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Autore: shining leviathan    22/01/2011    10 recensioni
Zack e Aeris sono felicemente sposati. Ma il loro matrimonio, per un motivo o per l'altro, non funziona come dovrebbe.
Tifa è frustrata dalla freddezza di Cloud, spesso assente e rigido, incapace di donarle l'amore che la ragazza vorrebbe.
Cloud dal canto suo non sa scegliere, condizionato da una misteriosa ragazza che fa di tutto per rovinare la relazione tra i due.
Questo porterà Zack e Tifa ad avvicinarsi pericolosamente l'uno all'altro, un gioco di resistenza che entrambi sanno di non poter vincere. Sarà vero amore o una trama del destino?
Tra colpi di scena, e ritorni inaspettati i protagonisti di questa storia metteranno in discussione se stessi e i loro sentimenti, scoprendo che niente è come sembra, che nessun segreto è destinato a durare.
(Zack x Tifa)(Aeris x Tseng)(Cloud x Sorpresa)
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Tseng, Zack Fair
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Piacerebbe anche a me saperlo, Yuffie. Ma è da tre giorni che non si fa sentire”

La giovane ninja sbuffò nel ricevitore e a Tifa parve una tempesta tropicale nel pieno della sua potenza. Se si parlava di Yuffie, poi, paragonarla ad una tempesta era un eufemismo bello e buono.

“ Se chiama te lo faccio sapere,ok? Mh?... Sì, lo so, non dirmelo è seccate anche per me”

Poco dopo, mentre puliva il bancone del bar, ricevette un’altra telefonata.

“ Strife Delivery Service, in cosa… Oh, Jonny”

Tacque un attimo, ascoltando lo sproloquio dall’inizio alla fine, senza prestare attenzione a nessuna parola in particolare. La sua mente vagava per altri lidi, si tormentava nel chiedersi perché Cloud avesse rimandato il ritorno a casa più del dovuto. Non ce la faceva a stare da sola, gestire la marea di chiamate che ogni giorno intasavano il vecchio telefono del bar, e intimamente cominciava ad irritarsi. I messaggi laconici del biondo sfidavano ogni buona educazione, ma soprattutto sfidavano la sua pazienza.

Un paio di volte aveva guardato il testo in grassetto, ben povero, con la tentazione di rispondergli per le rime come meritava. Avrebbe voluto schiaffargli in faccia quanto fosse patetica la sua difesa, la sua codardia quando non le rispondeva sia al telefono che durante i loro sporadici litigi. Ci aveva provato seriamente così tante volte che non aveva tenuto il conto, ed ogni insulto o minaccia era stato ingoiato nel dimenticatoio dell’eliminazione. Era terrorizzata che lui potesse leggerli ed andare via per sempre, preferiva vivere nell’incertezza, consapevole di far male a se stessa, solo ed unicamente se stessa. Eppure le andava bene così, nei limiti, nel suo calvario giornaliero.

Era arrivata a chiedersi se esistesse effettivamente, se Cloud Strife non fosse solo cenere e nulla più. Anche quello l’aveva dimenticato, forse era una cosa senza importanza, forse no, ma a quel punto non gli importava. Le persone si rassegnano a vivere con quello che hanno, lei per prima ne aveva fatto tesoro. Ma questo non voleva dire che le andasse tutto bene, proprio per niente.

“… Quindi pensavo di uccidere i vicini e di mangiarmeli per cena, tu cosa ne dici?”

Tifa si riscosse dai suoi pensieri, piantando un “Eh??” acuto diritto nel padiglione auricolare di Jonny.

“ Aw! Ehi!”

“ Scusa. Si può sapere che razza di discorsi fai?” aggiunse irritata. Dall’altra parte della linea sentì il ragazzo ridacchiare.

“ Ehi, calma ragazza! Era per vedere se mi stavi ascoltando. Ma a quanto pare la tua fantasia galoppava dietro a biondi palestrati,eh?”

Tifa arrossì di botto.

“ Non è divertente” esclamò “ E soprattutto non è giornata”

“ Problemi in vista?”

“ Diciamo di sì”

“ Allora ho fatto bene a chiamare. Jonny ti aiuterà a risolvere tutti i tuoi turbamenti interiori!”

“ No,grazie” rispose Tifa arricciando il filo del telefono al dito indice “ Preferirei evitare consigli di qualunque tipo” storse il naso.“ E poi, Jonny, non ho nulla contro di te, ma preferirei che meno persone si immischino nei miei affari.”

