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Autore: Koe    24/12/2005    2 recensioni
"ma tu, tiranno di uomini e dei, Eros, o non mostrarci belle le cose belle o aiuta benigno gli amanti che penano pene di cui tu sei l'artefice" (Euripide, "Andromeda")
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Verso Hogwards

 

Era il primo settembre.

Da tempi immemorabili, questo giorno segna l’inizio dell’anno scolastico per tutti i giovani maghi; passano gli anni, cambiano le facce e le mode -per quanto possa cambiare la moda tra i maghi-, ma la scena che si presenta sul binario 9¾ della stazione di King’s Cross è sempre la stessa, e può essere descritta con due semplici parole: caos totale. Beh, cos’altro ci si potrebbe aspettare radunando in uno spazio limitato un’intera scolaresca di ragazzi di un’età compresa tra gli undici e i diciassette anni, eccitati per l’inizio delle lezioni e per il fatto di non essersi visti per oltre due mesi? E a questi si devono aggiungere i loro genitori, che cercando di richiamarli non fanno che accrescere la confusione. Poi ci sono le madri che piangono e si disperano, come se i loro figli stessero andando in guerra anziché in una delle più illustri scuole di magia esistenti, e si prodigano negli ultimi, inutili consigli, di cui i pargoli si dimenticheranno non appena messo piede sul treno. Ma tutto ciò non basta: ci sono i bagagli, carrelli colmi di bauli e valigie che vengono trascinati in mezzo alla folla, tra le richieste di permesso e le urla di chi è stato, più o meno involontariamente, investito; e gli animali, bestie d’ogni tipo che si agitano nelle loro gabbiette o corrono eccitate tra la gente, sfuggite al controllo dei rispettivi padroni… Ogni anno le stesse scene, ogni anno la stessa confusione. E così avvenne anche quel primo settembre 1971.

Quell’anno, però, nella grande confusione che regnava sul binario, c’era qualcosa di strano, un elemento anomalo, come un unico violino stonato in mezzo a un’orchestra. Tra tutta quella folla brulicante stava una donna, con un grande cappello e un fisico imponente, che rimaneva completamente immobile, quasi fosse una statua. L’abito elegante e il portamento fiero denotavano un’origine aristocratica, e la smorfia di disgusto con cui osservava il resto della gente ammassata intorno al treno non faceva che avvalorare questa prima impressione. Sembrava preoccuparsi più di non essere sfiorata dalle sudice mani della plebe che la circondava, che di salutare le proprie figlie che si accingevano a partire. Queste, dal canto loro, si erano ormai da tempo abituate ad un simile comportamento da parte della madre, e non se ne mostrarono particolarmente turbate; si limitarono a salutarla con un sobrio bacio sulla guancia, perché qualunque altro tipo di effusione sarebbe stata giudicata eccessivamente volgare, e salirono sul treno, dove gli elfi domestici  avevano già provveduto a caricare i loro bagagli.

Afferrarono ciascuna il proprio baule e, trascinandolo con fatica, cominciarono a percorrere il lungo corridoio alla ricerca di uno scompartimento libero. Quando la maggiore lo ebbe individuato si fermò e fece segno alle sorelle di entrare.

“Fermatevi voi,” disse la più giovane tra le due, una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri. “Io vado a cercare i miei amici. Ci vediamo all’arrivo.” Detto questo, si allontanò facendo solo un rapido cenno di saluto con la mano.

La maggiore parve un po’ irritata dal comportamento della sorella più giovane, ma evitò di richiamarla e cominciò a sistemare i propri bagagli, imitata dall’altra; completata l’operazione, si accomodarono nei posti accanto al finestrino.

Si mise a fissare un punto indistinto al di là del vetro, e non mutò minimamente espressione neanche quando il treno partì; lasciava che il paesaggio le scorresse davanti agli occhi senza dare l’impressione di osservarlo realmente. Ormai i suoi pensieri erano altrove, agli ultimi eventi felici del precedente anno scolastico, alla tristezza e alla delusione di quell’estate appena trascorsa… Il suo sguardo rimaneva fisso e vuoto, eppure di tanto in tanto compiva movimenti quasi impercettibili, e nei suoi occhi si poteva vedere passare ora un’ombra di tristezza, ora un lampo di rabbia. Ma erano solo brevi attimi, che difficilmente sarebbero stati colti da un osservatore poco attento.

“Finalmente dei posti liberi! Salve, gente!” Fu riportata bruscamente alla realtà dalle urla di due ragazze che entrarono nello scompartimento, cioè, a voler essere precisi, precipitarono nello scompartimento, inciampando nei loro stessi bauli.

“Possiamo sederci qui, vero?” e senza attendere risposta cominciarono a sistemare i loro bagagli. La spettacolare entrata in scena delle due amiche le fece tornare il buon umore e, mentre le osservava ormeggiare con le valigie, si ritrovò a sorridere senza neanche rendersene conto. Finite di sistemare le loro cose, le nuove arrivate si sedettero in due posti vuoti e si rivolsero subito alle due sorelle.

