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Autore: orual    25/01/2011    6 recensioni
Cosa è successo a Ron durante la sua separazione da Harry e Hermione in seguito alla lite nella tenda? Una fiction per osservare da vicino questo personaggio così imprevedibile e seguire una crescita ed il percorso fatto per tornare, più maturo, più forte, con obiettivi più chiari e maggiore determinazione per raggiungerli. Non pensate anche voi che Ron, dopo il ritorno dai suoi amici, sia un Ron cresciuto?
Dall'ultimo capitolo:
"Con il viso premuto contro il suo collo e nell’incavo della sua spalla, respirava pesantemente, finché non mormorò, con voce fragile:
-Non... promettimi che non... mai... più!
C’erano tante richieste mescolate in quella frase: di non scappare ancora, di non metterla di nuovo davanti ad un ricatto crudele, di non rifiutarsi ulteriormente di vedere quanto lei tenesse a lui, o di mostrare quanto a sua volta teneva a lei. Ron era stato accusato dalla stessa Hermione di avere la sensibilità di un cucchiaino, ma quella volta capì ogni sfumatura. Annuì contro la sua testa.
-Mai più. Promesso."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Bill/Fleur, Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache della Seconda Guerra'
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 Eccomi! Sono stata più brava o no? Senza perdere tempo vi lascio alla lettura. Ci vediamo in fondo al capitolo. Buon divertimento!

 
7. Inseguendo le tracce
 
C’era molta neve, e questo sembrava tutto ciò che era necessario dire a proposito del posto dove lo Spegnino aveva portato Ron.
Sul momento, infatti, era molto più sorprendente il fatto di aver appena compiuto una Smaterializzazione perfetta (nessuna parte del suo corpo mancava all’appello) senza una delle fondamentali D di Twycross: la Destinazione. Un vero moto di rivalsa gli gonfiò il petto: quando quell’odioso ometto dal cervello di prugna secca l’aveva bocciato all’Esame per la Smaterializzazione, non si sarebbe mai immaginato che un giorno avrebbe potuto infischiarsene delle sue D del cavolo.
Beh, non che lo Spegnino di Silente fosse stato particolarmente attento a scegliere per il viaggio una meta attraente.
Per la prima volta, Ron diede un’occhiata intorno a sé. Si trovava sull’estremo limite della sommità di una vasta collina, che si ergeva in mezzo a molte altre: il panorama era delimitato ed ornato dalle brulle sommità imbiancate. Verso nord, però, c’era lo scorcio di una vallata che si apriva fra i pendii, e nella luce biancastra dell’alba, molto diversa dalla rossa aurora marina che aveva appena lasciato, il piccolo villaggio che vi sorgeva al centro si scorgeva appena, confusi com’erano i tetti coperti di neve nel biancore circostante.
Gli alberi che coprivano il versante erano neri e spogli, con solo qualche foglia morta penzolante dai rami che arabescavano il cielo bianco. Si accorse che la spinta dell’atterraggio l’aveva fatto sprofondare nella neve fino quasi al ginocchio, e ringraziò mentalmente Fleur che aveva insistito per applicare un Incantesimo Impervius alle sue scarpe giusto qualche giorno prima. La brezza lieve era gelida, ed il silenzio completo.
Forse aveva per un momento immaginato che sarebbe piombato giusto in mezzo ai suoi amici. Il richiamo che gli aveva fatto vibrare il cuore era stato così forte ed intenso che era certo di stare andando da loro. La completa solitudine del luogo lo disorientò, ma gli ci volle solo qualche attimo per calmarsi. Lo Spegnino era stato fatto da Silente. Diamine! Se lo aveva portato fin là ci doveva essere un motivo.
Si tolse lo zaino, lo appoggiò contro il tronco contorto di un albero e vi sedette sopra, tirando su la zip della giacca per ripararsi dal freddo: nella silenziosa quiete del bosco innevato, i pensieri sembravano scivolare lisci. Si sentiva tranquillo e piuttosto fiducioso. Di fatto, in pochi minuti, il pensiero che aveva tormentato la sua mente come un cancro nell’ultimo mese, quello della sua impotenza, era svanito nel nulla quando la pallina di luce l’aveva portato via.