“ Non sono una “persona”, Tifa.  Sono l’uomo delle risposte, colui che ti aiuterà a superare i tuoi incubi e le tue paure.”

Tifa si lasciò sfuggire una risatina, che tentò di mascherare con un colpo di tosse. Quando Jonny si metteva ad usare quel tono solenne proprio non ce la faceva a rimanere impassibile. Ringraziò Shiva che non ce l’avesse davanti, o si sarebbe offeso dell’ilarità inopportuna della ragazza.

“ Non ho bisogno del cavaliere” lo interruppe “ Già quello prima è scappato per motivi a me ignoti, non vorrei ricadere nello stesso errore.”

Le canzonature di Tifa ebbero l’effetto di spronarlo ancora di più.

“ Cheeee???” chiocciò stridulo “ Cloud è un imbecille patentato! Come si fa a lasciarti sola in una città come questa? Cioè, dai, potrebbero aggredirti, derubarti o violentarti. O tutto insieme! Questo…”

“ L’imbecille patentato è il mio ragazzo” puntualizzò Tifa un po’ irritata “ Secondo: ti avrò ripetuto mille volte che so cavarmela da sola. Se credessi ancora nelle favole e aspettassi il principe azzurro sarei morta da tempo, quindi… grazie per l’interessamento ma non ho bisogno di nulla. Ciao, Jonny.”

“ Ehi, aspett…!”

La ragazza mise giù la cornetta.

Fissò torva il telefono mentre le parole di Jonny ancora alleggiavano nella sua mente, e afferrò con troppa foga il bicchiere che aveva posato sul bancone. Poco ci mancò che le scivolasse via, e lo riprese al volo esclamando un soffocato “porcaccia”. Lo strinse al petto, come un tesoro prezioso, e si impose di calmarsi prima di frantumare tutte le stoviglie. Sospirò, e girò le manopole del rubinetto; lo schizzo d’acqua gelida precipitò sulla tazza e da lì alla sua maglia, e Tifa si scostò bruscamente battendo la testa sulla mensola dei liquori posizionata lì dietro. Un sottile urlo di dolore e frustrazione abbandonò la sua bocca, serpeggiando per il locale vuoto e spettrale nella luce grigia del mattino. Ringhiò leggermente, massaggiandosi la nuca dolorante. Aveva già capito che quella non era giornata.

Quando gli avventori iniziarono ad animare il locale, Tifa non ebbe più tempo di pensare impegnata com’era nel servire caffè o altre bevande. La preoccupazione, l’irritazione per la prolungata assenza di Cloud e la telefonata di Jonny scomparvero per magia nel vortice frenetico della sua quotidianità, e nella sua mente schiarita e oberata fino al sovraccarico era ingannevolmente soddisfatta. Lavorò di buona lena tutto il giorno, spazzò per terra con più forza del necessario e quando venne l’ora di chiusura era quasi dispiaciuta. Avrebbe voluto trattenere tutti come un bimbo alla fine della sua festa di compleanno, offrendo un giro di birre; ma per un motivo o per l’altro, una scusa mezza balbettata o secca, tutti scomparivano nelle strade mal illuminate pervase da una leggera nebbiolina. E a quel punto iniziò a sentirsi sola, di nuovo.

Andò a dormire presto, leggendo una o due pagine del libro che aveva preso e abbandonandolo subito dopo in preda all’imbarazzo. Dispensava consigli così stupidi che nemmeno l’ultima delle oche avrebbe preso sul serio quei vaneggiamenti, e prese in considerazione l’idea di buttarlo nel cestino della carta straccia. Spense la luce, rigirandosi nervosamente nel letto. Un altro giorno era passato, apatico, freddo, e sbuffò. Chiuse gli occhi, e per una volta sperò di non buttarsi a capofitto nel regno dei sogni. Gemette.

Quello della notte prima era stato decisamente troppo reale. Chissà cosa stava facendo Zack in quel momento. Forse era con Aeris.

 Strinse inconsciamente le coperte.

Certo, che stupida, era naturale che stesse con lei. Era sua moglie! Solo lei aveva il diritto di godere della sua compagnia.

“ E poi non deve importarmene” pensò convinta “ Ciò che fanno non è affar mio.”

