Titolo: Buon altro anno che se ne va
Introduzione: “Tu hai…cucinato?” “Non essere ridicolo, John.
Ho solo urlato alla signora Hudson di preparare qualcosa”.
Rating:
Verde
Pairing:
John/Sherlock, che ho ribattezzato come Sherlhon. Copyright by me u.u
Avvertimenti: One-Shot
NdA: Per il compleanno di Remsvg che, con me, condivide la
passione per Sherlock e John. Specialmente se insieme.
Wikipedia non sa quando è nato John D:, per esigenze editoriali ho deciso che è nato il 25 gennaio^^
I piatti citati sono delle pietanze tipiche inglesi.
[Sei felice
sono felice sì, sì
buon compleanno ora spegnimi
Buon Compleanno, I. Grandi]
John Watson
rientrò al 221B di Backer Street. Tardi.
Era da tempo che non rimaneva tanto fuori senza il suo
coinquilino, da quando era tornado dall’Afghanistan erano decisamente rari i
momenti in cui si concedeva di divertirsi, ancora più rari i momenti in cui lo
faceva da solo.
Una pista su un caso che diventava una passeggiata serale,
un appostamento da Angelo che accendeva le candele per loro ( non sono il suo ragazzo! ), convinto che
fossero lì per una cenetta romantica. Persino andare in centrale da Lestrade
per ridere dei commenti acidi e puntigliosi di Sherlock era diventata la sua
routine. Il suo tempo non veniva più scandito a iniziare dal momento in cui era
tornato a casa dalla guerra, zoppicante ( so
che il tuo psicanalista pensa che la zoppia psicosomatica, io sono d’accordo )
e con un’invidiabile cicatrice sulla spalla, no. Era scandito dai casi di
Sherlock, dai suoi strimpellamenti alle tre di notte, dall’odore dei suoi
esperimenti sul tavolo della cucina e dallo squillo del suo cellulare. John
fece scattare la serratura, un rumore sordo che ruppe il velo di silenzio che
copriva casa sua. Sua e di Sherlock.
Fece piano le scale, poggiando leggermente i piedi per
evitare di far troppo rumore, ma si sa, quando tenti di salire i gradini in
modo da non svegliare l’intero isolato, ogni dannato osso dal femore in giù
inizia a scricchiolare, ogni maledetto tendine cigola come se fosse tirato
durante una di quelle torture medievali raffigurate in qualche libro di cronaca
nera di Sherlock. Punta e tallone, punta
e tallone, era una fortuna non avere più il bastone o il suo tonfo avrebbe
svegliato Sherlock. O più probabilmente lo avrebbe disturbato dai suoi pensieri
visto che, a quanto pareva, il suo coinquilino non aveva nessun dato salvato
nel suo Hard Disk che riguardasse il sonno. Probabilmente era nato con un Bug
nel programma che regolava l’attività del dormire, pensò con un ghigno; subito
dopo si stupì di sapere cos’era un Bug.
L’ultimo gradino, finalmente. Avvolse delicatamente la mano
attorno al pomello della porta ma, prima di girarlo, quella si aprì
all’improvviso, facendogli fare un lungo passo avanti.
“John, ci hai messo un secolo a salire le scale. Sono solo
24 gradini, non è normale”.
E cosa lo è con te?
“Mi hai sentito da quando sono entrato?”
“No, ti ho visto arrivare con il Taxi. E’ quasi mezzanotte,
non hai chiamato quindi Sarah ti ha costretto a fare gli straordinari, il
telefono squillava a vuoto perciò avevi
la vibrazione inserita, eri con i pazienti”.
“Magari volevo solo stare per conto mio” provò John.
Sherlock lo guardò per qualche secondo con un sopracciglio alzato, poi alzò gli
occhi al cielo mentre si dirigeva in cucina.
“Polvere bianca sotto le unghie: hai indossato i guanti di
lattice fino a mezz’ora fa; odore di disinfettante e macchia rossa sul
maglione: un bambino troppo agitato ti ha fato cadere qualche goccia di
Neomercurocromo addosso, il fatto che sia sul maglione significa che avevi già
tolto il camice, probabilmente era un paziente arrivato all’ultimo minuto. Devo
continuare, John?”
Il dottore si lasciò sprofondare in poltrona, esausto e ormai
rassegnato a non poter nascondere nulla al suo coinquilino.
