erano in tutto e
per tutto
dei giardini perfettamente tenuti. Raggiunto l'imponente abete che
campeggiava al centro del piccolo giardino si concesse una seconda
pausa, così da assimilare un po' della forza della pianta e
ridare
luce alla sua fiamma interna. Poi riprese la sua marcia nervosa.
Superò il piccolo chiostro che delimitava quel piccolo
rettangolo di
verde, senza curarsi per la prima volta delle raffinate incisioni che
ornavano le strette colonnine che sempre l'avevano affascinata, per
infilare un altro piccolo portale molto simile a quello che aveva
usato per uscire dal corridoio dell'ala est. Era nella torre dei due
draghi; il sudore le colava lungo il collo e sulla schiena per lo
sforzo a cui si stava sottoponendo ma non se ne curò.
Evitando i
corridoi principali dell'elegante torretta si inerpicò per
gli
stretti camminamenti usati dalle guardie, ringraziando per la prima
volta le infinite ronde notturne, sorbite per punizione, che gli
avevano impresso nella mente ogni passaggio e scorciatoia della
fortezza. Dopo quattro piani di scale e piccoli corridoi, in grado di
far perdere l'orientamento anche a qualcuno nato in un labirinto,
attraversò finalmente un'altra piccola porta di servizio,
disillusa
nel muro affinché fosse quasi invisibile. Finalmente
d'innanzi a lei
si estendeva il lungo corridoio che aveva percorso quella stessa
mattina. Uno dei quattro camminamenti sospesi che fungeva da
collegamento tra la rocca e l'antico Mastio, ultimo baluardo contro
un eventuale invasione e sentinella imperitura del porto di
Edimburgo. Un ultimo corridoio e fu davanti il portale che aveva
varcato quella mattina per iniziare la sua Prova, un mormorio
concitato proveniente da dietro la porta ebbe il potere di gelarle la
leggera patina di sudore sulla schiena. Mentre spingeva lentamente un
battente della porta con la spalla, attenta a non sollecitare il
fianco offeso, un solo pensiero rimbombava nella sua testa.
“Durante la Prova, agli spettatori era imposto il silenzio,
sempre...”
Immediatamente lo sguardo acuto dell'elfa individuò il
compagno al
centro della grande arena circolare, non faceva che correre,
cambiando direzione di continuo con scatti repentini, evitando
terribili getti di fiamme. Aveva perso il mantello, e doveva essersi
strappato la parte superiore della tunica dell'ordine, i cui lembi
bruciacchiati pendevano ora dalla cintura stretta in vita. Muovendosi
per evitare i colpi del suo avversario, sovente, portava la mano al
fianco destro. “Deve essersi ferito” Ne dedusse
rapidamente,
mentre uno scintillio al centro della stanza le rivelava che l'altro
aveva perduto la spada. Un altro scoppio mancò di poco lo
spezzaincantesimi, abbaiando per un attimo i sensibili occhi
dell'elfa, che preoccupata per le condizioni di quello non aveva
degnato di uno sguardo il suo avversario. Sgranò gli occhi
nell'istante in cui segui l'ennesimo getto di fiamme fino alla sua
sorgente: un colosso di fiamme dalle fattezze antropomorfe era fermo
praticamente al centro della stanza e sembrava divertirsi a fare il
tiro al bersaglio con il giovane incantatore, per poi cercare di
arderlo vivo con degli scatti repentini durante i quali si lanciava
sul suo avversario usando i suoi getti di fiamme come efficace
diversivo. “C'è qualcosa di maledettamente
sbagliato in questa
Prova.” pensò tra se, e vedendo il Gran Maestro in
piedi sullo
scranno seguire lo scontro con una smorfia preoccupata a deturpargli
il volto, ebbe la conferma che temeva. La temperatura nella stanza,
era aumentata di parecchi gradi e quasi tutti gli spettatori si erano
tolti ormai da tempo i mantelli, gli sguardi rapiti dalle fiamme.