“Allora, sono più di due mesi che non ci vediamo, cos’avete fatto di bello quest’estate?”

“Assolutamente niente, Cathie. Siamo state a casa ad annoiarci. Come ogni anno, del resto,” rispose lei. Le due amiche parvero un po’ sorprese da quella risposta così lapidaria.

“Ma dai, non può essere stato davvero così male!” intervenne l’altra. “Avrete fatto qualcosa, non so… una gita, almeno.”

“Certo che no. Come potete anche solo pensare di mettere piede in qualche volgare luogo di villeggiatura pieno di luridi babbani,” rispose imitando il tono altezzoso di sua madre, scatenando l’ilarità delle amiche.

“Non vorrete farci credere di aver passato tutta l’estate a non fare altro che studiare,” continuò la prima, quando riuscì a smettere di ridere.

“No. Abbiamo anche letto, dipinto, ricamato… tutte attività che ben si confanno a signorine di buona famiglia quali noi siamo,” continuò con la stessa intonazione. Poi assunse un’espressione pensierosa: “in effetti, Bella si è anche dedicata ad esperimenti di dubbio gusto, come cercare di fare appassire i fiori con la magia, ma probabilmente anche queste attività rientrano nel campo dello studio…”

“Siamo state anche a delle feste!” intervenne per la prima volta la sorella più piccola, con gli occhi che le brillavano per l’entusiasmo.

“E’ vero,” confermò lei. “Feste raffinate dove belle giovinette in età da marito come noi possono avere l’opportunità di conoscere i rampolli delle migliori famiglie. Purosangue, naturalmente,” precisò riassumendo il cipiglio severo della madre. Poi si rivolse alla sorella, che aveva messo il broncio: “Scusa Cissy, ma a te sono piaciute tanto solo perché era la prima volta che partecipavi, ma ti assicuro che nel giro di poco tempo diventeranno anche per te una vera seccatura. Ma, cambiando discorso,” disse alle altre due “raccontateci voi qualcosa di interessante. Cos’avete fatto quest’estate?”

“A luglio niente di particolare,” rispose Catherine. “Però ad agosto Helen mi ha raggiunta e ci siamo unite a mio fratello e alcuni suoi amici che avevano organizzato un viaggio in Francia.”

“Un viaggio totalmente ‘alla babbana’,” intervenne l’altra. “Un’esperienza davvero interessante.”

“Che bello! Vorrei fare anch’io delle vacanze così! E come è stato? Dove siete state? Cos’avete visto?”

“Come prima cosa siamo andate, in aeroplano (quel mezzo di trasporto babbano che riesce a volare senza la magia), a Parigi. Ah, Parigi! E’ una città davvero meravigliosa. Dovete sapere che…”

La porta si spalancò improvvisamente e un bel ragazzo di diciassette anni, con un’espressione indubbiamente molto arrabbiata, fece un passo all’interno dello scompartimento. Ignorò completamente le altre ragazze e si rivolse a quella seduta accanto al finestrino.

“Andromeda, vieni fuori. Ti devo parlare,” disse secco.

La ragazza, che a quell’improvvisa intrusione era parsa un po’ turbata, riprese rapidamente il controllo e, con lo stesso atteggiamento che aveva usato per imitare la madre, rispose:

“Stavo parlando con le mie amiche. Non vedo cosa possa esserci di così urgente da non poter aspettare di essere arrivati a scuola. Tanto, mese più o mese meno… Arrivederci,” e così dicendo si voltò verso il finestrino.

Il ragazzo rimase interdetto a quella reazione, avrebbe voluto ribattere qualcosa ma, sentendosi osservato, decise di lasciar perdere e se ne andò sbattendo la porta.

“Ma cosa…?”

“Allora, ci stavate parlando di Parigi. Com’è la città?” chiese Andromeda con un sorriso allegro, fingendo che non fosse accaduto niente. Le amiche compresero che non era il caso di approfondire l’argomento, e continuarono il racconto dal punto in cui erano state interrotte.

Il resto del pomeriggio passò piacevolmente, parlando prima delle vacanze, poi della scuola e dei difficili esami finali che aspettavano le tre più grandi, mentre Narcissa avrebbe dovuto affrontare quelli del quinto anno, da cui loro erano già passate. Quando gli argomenti di conversazione cominciarono a esaurirsi e la stanchezza a prendere il sopravvento, le ragazze tacquero e si misero chi a leggere, chi a sonnecchiare.

“Che noia! Andiamo a fare un giro?” fu Narcissa a rompere per prima il silenzio.

“Sto leggendo,” le rispose la sorella, senza neanche alzare la testa dal libro.

“Dai! Solo un giretto piccolo piccolo per sgranchirci le gambe.”

Andromeda sbuffò, appoggiando in grembo il libro.

