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Autore: Julietts    23/01/2011    2 recensioni
Da qualche parte, intorno alla Champs-Elysées, fiumi si gente passavano da un lato all’altro della strada, i volti confusi nell’aria gelida di quel novembre arrivato troppo presto, mentre un vento caotico fatto di voci, risa e pianti, si mescolava alla pioggerella sottile che solcava il cielo con la sua presenza debole ma intensa.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parigi, Novembre 2002.
Da qualche parte, intorno alla Champs-Elysées, fiumi si gente passavano da un lato all’altro della strada, i volti confusi nell’aria gelida di quel novembre arrivato troppo presto, mentre un vento caotico fatto di voci, risa e pianti, si mescolava alla pioggerella sottile che solcava il cielo con la sua presenza debole ma intensa.
Tra tutte quelle persone senza nome, identità e viso c’era una ragazza che camminava verso una serie di panchine agli angoli della strada.
Gli occhi bassi, i capelli sciolti e lunghi, le gambe veloci, in poco tempo raggiunse una di quelle e vi si sedette sopra.
Erano le due del pomeriggio.
Dal grigio del cielo non si sarebbe mai detto.
Era uscita da poco da scuola. Aveva ancora in testa frazioni e algebra, la voce della prof risuonava insistente nella sua mente. “Non ti applichi. Saresti la migliore, se solo quest’anno non fossi così distratta”. Aveva preso il suo primo 5. Non aveva mai preso 5 in matematica. Non aveva mai preso 5 in generale, in nessuna materia.
Strano, non si sentiva affranta. O triste. Sarebbe successo prima o poi.
-Scusa-
Improvvisamente, alzò gli occhi. Un ragazzo la stava guardando dall’alto.
-Potresti spostarti un po’, per favore?-
-Io…certo- lei si scostò di qualche centimetro per fare spazio sulla corta panchina a quello strano individuo, che ora in silenzio guardava la strada piena di gente con occhi…concentrati, come a voler cogliere ogni singola sfumatura di colore di ogni passante che indisturbato passeggiava nella ‘via dei negozi di Parigi’.
Diede un’occhiata alle altre panchine. Erano tutte vuote. Perché aveva voluto sedersi proprio lì?
Perché ora stava in silenzio?
Perché…diede una breve occhiata ai suoi occhi. Ne rimase folgorata.
Erano del più bell’azzurro che lei avesse mai visto in tutta la sua vita. Lo guardò un po’ meglio cercando di non farsi notare da lui, che continuava a dedicare tutta la sua attenzione alla strada.
Aveva i capelli di un biondo ramato piuttosto lucido, che la pioggia rendeva stopposi e vagamente bagnati, donandogli riflessi insoliti. Il viso era di un colore pallido, quasi biancastro, ma non lattiginoso, i lineamenti delicati e originali incorniciavano chissà quali pensieri.
Il collo era lungo, magro, avvolto in una sciarpa larga e colorata. Quell’arancione le ricordava tanto una spremuta che aveva bevuto da bambina a una festa di compleanno. Non aveva mai più visto un arancione del genere, se non in quella sciarpa.
Il suo busto, non lo riusciva a vedere. Un pesante cappotto nero gli avvolgeva il corpo probabilmente magro, mentre le sue gambe erano fasciate da un paio di jeans né larghi né stretti, ai piedi un paio di All Star rosse allacciate male.
Distolse lo sguardo da lui. Ma provò a parlargli.
-Ciao-
-Ciao-
Aveva una voce meravigliosa. Calda, ruvida…morbida e dolce.
-Come ti chiami?-
-Josh. Jo, meglio. Tu?-
Lei rabbrividì leggermente. Si stavano avviando in una specie di…conversazione?
-Stephanie-
-Stephanie- ripetè lui, pensieroso.
-Già- lei provò a sorridergli. Lui non ricambiò.
-Chi sei, Stephanie?-
Lo guardò stranita. Che razza di domanda era, quella?
-Io…non capisco dove tu voglia arrivare-
-Vorrei sapere chi sei-
Lei abbassò gli occhi. Improvvisamente voleva riversare in quello sconosciuto tutta la sua vita, le sue esperienze, lei. Anche se non lo avrebbe mai fatto, e mai pensato di fare, disse:
-Piacere, Stephanie Caroline Edwards. Sono una ragazza normale, ho sedici anni, e oggi ho preso il mio primo cinque in tutta la mia vita. Sono brava a scuola. Sono molto brava a scuola. È l’unica cosa che so fare bene. Ma perché studio, non per altro. Non sono più intelligente, sveglia o brillante degli altri. Solo, non ho una vita mia, e la mia vita è la scuola. E sai…ho preso cinque. Ho studiato come una dannata, e ho preso cinque in matematica. Avrei voglia di piangere. Sono insicura. Molto insicura. Non so cosa voglio. A sedici anni, dovrei volere tutto. Io invece non voglio niente. Mia madre dice che mi passerà. Mio padre non mi dice niente. Preferirei che non mi dicesse niente neanche lei. Perché nessuno dei due sa veramente chi sono. Mi trucco poco. Un filo di fondotinta, mascara, poca matita nera anti-sbavature. Così, se dovessi piangere, non mi si scioglierebbe tutto sulle guance. Anche se non ho mai pianto in vita mia in pubblico. Sono molto fissata su ciò che pensa la gente. Sono cronicamente annoiata, sempre alla ricerca di…niente, perché se non so che cosa voglio, non ho nulla da cercare. Sono una stupida. Credo poco nella felicità, perché in questo mondo non può esistere, è impossibile. Matematicamente parlando, in genere. Fa schifo. La mia vita non mi piace, ma non mi disgusta. Sai, è la prima volta che mi siedo qui, mi sento tanto scema. Lo sono. Sono una stupida, no? Bene, eh sai che cosa faccio ora? Me ne vado a casa. È stato un piacere parlare con te. Piacere, comunque, questa sono io-
Lei si alzò, e lo guardò, aspettando un saluto, almeno. Le veniva da piangere.
-Piacere, Stephanie. Io sono Jo. Sono un artista-
E la ragazza scomparve nuovamente tra la folla caotica che affollava la Champs-Elysées, mentre quell’ultima frase le rimbombava in testa, provocando un eco spaventoso.
 
 
  
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