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Autore: Adrienne    23/01/2011    4 recensioni
"Come la celebre canzone dei Beatles, band leggendaria. In inglese il nome indica gli scivoli elicoidali – a spirale - dei luna parks; ma potrebbe essere interpretato anche come un “turbinio” inspiegabile e travolgente di sensazioni, che si provano per qualcuno. E' soggettivo, ed io la vedo così. Vorrei tanto riuscire a provare un Helter Skelter per qualcuno... E forse questo qualcuno ci sarebbe. C'è, ed io lo so, nascosto tra sei, sette miliardi di persone. E a me, ne servirebbe solo una, accidenti... Lui. L'Helter Skelter. Ma chissà dov'è, adesso. Di certo... Non è qui. E nessuno mi dice che potrà essere di nuovo con me, un giorno. Nessuno..." Dopo due anni dalla pubblicazione di "Ovunque", ritornano Adrienne e Alex con il sequel della loro storia. L'amore può davvero resistere contro il tempo, contro la lontananza, contro il dolore? [Questo è il seguito della mia storia "Ovunque", ma anche se non l'avete letta, capirete tutta la trama nel corso della lettura di questa storia ;)]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buona domenica a tutti! Eccomi qui pronta con il quindicesimo capitolo. Che dire, aggiornare da ora in poi sarà sempre più difficile perché il quadrimestre si sta chiudendo e non si riesce a respirare tra compiti ed interrogazioni! Ma prometto che farò del mio meglio per continuare la stesura degli altri capitoli. Ma storia è già tutta dentro la mia testa... Basterà solo trovare tempo e voglia di scrivere.
Nel frattempo, voglio ringraziare - come sempre - tutti quelli che mi seguono, che mi leggono e che mi recensiscono; un GRAZIE speciale a mo duinne, Alebluerose91, BBV (grazie per tutti i complimenti che mi hai fatto, spero continuerai a leggermi d'ora in poi!) e XxX_GiuliaLoveless_XxX! Davvero, non so come ringraziarvi... Recensite praticamente sempre, e questo mi fa moltissimo piacere. Spero di trovare molte più recensioni a questo capitolo nuovo, che è un po' di "passaggio". Il bello arriverà tra un po' :)



Capitolo quindici

Capitolo quindici


Mi sistemai nel mio posto, quello accanto al finestrino. Che fortuna, pensai, il posto che adoro di più. Accanto a me non era seduto ancora nessuno, mentre tutti gli altri passeggeri iniziavano a prendere posto.
Il volo non sarebbe durato molto. Avevo deciso che avrei infilato le cuffie nelle orecchie e finto di essere in coma per tutto il viaggio. Ero ancora nervosa, temevo che avrei potuto sbranare qualcuno a morsi.
Certo che il mio primo giorno da non-vergine si era rovinato ormai del tutto.
Due hostess facevano avanti e indietro per il corridoio.
Prima di prendere l'ipod ed entrare in coma, estrassi dalla tasca il biglietto che mi aveva lasciato Alex, quello con la poesia. L'avevo tenuto in tasca per tutto il tempo, non avevo voluto buttarlo. Glielo avrei fatto mangiare, non appena l'avrei rivisto, davvero.
Lessi la poesia lentamente, sforzandomi. Perché mi sembrava così familiare?
Forse mi ricordavo l'autore, perché riconoscevo quel tipo di poesia.
Mentre riflettevo attentamente, un signore si avvicinò.
Era un signore già avanti con l'età, poteva avere una sessantina d'anni. Aveva degli occhiali rotondi, un panciotto piuttosto prominente, i capelli bianchi, un po' di barbetta, anch'essa bianca. Mi sapeva di un nonno. Mise una borsa nel porta bagagli in alto, poi si sedette accanto a me. Ecco chi sarebbe stato il mio compagno di viaggio, poco male. Sarebbe stato tranquillo e silenzioso come volevo. Mi fece un cenno con la testa come per salutarmi e io ricambiai. Mi guardò un attimo anche lui, poi distolse lo sguardo.
Appoggiai subito il mio gomito sul bracciolo, in modo che non se lo fregasse, e ritornai a leggere il dannato pezzo di carta. Fra un po' il fumo mi sarebbe uscito dalle orecchie.