L’oblio l’avvolse per portarla nell’universo del riposo, e quella notte l’unica cosa che vide con l’occhio della mente fu il nero pece di un sonno senza sogni. Un sorriso inconsapevole spuntò pallido sulle sue labbra.

 

 

 

Aeris sbadigliò. Era così stanca che gli occhi le si chiudevano da soli, e tirò amorevolmente la coperta sul petto di Zack. Sorrise un poco nel vederlo così sereno, e poggiò il mento sulla mano, osservandolo trasognata mentre russava beatamente avvolto nelle coltri bianche e asettiche dell’ospedale. Rimase in quella posizione per un po’, illuminata dalla fioca luce dei lampioni della strada che penetrava dall’enorme finestra laterale. Il tavolo e le sedie sembravano brillare di una leggera aura bluastra, come piccoli neon fantasma e il cigolio delle porte sul corridoio conciliava un sonno tormentato. La ragazza si alzò, avvolgendosi intorno alle spalle il vecchio scialle di sua madre, massaggiandosi le braccia con fare delicato nel tentativo di combattere il gelo che la notte aveva portato nonostante il riscaldamento centralizzato. Camminò avanti e indietro per la stanza, con la testa che cadeva cerimoniosamente in avanti per la stanchezza, ma nonostante tutto i suoi sensi erano vigili, come una lupa che protegge il proprio piccolo addormentato, rifiutandosi di cedere alle tenebre che avrebbero potuto portarlo via. Ormai doveva esserci abituata, ma non lo era, proprio per niente. Zack grugnì, le sopracciglia corrugate e brillanti di sudore che scivolava lento sulla fronte. Aeris si riscosse e si avvicinò al letto, tamponando delicatamente il volto del giovane con un fazzoletto usurato ma lindo. Zack sembrò rilassarsi, lasciando andare un lungo sospiro che fece sogghignare Aeris. Posò due dita sotto il mento, facendole scorrere lungo la giugulare, sentendola scossa dal respiro regolare di Zack. Chiuse gli occhi, premendo le dita nella carne per sentire il battito cardiaco uscire dai pori, per auto-convincersi che andasse tutto bene. Al momento, poteva stare tranquilla.

“ Quando sarò fuori da qui andremo via per un po’. Dai miei genitori, che ne dici?”

Forse era la cosa migliore. Zack non andava a cercarsi guai, ma i guai sapevano sempre come trovarlo, e l’idea di far visita ai suoi suoceri a Gongaga la metteva di buon umore: aveva voglia di rivedere Bryce e Martha, di passare un po’ di tempo all’aria aperta nei boschi rigogliosi della città natale del marito. Staccare dalla caotica vita dei loro ultimi due anni.  Sì, le piaceva, ed era tranquilla.

Accarezzò pensosa il volto di Zack, percorrendo cautamente la cicatrice a forma di croce come faceva nei loro momenti di intimità. Si fissavano persi in un dolce abbandono, sorridendo alla fortuna che li aveva fatti incontrare, baciandosi furiosamente e in continuazione come adolescenti. E pensare che quando erano loro, dei ragazzi, non c’era stato nessun segno che li legasse come fidanzati. Il primo bacio che avesse mai ricevuto da lui, Aeris, l’aveva avuto l’ultima notte, quella che credevano sarebbe stata la loro ultima notte, prima della grande battaglia. Quante cose non si erano detti… principalmente per colpa sua. Durante le lunghe settimane di pellegrinazione da un angolo all’altro del Pianeta apparivano del tutto estranei, troppo distanti per poter capire cosa li legava veramente, quel sentimento forte sbocciato da un colpo di fulmine nella primavera dei suoi quindici anni. Dopo cinque anni di vana attesa il suo cuore si era come inaridito, ferito dalla mancanza di notizie e dalla gelosia morbosa verso una donna sconosciuta che gli impediva di tornare. ( Non c’è stata nessuna oltre a te, la rassicurava, ma lei era stata troppo male per perdonarlo anche solo con “ Va bene”)

Quando l’aveva rivisto era stata felice, ma distaccata. Anche se le valide scuse del giovane avrebbero convinto chiunque, Aeris, non si era scomposta più di tanto nel suo dolore dal sapore di lacrime eterne sul cuscino della sua stanza. A distanza di due anni, ancora si vergognava a parlarne, ammetteva a se stessa che era stata una bella egoista, dimentica di quello che aveva dovuto sopportare Zack per mano di Hojo, ma la naturalezza con cui il ragazzo l’aveva baciata sull’Highwind, bastava a perdonare un demonio. Toccò piano il labbro inferiore di Zack, e il ricordo tornò vivido nella sua memoria.