Osservando l'arena si stupì di non aver notato prima che la
barriera
protettiva, normalmente invisibile, era invece quasi del tutto in
vista. Dal cerchio di rune tracciate a terra si alzava un'alta cupola
azzurrognola, all'interno della quale l'aria incandescente vorticava
selvaggiamente creando piccoli gorghi di fumo. Il potere e il calore
scatenato al suo interno doveva essere enorme a giudicare dalla forza
con cui rilucevano le antiche rune poste sul terreno. Tuttavia, la
barriera sembrava tenere, e questo non spiegava il caldo nella
stanza. “Dovrebbe rimanere confinato all'interno della
cupola...
Che sta succedendo?”. Un getto di fiamme esplose nuovamente
una
decina di passi dietro al mago, e questa volta, l'elfa fu sicura di
vedere parte della deflagrazione balenare oltre la cupola in fiamme
vermiglie. Stupita, fece alcuni passi tremolanti verso il cerchio,
arrivando al limitare dello stretto colonnato.
“Ecco perché il calore ha invaso la
stanza!”
“Non sta andando bene, non sta andando affatto
bene.” Era la
verità, un'altra manciata di minuti a quel ritmo e il suo
avversario
lo avrebbe trovato fermo ad aspettare il colpo finale, le sue energie
scarseggiavano. I colpi che evitava non sempre lo lasciavano indenne
a giudicare dalla chiazza rossa che si stava allargando sulla sua
camicia all'altezza della spalla destra, delle schegge di pietra
incandescente gli erano penetrate nella carne come lunghi spilli, e
ora un sottile rivolo di sangue era colato lungo il braccio fino alla
mano; piovevano gocce vermiglie. Le carte della sua mano si erano
pericolosamente assottigliate, lo sapeva. Attorno a lui intanto la
barriera che lo separava dal resto della sala era divenuta totalmente
visibile si stupì, quando aveva evocato il suo potere, ormai
qualche
minuto prima, non l'aveva degnata di particolare interesse.
Un esplosione lo colse talmente vicino da fargli perdere l'equilibrio
facendolo rotolare verso i limiti dell'arena. Mentre si rimetteva
faticosamente in ginocchio, il corpo stordito dalle ondate di dolore
liquido che partivano dalla spalla offesa, un rapido bagliore lo
indusse a gettarsi nuovamente di lato, incurante della ferita.
L'istante successivo un getto di lava centrò con violenza la
barriera, la sua scia dove era stato il suo busto fino all'istante
precedente. Mentre masticava una sonora imprecazione, e il dolore
alla spalla tornava a farsi sordo, vide la barriera sussultare sotto
il getto incandescente e, avrebbe potuto giurarlo, flettersi
leggermente sotto il colpo subito. Molto strano, quella barriera
aveva retto gli incanti lanciati durante le Prove di centinaia di
incantatori e aveva sempre resistito senza problemi perché
costruita
dai fondatori dell'Ordine, incantatori dal potere inimmaginabile.
“Qualcosa non quadra.”
Con un ringhio quasi ferino, si rimise in piedi; la sua
lucidità
nuovamente messa a dura prova dal pulsare continuo della spalla
malconcia.
“Muovermi, devo continuare a muovermi. Sono allenato a
pensare
sotto sforzo, cerchiamo di non gettare alle ortiche due anni di
fatiche per questo acciarino andato a male.”
Un fiammata gli passo talmente vicina da risucchiargli l'aria dai
polmoni, impattando con la barriera però, esplose senza che
questa
mostrasse alcun segno di cedimento.
“Che la stiano potenziando? Poco probabile, deve esserci
qualcosa
che mi sfugge.”
La barriera doveva essersi
indebolita
solo in alcune zone, ma perché? Qualcosa nella sua testa gli
suggeriva che la risposta a quel curioso quesito avrebbe potuto
rivelarsi una valida chiave di volta per lo scontro. Un urlo di donna
lo distolse repentinamente dai suoi pensieri.
“Everen?” L'istante
successivo vide un proiettile incendiario saettare nella sua
direzione, questa volta diretto una decina di passi davanti a lui. Il
tempo di articolare il pensiero di fermarsi e una potente esplosione
e la conseguente onda d'urto lo scagliarono all'indietro. Schegge
infuocate gli si conficcarono nel petto. Rialzandosi lentamente a
sedere un conato di vomito gli riempì la bocca di sangue, la
camicia
che si tingeva di rosso anche sul petto, mentre da un sopracciglio
spaccato, il suo sangue appiccicoso gli velava l'occhio sinistro
tingendo di rosso metà del suo mondo.