Stavamo per partire: una voce metallica ci disse di allacciare le cinture.
L'allacciai, il signore ebbe un po' di difficoltà in più per via del suo panciotto.
Una delle due hostess cominciò a spiegarci come uscire dall'aereo in caso di emergenza, dove vomitare, dove prendere la mascherina d'ossigeno, con i soliti movimenti meccanici da farla sembrare un robot. E da costringermi a trattenermi dal ridere. Non prendevo un aereo da un po', ma ormai le sapevo bene, tutte queste cose.
L'hostess andò via e ci preparammo per il decollo.
Decisi che avrei riletto il biglietto per l'ultima volta, e poi l'avrei messo via.
Proprio mentre stavo per finire, il signore accanto a me parlò.
“Le piace leggere Baudelaire, eh?” mi chiese. In italiano, per fortuna.
“Come, scusi?”
Baudelaire, dico. Charles Baudelaire.”
Lo guardai stralunata, non capendo. Cosa c'entrava Baudelaire?
Il signore mi indicò il biglietto che tenevo il mano, con un movimento di sopracciglia, molto eloquente.
Oh, quello!
“A dire il vero, non sapevo neanche che fosse Baudelaire. commentai, facendo la figura della perfetta idiota.
Mi sembrava così familiare perché avevamo letto Baudelaire all'ultimo anno di liceo, a scuola. Mi era piaciuto abbastanza, ma non mi ero mai appassionata.
Forse avevamo letto persino questa poesia, in classe?
“Eppure mi sembrava molto attenta e concentrata nelle sue numerose letture.”
“Il fatto è che... esitai un attimo, prima di continuare. Ma in fondo chi se ne importava? Non l'avrei mai più rivisto questo strano signore, quindi tanto valeva dirgli la verità. “Il ragazzo che amo mi ha lasciato questo biglietto, per poi andarsene da me, e non capisco ancora il perché. Non ricordavo chi fosse l'autore della poesia. Per questo, mi stavo sforzando di capire.”
Il signore mi guardò un attimo negli occhi prima di rispondere, poi annuì.
“E' Baudelaire, il poeta maledetto Francese. La poesia s'intitola Rimorso Postumo.”
Rimorso Postumo.
Rimorso.
Rimorso.
Rimorso.
Rimorso...
La parola fece
una vera e propria eco dentro la mia testa.
Era questa la verità?
“Quando
tu dormirai, mia bella tenebrosa, in una tomba di marmo nero, non avrai più un letto e castello, solo una tomba gocciolante e un buco profondo,” cominciò a recitare il signore, leggendo di sfuggita il mio foglio, facendomi praticamente la parafrasi.
Io stavo dormendo, quando lui se n'era andato, e il mio letto era diventato una tomba, perché lui se ne stava andando via. Era vero.
“Quando
la pietra della tomba, cioè il marmo, opprimerà il tuo cuore impaurito e i tuoi fianchi ammorbiditi di una dolce pigrizia, impedirà anche al tuo cuore di battere e volare, e ai tuoi piedi di correre verso un'avventura, verso altro; la tomba conscia del mio sogno infinito (perché essa comprende sempre il poeta), durante quelle lunghe notti senza sonno, ti dirà: "A cosa ti serve, cortigiana malriuscita, di non aver conosciuto quello che i morti piangono?". Credo si riferisca alla vita, forse. Il verme roderà la tua pelle come un rimorso.”
Rimasi
senza parole.
Non era possibile, la nostra notte d'amore, per lui, si poteva riassumere in questi versi dolorosi, persino offensivi, per me?
Mi veniva da piangere. In quel momento, i miei occhi si riempirono di lacrime, e il signore davanti a me si appannò in maniera acquosa. Ma scossi leggermente la testa, e ritornarono indietro, perse chissà dove.
Ero sempre più arrabbiata, anzi. Allora era davvero solo uno stronzo.
Bene, forse io sarei stata più stronza di lui.
Non era accettabile il fatto che per lui quella notte non avesse significato, perché l'avevo sentito, c'era troppo anche da parte sua. Stava solo fingendo, aveva solo paura, lo conoscevo ormai. Credeva di risolvere i problemi fuggendo da essi, invece ne creava altri.