Solo un paio di settimane prima, la sera in cui Bill aveva portato a casa la notizia che Lupin era tornato da Tonks, aveva pensato che Silente, pur con tutta la sua genialità, avesse sempre sbagliato a fidarsi troppo delle persone. Eppure, a quanto pareva era stato uno sciocco a dubitare che Silente non sapesse quello che faceva. Lo Spegnino non era stato solo un regalo eccentrico fatto per accrescere la sua fama di eccentricità. Persino la mancanza di spiegazioni si... spiegava: come avrebbe reagito in luglio ad un lascito testamentario che spiegasse che a lui, Ronald Bilius Weasley, veniva lasciato in eredità un oggetto in grado di riportarlo dai suoi amici, visto che Silente aveva motivo di ritenere che li avrebbe vigliaccamente e stupidamente abbandonati?
Come ogni cosa che riguardava Silente ed i suoi progetti, lo Spegnino aveva rivelato le sue capacità solo quando ce ne era stato bisogno. Questo naturalmente non garantiva il successo. Però sembrava essere abbastanza rassicurante per il futuro. Ron pensò che il racconto di quello che era accaduto avrebbe potuto sollevare Harry ed Hermione, se erano ancora immersi nello smarrimento di quando lui se n’era andato, se si sentivano perennemente in fuga da qualcosa che sapeva trovarli benissimo mentre cercavano qualcosa che non erano assolutamente in grado di trovare.
Era immerso in questi pensieri quando, di colpo, gli attraversò la mente il motivo per cui non si vedeva né sentiva nessuno: stava testando dall’esterno l’efficacia degli incantesimi protettivi di Hermione, con tutta probabilità. Potevano essere ovunque su quella collina, anche vicinissimi... magari dietro quell’albero...
Piuttosto inutilmente, mosse qualche passo avanti, agitando le braccia davanti a sé come se sperasse di toccare qualcosa di invisibile. Le sue mani frustarono l’aria.
-Hermione?- tentò, senza osare alzare troppo il tono di voce.
Nessuna voce rispose da quel silenzio, e quasi desiderò che lo Spegnino parlasse di nuovo con la voce di lei dalla sua tasca. L’avrebbe fatto sentire meno solo.
Comunque, rifletté, li avrebbe visti quando sarebbero usciti allo scoperto per partire... come quella mattina terribile, quasi un mese prima. Stavolta però non se li sarebbe lasciati scappare. Raccolse lo zaino e prese a camminare sul pianoro vasto e irregolare, fino ad individuare un punto che gli garantiva una visuale quasi perfetta di tutta la cima della collina. Appoggiò la schiena ad un alberello e si mise ad aspettare, cercando di calmare la sua agitazione e l’urgenza di vedere i suoi amici. La mattina avanzava impercettibile, nel silenzio freddo ed innevato.
 
Nessun movimento ruppe la quiete del panorama per molte ore, nessun rumore tranne il suono lontano di campane, proveniente dal paesino che aveva visto, e chi gli ricordò che era Natale. La mattina se ne era già andata da un pezzo, come gli dicevano l’orologio ed il suo stomaco, ma Harry ed Hermione non si erano visti da nessuna parte. Era ben coperto, ma stare fermo al freddo era diventato insopportabile: varie volte aveva dovuto alzarsi e fare una breve camminata, battendo le mani intirizzite e strofinandole sulle braccia e sulle gambe. Verso le due del pomeriggio il cielo, che l’avanzare della giornata aveva reso sempre più compattamente bianco, prese a nevicare a lenti fiocchi, grandi come bioccoli di bambagia. Il vento praticamente assente li faceva cadere in traiettorie quasi perfettamente verticali.
“Li devo aver persi” si disse Ron, sconcertato. Tirò fuori lo Spegnino dalla tasca, lo fissò con attenzione e lo fece scattare. Non c’erano luci nei paraggi, e il piccolo strumento non era in grado di spengere il sole, anche ammesso che ci fosse il sole da qualche parte oltre la cortina di nubi. Tuttavia, da quando la voce di Hermione aveva parlato attraverso i suoi delicati ingranaggi, lo Spegnino sembrava aver attivato anche un’altra modalità di funzionamento, perchè produsse di nuovo il globo di luce azzurrina.  Ron afferrò lo zaino e lasciò che la sfera entrasse ancora in lui, ma a parte la sensazione di bruciante calore nel cuore, e nonostante che la sua testa quasi gridasse nello sforzo di pensare intensamente ai suoi amici perchè lo Spegnino lo portasse da loro, niente accadde. Era ancora sulla collina, e capì che anche loro dovevano essere lì. Per qualche motivo, quel giorno avevano deciso di non spostarsi.