 

Si appoggiò alla ringhiera del ponte, ed era così fredda che un brivido la percorse dalla schiena fino alla punta dei piedi. La notte serena, turbata solo dall’enorme meteora rossa che squarciava le nubi e distruggeva in piccoli frammenti il cielo, portava al suo volto il profumo fresco dell’aria salmastra, di bruciato e di angoscia, la sua come quella degli altri. Non era riuscita a seguire il consiglio di Cid su una buona dormita che scaccia via ogni incertezza ( E poi, che cazzo, se dobbiamo morire tanto vale rassegnarsi) ( Cordiale come al solito, era  stata la piccata risposta di Yuffie, interessata come tutti a godersi qualche anno in più dei sedici che aveva raggiunto così a fatica) ed aveva deciso di prendere una boccata d’aria, forse l’ultima, di vedere le stelle che si spegnevano una dietro l’altra per seguire la madre di tutte le comete, come figlie devote ai desideri del genitore. Alzò lo sguardo. Il cielo non era mai stato così buio.

La treccia le frustava ininterrottamente la schiena, i capelli sfuggiti ad essa finivano sul suo volto leggeri come ragnatele. Faceva freddo, le lacrimavano gli occhi, e scacciò subito l’idea di rientrare. In effetti Cid aveva ragione. Preoccuparsi della salute se sarebbero morti era da idioti, ma nel suo cuore non smetteva di ardere quella piccola speranza che l’aveva sostenuta in ogni istante della sua vita, credeva davvero che un miracolo potesse accadere ancora.

Se alla capitale degli antichi non fosse intervenuto Cloud…

Rabbrividì, non di freddo. Era stata vicinissima, troppo, ma che senso aveva avuto se adesso la loro esistenza era appesa ad un filo?Si morse l’interno della guancia, distratta dai pensieri fuggenti di ciò che non aveva fatto, di quello che avrebbe voluto fare. Sospirò.

Non si era accorta che qualcuno la osservava da un po’, talmente distratta da non sentire nemmeno i passi leggeri e la coperta poggiata dolcemente sulle spalle. Alzò una mano a stringere un lembo ruvido della lana grezza, rinfrancata dal calore che essa trasmetteva sulla pelle gelata.

“ Grazie” mormorò senza alzare lo sguardo.

La ringhiera tremolò un poco quando Zack posò irruentemente le braccia incrociate.

“ Prego” rispose, vicino abbastanza da farla sussultare “ Ma forse  sarebbe meglio che tu entri dentro”

“ Mh” grugnì distrattamente Aeris. Si strinse nelle spalle, cominciando lentamente a scaldarsi col vento che tentava in tutti i modi di superare la barriera tra lui e il corpo longilineo. Zack sembrava aspettare qualcosa, forse la stava guardando, e fu a quel punto, a ricambiarlo, che si accorse di quanto poco lo conoscesse. Il ragazzino, il cucciolo, non poteva essere paragonato dallo Zack di adesso: i lineamenti affilati, l’espressione matura, stranamente matura, gli occhi scuri, quasi neri quella sera. Fu sorpresa di quel cambiamento, non si era mai soffermata a studiarlo da quando avevano cominciato l’allucinante viaggio alla salvezza del mondo, a malapena si erano parlati se non per necessità.

“È una bellissima serata, non trovi?”

Aeris annuì. “ Tranne per quella” indicò l’enorme globo fiammeggiante. E Zack la sorprese con una risata bassa, graffiante, ironica o amara o forse entrambe.

“ Nha!” rispose “ Invece trovo che abbia un suo fascino… se non fosse che potrebbe spedirci all’altro mondo.”

Aeris sorrise. “ Già” il solito sarcasmo fuori luogo. Però, per fortuna, aveva il potere di tirare su le persone. Invogliava a prenderlo a schiaffi, ma come si faceva a non ricambiare i suoi sforzi?

“ Vorrà dire che morirò con un buon ricordo.”

“ Buon ricordo?” chiese incuriosita.

“ Uno splendido panorama da ammirare con la ragazza più bella di questo universo” fece birichino e si voltò a guardarla, a vedere le guancie dell’Antica colorarsi di rosso.