Ma quella poesia, davvero, poteva risparmiarsela. Mi doveva molte, molte spiegazioni. Non mi aveva neanche lasciato il tempo di parlare, di chiedere, di spiegare alcunché, in fondo, e un po' era anche colpa mia. Mia e della mia voglia di lui.
Ripiegai il biglietto e lo infilai in tasca, riprendendomi da quell'attimo di smarrimento.
“Grazie. Come fa a sapere tutte queste cose?” chiesi al signore.
“Ero un docente di lettere. E Baudelaire era già il mio poeta preferito, quand'ero un'adolescente. A diciotto anni, avevo già riletto più di venti volte Les Fleurs Du Mal. Per questo, non ho resistito, quando ho visto che stava leggendo una sua poesia, mi scusi.”
“Ma
si figuri, davvero, anzi, mi è stato molto d'aiuto.” Annuii, facendo un sorriso stiracchiato. Il signore sembrò capirmi.
“Signorina, non si preoccupi, questa poesia forse non vuole dire niente.”
“Non ne sono sicura, comunque sto andando proprio a trovare il diretto interessato.” commentai, con una smorfia.
“Fa bene. Comunque, piacere, io sono Roberto.”
“Piacere, Adrienne.”
Ci fu una stretta di mano.
Ad ogni modo, quelle rivelazioni mi avevano proprio scosso.
Ormai stavamo proprio per partire, l'aereo faceva i giri della la pista.
Roberto mi sorrise. “Quando saremo in aria, le offrirò un po' del mio panino con tonno, pomodoro e maionese. Forse dovrei mangiare più sano, ma non resisto. Le piace, Adrienne?”
Annuii, e mi venne di nuovo da piangere. Non per Alex, ma per la gentilezza che mi veniva offerta da un colto, strano, anziano signore con la pancia grossa per via dei suoi panini imbottiti. Il mio primo giorno da non-vergine si ristabilizzò di un po', ma non troppo.
L'aereo vibrò lanciandosi in aria, e il mio cuore rimase giù, lì, sul mio letto, sulla mia tomba stillante, a Parigi.

***

Eccola.
La casa della mia infanzia, della mia adolescenza.
La casa che mi aveva visto entrare felice, arrabbiata, triste. Mi aveva visto tornare a maniche corte, lunghe, con i capelli bagnati, con pacchi in mano, con lo zaino sulle spalle, da sola, con qualcuno.
Era tutto come l'avevo lasciato: la disposizione delle cose, il vaso nero rotto, il giardino, la porta bordeaux, i colori, gli odori, la strana calma. Ecco, calma. Ormai la mia casa non era più quella, avevo avuto una vita altrove, ma quel posto riusciva ad infondermi una sensazione di strana calma. Una sensazione... familiare. Proprio la sensazione che mi serviva, in quel momento.
E' solo una stupida villetta con uno sputo di giardino, ma sarà la prima cosa che comprerò, quando sarò ricco.*
Il trolley faceva un rumore strano lungo il vialetto, strideva.
Ma riuscii a trascinarlo fino alla porta d'ingresso. Sospirai, poi suonai il campanello.
Improvvisamente, sentii che dentro la mia casa, scoppiava una grande agitazione. Sicuramente, pensai, Edoardo aveva letto la mia email - per fortuna.
Aspettai una manciata di secondi e la porta d'ingresso si aprì.
Un raggiante Edoardo e un'altrettanto raggiante mia madre, apparvero davanti a me. Feci un balzo in avanti e diedi un bacio a mia madre, abbracciandola, poi feci lo stesso con mio fratello. Mi erano mancati, davvero. Il mio cuore si sciolse, mi sentivo più tranquilla. Mi sentivo... A casa. Già.
Adrienne, eccoti, finalmente!” disse mia madre.
“Mamma! Hai
tagliato i capelli, vero? Bel golf.” le dissi.
Trovavo mia madre più giovanile con i capelli a caschetto e aveva indosso davvero un bel golfino. Mi sembrava di riconoscerlo: forse gliel'avevamo regalato io ed Edoardo, il Natale scorso. Non ricordavo bene.
Poi, lui, Edo, era sempre lo stesso. Era il mio unico, prezioso, indispensabile fratello. Se pensavo a tutto quel tempo in cui ci eravamo detestati... Era stato solo tempo perso. Gli avevo sempre voluto bene, ovviamente, ma per me, ormai, era come se fosse un mio amico. A pari merito con Eveliss, nel mio cuore.