Rassegnato, aprì lo zaino e tirò fuori il fagotto di provviste che aveva preso dalla cucina. Aprì una scatoletta di tonno, mentre il suo stomaco ruggiva per la fame, e si rese conto di non aver preso neanche una posata. Tentò di Evocare una forchetta. Apparve un cucchiaio, però aveva il manico ornato di una cesellatura molto fine, per cui pensò che tutto sommato stava migliorando. La professoressa McGranitt gli avrebbe dato un A+ per quel lavoro. E comunque, serviva allo scopo.
Ed ecco: il suo pranzo di Natale consisteva in una scatoletta di tonno gelido ed in un po’ di pane, e lo stava consumando in mezzo ad una bufera di neve. Non era il massimo, però si sentiva molto più allegro di quanto non fosse stato nell’ultimo mese. Era disposto ad aspettare in quello squallido paesaggio invernale anche una settimana, sapendo che loro erano da qualche parte nei pressi e che prima o poi li avrebbe trovati, piuttosto che un solo giorno a Villa Conchiglia senza avere idea di come fare a ritrovarli. Certo, Bill e Fleur erano stati fantastici. Gli dispiaceva di non aver lasciato loro alcun messaggio, ma pensò che forse avrebbero immaginato qualcosa. Magari, visto che lui se n’era andato, avrebbero passato il Natale alla Tana, e sua madre sarebbe stata un po’ più contenta. Il pensiero lo fece sorridere: aveva l’impressione che tutto stesso cominciando a girare nel verso giusto.
Tirò fuori il Sacco a Pelo, perchè stava davvero gelando, e si infilò dentro al bozzolo vestito di tutto punto, attivando con un colpo di bacchetta la modalità Riscaldante. Doveva solo avere pazienza.
 
Il giorno trascorse lentamente, volgendo presto in una sera buia e sferzata da raffiche di neve che turbinavano furibonde ora che il vento si era alzato. I rami dell’alberello sotto cui si era sistemato non bastarono più a riparare lui e la sua roba dalla neve, e dovette alzarsi per stendere un telo impermeabile, probabilmente di Bill, che aveva trovato in una delle tasche dello zaino, aiutandosi con la bacchetta a fissarlo ai rami ed a terra per creare una sorta di spiovente riparo improvvisato. Prima di rientrare, fece un giro, senza nemmeno accendere la bacchetta tanto era luminescente la notte, con tutta quella neve. Il rumore della bufera lo spinse a scacciare in parte la prudenza. Vagò a lungo sulla collina chiamando Harry ed Hermione, sperando che lo sentissero e si facessero vedere. Quando desistette, tornò al riparo ed accese la radio, per sentirsi un po’ meno solo: trovò Radio Potter quasi subito.
«...il giorno di Natale volge al termine, cari ascoltatori... speriamo che abbiate potuto passarlo con i vostri cari. Per noi di Radio Potter, qui, è stato così, e speriamo che questo ci scuserà per la nostra assenza dalle frequenze in queste ore...» disse la voce di Lee Jordan.
«In effetti, non credo di poter muovermi troppo, River...» disse quello che sembrava Fred, anche se non poteva esserne sicurissimo «Ho lo stomaco troppo pieno per arrivare al microfono. Qualcuno può avvicinarmelo?»
«Certo, Rodente. Quando vuoi, se il pranzo di Natale te lo permette, puoi trasmettere ai nostri ascoltatori alcune raccomandazioni, con l’aiuto del nostro Royal.»
«Io sono pronto, River» disse la voce profonda di Kingsley Shackelbolt.
«Anche io. Dunque, gente: speriamo che abbiate seguito il consiglio di Romulus di non mandare regali ad Harry Potter per Natale: sarebbe solo uno spreco di tempo... e di regali. Ma riguardo ai regali, vorremmo invitarvi a non abbassare la guardia, anche in questo giorno di festa: spedire graziosi presenti, tipo Maledizioni in Scatola, sembra sia stato il divertente passatempo di alcuni rampolli di Mangiamorte vicino a Ponty Pree.»
