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Autore: baka_tenshi    23/01/2011    1 recensioni
2019, dopo la terza guerra mondiale l'America ha colonizzato tutte le altre nazioni; l'unica a dare problemi è il giappone. Nascerà, fra il soldato Oliver Trancy ed il ribelle Saiko Takeshi, un'amicizia segreta sotto gli scoppi delle bombe.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"L'aria non si era mai fatta così pesante intorno al mio corpo. Spari, polvere, corpi che perdono il loro calore e si afflosciano sul terreno gelido che calpesto con gli scarponi. La violenza non ha fine in questa città, ma siamo noi a provocarla, noi soldati Americani che tanto odiamo i luridi individui diversi da noi, ma che vogliamo conquistare a tutti i costi, come un pirata che vuole il suo tesoro e non si ferma finchè non lo acquisisce."

La grande città di Tokyo, famosa per le sue rinnovate tecnologie, ora è un cumulo di macerie. Un carro armato si scorge in lontananza, a qualche decine di metri dalla mia posizione. I soldati sparano a quelle persone che sbucano da pezzi di palazzo, crollati al suolo dall'esplosione di una bomba; civili e ribelli, senza differenze, morti in pozze rosse: non è acqua, ovviamente. Quelle persone, in tute mimetiche a chiazze verdi, di diverse tonalità, sono più spaventate dei civili che vengono massacrati; purtroppo la paura fa crescere la voglia di tornare a casa, con la propria famiglia e dimenticarsi di tutto questo, ma l'unico modo per arrivare a questa situazione è portare a termine la propria missione al più presto, uccidendo. Un gruppo di soldati, furtivi, avanzano coprendosi le spalle l'un l'altro in uno dei tanti quartieri fantasma della capitale giapponese. Crack!
- Oliver, l'hai sentito? -
- Si, stà attento -

L'ultimo ad avere la parola, tanto spaventato quanto i suoi "colleghi" - se si possono definire così quelle povere vite che potevano spegnersi da un momento all'altro - era il giovane Oliver Trancy, diciottenne, capo del team di spedizione mandato in pattuglia alla volta di uccidere altri giapponesi. Rosso di capelli, alto e snello, con un fisico allenato ed una benda sull'occhio sinistro, segno che lo riportava a passati oscuri; figlio di due ricchi proprietari industriali, stanco della vita da nobile, avvanzò presto la domanda di arruolamento all'esercito Americano. Era un sogno indotto da tutti gli incitamenti che venivano sponsorizzati tramite ogni ente pubblico: televisione, cartelloni pubblicitari, persino la scuola sponsorizzavano l'arruolamento nell'esercito. Ma lui non lo faceva per una convinzione tramite messaggi subliminali, no, lui voleva servire il paese in cui era nato e cresciuto. Ma, viste le condizioni che gli imponevano la guerra, avrebbe anche fatto a meno di entrare in una cosa così cruenta. Ormai aveva sviluppato il "sangue freddo", non aveva più paura di uccidere o venire ucciso: in qualunque modo fosse finita, secondo lui, sarebbe passato ad una situazione migliore di quella in cui si trovava.
Altri rumori provenivano da dei resti di verde che si scorgeva nell'angolo. Il ragazzo andò, armato di fucile, a controllare. Era spaventato all'idea che un ribelle giapponese saltasse fuori, rapido, dal cespuglio e gli conficcasse un coltello in gola, ma andò comunque. Scosse i cespugli con l'arma, più volte.
- Ahi! - Un gemito di dolore venne fuori dal cespuglio. Subito dopo un ragazzino s'alzò dall'arbusto, ricoperto di spine e foglie, che gli facevano un verde cappello. Diede un'occhiata terrorizzata ai cinque soldati che gli stavano di fronte. Era basso, come la maggioranza delle persone giapponesi, aveva i capelli lunghi fino a metà collo, neri e dritti. Gli occhi a mandorla definivano la sua natura in modo chiaro. I soldati pronti alzarono i fucili, puntati contro il ragazzo che alzò le mani d'istinto.
- Tu, vieni con me -
Oliver prese con se il ragazzo, strattonandolo per il cappuccio della maglia, portandolo in un angolo nascosto dagli altri soldati.
Il giovane giapponese si rannicchiò a terra.
- Non farmi del male, ti prego, ho solo sedici anni e devo mantenere mia nonna malata - Il ragazzo era disperato, implorava il soldato.
- Come ti chiami? -
- Saiko Takeshi -

- scappa ragazzino, non farti più rivedere! -
urlò il soldato al giovane ribelle che scattò in una corsa ricca di terrore.
Il soldato sparò in aria per poi tornare dagli altri del team, dicendo di averlo ucciso.

