Solo Filippo uscito con Penelope
«Vi prego!»
«Assolutamente no, Altezza!»
Iniziai ad innervosirmi. Non era possibile. Avevo iniziato ad attuare il mio piano da cinque minuti e già incontravo ostacoli. Come potevo sperare di sconfiggere Dama Velata e Cavaliere Nero in un colpo solo se non riuscivo neanche a farmi accordare dal precettore il permesso di portare la mia Maga in villaggio poco lontano? Presi un bel respiro e guardai dritto in faccia il precettore, facendomi mentalmente coraggio per parlare in tono gentile, ma fermo. Mi dissi un paio di volte “Sono il futuro re!” sperando che questa asserzione mi infondesse un po’ di forza e autorevolezza. L’unico risultato che sortì fu il sussurro di una vocina indisponente nel mio orecchio, il lato sarcastico e autoironico del mio carattere che stranamente parlava con la voce della Maga. “Che gran re!”
Presi comunque fiato. «Ascoltate, Maestro…»
Il mio anziano mentore mi interruppe con tono estremamente più efficace del mio. «Altezza, non vi lascerò uscire da questo castello inerme, non scortato e abbigliato come un…» La sua voce sfumò in una smorfia di disgusto davanti ai semplici indumenti che avevo preso l’abitudine di usare quando decidevo di uscire in incognito.
Cercai un tasto che il mio precettore potesse approvare, non senza prima spendere una parola in difesa della mia tenuta. «Che cos’ho che non va? È come mi vesto di solito, solo che sono capi più semplici e cuciti con stoffe meno pregiate. E gli stivali sono normalissimi…»
Il mio precettore raddrizzò la schiena. «Esatto! Sembrate un ragazzo comune! Voi dovreste incutere una sorta di ieratico timore…»
La voce sarcastica nel mio orecchio scoppiò a ridere, mentre io invocavo la pazienza. «Ma io voglio suscitare esattamente questo effetto. Voglio mescolarmi con le persone normali, vedere come vivono…»
«Abbiamo i rapporti delle polizie cittadine per questo».
«Sì, che sono edulcorati e poco accurati perché mio padre vuole che questo regno sia all’apparenza idilliaco».
Il mio precettore sobbalzò nel sentirmi parlare del Re in modo così irrispettoso. «Altezza… non credo che sia prudente…»
Sentendo
che esitava mi intromisi «Se voglio essere un buon re, devo sapere esattamente
di cosa ha bisogno la gente, e per fare questo devo essere per un po’ uno di
loro». Mi accorsi dall’espressione del mio precettore che stava per capitolare
e ringraziai mentalmente
«Capisco Altezza… ma se doveste rimanere ferito… o peggio…»
«Volete davvero che sia un Re così vile, in futuro? Conoscete meglio di me tutte le difficoltà e gli ostacoli che costellano la mia ascesa al trono… come sperate che possa affrontarli se non trovo neanche il coraggio di uscire di qui per andare una sera in un villaggio grazioso e pacifico?»
Il precettore sospirò. «E va bene… ma tornate domattina al levar del sole… non più tardi!»
Inarcai le sopracciglia perplesso. «Domattina? Pensavo di dover tornare stanotte!»
Gli occhi del mio anziano maestro scintillarono divertiti. «Principe, io sarò anche vecchio, ma non sono stupido e soprattutto sono stato giovane anche io. Non sarete certo solo in questa ‘gita’, non è vero?» Arrossii. «Appunto. Proprio come pensavo. Domattina. Non saprei proprio come spiegare al Re una vostra assenza più prolungata. L’ultima volta siete stato via quattro giorni… quattro!»
Lo interruppi prima che iniziasse a farmi l’ennesima ramanzina e i mille racconti che si era dovuto inventare per coprire la mia assenza e blablabla… «D’accordo. Sarò puntuale. Grazie mille, Maestro, davvero!» Pensai per un istante di abbracciarlo, ma poi cambiai idea. L’avrei scandalizzato. Immaginai la sua voce chioccia e imbarazzata “Altezza, contegno! Non siete più un bambino!” e me ne andai saltellando.
Il precettore mi rincorse, alla massima velocità che gli consentivano le sue gambe non più agili. «Altezza! Giurate che tornerete in tempo».
Sospirai. Se avessimo continuato così, non sarei mai uscito. «Lo giuro. Lo giuro… sulla vostra testa, d’accordo?»
Il maestro sussultò offeso. «In realtà mi sentirei più sicuro se giuraste sulla vostra».
Mi finsi preoccupato. «Ma se un qualche inconveniente… assolutamente casuale, s’intende, mi ritardasse? Sarebbe più grave se perdessi io la testa, non trovate?»
Mi rivolse un’espressione sconsolata «Altezza, siete incorreggibile. Basta, andate prima che perda la pazienza».
«E se giurassi sulla testa del Re?»
«Altezza!»
Fuggii via ridendo. Forse un po’ bambino tutto sommato lo ero.
Mi preparai psicologicamente a una battaglia senza esclusione di colpi. Parlare con quella maga bisbetica talvolta metteva a dura prova la mia pazienza… ma non avrei saputo rinunciarci. Raggiunsi la sua buffa casa incantata provando un piacevole volo di farfalle alla bocca dello stomaco.
Scesi da Parsifal, il mio cavallo, per bussare, ma appena mi avvicinai alla porta questa si spalancò rivelando il viso aggrondato di Penelope. Scherzai «Avevate previsto il mio arrivo con la vostra palla di cristallo o qualche altra stranezza?»
Mi rivolse un’occhiata compassionevole. «Dimenticate che con questi ciondoli so sempre dove siete?» Toccò un pendente in argento che racchiudeva una pietra rossa. Sotto la camicia, io ne portavo uno uguale, ma la mia pietra era viola. Ammisi di essermi dimenticato dello ‘straordinario’ potere di quegli oggettini meritandomi un altro sguardo di biasimo misto a disprezzo.
«E comunque bastava guardare dalla finestra per vedervi arrivare con il vostro galoppo tutt’altro che fluido».
«Il mio galoppo è perfetto!»
«E io vi dico che siete goffo!»
Scoppiai a ridere. «Sentite chi parla!»
La maga sbuffò. «Non siete affatto galante, Altezza. Far notare ad una fanciulla che è priva di grazia è davvero scortese e inelegante».
Alzai le spalle. «Quando cerco di comportarmi da principe perfetto mi dite che sono affettato e ridicolo!»
«E allora perché vi lamentate?»