“D’accordo, hai ragione”
“Come sempre” disse Sherlock spostandosi in cucina. John lo
seguì con lo sguardo, nella figura del detective che si stagliava contro la
luce della cucina c’era qualcosa di assolutamente sbagliato, se avesse avuto il
cervello di Sherlock probabilmente l’avrebbe notato subito - e non sarebbe
durato un giorno nell’accampamento senza finire in un attentato – ma, dato che
era convinto di essere un nomale essere umano con facoltà nella media, ci mise
un minuto per realizzare che ciò che non quadrava era il tavolo. Sgombro,
pulito, addirittura apparecchiato. E
Sherlock stava davvero aprendo l’anta del forno – avevano sempre avuto un forno? – per tirarne fuori qualcosa che non
assomigliava a un Fish and Chips da asporto.
“Tu hai…cucinato?” chiese dubbioso, avvicinandosi un gli
occhi fissi su quello che effettivamente sembrava un tacchino con le castagne.
“Non essere ridicolo, John. Ho solo urlato alla signora
Hudson di preparare qualcosa”. Dal ripiano inferiore del forno – no, sul serio, c’è sempre stato? – tirò
fuori un vassoio di Rarebit del Galles e lo poggiò sul tavolo.
“E hai apparecchiato?”
“Sarah ti ha forse dato un colpo in testa annullando quel
poco di buono che eri riuscito a racimolare?
Sapevo che le persone che vengono mollate
tendono ad essere piuttosto vendicative, ma credevo che si sarebbe limitata
agli straordinari la vigilia del tuo compleanno. Certo il fatto che gli
interessi del suo ex partner si siano poi rivolti verso esponenti del suo
stesso sesso potrebbe aver scombussolato un po’ il suo cervellino” il vassoio
era poggiato sul tavolo imbandito, John era seduto e lo guardava come se stesse
guardano la testa nel frigorifero e Sherlock borbottava, le parole uscivano
velocemente come se stesse facendo una lista di geniali considerazioni su un
cadavere “forse dovrei fare un esperimento…”.
“Sherlock? Io, aspetta…cosa?”
Holmes gli lanciò sono una delle sue solite occhiate
annoiate e poi alzò gli occhi al cielo, scuotendo lievemente la testa. Si
sedette dall’altra parte del tavolo e addentò una tartina, scioccando ancora di
più il dottore: da quando lo conosceva non aveva memoria di uno Sherlock Holmes
che si sedeva tranquillamente al tavolo per consumare un pasto ( Io sono cervello, John ).
“John, si raffredda”.
“Cos’hai detto prima? La vigilia del mio…”
“Compleanno. Sei particolarmente lento questa sera”.
“Che diavolo dici? Oggi non è il mio compleanno!”
“Infatti sono certo di aver detto che è la vigilia” rispose. Prese un’altra tartina
dal vassoio in mezzo al tavolo.
“Io…oh.OH”
Sherlock alzò un sopracciglio, guardandolo.
“Sul serio, John, dovresti dire a Sarah di evitare di farti
fare questi turni con i bambini; regredisci al loro livello, mentalmente”.
“Non me n’ero accorto”. Finalmente la tartina solitaria nel
piatto venne addentata, un mugolio soddisfatto uscì dalla bocca di John e andò
ad infrangersi sul sorrisetto di Holmes.
“Si, era ovvio”.
John sbuffò leggermente, si portò un bicchiere di vino rosso
– dove diavolo aveva trovato il vino?
– alle labbra per nascondere il sorriso che gli era nato sul volto. Si passò la
lingua sulle labbra per prendere anche l’ultima goccia che era avanzata, in
quel gesto ripetitivo che sembrava caratterizzarlo da quando, in Afghanistan, doveva
continuamente inumidirsele per evitare che si spaccassero. E che sembrava piacere
molto a Sherlock, da come lo guardava.
“Quindi tu mi hai regalato una cena della signora Hudson, tecnicamente
il regalo è da parte sua”.
“Sono io che le ho urlato di preparare qualcosa, e mi sono
alzato dal divano nonostante avessi due cerotti alla nicotina sul braccio…”
“Sherlock non dovresti…”
“Era un problema da due cerotti, John. In particolare sono
assolutamente certo che un regalo vada incartato ma lui non ne voleva sapere di
collaborare, così ho dovuto cercare un’altra soluzione. E ora finisci il regalo
della signora Hudson”.