“ Zack” rispose irrigidendosi “ Ecco, io…”

“ Non è il caso di imbarazzarsi” la tranquillizzò prontamente “ Sai che quando mi metto a straparlare….”

“ Spari un sacco di cazzate” completò Aeris allungandosi per tirargli un pugno, ma lui fu lesto a bloccarle il polso.

“ Su una cosa, però, ho detto il vero.” rivelò seriamente, al che la ragazza inclinò curiosamente il capo.

“ E quale?”

Zack sorrise nuovamente.

“ Morirò col ricordo di una ragazza speciale” la tirò a sé, e Aeris, colta alla sprovvista, si aggrappò alla sua maglia per non cadere. Passarono due secondi intensi in cui i loro occhi, le loro anime si scontarono, e poi l’unica cosa esistente erano le loro labbra. Si toccarono con indecisione, in un crescendo di amore e disperazione, si sfiorarono, lottarono in un groviglio di lingue, di saliva, di denti che cozzavano fra loro. Sparì la paura, l’indifferenza, si accorciarono distanze che prima parevano insormontabili, e quando si staccarono la rabbia che Aeris si era ripromessa di provare nei suoi confronti era sparita sotto la sguardo dolce di lui, nel suo sorriso. Impossibile non rispondere all’amore quando questo preme per uscire.

Gli accarezzò la guancia offesa, dalla cicatrice, dallo schiaffo che gli aveva dato a Junon per la sua linguaccia, senza pensare minimamente che dopo sarebbe diventato il gesto d’affetto con cui poteva dirgli tutto, dirgli quanto amava lui e la sua ironia pungente. Stavolta fu lei a iniziare, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare alla sua bocca, a continuare quello che avevano lasciato in sospeso dopo tanto tempo.

“ Bhè” ansimò Zack tra un bacio e l’altro “ Pensavo di beccarmi di nuovo uno schiaffo” Zitto “… o un pugno” sorrise, le labbra sovrapposte a quelle di lei “ Ma devo dire che così è molto meglio”

“ Non farci l’abitudine” disse Aeris allontana dosi un poco “ Se…” tacque, abbassò gli occhi. Le pareva insopportabile ora, morire. Perché a loro?

Zack le mise un dito sotto il mento, la costrinse a guardarlo.

“ Ehi” sussurrò asciugandole una lacrima col pollice. Aeris singhiozzò, abbracciando forte la coperta.

“ Mi dispiace per tutto, Zack” ora o mai più, doveva farglielo sapere “ Non avrei dovuto trattarti così, sono stata…” singulto “Sono stata così egoista. Avrei… avrei dovuto capirti e…”

“ Non fa niente”

La giovane sgranò gli occhi “ Cosa?”

Zack l’abbracciò, carezzando i contorni del suo volto congestionato.

“ Non fa niente” ripeté “ Non ce l’ho mai avuta con te per questo. Hai avuto tutte le ragioni del mondo per odiarmi. Non farmi sentire per cinque anni è stata una bastardata enorme”

La paralizzò il modo in cui lo disse.

“ Ma..” cercò di obiettare debolmente “ Ma Hojo, tu non…”

“ Non permetterò più a nessuno di tenermi lontano da te” proclamò severo, severo come non era mai stato il ragazzino che era caduto nella sua chiesa. “ Quando questa storia finirà, staremo insieme. Lo vuoi?” domandò speranzoso, e Aeris annuì vigorosamente, gettandogli le braccia al collo.

Poggiò la fronte sulla  sua “ Sì” disse “ Sì, lo voglio”.

E mentre un nuovo bacio svaniva nelle tenebre, l’unica coperta di lana dell’Highwind prendeva il volo per non tornare mai più.

 

“ Sì, lo voglio”

Improvvisamente il mondo tornò al suo posto, relegando i ricordi riflessi sul vetro della nursery in un angolo della sua mente. La sua mano premuta decisa sulla finestrella, inconsapevole  di quando avesse iniziato a camminare per venire fino a lì, sul piano deserto illuminato a  intermittenza da una luminare rotta.

Bzz,Bzz.

Scosse confusa la testa, guardandosi in giro spaesata. Si chiese seriamente  se avesse raggiunto uno stato di sonnambulismo tale da doversi preoccupare per se stessa, ma probabilmente l’intenzione di fare due passi con mille distrazione ad affollarle la testa l’aveva condotta fino a lì. Passò in rassegna le culle, neonati nuovi o che aveva già visto dormivano privi di preoccupazione, ignari del crudo gioco che la vita metteva in tavola per il divertimento di qualche dio maligno. Sorrise teneramente.