«Tutto quello che entra in casa vostra, anche se impacchettato in carta oro, dovrebbe essere sottoposto ad un Incanto Supersensor prima di essere aperto» commentò calmo Kingsley, «la formula, lo ricordiamo, è Supersenseo. Anche Homenum Revelio può essere utile, per scoprire fatture o maledizioni nascoste negli oggetti già scartati»
«Bravo, Royal. Una bella E in incantesimi per te! Ora, poiché Radio Potter si prefigge come primo scopo quello di tenere alto il morale della comunità magica che resiste a Voi-Sapete-Chi...»
«Scusa, River, vogliamo ricordare ai nostri ascoltatori perchè non facciamo il nome di questo simpaticone? Non vorrei che pensassero che questa bella perifrasi sia dovuta solo al nostro amore per gli indovinelli... voi "sapete" chi intendiamo, vero?»
«Giusto, Rodente. Ricorderò io a tutti gli ascoltatori che sul nome di Voi-Sapete-Chi è stato imposto il Tabù. Chi lo pronuncia viene immediatamente localizzato dai Mangiamorte: se inizialmente avevamo dei dubbi, siamo ormai in grado di dirvelo con certezza. Naturalmente l’obiettivo primario di questa misura è Harry Potter, che, come è noto, usava pronunciare il nome di Voi-Sapete-Chi normalmente.»
«Se sei all’ascolto, Harry, sta’ attento! E naturalmente, anche tutti voi
Ron ascoltava a bocca aperta. Improvvisamente era chiarissimo come avevano fatto a rintracciarli in Tottenham Court Road, il giorno del matrimonio di Bill. Un brivido di urgenza lo percorse. Era un miracolo che non li avessero ancora scovati, con quel sistema. Sia Harry che Hermione avevano l’abitudine di pronunciare il nome di Voldemort, e si erano trattenuti solo perchè a lui dava fastidio... poi qualcosa lo richiamò incredulo all’ascolto.
«Bene, come dicevo, lo scopo principale di Radio Potter è quello di tenere alto il morale di voi, maghi inglesi della resistenza a Voi-Sapete-Chi. Per questo, nel giorno di Natale, una collaboratrice specialissima ha accettato di contribuire a farci sentire un po’ più in festa regalandoci una ricetta strepitosa: da preparare subito e gustare stasera a cena brindando ad Harry Potter ed alla sconfitta del nostro nemico! Prego, Lolly!»
Ron sgranò gli occhi, mentre la voce di sua madre si sostituiva a quella di Lee al microfono. Sua madre! All’inizio un po’ esitante, poi sicura, diede alla radio la ricetta dei Muffin Magici al Mirtillo, che preparava sempre sotto Natale. Erano un suo segreto culinario, di cui era gelosissima, ed il fatto che avesse vinto riservatezza professionale e timidezza per parlare alla Radio e rallegrare gli ascoltatori, riempì il cuore di Ron di affetto per lei.
«Grazie, Lolly! Lolly ha diviso con noi un vero e proprio segreto! Prendete esempio, passate questi giorni di festa insieme, tenete alti i cuori, gente! Non vorrete dare al simpatico Senza-Naso la soddisfazione di deprimervi anche a Natale!»
«Ed i Muffin sono superlativi... garantisco io!» fece Fred, a mezza voce.
«Vorresti dire qualcosa prima di salutarci, Lolly?»
«... devo... devo parlare? Oh, caro, no, io... beh, magari... vorrei dire a Harry, ovunque si trovi, che stia certo che noi... noi tutti lo pensiamo... che questo Natale non è solo e abbandonato, perchè noi tutti... pensiamo sempre... a lui ed a...»si interruppe.
«A quelli che gli sono più vicini?» suggerì Kingsley con dolcezza.
«Sì... a quelli che... che gli sono più vicini. Buon Natale, cari.» disse Molly con voce rotta dalla commozione.
«E buon Natale a tutti, da tutti noi!» concluse Lee. Poi la trasmissione si interruppe, e rimase solo il fischio della frequenza.
Ron spense la radio, con un groppo in gola. Era come se, attraverso la distanza, una carezza di sua madre fosse giunta fino a lui, e si dispiacque che anche Harry ed Hermione non avessero potuto sentirsi per un attimo al sicuro nella maternità di quelle parole.
 Poi decise di dormire, imbacuccato nel Sacco a Pelo che, sbuffando vapore, serviva egregiamente allo scopo. Non poteva stare sveglio tutta la notte, e del resto, se quei due avessero deciso di farsi vedere proprio a quell’ora, la neve che continuava a cadere nel buio gli avrebbe impedito di scorgerli anche ad un metro di distanza.