“Ma hai appena detto…d’accordo, lascia perdere e passami il
tacchino”. Mormorò rassegnato. Un regalo che non ne voleva sapere di
collaborare? John rabbrividì mentalmente pensando a cosa avrebbe potuto
regalargli il suo coinquilino, e d’un tratto decise che non avrebbe voluto
saperlo. Un corpo in rigor mortis, forse? Certo sarebbe stato difficile da
impacchettare. Scosse la testa per scacciare quei pensieri attirando così l’attenzione
di Sherlock; ancora quel sorrisetto che non prometteva nulla di buono e gli
faceva andare il sangue alla testa. E da qualche parte più in basso.
Si rimise a mangiare gustandosi l’ottima cucina tradizionale
della signora Hudson, quasi si strozzò con una castagna quando Sherlock batté
le mani senza motivo.
“Undici e cinquanta, devi aprire il mio regalo a mezzanotte
precisa!” esclamò, lo prese per una manica e lo portò lontano dal suo delizioso
piatto tipico.
“Sherlock, il mio tacchino!” sporse la mano tentando di
tirarsi dietro il regalo della padrona di casa, senza particolare successo.
“Ti assicuro che non scappa, John. Gli animali morti non si
muovono, e se non ci sbrighiamo la stessa sorte toccherà al tuo regalo”.
“Ma che diavolo-?”tentò di esclamare, ma si sentiva come un
pupazzo nelle mani di un burattinaio folle.
Sherlock lo spinse sul divano senza troppi convenevoli,
sparì in camera da letto (Signora Hudson,
il dottor Watson prenderà la camera di sopra ) e ne tornò con una scatola
che poggiò ai suoi piedi.
“Hai nascosto il mio regalo nella mia stanza?”
“Per nascondere qualcosa devi metterla nel posto in cui la
persona a cui la celi non la cercherebbe mai” gli rispose come se fosse una
cosa ovvia. Come sempre. Diede una
veloce occhiata all’orologio del salotto e si girò con un sorriso che non
vedeva dal gioco con Moriarty. John sentì un brivido salire per la colonna
vertebrale e strabuzzò gli occhi quando la scatola ai suoi piedi si mosse.
“Sherlock si è mosso…”
“Ovviamente si è mosso, sono passate due ore”.
“Due ore?!”
“Si, l’ho sedato. Undici e cinquantanove, inizia a scartare!”
Con la mano poco ferma tirò il fiocco, storto e asimmetrico,
che spiccava sulla scatola – non senza aver lanciato un altro sguardo
spaventato al ghigno da bambino di Sherlock – e alzò in un colpo il coperchio. Si
tirò indietro con uno scatto quando una piccola palla colorata schizzo fuori e
si mise a ringhiare contro Sherlock.
“Mezzanotte, ottimo tempismo Gladstone”. Disse Sherlock
allontanandosi un po’.
“Tienimi lontano il tuo regalo di compleanno, i bulldog inglesi
sono degli ottimi soggetti per testare. Si torna al tacchino?”
Lo guardò tornare in cucina, stordito da quello che era
appena successo. Una piccola lingua bagnata gli toccò un pollice, riportandolo
alla realtà.
“John, è freddo!” si sentì urlare dalla cucina. Il dottore
si passò una mano sugli occhi con un sorriso.
“Andiamo Gladstone, ti piace il tacchino?”
Un altro urlo dalla cucina “Ovvio che gli piace, è
carnivoro. Tutti i cani lo sono, è una cosa che le persone sanno!”
“Le persone sanno
anche che la Terra gira intorno al Sole, Sherlock!”
Si risedette al tavolo, guadagnandosi uno sguardo offeso
dall’altro uomo.
A cena conclusa erano seduti in soggiorno, John e il
cucciolo sulla poltrona e Sherlock sdraiato interamente sul divano.
“Io…”
“Prego. Ricordati di tenermelo lontano, lo voglio fuori
dalla camera da letto e quando viene Mycroft può stare sulla sua poltrona”.
“Perché solo quando viene Mycroft?” chiese interrogativo
grattando dietro l’orecchia destra del cucciolo.
“Perché lui odia i cani, in particolare i Bulldog.” Disse
prima di scavalcare il tavolino con poca grazia e arrivargli a un soffio dalle
labbra. Toccò con un dito la testa di Gladstone, che la scosse contrariato.
“Buon altro anno che se ne va”.