Le braccine piegate sotto la testa conferivano ai piccoli un atteggiamento naturale e dolcissimo, i visini corrucciati senza volerlo, le rughe e l’ittero di alcuni che somigliavano a piccoli limoni vecchi dalla buccia granulosa. Cercò Warda, la trovò nella prima culla a destra del bancone dei pasti, e rise della posizione strana che teneva nel dormire, piegata da un lato col mento teso al massimo e la bocca aperta, un contrasto così grottesco rispetto agli altri che scosse involontariamente la testa, come un rimprovero scherzoso.

“ Sei tutta speciale” i suoi occhi si velarono di tristezza. La bimba non sapeva cosa l’aspettava.

“ Essere speciali talvolta è una maledizione”  si disse fra sé e sé “ Prego perché tu abbia un infanzia e una vita più serena della mia.”

A Tseng aveva detto di volere solo pace, per lei e i suoi figli. Si allontanò per tornare in stanza, i sentimenti dolci –amari che quella visione le avevano dato frullavano alla velocità delle ali di un colibrì, sprazzi di flashback che non aveva mai vissuto le apparirono davanti agli occhi. Si immaginò di stringere Warda fra le braccia, proteggerla ad ogni costo , e Zack al suo fianco che toccava piano la testolina della bambina, sorridendo intenerito dal miracolo di quella vita che lui stesso aveva donato, una figlia loro da crescere ed amare. Fu talmente forte che dovette fermarsi a riprendere fiato. La mantellina sulla spalle ora era troppo pesante per l’eccitazione che saliva come una follia nel suo corpo, e scostò i capelli che le erano finiti sul viso. Voltò il capo a quel presentimento, fissò senza vedere  le culle che emergevano come montagnole di neve dalla nursery, e l’idea balzana di poco prima si aggrappò tenacemente ai suoi desideri.

Forse… non era troppo presto. Forse l’idea di avere una sua Warda da stringere al petto la infervorava di ardore materno, quello che, prima o poi, prende tutte le donne del mondo. E adesso anche lei.

Anche lei si sentiva pronta a compiere il passo più grande della sua vita.

 

 

 

 

“ Dunque.” Esordì ad un certo punto, fermandosi per godersi il peso di quell’unica parola detta tra i capelli del ragazzo. Rimase zitta ancora per un attimo, passando le dita fra i filamenti biondi, e Cloud si mosse a disagio sotto la sua carezza.

“ Dunque?” la esortò Cloud  stringendosi a lei “ Cosa c’è?”

Chinta indugiò sulla sua fronte, spinse la testa del Soldier contro il suo fianco, guadagnandosi un lamento indolente soffocato contro la maglia del pigiama. Sogghignò, scendendo fino alla nuca e al collo nudo.

“ Dunque, pensavo ad una cosa…” continuò per fermarsi a metà frase. Cloud rinunciò ad incoraggiarla, aspettò che terminasse con il naso affondato nella morbida ciniglia verde ad aspirare il profumo di quella ragazza come un ubriaco che finalmente si disseta col suo vino preferito. Le dita fredde disegnavano cerchi e linee che bruciavano di piacevole tortura, un tocco che voleva essere leggero per farlo impazzire.

“ Pensavo che forse avresti potuto delucidarmi su un dubbio che mi è sorto.”

Cloud non rispose.

“ Pensavo…” Chinta ignorò l’indifferenza del biondo e diede un pizzicotto che lo fece scattare.

“ Ehi!” sbottò tirandosi su un fianco.

“ Pensavo” sottolineò decisa, irritata dell’interruzione “ Che i Soldier avessero un colore più tenue di occhi, o sbaglio? I tuoi sono così blu!” allungò una mano per accarezzargli una guancia. Cloud si ritrasse.

“ Bhè?” lasciò cadere la mano sulla trapunta, aspettando una risposta. Cloud sbuffò, massaggiando il punto in cui Chinta l’aveva pizzicato. Non gli aveva fatto male, ma era irritante. Quando era ragazzo aveva ricevuto tanti di quei pizzicotti da farne quasi una fobia. Li trovava irritanti se a farlo era una persona irritante come quella distesa al suo fianco, in attesa.

Decise svogliatamente di accontentarla.