“Anche io ti trovo molto bene, tesoro. commentò mia madre.
Strano, dato che ero parecchio stressata e avevo dormito poche ore, in pratica. Il pensiero di quella notte, fatto davanti a mia madre, mi fece arrossire.
Edoardo prese il trolley e lo portò dentro casa, chiudendo la porta.
“Ho bisogno del bagno,” dissi, e ripresi il mio trolley in mano. “Ci rivediamo tra cinque minuti in salotto.”
“Certo, intanto prepariamo del caffè. Edoardo, dammi una mano!” disse la mamma, avviandosi verso la cucina. Edoardo sbuffò divertito e poi la seguì, sparendo oltre la cucina.
Nessuno aveva ancora detto niente, riguardo al mio ritorno. Beh, ero appena entrata in casa. Però, prima o poi mi avrebbero chiesto qualcosa; specialmente mia madre, che di tutto poteva aspettarsi, meno che un mio ritorno.
Immaginai che Edoardo avesse ricollegato gli avvenimenti, quindi speravo con tutto il cuore che non mi chiedesse niente, davanti a mia madre. Al massimo avrei raccontato a mio fratello, ma a lei? No, sarebbe stato troppo imbarazzante. Avrei dovuto inventarmi qualcosa, non sarei scesa per niente nei particolari.
Salii al piano di sopra trascinandomi ancora una volta il trolley, con qualche difficoltà. Lo mollai in camera mia. Era ancora come l'avevo lasciata, anche lì, la disposizione delle cose non era mutata. Però avevo davvero bisogno del bagno, quindi avrei rimandato il festival della nostalgia a dopo.
Dopo aver espletato i miei bisogni fisiologici, ritornai nella mia camera da letto.
Cominciai a frugare nei cassetti. Le poche cose rimaste erano tutte al loro posto, come le avevo lasciate il giorno della mia partenza. Penne, quaderni di scuola, i miei vecchi diari, qualche collanina, e altre cianfrusaglie. Dentro l'armadio c'era ancora qualche vestito appeso, una felpa ormai troppo vecchia, una maglietta che mi veniva stretta, delle Converse logore, bucate.
Le lenzuola erano state cambiate, come avevo chiesto ad Edoardo, e probabilmente la mamma aveva messo a lucido la stanza.
Mi faceva un certo effetto stare lì. Mi sentivo così diversa da quella che ero una volta, da quella adolescente che passava la maggior parte delle sue giornate dentro quelle quattro pareti, ascoltando musica, studiando, leggendo, stando al telefono con il suo fidanzatino; dall'adolescente tremante ed inesperta che provava a fare l'amore con lui, su quello stesso letto. Mi sentivo come se Adrienne, quella ragazzina, fosse fuggita via, e avesse lasciato il posto ad una giovane donna, che ero io.
Mi sentivo come se fossi stata via per anni, quando erano passati una manciata di mesi. Era tutto così strano, così irreale. Parigi mi aveva cambiata - in meglio, pensai. Chissà se era vero, però.
Decisi di tornare giù. Avrei sistemato la valigia dopo, con più calma.
Piombai il salotto, e capii che la mamma si era resa conto di un certo mio cambiamento. Il caffè era sul tavolino accanto al divano, servito nelle tazze del servizio buono, e sul vassoio che veniva usato per le occasioni importanti, quello con i piccoli gigli bianchi disegnati. Forse mia madre mi stava finalmente trattando come un'adulta? Non mi aveva mai degnato di tali attenzioni.
O forse era come se... fossi un'ospite in quella casa?
Era tutto così strano, non sapevo che pensare.
Era seduta sulla poltrona, e mi sistemai sul divano di fronte a lei, a gambe incrociate. Edoardo uscì dalla cucina con dei biscotti al burro in una scatola di latta, che gentilmente mi porse.
“Grazie,” gli dissi, prendendone uno e sgranocchiandolo. Lui si sedette al mio fianco. In quel momento calò il silenzio e mi sentii improvvisamente in soggezione.
“Allora sorella, cosa ci racconti di Parigi? Avrai un bel po' da raccontare, non è la stessa cosa che leggere delle e-mail. disse subito Edoardo.