«E chi si lamenta?» Presi un profondo respiro. «Maga, di che cosa stiamo parlando esattamente?»
Penelope parve riflettere un istante. «Temo di aver perso il filo…» Spostò su di me uno sguardo critico. «Avete finalmente deciso di rinunciare a piume, velluti e merletti? Forse vi ho insegnato qualcosa, dopotutto…»
Sorrisi orgogliosamente. «Vi piaccio così?»
«Principe, non ho alcuna intenzione di alimentare la vostra sconfinata vanità… sì». Soffiò alla fine. Questo mi diede il coraggio di tirare fuori il seguito. «In realtà sono vestito così perché… ecco… vorrei chiedervi di uscire, stasera. Con me. Vorrei portarvi in un posto».
La maga strinse gli occhi. «In incognito?»
«Ovviamente». La vidi combattuta. L’idea evidentemente l’attirava, ma voleva farmi sospirare la sua presenza in qualche modo. La sua era una civetteria elementare, ma su di me aveva un’efficacia insospettabile, molto più dei giochi seduttivi complicati e raffinati delle mie dame di corte, la cui scontatissima conclusione era inevitabilmente la mia camera da letto.
«Già fatto».
«Esercitarvi con la lancia?»
«A quest’ora?»
«Il vostro precettore approva?»
«Sì».
«Male!» L’ultima parola catturò la mia attenzione. «Perché ‘male’?»
La Maga sfoderò un’aria saccente. «Perché un futuro Re non dovrebbe avere bisogno dell’approvazione del suo mentore per uscire. Dovrebbe farlo e basta, senza neanche chiedere il permesso».
Sentendomi per un attimo un idiota protestai. «Ma io non sono un Re, sono ancora un Principe, sono giovane e non posso fare di testa mia. Senza contare che se non avvertissi almeno qualcuno penserebbero a un rapimento e metterebbero a soqquadro il regno, facendo saltare la mia blanda copertura».
Le voltai le spalle e mi avvicinai a Parsifal. «Dove andate?»
«Torno al castello. Mi pare evidente che non avete alcuna voglia di uscire, quindi torno indietro. Scusatemi se vi ho importunata». Risposi gelidamente. Quella stupida maghetta talvolta passava veramente il segno e le sue battute erano di pessimo gusto! Mi sentii afferrare alla vita con una certa forza. Mi voltai e trovai i suoi inquietanti occhi scuri ad un millimetro dai miei. Mio malgrado, la mia determinazione ad andarmene si sciolse come neve al sole. Quella dannatissima Maga sapeva come sfruttare i miei punti deboli, non c’erano dubbi. Mormorò con tono carezzevole «E la gita?» Mi venne voglia di mandarla a quel paese, ma mi uscì soltanto un flebile «Montate a cavallo. Non è lontano».
Grugnì nuovamente. «Altezza, dovreste sapere che non mi piace essere trattata come una fragile damigella. Queste cose possono andare bene per la vostra Valeriana, non certo per me».
Ignorando il riferimento storpiato a dama Verbena le risposi a tono «Preferite venire di corsa? O magari volando?»
«Molto divertente Altezza». La sua voce grondava veleno corrosivo. Mi venne da ridere. «Reggetevi forte». Mi raccomandai.
«Dove?»,
si informò candidamente
«Alla mia vita?»
«Questa vita mingherlina? Avrei paura di spezzarla…»
Sospirai e invocai la pazienza per l’ennesima volta. «Maga, non lamentatevi delle mie dimen…ehm…del mio…» Rendendomi conto del doppio senso nel quale sarei incappato se avessi usato il termine “Dimensioni”, annaspai in cerca di parole meno compromettenti. Ovviamente quella perfida maliziosa non se la lasciò sfuggire e ghignò malignamente «Del vostro… cosa?»
Raddrizzai la schiena, tentando di ritrovare un minimo di compostezza. Possibile che quella maga fosse meno imbarazzata di me? Che rabbia! «Del mio…fisico. Non mi sembra che vi dispiaccia più di tanto, o non sareste qui».
La Maga mi cinse la vita senza più protestare e così potei partire. Per un po’ cavalcammo in silenzio, mentre lei era assorta in chissà quali pensieri e io cercavo di contenere i fremiti che mi procurava la sua stretta.
Ad un certo punto mi domandò «Principe, state mangiando?» Risposi stupito «Certamente… ahi!» La maga aveva pizzicato con forza la pelle tra le mie costole.
«Maga, ma che fate?»
«Cerco una traccia di muscolo, ma sento solo pelle e ossa. Principe, non vi prenderanno mai sul serio come uomo se continuate ad avere la corporatura di un ragazzino…l’esercito non rispetterà un comandante che neanche riesce ad indossare l’armatura e…»
Mi sarei volentieri tappato le orecchie per non sentire quei rimbrotti, ma dovevo reggere le redini. Così l’interruppi «Maga, vi prego. Per questa sera, possiamo fingere che io non sia il Principe ereditario e che esercito, Cavaliere Nero, Corona e quant’altro non esistano? Vi supplico! Solo per questa sera, fingiamo di essere due normali, onesti, giovani cittadini. Ho molto bisogno di una serata di vacanza, e anche voi. Avete l’aria stanca…»
Stavolta
«La magia vi logora, non dite di no».
«Non lo dirò. Ma lo faccio anche per voi…»
Io
detestavo la magia, detestavo l’effetto che aveva su di lei, detestavo tutto
ciò che era ad essa correlato. In un’altra occasione, mi sarei lanciato in una
solenne denigrazione di quell’odiosa entità, ma quella sera volevo solo
dimenticare, per qualche ora, chi io e
«Infondo… perché no. Però scusatemi, non mi avete ancora detto dove stiamo andando!»
Questo mi sembrò una prova dell’attaccamento che la maga provava per me. Mi aveva seguito senza neppure domandare dove fossimo diretti. Dissipai subito la sua curiosità. «Nel villaggio di Brenn, lo conoscete?»
«Certamente. Ha la fama di essere un ridente posticino».
«Oggi si tiene lì la festa per la sua fondazione… sono circa cento anni che esiste! Quando ero piccolo…» La mia voce sfumò per un istante nel ricordo.
La
maga mi incitò «Cosa?» Ripresi, con tono vagamente tremante «La Regina…mia madre, mi portava lì ogni anno. Mi piaceva
moltissimo. Dalla sua…da quando lei è…» Dovetti fermarmi di nuovo.