A pochi passi dalla sua posizione la roccia , ancora incandescente, spezzata dal colpo e la risposta ai suoi interrogativi. Rotolando di lato, così da evitare il successivo getto di fiamme, si rimise in piedi con stizza, le gambe ormai pesanti e impacciate nel rispondere agli stimoli della testa. Un piano, la sua ultima possibilità a giudicare dal sangue che gli imbrattava le vesti, iniziò a formarsi rapidamente nella sua mente. Il suo sguardo, febbrile, iniziò a muoversi per l'arena. L'istante successivo, mentre le gambe già scattavano ebbre delle sue ultime forze, individuò il suo campo d'azione. Come animato da una nuova follia si scaglio contro l'enorme creatura, i suoi getti di fiamme deviati senza timore al prezzo delle sue ultime energie. Finalmente, si ritrovò abbastanza vicino al colosso da sentirne l'intossicante calore sulla pelle, con un colpo dello stivale fece saltare la spada, a terra praticamente dall'inizio del combattimento, afferrandola con la mancina; la bacchetta ormai inutile ai suoi piedi. Iniziò allora un furioso scontro all'arma bianca, fatto di potenti affondi e repentine schivate, che ben presto si tramutò in una lenta ritirata. I colpi di spada per quando precisi non sembravano sortire effetto contro il corpo di fiamme del suo avversario, che al contrario contrattaccava con le enormi braccia fiammeggianti usandole come rudimentali quanto efficaci randelli.
Everen
capì che
tutto era perduto
quando vide il compagno scattare in avanti.
“Deve aver perso
troppo sangue, che
diamine pensa di fare con una spada contro una montagna di
fiamme?”
Non c'era via d'uscita lo sapeva, e vedere il pubblico finalmente in
silenzio, non fu che un ulteriore conferma. Il furioso attacco
lentamente scemò in una difficile ritirata; il giovane mago
doveva
guardarsi da qualunque parte del corpo del suo avversario, ed era
quindi praticamente costretto a girargli attorno per impedire che
questo risolvesse lo scontro semplicemente caricandolo con la sua
mole. Cosa voleva dimostrare comportandosi in questo modo? Conosceva
lo spezzaincantesimi da due anni e sebbene amasse prendersi i suoi
rischi non l'aveva mai visto combattere una battaglia persa con tanto
ardore.
Intanto i Lord seguivano lo
scontro, le
mani serrate sui lignei scranni, gli sguardi scuri e fissi mentre si
consumava quella che nei pensieri di molti era già una
tragedia.
La ritirata giunse alla sua
fine, nei
pressi di una delle enormi finestre che davano sul Loch
Nor, lo spezzaincantesimi praticamente a contatto con la barriera, la
sua figura ridotta ad ombra fugace per i suoi attoniti spettatori tra
il rogo del suo avversario e la pallida luce estiva che inondava la
sala.
Poi,
il caos.
Lo
spezzaincantesimi avvertì il contatto con la barriera come
una
leggera pressione lungo la sua schiena, un leggero riverbero lo
informò di trovarsi in prossimità di una delle
finestre.
“Il
dado è
tratto.” Pensò tra se mentre abbatteva un altro
inutile fendente
con il braccio sinistro, ormai lento e pesante. Si fece di lato
schivando un prevedibile ma devastante affondo del braccio
fiammeggiante per poi compiere il suo piano. Con la rapidità
donata
al suo corpo dalla disperazione calò la spada sul duro
selciato, la
lama, antico cimelio della sua famiglia e veterana di molti scontri,
rifiutò di cedere il passo perfino alla pietra, trovando una
commettitura del selciato e entrandovi per una spanna. L'istante
successivo ciò che restava della sua magia fluì
nella lama,
risvegliando al contempo ciò che restava del potere di
coloro che
l'avevano brandita prima di lui, poi la mano lasciò la presa
e il
potere rudemente incanalato nell'arma reclamò la
libertà
irradiandosi dall'acciaio e cancellando tutto ciò che si
trovava
nelle sue immediate vicinanze.