“ Il mako, in realtà, li fa diventare più scuri. Non si fonde del tutto col colore dell’iride, se guardi bene ci sono dei riflessi verdastri” si ritrovò con la schiena sul materasso, la ragazza a cavalcioni su di lui lo fissava intensamente in volto, concentrata come non l’aveva mai vista. Deglutì, deviando lo sguardo verso destra. Doveva essere arrossito parecchio a giudicare dal sorrisino che percorse le sue labbra.

“ Scusa, ma…” tornò seria, voltandogli grossolanamente la faccia. Cloud grugnì infastidito. “ Io non li vedo. Sono cieca per non vederli? Sei sicuro che ci siano?”

“ Penso di conoscermi abbastanza da sapere che ce li ho.” Rispose Cloud. Chinta non ne era convinta.

“ Ma davvero, ce li hai? Non è che mi stai prendendo in giro?”

“ Perché ti interessa tanto?”

“ Perché mi piacciono, ecco perché.”

“ Allora la risposta è sì. Dipende molto dalla luce, quindi per stasera mettiti l’anima in pace.”

“ Ma nooo, uffa!” gemette “ Volevo vederli adesso.”

Cloud, per quanto possibile, fece spallucce.

“ E vabbé”

Chinta sbuffò, sinceramente contrita dal fatto, poi decise di non pensarci e stampò un bacio sulle labbra del ragazzo, rotolando al suo fianco.

“ Sai, volevo ringraziarti.” Disse ad un tratto, e Cloud voltò la testa verso di lei.

“ Per cosa?” chiese sospettoso.

La giovane inarcò un sopracciglio “ Per le pulizie, è ovvio. Senza al tuo aiuto non sarei mai riuscita a spostare quel mobile” sorrise “ E non avrei nemmeno ritrovato Sarah.”

Cloud emise un gemito strozzato, portando entrambe le mani a coprirsi il viso.

“ Ti prego, non parlarmi del tuo gatto.” Sibilò contro le dita “ Ho impiegato mezz’ora a convincerlo a scendere da quel condotto, e alla fine non ci guadagno una graffiata? Bel caratterino che si ritrova.”

“ Non ti è uscita nemmeno una goccia di sangue” contestò Chinta sfiorando la garza sul braccio del Soldier “ Per cui non fare tante storie. E poi gli animali rispecchiano il carattere dei padroni, stai cercando di dirmi che ho un caratteraccio?” chiese minacciosa. Cloud sospirò.

“ Tu che dici?”

“ Razza di deficiente!”

Seguì un lungo silenzio, nel quale si sfiorarono come due innamorati al primo appuntamento, seguendo i percorsi naturali delle linee del corpo come se fosse tutto nuovo e luccicante. La quiete prima della tempesta.

“ Lei non te l’ha mai detto vero?”

“ Lei chi?”

“ Tifa”

Quel nome sputato duramente ebbe l’effetto di uno schiaffone in pieno volto. Smise di arricciare i capelli di Chinta, e la fissò di sottecchi, improvvisamente nervoso.

“ Non ti ha mai fatto i complimenti per questo,vero?”

“ Veramente” biascicò Cloud punto sul vivo “ Non ho mai… fatto le pulizie… a casa.” Tacque mortificato.

“ Davvero?” era sorpresa “ Allora sono onorata” aggiunse divertita. Cloud avvertì la tensione salire, e si scostò per sedersi sulla sponda del letto.

“ E ora cosa c’è?” sospirò lei sconsolata. Il giovane scosse la testa.

“ Nulla”

“ Bugiardo.”

“ Domattina me ne vado.” Disse come se valesse la pena di dirlo, e la risposta di Chinta non si fece attendere.

“ Di già?”

“ Di già”

“ Però torni,vero?”

“ Non lo so.”

“ Come sarebbe a dire “non lo so”?” piccata dalla vaghezza con cui arginava la sua voglia di indagare.

“ Significa che non lo so.”

“ Mai una risposta coerente,vero?”

“ Smettila di mettere “vero” alla fine di ogni domanda.”

“ E perché mai??”

“È irritante.”

“ Sei tu irritante!”

Lei si alzò, prese una vestaglia e se l’avvolse intorno al corpo. Mise una mano su un fianco, trattenendo con l’altra i lembi sul petto. Somigliava ad una moglie bisbetica con quell’espressione arcigna e gli occhi castani pieni di odio, e Cloud non poté fare a meno di sorridere fra sé per l’assurdità della situazione.