Sorrisi. “Parigi è fantastica, davvero. Non potete immaginarvela. E' tutto... Nuovo, eccitante, scintillante. Così diverso da qui.”
Mia madre sorseggiò il caffè. “E' una grande metropoli, è ovvio.”
“Sì, la vita è totalmente diversa.”
“Questa casa non ti è mancata nemmeno un po'?”
“Certo che mi è mancata...”
Mi lanciai in un resoconto dettagliato del mio lavoro, della mia casa, delle mie giornate. Mi facevano delle domande, sembravano così curiosi, così... lontani.
Era come se loro due appartenessero ad una “vecchia” vita. Erano una delle poche cose che mi ricordava la “vecchia me”. Ancora una volta, provai una strana sensazione. Ma era anche vero che adoravo quella parte della “vecchia me”, se si trattava di loro due. Assolutamente.
“Perché hai deciso di tornare?” chiese all'improvviso mia madre, deviando la conversazione.
Mi strozzai con quel che rimaneva del caffè. Temevo questa domanda, e avevo fatto di tutto per evitarla, durante il mio racconto. Ma mia madre era diretta, si sapeva. Posai la tazza sul vassoio, con più lentezza del dovuto.
Adrienne, vuoi un altro biscotto?” intervenne
Edoardo.
Forse cercava di aiutarmi. Mi voltai verso di lui e anche se ne avevo abbastanza, ne presi un altro comunque. “Sì grazie, sono deliziosi. A Parigi ne vendono dei tipi simili, sai, la mattina io ne mangio alcuni che...”
Adrienne, perché non rispondi?” incalzò mia madre.
Mi stava mettendo con le spalle al muro. Addentai e masticai molto lentamente il biscotto. Edoardo era accanto a me, in bilico sul divano, come se attendesse qualcosa. Si schiarì la voce.
“La tua visita è stata del tutto una sorpresa... E' successo qualcosa? Pensavo non avessi più intenzione di mettere piede da queste parti.”
Deglutii. “Non è successo niente di particolare, mamma. Solo, mi sono resa conto di avere un conto in sospeso.”
“Posso sapere di cosa si tratta?”
Vidi Edoardo alzare gli occhi al cielo, come se stesse imprecando mentalmente. Mia madre se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo.
“Niente di preoccupante, mamma... Sono... Cose... private.” mormorai.
“Ah. Cose private.” disse lei, colpita.
“Sì. Non mi va di parlarne, scusa. Non ti preoccupare... Tranquilla, insomma.”
“Ah... Okay.”
Dovevo averla offesa. Quand'ero adolescente, avevo sempre cercato di tenere mia madre lontana dalla mia vita e, beh, avevo una certa inclinazione per tenerle nascosti i fatti importanti. Non lo facevo apposta, la maggior parte delle volte. Dopo che mio padre se n'era andato di casa, ed era sparito dalle nostre vite, ci eravamo riavvicinate, e mi capitava spesso di confidarmi con lei; nei limiti del possibile, ovviamente. Comunque si era creato davvero un bel rapporto, e a lei questo piaceva molto, e io stessa mi molto rilassata nei suoi confronti. Eravamo state lontane, quasi estranee, per molto tempo. Tempo perso, così come era successo con Edoardo.
Ma proprio in quel momento, non avevo voglia di raccontarle tutto. A parte l'imbarazzo, io stessa dovevo trovare un modo per elaborare i fatti, per poi poterli raccontare. Insomma, la ferita era ancora troppo fresca per eccitarla.
E poi, neanche a dirlo, né Edoardo né mia madre vedevano di buon occhio Alex.
Il biscotto andò giù.
“Beh scusate, ma ho una valigia da disfare, altrimenti le spunteranno le zampe e comincerà a camminare per tutta la casa!” esclamai, alzandomi dal divano.
Volevo fuggire da quel pesante silenzio, in cui si sentiva solo il biscotto che veniva masticato dai miei denti.
Mia madre annuì. “Okay, io comincio a preparare la cena.”
“Ti aiuto io , si sa che sono il cuoco di casa!” intervenne Edoardo, strappandomi una risata.
“Edoardo ha ragione. Ci vediamo fra un po'!”
Mia madre fece
una faccia offesa. Ritornai al piano di sopra, sospirando di sollievo.






* Afterhours – Ritorno a Casa

   
 
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