 
Dormì fino alla mattina inoltrata: lo svegliò la neve che gocciolava sul suo naso, da una fessura del telone, appesantito al limite dello strappo. Faticosamente si alzò, e diede qualche manata per scrollarlo, liberandolo dal peso. La bufera era passata, ed il cielo era limpido: il biancore del mare di neve che lo circondava era quasi accecante. Qualche uccello cantava, e poteva udire distintamente il concerto delle falde di neve che coprivano i rami degli alberi, mentre gocciolavano, sciogliendosi lentamente sotto il sole. Di Harry ed Hermione non c’era traccia.
Lo stomaco gli si rivoltò all’idea di dover far colazione con il tonno in scatola, e preferì prendere solo un po’ di pane, non prima di averlo Geminato con successo, visto che le provviste si stavano esaurendo.
Non c’era altro da fare che aspettare, e si azzardò a chiamare i nomi dei suoi amici un paio di volte nel corso della mattinata, senza che però nessuno rispondesse. La solitudine cominciava a innervosirlo, ma non voleva perdere la calma. Dopo pranzo fece un ennesimo giro di perlustrazione, sprofondando fino al ginocchio, e finalmente la sua attenzione fu attratta da un segno di presenza umana. Dietro una piccola macchia di giovani pioppi, nella neve c’era un buco- una specie di piattaforma vasta e rettangolare attorno alla quale la neve, cadendo si era accumulata. Ron fremette: era stata sicuramente la tenda! Vicino, ancora nette, c’erano due diverse serie di impronte, che, dopo vari giri in un raggio di un paio di metri, si avvicinavano, si posizionavano una accanto all’altra e... sparivano.
Dovevano essersene andati al massimo la mattina presto, rifletté Ron, quando la neve aveva già smesso di cadere, o tutto sarebbe stato nuovamente ricoperto. Si inginocchiò per terra, fissando le piccole orme di Hermione, una leggermente più profonda dell’altra, per la spinta che aveva dato girando su se stessa nella Smaterializzazione. Era la prima traccia tangibile di lei che vedesse da settimane, e non riusciva a smettere di contemplarla. Accanto, le impronte di Harry erano più grosse. La neve era così fresca e perfetta che riconosceva benissimo la suola consumata delle vecchie scarpe da ginnastica dell’amico, con un buco sotto il tallone destro. Un’ondata di nostalgia lo prese, così forte da impedirgli persino di immalinconirsi nel vedere quanto fossero stati vicini, loro due. Sicuramente si erano presi per mano, per Smaterializzarsi.
Corse verso il suo accampamento improvvisato, e rifece, frenetico, lo zaino. Cancellò con la bacchetta tutte le tracce che poté, preso da uno scrupolo improvviso. Tornò anche sul posto dove era stata la tenda, per togliere dalla neve le impronte dei suoi amici. Poi fece scattare lo Spegnino, che produsse per la terza volta la luminosa sfera azzurrina. Lasciò che entrasse in lui, e si Smaterializzò.
 
I grandi alberi di una foresta avevano riparato in parte il suolo dove atterrò qualche istante dopo. Larghe chiazze di terreno, marrone di foglie morte, si aprivano intorno ai tronchi degli alberi, circondati da uno strato bianco e ghiacciato di neve caduta già da qualche tempo: era secca e dura. Ancora nessuno in vista o a portata d’orecchio: e Ron sospirò, ma non si lasciò sfuggire alcun moto di stizza. Doveva essere paziente. Qualcuno si sarebbe fatto vedere di certo... prima o poi. Era pomeriggio ormai inoltrato: le giornate erano brevi, e la foresta un luogo molto più in penombra della sommità della collina dove era stato fino ad un attimo prima. Si sedette sotto un albero, e lasciò che i minuti scorressero, diventando ore, accompagnati dai suoi pensieri. L’intensità del desiderio di ritrovarli, ora che erano così vicini, sembrava aver cancellato ogni altra sensazione o timore. Non avvertiva più la paura di essere rifiutato, come spesso nelle ultime settimane, né l’ansia di non riuscire a trovarli mai. C’erta solo la struggente nostalgia di loro: persino la gelosia per Hermione, tarlo opprimente da cui le parole di Fleur lo avevano un po’ liberato, non era che una vaga ed indistinta preoccupazione.