«Insomma,
è la prima volta che ci torno. Da solo non me la sentivo». Mi sentii
intimidito, imbarazzato da quella confessione.
Facemmo in silenzio il resto del viaggio, che comunque non fu lungo. Quando giungemmo alle porte di Brenn, mi sentii improvvisamente agitato. Cercai di rievocare la sensazione di trepidante attesa che provavo da bambino, ma non la ritrovai. Come se mi avesse letto nel pensiero, la maga proclamò «è inutile che ricerchiate qualcosa che ormai è passato, Principe. Essere qui non la farà tornare. Pensate solo a passare una bella serata in mia compagnia…sempre che mi troviate piacevole», concluse ammiccando maliziosa.
In un attimo sentii l’opprimente macigno nel mio petto alleggerirsi fino a scomparire. Le rivolsi un sorriso sincero. «Avete ragione. Un’ultima cosa, però: non chiamatemi ‘Principe’! e non datemi del ‘voi’! Ricordatevi che siamo in incognito!»
La Maga trasalì inorridita. «Non posso darvi del ‘tu’! non me la sento! E poi, come accidenti dovrei chiamarvi?»
«Ho un nome, mia cara».
«Dovete meritarvelo, l’essere chiamato per nome. Penso che continuerò a chiamarvi ‘Principe’, stando attenta che nessuno mi senta. Quanto a voi, non provate a trovarmi qualche assurdo nomignolo. ‘Maga’ va più che bene».
Assunsi un’espressione innocente. «Veramente pensavo di chiamarvi ‘Penelope’…»
Mi guardò come se l’avessi insultata. «Detto da voi suona terribilmente stupido. Basta, continueremo a chiamarci come al solito, e staremo attenti».
Prima di condurre il cavallo alle stalle pubbliche, mi voltai verso di lei. «Allora, come sto? Dite che come travestimento può andare?» La Maga mi squadrò con aria critica. «Ad un’occhiata approfondita no. Avete l’aria troppo beneducata, siete pulito, aggraziato e troppo snello per essere un contadino. Senza contare poi che le vostre mani sono palesemente quelle di una persona poco abituata al lavoro manuale». Dovevo avere un’aria afflitta, poiché mi consolò «Ma nessuno vi guarderà con tanta attenzione, quindi direi che siete a posto. Certo, a parte il vostro brutto naso di famiglia…»
Toccai
soprappensiero la parte del mio viso che
«Scherzate senza offenderlo, allora. Ne vado piuttosto fiero. Tutti i discendenti della mia famiglia lo ereditano».
«Il
Cavaliere Nero no!», rimbeccò
«Il Cavaliere Nero non è un figlio legittimo. Non è un vero discendente».
Gli occhi della Maga si assottigliarono. «Credete che un naso vi dia il diritto di salire al trono, Altezza?» Mi innervosii «Avevate promesso di non menzionare nulla di inerente alla nostra vita, Maga. Vi costa tanto mantenere questa promessa?»
La Maga si tappò la bocca con una mano. «Accidenti, avete ragione! Posso ottenere il perdono reale?»
«Non avete il diritto di chiedermelo».
La sua espressione si fece vagamente preoccupata. «Perché no?»
«Bè, non essendo un ‘reale’, come posso concedervelo?», trionfai.
Alzò gli occhi al cielo. «Come siete stupido!» Questo grazioso complimento chiuse l’argomento.
Dopo
aver lasciato il mio cavallo nelle scuderia pubblica (causando un’occhiata
ammirata dello stalliere alla vista del mio purosangue) ci addentrammo per le
tortuose stradine di Brenn. In quel momento erano letteralmente
gremite da una folla variopinta composta di persone di tutti i generi. Per lo
più sembravano contadini, artigiani, famiglie normali e una miriade di
coppiette, per le quali la festa del villaggio rappresentava senza dubbio un
grande divertimento. Cercai di visualizzare me e
La cittadina era arroccata su una montagna, per questa ragione le strade erano tutte in salita e convergevano verso la piazza principale, dove sapevo esserci un gruppo di musici e bancarelle di cibarie e dalla cui terrazza si godeva un bellissimo panorama della valle. Le piccole strade tortuose erano colme di bancarelle e tutte le botteghe erano aperte. Le persone ridevano, facevano acquisti e si divertivano in un modo contagiosamente spensierato. Notai che talvolta la folla si apriva rispettosamente per far passare nobili riccamente abbigliati. Brenn era famoso per i suoi orafi e armaioli e sapevo che numerosi membri della corte vi si recavano per comprare armi e per donare a mogli e amanti gioielli costosi di pregiata fattura.
Sentii
«Al contrario. È tutto molto, molto bello. Non ero mai stata a Brenn. Non è un buon posto per recarvisi da soli, non trovate?» La strinsi a me più forte. «Sono pienamente d’accordo».
Continuammo a camminare mentre il sole rapidamente tramontava e le fiaccole si accendevano, nascondendo i colori vivaci delle merci in un caleidoscopio di luci ed ombre e rendendo il paesaggio vagamente irreale.
Ad un certo punto i miei occhi captarono una bancarella attorniata da un folto assiepamento di bambini, che vendeva giocattoli. Attaccati ad una sorta di cappelliera c’era una buffa gamma di copricapo a punta con un cartello che recitava “Solo per veri maghi, streghe e folletti”. Notai che molti bambini ne indossavano uno, premurosamente acquistato da genitori indulgenti. Iniziai ad avvicinarmi.
Tagliai corto «È giunto per voi il momento di possedere un cappello a punta. Quel coso parlante che tenete nell’armadio non conta!» Corsi ad afferrarne uno ignorando proteste, lamenti e strattoni e lo comprai. Era viola, come il suo vestito, ornato di margheritine gialle. Glielo calcai sulla testa e la costrinsi a specchiarsi. Per quanto continuasse a lamentarsi e grugnire, non le stava affatto male e non lo tolse.
«Ora che avete fatto questa idiozia, vogliamo procedere?» La sbirciai di sottecchi. «Non lo togliete?»
«No». Fu la sua secca risposta. Qualche metro più in là però si fermò. «Ho scordato una cosa, Altezza. Potete aspettarmi qui?»