“ Cazzo ti ridi?” rimbrottò acida, e Cloud scosse la testa.

“ Sei fuso, mi hai sentito? Fuso. E ora dimmi se hai intenzione di tornare.”

“ Avevo intenzione di rimanere qui fino a domani” replicò lui scocciato “ Ma la tua insistenza mi sta guastando lo stomaco. Vado.” si alzò, superandola per scendere al piano di sotto. Lei lo seguì a breve distanza.

“ Non voglio promesse d’amore, Cloud.” Attaccò imperterrita “ Voglio solo sapere se tornerai. Se così non fosse puoi anche levarti dai piedi subito, non mi interessa, ma almeno parlami.”

“ Ho già parlato a che troppo.”

Scavalcò Sarah acciambellata sull’ultimo scalino. La gatta, avvertendo il trambusto tirò su la testa foderata di pelliccia, scannerizzando Cloud con occhio critico. Quando perse interesse spalancò la bocca mostrando dentini acuminati e sbadigliò di sonno, rimettendosi giù per recuperare quei secondi di sopore che le erano stati negati.

“ Davvero?” esclamò Chinta, e Sarah, se avesse potuto, le avrebbe intimato silenzio, ma si rassegnò a stare un occhio aperto e uno chiuso. Il sonnellino rimandato a data da definirsi.

“ Sì.”

“ Bene!”

Si allontanò da lui, chinandosi sul mobiletto bar vicino alla televisione, e ne tirò fuori un bicchiere impolverato e una bottiglia modesta di vodka, versando il contenuto metà fuori per la rabbia, la stessa con cui buttò giù in un sol sorso il liquore come se fosse acqua fresca. Sospirò dissetata, e a quel punto si accorse dello sguardo di disapprovo del ragazzo. Sollevò il mento, sprezzante.

“ Mbhè?” fece volgarmente “ Che vuoi ancora?” si pulì la bocca con la manica, cercando di non far capire quanto risentisse dell’audace vuotata di vodka. La gola ardeva vivacemente, solo per dimostrare una spavalderia che non possedeva. Tirò i capelli all’indietro, un gesto troppo studiato per ingannarlo.

“ Non dovresti bere quella roba.” La rimproverò sottotono, abbastanza da intimorirla. Le ricordava il suo tutore, un uomo meschino che godeva nel farle del male, e ogni ramanzina iniziava così. Con un rimprovero o consiglio che somigliava ad una minaccia velata.

“ Non puoi darmi ordini, non in casa mia” sbottò una volta ripresasi “ E ora dimmi: hai intenzione di tornare?”

Cloud si passò una mano sul volto, gettandola poi nell’aria infastidito. “ Non lo so! Forse, non ne ho idea.”

Rabbia: “ Stronzo!”

Il giovane evitò per un pelo il bicchiere, che passò sibilando vicino al suo orecchio per infrangersi sul muro in un milione di pezzi. Le schegge spaventarono Sarah, che corse soffiando al piano di sopra, sperando in un po’ di pace per dormire. Cloud osservò spaesato le tracce di liquore sull’intonaco scivolare lentamente fino al pavimento, e comprese che non era più aria. Si voltò verso di lei, lei coi pugni stretti e tremanti, fiammeggiante d’ira da tutti i pori, e strinse le labbra.

“ Buonanotte” con questo gelido commiato uscì nel gelo della notte, lasciando la ragazza per sempre. O così credeva. Alla fine tornava.

Tornava sempre.

Ma ora c’era qualcun altro che aveva bisogno di lui.

Aspettami, Tifa.

 

 

 

 

 

Bella gente! ( la guardano tutti male)

Ehm, è da un po’ che non aggiorno,vero? Come passa veloce il tempo. No, sul serio, non mi ero accorta che l’ultimo aggiornamento risaliva a novembre, ma immagino di essermi rifatta,no? Mi sono divertita a descrivere la diatriba di Cloud e Chinta, anche se sembrano marito e moglie. Spero di avervi soddisfatto questa volta. Il flashback l’avrò riscritto un milione di volte, e nemmeno la versione finale mi ha soddisfatto particolarmente. Ow, che casino!

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno messo la mia storia fra le preferite,  le seguite, chi mi segue o da solo una lettura! Grazie a tutti!

Al prossimo, spero presto, capitolo!

  
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