“Senti, lo so benissimo che non ti importa niente di sgranchirti le gambe e vuoi solo andare a cercare il tuo ‘amore misterioso’, con cui mi hai riempito la testa per tutta l’estate. Di conseguenza, la mia presenza è del tutto inutile. E poi voglio evitare di fare brutti incontri,” aggiunse con uno sguardo eloquente. “Vai da sola.”

“Ma la mamma dice sempre che una signorina perbene non dovrebbe andare in giro da sola.”

“La mamma ha un concetto di etichetta che risale al medioevo. Ti informo che nel 1971 non è affatto sconveniente che una ragazza vada in giro da sola su un treno dove non ci sono altro che studenti. Prendi esempio da Bella: ha solo un anno meno di te ed è già perfettamente indipendente. Anche troppo, a volte.”

Narcissa abbassò la testa con un’espressione offesa, indecisa sul da farsi, ma le sue riflessioni furono interrotte bruscamente da rumori concitati provenienti dal corridoio. All’improvviso la porta dello scompartimento di spalancò e, in un turbinio di mantelli, fecero il loro ingresso due ragazzini trafelati, che si affrettarono a richiudere la porta e a tirare le tende.

“Ehilà, chi si vede! La pecora nera della famiglia,” esclamò Andromeda. “Già nei guai prima ancora di arrivare?”

Il ragazzo a cui si era rivolta, ancora scosso dal fiatone, le fece segno di tacere e si avvicinò con l’amico alla porta, ascoltando con attenzione i rumori provenienti dall’esterno. Si sentì qualcuno che passava correndo davanti allo scompartimento, per poi allontanarsi verso il fondo del treno. I due ragazzini parvero sollevati e cercarono di riprendere un respiro regolare.

“Perché ‘pecora nera’?” chiese Catherine, svegliata di soprassalto da tutto quel trambusto.

“Perché Sirius è stato il primo ad infrangere la nobile tradizione della famiglia Black, facendosi smistare Grifondoro anziché Serpeverde.”

“Ma voi due siete Corvonero,” si stupì Helen, indicando le due sorelle.

“Per le donne è diverso. E poi Corvonero è comunque una Casa dignitosa, non è vergognosa come Grifondoro,” pronunciò l’ultima parola con una smorfia di disgusto. “Ma non perdiamoci in chiacchiere: allora, cosa avete combinato voi due?” chiese curiosa, tornando a rivolgersi ai ragazzi.

“Assolutamente niente,” le rispose il cugino, cercando di sembrare il più sincero possibile. “Stavamo solo…”

“…studiando,” gli venne in soccorso l’amico, un ragazzino con gli occhiali tondi e i capelli arruffati.

“Studiando?” chiesero loro con aria scettica.

“Sì, stavamo perfezionando un incantesimo che permette di controllare le cioccorane per dirigerle dove si vuole…”

“…e dopo molti tentativi, alla fine siamo riusciti a farle saltellare lungo il corridoio…”

“…solo che proprio in quel momento, per puro caso, stava passando Snivellus… sai, quel Serpeverde col naso adunco e i capelli sempre unticci…”

“…e lui si è messo in testa che le avessimo aizzate di proposito contro di lui.”

“Noi! Ma ti sembra possibile?” conclusero cercando di assumere, con poco successo, un atteggiamento innocente.

“Certo che no,” rispose Andromeda trattenendo a stento le risa. “Come si può solo pensare che due angioletti come voi facciano una cosa del genere?”

“Esattamente. L’ho sempre detto che sei una ragazza estremamente intelligente,” affermò Sirius, annuendo con convinzione.

In quel momento la porta si aprì per l’ennesima volta e i due ragazzi sussultarono e si voltarono di scatto.

“La vostra reazione non sembra quella di due persone innocenti, però,” fece notare Catherine, mentre le altre erano ormai scoppiate tutte a ridere.

Il nuovo arrivato era un bel ragazzino dell’età degli altri due, seguito da un altro piccolo e cicciotello, che restava in disparte.

“Ciao, Remus,” lo salutò Andromeda. “Sei venuto a recuperare i due fuggitivi?”

“Sì, questi due mi faranno diventare matto,” rispose con tono rassegnato. “Pensa che sono quasi riusciti a farsi togliere punti ancor prima di arrivare.”

“Sarebbe stata un’impresa senza precedenti!” esclamò Sirius con entusiasmo, mentre Remus alzava gli occhi al cielo sconsolato.

“Su, adesso torniamo al nostro scompartimento,” disse. “Stiamo per arrivare e le ragazze devono ancora prepararsi,” e se ne andò trascinandosi dietro gli altri due.

Rimaste sole, le ragazze tirarono fuori le divise dai bauli e cominciarono a cambiarsi, appena in tempo prima che il treno giungesse a destinazione.

“Avanti, ragazze, un nuovo anno di scuola ci attende!”

  
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