Mi stupii. «Volete che vi accompagni?» Scosse la testa e le margherite ondeggiarono. «No, è tutto a posto. Torno subito». Mi appoggiai al muro. «D’accordo…»
Proprio di fronte a me c’era un banchetto che vendeva nastri. Vidi un’ingenua contadinella dai ricci crespi e rossi andare in visibilio di fronte ad un nastrino bianco. Si aggrappò al ragazzo robusto e scuro che l’accompagnava. «Amore, non è carino? Il bianco è un colore raffinato, sai? Tutte le dame di corte posseggono un nastro bianco!» Mi venne da ridere. Le mie dame ne possedevano probabilmente un centinaio ciascuna, eppure non mostravano mai quell’aria di sincero rapimento di fronte ad un oggetto grazioso. Il ragazzo palesemente non trovava nulla di interessante in una fettuccia di stoffa, ma forzò il suo tono a sembrare entusiasta. Trovai tenero quel piccolo gesto d’affetto. «Allora dobbiamo assolutamente prenderlo. E comunque tu sei molto più bella di quelle dame altezzose». La ragazza gli buttò le braccia al collo e lo baciò con trasporto, mentre il venditore accettava senza scomporsi il pagamento del giovane.
Mi persi il finale della scenetta, perché la maga tornò ansimando leggermente. Scoppiai a ridere. Aveva in mano una spada di legno. «E quella?» si appoggiò pesantemente al muro per riprendere fiato e si strinse al mio braccio. «Non sono abituata all’attività fisica…»
Mi preoccupai immediatamente. «O diciamo pure che è quello stupido anello…» Mi trafisse con lo sguardo. «Altezza, non ricominciate. Sto bene». Si raddrizzò e mi tese la spada. «E comunque questa è la mia vendetta per il ridicolo cappello». Accettai il regalo. «Grazie davvero! Penso che mi sarà molto utile. Durante il prossimo duello la userò senz’altro. La chiamerò ‘Arma Letale 2’».
«Andiamoci. Così possiamo guardare qualche vera spada intanto che mi riprendo… forse dovrei fare un po’ di moto, di tanto in tanto…» Evitai accuratamente di rispondere, non mi andava di rovinare la serata con un’ennesima caterva di insulti alla magia.
Raggiungemmo
la piazzetta. Era davvero graziosa, poco illuminata e interamente costruita in
pietra grigia. Prendemmo posto su una panchina e constatai con sollievo che
Non riuscivo a prendermela. La sua acidità talvolta era davvero buffa, senza contare che un po’ di genuina antipatia per me era una piacevole novità, circondato com’ero di ruffiani e cortigiani untuosamente gentili. Risposi con estrema sincerità «Siete deliziosamente scortese, e questo vuol dire che state bene. Mi sento rassicurato».
Scossi la testa e cambiai argomento. I miei occhi caddero sulla bottega dell’armaiolo e così dissi, più per riempire il silenzio che per vero interesse «Vi dispiacerebbe se andassimo a guardare qualche spada?» La sua risposta fu stranamente entusiasta «Certo che mi va!» Si alzò con energia e mi precedette verso la bottega.
Conoscevo di fama quell’artigiano. Mio padre gli aveva conferito il titolo di Mastro, come riconoscimento per il suo immenso talento. Sapeva forgiare il metallo come un merletto, creando spade di sconvolgente bellezza e inquietante precisione. La mia spada da duello era sua. Mentre varcavo la soglia, mi colse l’improvviso timore che potesse riconoscermi, ma dato che mi aveva visto solo una volta in vita sua, contai che avesse scarsa memoria. Spostai comunque la frangia a coprirmi meglio la fronte.
Mastro Wald fortunatamente in quel momento era occupato. Stava mostrando a due gentiluomini che mi parve di aver già visto le delizie di un pugnale sottile con l’elsa ricoperta di foglie d’edera, esaltandone il perfetto bilanciamento e la lama letale. Io rivolsi le mie attenzioni ad una rastrelliera colma di spade di ogni genere, per qualunque tipo di braccio. In particolare mi colpì una piuttosto sottile, che luccicava sinistra e aveva sull’elsa un fregio di piccoli gigli. Era davvero un bell’oggetto. Lo indicai alla Maga che storse il naso e mi additò una spada grossa e possente, di metallo brunito e con un fregio di draghi e serpenti. Era il genere di arma che non sarei neanche riuscito a sollevare e così feci una smorfia eloquente. Lei mi sussurrò «Fa tanto Cavaliere Nero…»
Stavo per ribattere quando la voce secca di Mastro Wald mi trafisse alle spalle «Ehi tu! Ragazzino!» Mi voltai di scatto, incontrando gli sguardi freddi e beffardi dei due nobili che squadravano me e la maga con evidente disprezzo. «Dite a me?»
«Quanti altri ragazzini vedi qua dentro? Lasciatelo dire, queste armi sono decisamente fuori dalla portata del tuo braccio… e delle tue tasche. Senza contare che ad un contadino le spade non servono a un accidente. Lasciati dire anche che a me non piace avere poveri derelitti sognatori nella mia bottega e questi illustri signori non hanno alcuna intenzione di spartire con te la poca aria che c’è qui dentro. Quindi raccatta la tua ragazzina e tornatene in piazza, tra gente della tua stessa risma». A quel punto notò la mia spada di legno e rise sgradevolmente. La indicò. «Ecco, quella si che è adatta a te!»
I
due parvero sottolineare le parole dell’armaiolo con ghigni soddisfatti. Sentii
montare dentro di me una sorda collera, che mi portò automaticamente a drizzare
le spalle. Ricordai, quando l’anno prima ci aveva portato a palazzo alcune
spade da provare,la sua strisciante cortesia, i suoi modi melliflui, i suoi
esagerati complimenti. E quei nobili? A giudicare dal loro abbigliamento e
dalle loro fattezze, non dovevano essere più che cavalieri con qualche
appezzamento di terra e un titolo pro-forma, ma si sentivano così superiori a
quelli che credevano essere una coppia di ingenui popolani da farci scacciare
dalla bottega. Fui sul punto di declinare la mia identità, quando mi ricordai
che non avevo prove a sostegno della mia affermazione, né guardie pronte ad
accorrere in mio soccorso. Fui costretto ad accettare con fatica il mio
orgoglio ferito.
Finalmente il più alto dei due cavalieri intervenne divertito. «Allora? Vuoi che ti diamo una mano noi ad andartene?» Istintivamente sibilai «Non osate toccarmi…»
Wald, permettete a questo… questo… ragazzetto presuntuoso di parlarci così nella vostra bottega? Voi non sapete proprio come trattare i clienti»
Quello più tarchiato emise una sorta di ringhio. «MastroL’armaiolo divenne rosso dall’ira e si avvicinò a me con i pugni chiusi. Mi portai fuori dal suo raggio d’azione, ma non mi decidevo ad uscire. Un lampo di dubbio passò sul volto del cavaliere alto, che divenne orrore quando i suoi occhi si posarono sulla mia mano destra, quella dove portavo l’ anello. Captai sul viso della Maga un’espressione tra l’allarmato e il furente, ma non intervenne. Quanto a me, mi diedi mentalmente del cretino. Non toglievo mai l’anello, e non avevo minimamente pensato che potesse essere un segno di riconoscimento. Evidentemente avevo sbagliato.