Con l’avanzare dell’oscurità, si sistemò nel Sacco a Pelo, pur senza l’intenzione di dormire. Però si assopì più volte, immerso in sogni confusi pieni delle loro voci e delle loro facce, e di infiniti inseguimenti per paesaggi innevati, lungo tracce che non sembravano fermarsi mai.
Verso la mezzanotte, lo svegliò un rumore vicinissimo. La mano si chiuse di scatto intono alla bacchetta, pronto a lottare contro eventuali Ghermidori... o peggio. La notte era così scura che persino la neve non mandava alcun riflesso. Tuttavia, a meno di dieci metri da dove era, scorse un bagliore argenteo, accompagnato dal mormorio di qualcuno: c’era una persona, e non si trattava di un Babbano! Scivolò fuori dal Sacco a Pelo lentamente: ogni fruscio che produceva sembrava rimbombare in tutto il bosco. Era appena riuscito a mettersi in piedi, madido di sudore per la tensione, quando lo splendore argenteo si mosse, e tra i profili degli alberi gli passò vicinissimo.
Era un Patronus.
Un grande animale d’argento, che camminava lieve, senza lasciare orme sulla neve ghiacciata. Era una sorta di cerbiatto, e per un attimo Ron pensò che fosse il Patronus di Harry. Ma era molto diverso, senza l’imponente palco di corna che il cervo di Harry aveva sempre avuto. Indeciso tra il controllare da dove venisse e dove andasse, Ron rimase per qualche istante inchiodato al suo posto, seguendo la figura con lo sguardo. Poi le andò dietro: fu una camminata svelta attraverso il bosco, che sembrava incantato nella sua oscurità, spezzata dall’argentea luce del Patronus. La cerva (ora la vedeva bene) si fermò, guardando di fronte a sé per qualche istante, prima di voltarsi e cominciare a tornare indietro.
Poi lo vide. Sentì le ginocchia cedergli. Era Harry! Con la giacca sbottonata, era apparso dal nulla, brandendo la bacchetta e camminando svelto, quasi in corsa. Aveva senza dubbio oltrepassato le protezioni di Hermione: per questo aveva potuto vederlo all’improvviso. Il Patronus tornava nella sua direzione con un trotto privo di rumore. Anche Harry camminava rapido, ed i suoi passi sulla neve e sulle foglie rompevano il silenzio del bosco. Fece appena in tempo a ritrarsi, più per istinto che per un movimento ragionato, che entrambi lo avevano superato: si mise a correre dietro di loro, seguendoli a ritroso sul percorso appena compiuto.
Passarono vicinissimi al posto dove giaceva abbandonata la sua roba, ma Harry aveva occhi solo per la cerva, e neanche la notò. Lei lo condusse nel punto dove Ron l’aveva vista nascere. Poi fu tutto buio. Doveva essere sparita. L’improvvisa oscurità lo fece incespicare: la bacchetta gli sfuggì di mano. Sentì la voce di Harry –la sua voce!- dire “Lumos!”, a circa venti metri di distanza da lui. Tastò per terra, cercando di non fare rumore, per prendersi magari uno Schiantesimo dall’amico, ma allo stesso tempo incalzato dall’urgenza. Harry non sapeva che c’era qualcuno, dietro quegli alberi. Chi aveva Evocato la cerva? Amico o nemico? Nemico, probabilmente: i loro amici si contavano sulla punta delle dita, e per quel che ricordava Ron,nessuno aveva un Patronus che assumesse quella forma. Finalmente sentì la liscia consistenza della bacchetta, e, senza accenderla, avanzò guardingo in direzione della luce della bacchetta di Harry. Era pronto al duello, ma quando arrivò ai margini della radura non vide nessuno, tranne Harry, che, in piedi presso la riva di uno stagno ghiacciato (Ron avrebbe giurato che prima non c’era) si stava togliendo l’ultimo maglione. Rimase a guardarlo a bocca aperta, inebetito dallo stupore, mentre lui, tremante, in mutande e canottiera, spezzava il ghiaccio dicendo “Diffindo” e, con qualche esitazione, entrava nella pozza attraverso la larga spaccatura che aveva prodotto.
-Ma... ma cosa... Harry!- gridò, ritrovando la voce. Avanzò fino allo stagno, illuminato dalla bacchetta accesa che Harry aveva lasciato a riva. Si chinò sulla superficie nera, cercando di vedere l’amico: lo sentiva muoversi nell’acqua, ma non riemergeva. Gli istanti passavano lenti come anni, mentre, con gli occhi sbarrati, Ron cercava di decidere cosa fare. Alla superficie salivano cerchi concentrici sempre più lievi: là sotto Harry stava smettendo di muoversi.