La sera stessa Oliver si ritrovò a scrivere in branda sul suo diario personale.
Oggi stavo per uccidere un giovane giapponese, di nome Saiko. Povero ragazzo, sembrava davvero spaventato.
Il giovane soldato sospirò scrivendo l'ultima parola nel libro che ogni giorno s'ingrossava sempre più, narrando dei giorni che passavano nel fronte.
- Ehi Trancy - Urlò dall'altra parte della stanza un soldato.
Si avvicinò, era un energumeno alto due metri, con tanti muscoli e poco cervello, che si prese la fama e la gloria fra gli altri non tanto per le buone azioni strategiche, ma per il sangue versato da quelle sudice mani, che contenevano un cranio intero e che potevano spremere un'arancia senza problemi.
Era li, non potei fare a meno di squadrarlo dal basso verso l'alto. Era indifferente avere la sua presenza li davanti a me, in qualsiasi modo l'avrei ignorato ed avrei continuato a scrivere nel mio amato diario. Lui, però, sembrava non tollerare questo mio comportamento superiore che tenevo nei suoi confronti. Era così arrabbiato che si vedevano le vene su quella capoccia pelata che si ritrovava, quasi esplodere. Divenne rosso, la furia lo accecava, ma se cercava rogne lo avrei accontentato col suo muso da pitbull spiaccicato al suolo.
- Cos'è questo? Tieni un diario come le donne, eh? - Prese il mio diario, me lo strappò di mano facendo cadere delle foto da esso.
Si mise a sfogliarlo, ridacchiando da pagina in pagina, sotto un paio di baffoni neri. Mi innervosii, ma dovevo trattenere la calma, non doveva scoppiare una rissa per colpa mia.
- Lesley, ridammelo perfavore -
- Perchè? Se no, cosa mi fai?
-
Ripetei un'altra volta la frase, più lentamente per un caprone come lui. Non poteva capirmi, era solo una bestia che non ragionava e non capiva ciò che gli dicevano. Analfabeta bastardo, non sai neanche leggere! Ridammelo!
Continuavo a parlare fra me e me nella mia testa, non capivo più niente. Nella mia mente c'era solo l'immagine in cui gli spaccavo il cranio e ballavo sotto la fontana di sangue che ne usciva.
Ad un tratto la sua espressione cambiò. Diventò stupito di quel che lesse; poi accennò ad un ghigno.
- Bene, bene, Trancy. Hai fatto scappare un ragazzino di nome Saiko? -
- ... -

Rimasi zitto, non potevo ribattere, ormai tutti l'avevano sentito. Non dovevo scriverlo, temevo una cosa del genere sin da quando l'inchiostro si imprise nella carta ruvida e giallastra. Una vampata di calore mi prese, si avvicinò e mi porse la divisa.
- Adesso tu vieni con me dal capitano, subito! -
Indossai la divisa, gli scarponi e mi diressi verso la porta, nella vergogna inflitta da tutti quegli sguardi stupiti che mi trafiggevano.
Percorsi quel gelido corridoio, di una tinta grigiastra, dipinta da tetre lampade al neon che emettevano una luce abbagliante. Alcune di esse andavano ad intermittenza, dovevano avere un cavo che faceva contatto, od erano semplicemente rotte e logorate dalla guerra. Ogni passo dello scarpone mi faceva contare i battiti del cuore, che avevano un ritmo simile, ma quattro volte più frequente. Sembrava un tamburo che rollava il giorno d'un esecuzione, poco prima della decapitazione dello sfortunato condannato a morte. Quel gelido corridoio me lo ricordavo bene.
Da bambino, quando mio padre era comandante dell'esercito, mi imbarcai di nascosto con la flotta militare. Ero ingenuo, avevo 7 anni e non sapevo quale disastro mi attendeva. Quando sbarcai fui notato da dei nemici e fui catturato.

 - Muoviti, muoviti! -
 
- Stai Zitto! -
 - Smettila di frignare! - 

 - Finiscila di piangere o ti sparo! -
mi dicevano i soldati nemici. Non capivo la loro lingua, ero solo un ragazzino sfortunato. Mi tartassavano con un bastone, mi spingevano sempre avanti per portarmi nella sala dove mi avrebbero fatto il video del riscatto. Piangevo. Non sapevo che fare, ero solo, affamato, spaventato. L'unica cosa che potevo fare era piangere. Urlandomi contro avrebbero alimentato ancora di più quel timore che provavo. Timore che mi ero procurato da solo, da stupido ingenuo che non voleva vedere per l'ultima volta suo padre. Non la smettevo e l'ultima frase s'avverò; boom!
Subito sentii una sensazione di gelo pervadere la mia testa, mischiata ad un calore che dava i brividi. Non sapevo che cosa provavo. Sentivo solo tanto dolore, un dolore atroce, che però sembrava svanire in un attimo. Caddi a terra, ferito da quella pallottola che mi colpì l'occhio sinistro. Lì, si conficcò dritta nell'occhio, trapassando la scatola cranica. Caddi all'indietro, in una pozza di scuro sangue, quello che mi bruciava dentro in quel momento. Sapevo che anche se ne fossi uscito vivo, quell'esperienza mi avrebbe segnato per sempre dentro, nel cuore. Mi si avvicinarono due soldati, punzecchiandomi col fucile per constatare se non emettevo più segni di vita. Ma io ero ancora vivo, respiravo. Mi si annebbiò la vista, per qualche minuto divenni cieco, per poi riprendere la vista ed osservare il freddo cemento, su cui era poggiato il mio sangue, la mia testa, il mio esile corpo che non voleva tutto questo.
 - è morto? - chiese un soldato nemico.
 - No, non mi pare, respira. -
Dopodichè tutto buio.
Un bambino, vedo un bambino laggiù. Che fai? Piangi? e perchè stai da solo in questo posto freddo e buio? Oh, sono io, abbandonato a me stesso.
Restai per ben cinque mesi come ostaggio, ma poi riuscii ad essere salvato. Ero pelle ed ossa, non venivo nutrito da settimane, dormivo sopra la melma e l'occhio era infettato. L'ultima cosa che mi ricordo di quell'incubo che ho vissuto in prima persona? Il gelido corridoio, in cui mi trovo ora, passato in barella, con mio padre degnarmi neanche d'uno sguardo.




(continua nel capitolo 2: living in a lie)

  
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