L’armaiolo, che non aveva collegato, fece per scagliarsi nuovamente su di me, ma il nobile lo trattenne. «Per tutti i diavoli, fermatevi! Non avete capito chi è?» Indietreggiai verso la porta, ma anche l’uomo tarchiato mi riconobbe e crollò in ginocchio. «Principe Filippo!» A quel punto l’armaiolo si bloccò, quasi inebetito «Vostra Altezza, perdonatemi… Che deplorevole errore»
Presi un profondo respiro per calmarmi. «Deplorevole, concordo. Ma non perché mi avete mancato di rispetto, cosa che sinceramente non mi tocca, ma perché avete dimostrato di essere un uomo gretto e avido, disposto a maltrattare un comune cittadino per adeguarvi ai gusti sadici dei vostri clienti». L’uomo, da rosso che era, si fece pallido come il gesso. Mi voltai verso i due, ancora inchinati. «E in quanto a voi…la nobiltà sta nell’animo, non nel titolo. Potrei punirvi tutti e tre per il vostro comportamento, ma non mi va di rovinarmi la serata. Giungeremo ad un accordo. Voi tre non mi avete mai visto, chiaro? Tutto ciò non è mai accaduto».
Mi stupii. «Livore per cosa?»
«Per il vostro discorsetto arrogante e retoricamente concettoso. E poi ‘la vera nobiltà è nell’animo’? ma vi prego! Ci sarà un motivo per cui il popolo vi definisce ‘gonfio, tronfio e presuntuoso’».
Mi ribellai «Forse sto cambiando!»
«Forse dovreste imparare a frenare i vostri impulsi di vanità. Non è perché vi dispiaceva che Wald trattasse male un comune cittadino, vi ha infastidito il fatto che abbia trattato male voi! Ammettetelo!»
Mi morsi il labbro, come facevo di solito quando ero a disagio. La maga non era totalmente nel torto, ma non aveva neanche pienamente ragione. Pochi mesi prima, non me ne sarebbe importato nulla del popolo e avrei fatto arrestare quei tre per la loro condotta verso di me. Ora invece non mi piaceva l’idea che i miei sudditi fossero maltrattati da tre volgari sconosciuti, ma ancora di più mi seccava che i volgari sconosciuti di cui sopra avessero osato deridermi.
Avrei voluto spiegare tutto questo alla maga, ma mi fu impossibile perché continuò a infierire, scambiando per assenso il mio momentaneo silenzio. «Aha! Proprio come pensavo. Ma dovevo immaginarmelo! Voi dite sempre che in voi c’è molto più che una corona, ma sinceramente guardandovi in quell’armeria non sono riuscita a scorgere altro. Avete celato dietro una sorta di perbenismo una freddezza regale pari soltanto a quella di vostro padre, comportandovi come un principino assurdamente viziato. Ricordate la promessa di inizio serata? Quella di non essere noi per qualche ora? Voi l’avete infranta!»
Mi arrabbiai. «Non è colpa mia! Mi hanno riconosciuto!»
«Perché l’avete voluto voi! Sapete come si sarebbe comportato un ragazzo normale? Lo sapete? Avrebbe chinato la testa e se ne sarebbe andato. Avrebbe fatto come me. Ma voi no! Avete sfoggiato quell’aria di dignità offesa, quell’espressione glaciale da ‘sono padrone della vita e della morte’».
Sentii la mia rabbia crescere. Mi dominavo, ma a stento. «Volevate che mi comportassi da vigliacco?»
La voce della Maga si alzò di un’ottava e le sue guance avvamparono dalla collera. «Vedete? È proprio questo che non sopporto di voi! Per voi uno che non reagisce è un vigliacco. Ma non capite che nessuno al mondo ha i vostri privilegi? A voi basta schioccare le dita e avete stuoli di gente pronti ad aiutarvi a difendere il vostro ‘onore’», calcò la parola con evidente disprezzo. Feci per parlare, ma non me lo permise. «Ma il resto del mondo è costretto ad ingoiarlo, l’onore, per evitare di essere picchiato o peggio. Era questa la lezione che dovevate imparare, questa la prova che dovevate superare per dimostrare di essere veramente cambiato. È per questa ragione che non sono intervenuta. E avete fallito, su tutta la linea. Voi siete…»
L’ultimo
brandello di autocontrollo che possedevo svanì e mi ritrovai a scagliarmi sulla
Maga, premendole una mano sulle labbra. «Ora basta! State zitta e lasciatemi
parlare, e poi mi giudicherete. Per ora state soltanto lanciando pareri sommari
senza neppure chiedermi come la penso».
«Non intendo giustificarmi, voglio solo offrirvi la mia versione dei fatti, e voi mi ascolterete, che vi piaccia o no. È vero, mi sono arrabbiato con quei due, perché mi stavano trattando male, ma non perché avevano trattato male me in quanto principe, ma come persona. Mi sembra legittimo, chiunque si sarebbe offeso. Certo, dite voi, probabilmente se fossi stato un ragazzo comune mi sarei spaventato e avrei agito con timidezza… oppure avrei usato la violenza! Avete considerato questa ipotesi? Le reazioni sono emotive, dipendono dal temperamento. A me è venuta fuori l’espressione sprezzante e oltraggiata che vi ha tanto infastidito perché io, Filippo, sono così, e sarei così anche se
fossi l’ultimo dei servi. E quanto alla sensazione di umiliazione che volevate che io provassi, so molto bene come ci si sente. Mi è già capitato moltissime volte di sentirmi giudicato, guardato con supponenza e deriso, non era necessario che un artigiano mi insultasse apertamente per conoscere quell’impressione. Ma se un ragazzo del popolo non può fare nulla contro la prepotenza, ebbene, io posso. Ho questo potere, e se posso cambiare le cose riducendo le ingiustizie, per me o per chiunque altro, allora lo farò. E se la cosa non vi aggrada, trasferitevi!» Alla fine di questo soliloquio mi ritrovai totalmente senza fiato. Mi accorsi di essere in piedi, senza ricordarmi in quale punto preciso del discorso mi fossi alzato.