-Oh, al diavolo!- esclamò alla fine. Si tolse lo zaino dalle spalle, e prima di pensare a qualcosa –qualsiasi cosa- si buttò a sua volta nello stagno, con la bacchetta accesa in mano.
L’acqua era gelida, naturalmente. Un tormento che gli sembrò intollerabile, mentre cercava di vincere il suo corpo che, quasi contro la sua volontà, cercava di tornare a riva. Lo stagno era perfettamente limpido, privo di alghe, erbe o altro: sicuramente era opera di magia. La bacchetta accesa lo illuminava spettralmente di verde, ed Harry era poco sotto di lui, immobile, contratto in uno spasimo nel tentativo di strapparsi dal collo la catena dell’Horcrux –Ron lo riconobbe subito- che era tesa come se una mano invisibile lo stesse strangolando. L’altra mano stringeva l’elsa di una spada: ma le dita persero la presa proprio in quell’istante, e quella fluttuò lenta verso il fondo.. La spada di Godric Grifondoro. Senza poter riflettere,  Ron si slanciò verso di lui attraverso l’acqua, e lo afferrò, abbrancandolo per il petto. Harry non fece alcun movimento. Sembrava svenuto. Ron si sporse verso il basso, afferrò l’elsa tempestata di rubini che si era adagiata di nuovo sul fondo, con la mano che già teneva la bacchetta, poi nuotò verso la superficie, mentre i polmoni sembravano scoppiargli, ed emerse infine nella notte del bosco, tossendo, brancolando finché non trovò appiglio sulla riva. Uscire dall’acqua e trascinare fuori Harry richiese un immenso sforzo. Alla fine, giacquero entrambi sul terreno spoglio, chiazzato di neve, la spada gettata poco lontano. Ron si sollevò sui gomiti, e strappò l’Horcrux dal collo di Harry con difficoltà, lasciando un segno sanguinolento sul suo collo. Non riusciva a smettere di tossire, ma con un sollievo che gli parve di non aver mai provato in vita sua, vide Harry riprendere i sensi, sputacchiando e tossendo a sua volta. Non sollevò neanche la testa: la mano destra corse al collo, e tastò il solco che la catena aveva lasciato.
Era vivo, l’aveva ritrovato. Ron non riusciva a pensare ad altro. Sembrava incredibile, ma ce l’aveva fatta. Gli sembrò di accorgersi solo in quell’istante quanto l’amico gli fosse mancato. In quel mese aveva pensato soprattutto ad Hermione. Ma ecco Harry, Harry con quel suo coraggio incosciente, Harry con la canottiera a righine per la quale l’aveva preso in giro milioni di volte, la bianca cicatrice “Non devo dire bugie” sul dorso della mano destra, che continuava a tastarsi il collo... un fiotto d’affetto e di sollievo sembrò esplodere nel petto di Ron, che aprì la bocca, diede un ultimo colpo di tosse e gracchiò:
-Ma... sei... scemo?

 
Bene, carissimi lettori... come vedete con questo capitolo ho chiuso il cerchio e sono tornata a riallacciarmi alla narrazione di Zia Jo, alla quale naturalmente non ho la presunzione di sovrappormi ulteriormente. La storia però non è finita... abbiamo ancora una questioncina in sospeso, vero!? Per risolverla, come vi immaginerete, ho riservato l’ultimo capitolo, con cui ci saluteremo.
Intanto, spero di aver scritto una avventura parallela per Ron che fosse all’altezza del personaggio! E di essere riuscita a mostrare la sua crescita. Il Ron del primo capitolo non è lo stesso del settimo, o almeno così mi è parso... di questo sarete voi i giudici migliori.
Ho anche una questione lessicale da porvi: ho usato sempre Spegnino, seguendo senza accorgermene Marina Astrologo, che così traduce nel primo libro; mentre in effetti la traduzione di Beatrice Masini propone Deluminatore per il settimo. Quale pensate che sia il nome più adatto?
Vi ringrazio per le sempre lusinghiere recensioni e l’attenzione e vi do appuntamento per... il gran finale! Un bacio a tutti! Oru

 
 
 

   
 
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