L'onda
d'urto,
perfino superiore alle sue aspettative investì Demian
quando, grazie
ad uno scatto repentino, era già oltre il raggio distruttivo
dell'incanto da lui innescato. Come aveva temuto, prima ancora che la
nube di detriti si fosse posata il ruggito incollerito del suo
avversario gli comunicò che il suo attacco non aveva sortito
nessun
effetto. Giaceva sulla schiena intontito dalla caduta quando il
colosso di fiamme si volse, le spalle ora alla finestra, scoprendolo
ormai incapace perfino di muoversi.
Demian
giurò di
aver visto le fiamme sul volto senza tratti del suo avversario
formare un malefico ghigno. L'attimo successivo, il braccio destro
alzato verso il mostro, scatenò la sua ultima carta.
Ricordava
ancora il giorno in cui, ancora dodicenne, il suo tutore gli aveva
descritto le varie scuole di magia praticata... “Ci sono otto
scuole di magia consentite alle creature mortali: le quattro
elementali, quella dell'illusione, quella della guarigione, quella
della trasmutazione e infine quella del sangue...”
la branca scoperta dai cainidi attraverso lo studio della sete e del
loro potere, il segreto della longevità dei maghi
più potenti, e
una delle scuole più affini per gli studi di uno
spezzaincantesimi.
Perché come il potere magico, il sangue scorre e si irradia
nei
corpi, silente mezzo di trasporto di energie e vitalità.
Quasi
sorrise
mentre osservava una goccia vermiglia cadere dal suo palmo, il tempo
dilatato negli ultimi attimi prima che il suo incanto giungesse al
termine. Come se un sadico bambino gliele stesse disegnando nella
carne con uno stiletto appuntito, sentì le sue vene e le sue
arterie, diramarsi nel suo corpo dal cuore, caldo centro del suo
essere, e districarsi per tutto il corpo. Sentì le sue
ferite, la
dove i vasi erano recisi, e i suoi polmoni caricare la sua linfa di
ossigeno. Poi, dopo aver raggiunto anche i capillari più
lontani,
gli sembrò che tutto il suo sangue tornasse al cuore in un
istante
per poi fluire, selvaggio, quasi scavando nelle sue arterie, verso il
braccio levato. L'attimo successivo una potente esplosione senza
rumore investì la bestia di fiamme scagliandola verso
l'enorme
finestra e poi nel vuoto poiché, con le rune nel terreno
spezzate
dall'esplosione precedente, non vi era più alcuna barriera a
trattenerla.
Quella mattina la guardia del porto e numerosi passanti giurarono di aver visto una palla di fuoco rotolare per le ripide pendenze del fiordo marino, per poi inabissarsi nelle gelide acque del Mare del Nord in un enorme gayser. Per molto tempo nelle bettole della capitale scozzese si parlò del nuovo obice da duecento libbre istallato sulle mura del castello. Altri ancora convinti narrarono a lungo del riarmo del temuto Mons Meg, l'enorme cannone della fortezza che taceva ormai da quasi due secoli.
«Gli
uomini di genio sono meteore destinate a bruciare per illuminare il
loro secolo.»
Attribuita
a Napoleone Bonaparte
Note:
Che dire, eccoci qui, ho riveduto e corretto gli errori che ho trovato, se doveste imbattervi in altri orrori simili cercherò di correggerli ove mi sarà possibile.
Che dire non pretendo di essere uno scrittore ne di scrivere un capolavoro. Quello che esce dalla mia tastiera nasce e prende vita dal mio unico desiderio di tentare di scrivere una storia che mi piacerebbe leggere, se i miei sforzi aiuteranno a passare qualche ora anche ad altri la cosa non può farmi che piacere!
La storia ad oggi è arrivata al suo sesto capitolo, capitoli che devono essere ancora revisionati e in alcune parti leggermente riscritti.
Infine il prossimo capitolo “Giuramenti” che spero di mettere on-line tra una settimana (ma qui l'esito degli esami sarà determinante per le tempistiche!) vedrà l'azione cedere il posto ad un po' di vita di tutti i giorni nella fortezza di Edimburgo, mentre il lento muoversi degli eventi inizierà la sua pigrissima corsa.