Sentii la rabbia svanire, sostituita da una vaga preoccupazione. «Vi ho offesa?» Alzò lo sguardo «Ha importanza?»
«Sapete che ne ha».
«Non mi avete offesa, mi avete spiazzata. Non conoscevo questo lato di voi».
«Quale lato, Maga?» Scosse la testa. «Non lo so definire. Il lato adulto, presumibilmente. Ero abituata a pensare a voi come a un ragazzino annoiato e inquieto, frivolo e mondano». Sospirai di sollievo. «E non sono così».
«E non siete solo così», sottolineò, vanificando le mie speranze di essermi affrancato ai suoi occhi da quell’immagine di eterno adolescente. Finalmente sorrise. «Mi sono sbagliata. Forse -forse- siete recuperabile». Si alzò dalla panchina di pietra. «Ma non cambiate troppo, o diventerete noioso». Allungò una mano per scompigliarmi scherzosamente i capelli, proprio come avrebbe fatto con un dodicenne. Smisi all’istante di sentirmi un Re. Mi alzai anche io, incerto su come interpretare quel discorso e quel gesto.
Questa volta riuscimmo a salire senza ulteriori interruzioni. Mi sentivo un po’ scosso dalla lite, ma al contempo non potevo impedirmi di provare un attaccamento profondo e quasi disperato per quella creatura caustica, guerrafondaia, nevrotica e ipercritica. La guardai, ma il suo viso era illeggibile. Impossibile capire cosa provasse in quel momento, quali fossero le sue sensazioni. Decisi di dimenticare l’accaduto, almeno per il momento.
L’aria tiepida e le stelle insolitamente luminose rendevano quella serata troppo bella per litigare. Era una notte da giochi d’amore, più che da guerre. Svoltata l’ultima stradina ci ritrovammo nella stessa ridente confusione dell’inizio della serata e mi sembrò di essermi risvegliato da uno strano incubo. La piazzetta solitaria, la magia, la lite mi sembrarono ricordi vagamente irreali in quella luminosa gaiezza che mi restituì il mio entusiasmo. Molte coppie stavano ballando, altre ammiravano il panorama della valle, alcune famiglie si accalcavano attorno ai banchetti di cibarie. Io e la maga ci unimmo a loro.
Dopo
aver comprato focacce e dolcetti al miele, ci sedemmo accanto ad una fontana
per cenare. Mentre mangiavamo, la mia attenzione venne catturata da un
gruppetto di ragazzini armati di spade di legno identiche alla mia, che
duellavano scompostamente e parlavano a voce alta. In quel momento tre o quattro
stavano facendo da contorno a due, che mettevano grande impegno in quelli che
pensavano essere colpi da grandi combattenti. Mi venne da ridere.
«Una volta sì». Sbuffai. «Quello non era un duello, era una giostra. Si, lo so, sono inciampato sulla lancia, ah ah che ridere! Mi avete già preso in giro mille volte per questo. Siete monotematica!»
Uno strillo del ragazzino più alto e robusto troncò la replica della Maga. «Ah! Prendi questo! E questo! Sono il Cavaliere Nero e sono imbattibile!»
Mi si gelò il sorriso sulle labbra. Sentir nominare il mio fratellastro mi innervosiva sempre. L’altro bambino replicò «Ah si? E io sono il Principe Filippo! Sarò il re e ti farò esiliare!» I piccoli spettatori scoppiarono a ridere. Un cicciottello con le lentiggini stridette «Sei il Principe Filippo? Allora sei uno sfigato!» Un altro rincarò «È vero! Mio padre dice sempre che il Principe è un moccioso malaticcio e che tra lui e suo padre non poteva capitarci scelta peggiore. Dice che il Cavaliere Nero è il futuro di questo paese!»
Questa sentenza mi mise davvero i brividi. Se perfino i bambini sapevano che sarei finito decapitato da una rivolta, quel momento doveva essere davvero alle porte. Il piccoletto che aveva proclamato di essere me però fece risentire la sua vocina pigolante «Mia madre invece dice il contrario. Dice che se il Cavaliere Nero prenderà il potere, il regno sarà governato da violenze e prepotenze. Non ci sarà alcuna speranza per i più deboli». Il tredicenne robusto ringhiò «Ed è così che deve essere!»
«Non è vero!» Gli si avvicinò minaccioso. «Cosa ne vuoi sapere, tu? Sei un bambinetto, e non hai neanche il padre. Sei un poveraccio e pretendi anche di parlare?»
Era già la seconda volta in quella sera che assistevo all’umiliazione di un debole e mi resi conto di quanta violenza albergasse nel mio regno. Le politiche di mio padre avevano creato esattamente questo: un’apparenza dorata e serena sotto la quale si celavano soprusi e contrasti.
Il ragazzino non si lasciò mettere a tacere però, e non si mostrò spaventato dalla stazza del suo persecutore, né dal fatto che gli altri bambini sembravano tutti spalleggiare il tredicenne. «Io ho il diritto di parlare quanto te! E ti dico che la mia mamma ha ragione. Un giorno il Principe sarà incoronato e allora tutti i prepotenti come te dovranno imparare che siamo tutti uguali!» Per tutta risposta il ragazzo cominciò a malmenare il bambino, presto aiutato dagli altri.
Mi alzai di scatto e decisi di intervenire. La maga mi fu subito accanto, con le mie stesse intenzioni. Anzi, fu proprio lei a parlare per prima «Se non vi fermate subito chiamerò una guardia», disse tranquilla. I bambini si aprirono a ventaglio e ci guardarono vergognosi. Per quanto non fossimo particolarmente temibili, dovevamo apparire come adulti, ed era abbastanza perché i piccoli bulletti lasciassero in pace la propria vittima. Solo il grosso tredicenne aveva ancora qualcosa da dire «Ma chi ti credi di essere, donna? Le donne non hanno il diritto di parlare. Con quel cappello, poi…»
Gli
occhi della Maga si fecero pericolosamente intensi. «Ha il diritto di parlare
chiunque abbia qualcosa di intelligente da dire, altrimenti è meglio tacere».
Il ragazzetto aprì la bocca per ribattere e dalle labbra gli uscì un orribile
raglio da asino. I suoi compagni indietreggiarono orripilati
e io trasalii dalla sorpresa.
Notai nei suoi occhi una traccia di divertimento. Il gruppetto dei persecutori corse via, con il ragazzetto che ragliava a più non posso e un ginepraio di commenti e strilli stupiti, unito allo scetticismo di quelli che credevano che l’amico scherzasse. La povera vittima non si era mossa da terra. Aveva un livido sotto l’occhio e un ginocchio sanguinante, ma sembrava più spaventato che dolorante. Gli tesi amichevolmente una mano per aiutarlo ad alzarsi. «Va tutto bene?»
Il
bambino però guardava
Lei scosse le spalle. «Durerà poco, ma la prossima volta ci penserà due volte prima di dire a qualcuno che non ha il diritto di esprimere la propria opinione. Tu però non lo racconterai a nessuno, vero? Altrimenti dovrò cancellarti la memoria!»
Il bambino si affrettò a scuotere la testa. «Non lo dirò a nessuno… ma quei bambini lo faranno! Loro fanno sempre la spia, trattano male quelli più piccoli e si sentono i padroni della città. E i loro genitori sono cattivi, non li puniscono mai e gli insegnano ad essere violenti!»
La Maga mosse la mano con noncuranza. «Nessuno gli crederà. E comunque noi saremo già lontani».
Il
bambino ci avvolse in uno sguardo speranzoso. «Ma chi siete? E perché ve ne
andate?» Mi intromisi «Siamo viaggiatori, siamo venuti solo per la festa…»
«Lo
faccio sempre, anche se poi mi picchiano, e anche la mia mamma. Noi siamo dalla
tua parte. Anche se la maggior parte delle persone dice che tu morirai presto…», concluse con tipico candore infantile.
Mi
volsi interrogativo verso
Il bambino ci condusse lontano dalle luci della festa, in una piccola viuzza laterale. Ci indicò un mulino fatiscente ricoperto d’edera e mormorò «Io vivo qui». Quella casa aveva un che di inquietante, sembrava la dimora di un’oscura entità, non certo di quel bambino gracile dall’aria gentile. Vidi una specie di sorriso curvare le labbra della Maga. Sembrava di trionfo. Il ragazzino bussò alla porta.
La donna che venne ad aprire era una figura estremamente singolare. Snella, sottile e con un viso molto giovane, non dimostrava più di venticinque anni. Questa immagine però contrastava con i suoi capelli bianchissimi e vaporosi, che formavano una nuvola attorno al suo viso grazioso. Indossava una lunga veste verde e aveva al polso e al collo delle catene d’argento con appesi centinaia di ciondoli. Quando vide il bambino malconcio lo strinse forte al petto. «Un’altra volta? Chi è stato?»
Il ragazzino spiegò «I soliti bambini cattivi, mamma. Ma questi due signori mi hanno difeso!» La donna spostò su di noi lo sguardo. Aveva occhi castani dall’espressione misteriosa. Sembrò identificarci all’istante, tanto che si affrettò a spedire il figlio in casa. Il bambino ci sorrise un’ultima volta con espressione furba, felice di non aver rivelato neppure a quella madre affascinante -davvero affascinante- la nostra identità.
Non
appena fu scomparso però la signora disse «Voglio ringraziarvi per aver aiutato
mio figlio, Altezza. E anche te, sorella». Guardai
«No, Principe Filippo. Sono una Strega. Ma in tempi come questi non badiamo a simili sottigliezze, quindi posso considerare consorella una Maga, specialmente se questa ha appena fatto una cosa gentile nei miei confronti».
Mi
sentivo come un ragazzino confuso. Ero plagiato dalla personalità della donna e
al contempo… non stavo capendo niente!
«Temo
di non ricordarla…» Alzò gli occhi al cielo.
La interruppi «Sembra molto più ragionevole!»
La
donna sembrò soddisfatta del complimento, mentre
Sentendomi
interpellato e cogliendo lo sguardo leggermente allusivo della donna arrossii.
Era impossibile non sentirsi attratti da lei. Cercai comunque un modo neutro di
rispondere, visto che
Dopo avermi scoccato uno sguardo di disgusto, l’interessata concluse a denti stretti «Vi parlerò un’altra volta di etica magica, Principe. Non è per questo che siamo qui». Si rivolse alla donna, cercando di mantenere un tono cordiale «Vorremmo porvi qualche domanda». Mi guardò dubbiosa e poi concluse «Io vorrei porvi qualche domanda. Dai discorsi di alcuni cittadini, compresi vostro figlio e i suoi compagni, mi è sembrato di capire che la divisione tra sostenitori del Principe Filippo e sostenitori del Cavaliere Nero sia piuttosto netta!»
La donna annuì, facendo ondeggiare i riccioli bianchi. Guardai ammaliato quel movimento grazioso, ma una gomitata della Maga mi costrinse ad interessarmi alla risposta. «Netta è un eufemismo. Tutti sono convinti che la rivolta giungerà presto. La situazione è ormai agli sgoccioli». Mi guardò fisso. «Mi stupisce che non ne siate a conoscenza, Principe!»
Prima
che dicessi che fino ad un mese prima ero beatamente ignaro della rivolta che
mio fratello e
La
donna rise di nuovo. «Tutti i deboli, gli oppressi e i diversi sono dalla parte
del Principe Filippo. Sappiamo molto bene come diventerebbe la nostra vita se
il Cavaliere Nero e
Questa volta fui io a parlare «Non capisco. Il popolo mi odia! Come possono volermi sul trono?»
«Il popolo non vi conosce, Altezza. Siete sempre rimasto chiuso nel vostro castello, circondato di dame, ricchezza, spreco! Per forza si è diffusa la leggenda che voi foste un depravato viziato. Ma, mentre i prepotenti e gli aggressivi sono disposti a tutto pur di vedere sul trono un Re del loro stampo, i cittadini in cerca di giustizia sperano nell’ignoto. Voi siete il loro salto nel buio, Principe. Potrebbero trovarsi a cadere da un dirupo e precipitare nell’inferno, come potrebbero trovare un paese idilliaco. Non hanno nulla da perdere. L’unica, fioca luce di speranza è vostra madre».
«Mia… mia madre?»
La donna annuì con un sorriso scintillante. «La Regina. Lei è stata la cosa più bella che potesse capitare a questo regno. Il tempo in cui lei era viva veniva considerato ‘l’età dell’oro’. E voi siete suo figlio. Se avete preso almeno qualcosa da lei, sarete un buon Re». Rimasi in silenzio. Ero profondamente toccato da quelle parole, e al contempo mi sentivo schiacciato dal peso della responsabilità.
«Il numero più elevato sostiene il Cavaliere. Ma voi potete contare su tutti gli Stregoni, forse sui Maghi…»
«Ne
dubito», tagliò corto lei.
«La rosa indica passione e riservatezza. Tu non lo tradirai mai, ma soffrirai molto».
«Non
credo nella divinazione», disse
Sentii
Mi intromisi «Chiedo scusa, ma quale sarebbe questo obiettivo? A me sembra che questi ciondoli funzionino!»
Si rivolse alla Maga «Graziosa storiella. Non ne conosce il seguito?»
«Oh, tesoro, è così ingenuo sperare che funzioni!»
«È l’unico modo che ho», decretò lapidaria la Maga.
Mi intromisi «Ma insomma, di cosa state parlando? Cioè… -ritrovai le buone maniere che la confusione mi aveva fatto accantonare per un attimo- vorrei capire… perdonatemi, ma…»
Sentendomi
molto stupido, ammisi di non aver capito.
Mi ribellai. «Se mi riguarda, ho il diritto di saperlo!»
«E io ho tutti i diritti di conservare qualche segreto. Quella Strega mi ha aperto la testa e ci ha frugato dentro senza ritegno… non lo lascerò fare anche a voi!», concluse con le lacrime agli occhi. Aveva l’aria molto turbata, tanto che decisi di indagare sulla faccenda dei ciondoli a tempo debito.
Non si fermò finchè non raggiungemmo nuovamente la piazza, poi si appoggiò alla balaustra col fiato corto. Sibilò «Stupida fattucchiera!» Afferrò la rosa d’argento come se volesse lanciarla lontano, poi se la infilò in tasca con un sospiro.
«Che
succede?», domandai impensierito. Per tutta risposta
Mi sentii vagamente lusingato, ma lei stroncò il mio entusiasmo. «Non è una buona cosa».
«Gelosa?»
Sobbalzò indignata. «Non siate ridicolo!» Parve rifletterci un attimo. «Un po’. La guardavate come se la trovaste… molto bella».
Annuii. «È molto bella. Ma non quanto voi». Mi lanciò un’occhiata colma di disprezzo. «Questi complimenti scadenti risparmiateli per qualcuna delle vostre stupide damine, Altezza. Quella Strega è molto più bella e affascinante di me, non mi faccio illusioni al riguardo».
Odiavo che si denigrasse a quel modo, soprattutto considerando l’effetto che mi faceva. «Non vi scambierei mai con lei». Non rispose, ma mi parve di vederla sorridere di sfuggita.
Poi cambiò radicalmente argomento e mugugnò «Dannati ciondoli…»
Mi preoccupai. «Sono maligni?»
«No».
«Sono incantati?»
«Non proprio, Altezza. Possono trasmettere delle immagini, però. Immagini del futuro».
Mi stupii. «Io non ho visto nessuna immagine!»
«Non siete un mago né uno stregone, perciò non è strano. È probabile che a voi appaiano in sogno».
Le domandai curiosamente «E voi cosa avete visto?» Con mia somma sorpresa non rispose e voltò la faccia dall’altra parte. «Allora?»
«Non è detto che siano accurate, in ogni caso non ho intenzione di dirvelo».
«Neanche questo? Perché no?»
«Basta».
«Maga…»
«Filippo, non insistete!»
Quella
volta l’uso del mio nome non mi trasmise brividi di piacere. Al contrario, mi
fece lo stesso effetto di uno schiaffo. Tacqui. Presumibilmente non avrei mai
saputo cosa avesse visto. ‘Soffrirai molto’ aveva detto
La
maga scosse la testa. «Oh, Principe, siete così ingenuo! Non funziona così.
Accettare un regalo magico è un po’ come stringere un minuscolo patto con la
magia. Una volta che lo si possiede, è per sempre. Per poterli gettare via
senza conseguenze, andrebbero disincantati. Sarebbe lungo, piuttosto inutile e
offenderebbe
«Che conseguenze ci sarebbero se ce ne liberassimo?», domandai comunque.
«Non lo so e sinceramente non ho nessuna voglia di scoprirlo».
Sospirai profondamente. Lei appoggiò la testa alla mia spalla. «Che cosa avete, Principe?»
«Volevo che fosse una bella serata serena. Volevo rendervi felice!»
«Sono stata felice di trascorrerla con voi, Principe».
Scossi la testa, un po’ affranto. «Ma io pensavo che dimenticando per un po’ i nostri destini ci saremmo divertiti!» La Maga rise piano. «Evidentemente, Filippo, non si sfugge al proprio destino!» Mi sentii sconsolato. «Pare proprio di no».
Si
strinse a me più forte. Per un po’ rimanemmo immobili, senza parlare,
contemplando il cielo che si apriva sopra di noi come una volta scintillante e
una piccola impertinente falce di luna che somigliava ad una scucitura lucente
in un perfetto velluto nero. Si era levata una brezza piuttosto fresca. Sentii
Quella
era l’ora degli amanti, infatti molte coppie indugiavano su quella balconata,
stringendosi alla luce della luna. In quel momento, forse, io e
Mi lanciò uno sguardo colmo di provocante malizia. «Questa luna ci ha offerto un bellissimo spettacolo… forse dovremmo ricambiare il favore».
Prima
che potessi sciupare stupidamente il momento chiedendole cosa intendesse, posò
le sue labbra sulle mie. Mi strinsi a lei come se fosse stata l’unica certezza
della mia vita. Baciare
Si staccò da me e scoppiò a ridere. «Sembrate un topolino ipnotizzato, Principe».
Mi sarebbe piaciuto dirle che era esattamente così, questo era l’effetto che lei mi faceva, invece mi trovai a bofonchiare stupidamente «No, è che… mi imbarazza sempre baciarvi sotto le stelle».
Trasecolò. «Perché?»
«Bè… non mi avete detto che tutti i reali quando muoiono diventano stelle? È come se vi baciassi davanti a mia madre e a tutti i miei antenati!» Mi diede uno scappellotto. «Ma quanto siete stupido!- abbassò la voce e mi sussurrò all’orecchio -…Filippo…»
A giudicare dal brivido che mi corse lungo la schiena, quello era il tono giusto. Ci staccammo dalla balaustra e abbandonammo Brenn. Una volta recuperato Parsifal le dissi, in tono leggermente esitante «Maga, il mio precettore ha detto che posso tornare al castello anche domattina, ma non so se voi…» Mi interruppe come se non avessi parlato «Principe… dormite da me stanotte, vero?»
Sorrisi e spronai la mia cavalcatura. Improvvisamente, avevo fretta!