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Autore: baka_tenshi    25/01/2011    1 recensioni
Un amore puro può superare qualsiasi ostacolo, anche se fra ragazzi giovani ed inesperti della vita, come Makoto ed Hazuki.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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introduzione: Tokyo, giorni nostri. Le vicende trattano di due ragazzi, Hazuki Miouji e Makoto Megumi. Hazuki, vent'enne, ha abbandonato gli studi per andare a lavorare in un'officina, dove si riparano veicoli, per mantenere un piccolo appartamento che condivide con la sua fidanzata, Makoto, sedicenne, che studia in un'istituto superiore a Tokyo. Il capitolo presenterà la versione di Hazuki. I due si trovano in appartamento e lui, tornato a casa malconcio, inizia a litigare con lei.

sbam! aprii la porta con tanta forza che tremò l'intero stabile.
Mi avrebbero sentito anche dall'altra parte di Tokyo, se non fosse stata per quell'incessante pioggia che copriva tutto col suo gran fragore; scrosciava veloce e violenta, obliqua, inzuppando ogni cosa che trovava sul suo passaggio. Era dalla mattina che pioveva e non dava segno di cessare. Ero fradicio, puzzavo come un cane bagnato. Dalla testa mi scendeva una riga di sangue, la felpa, l'unica cosa che mi copriva il torace anche se in pieno inverno, era squarciata interamente a partire dalla spalla destra, sul davanti. Stavo zitto, con la testa bassa, ascoltando i rumori.
« Sei tu tes... » Non finì la frase, non ebbe neanche il tempo di squadrarmi da capo a piedi che caddero i piatti dalle mani morbide e delicate di Makoto. Si mise a piangere. Nella casa vagava un silenzio di tomba, interrotto dalla pioggia e dai suoi singhiozzi. Non volava neanche una mosca.
« Quanto pensi possa durare prima di farti ammazzare? »
« ... »
« Sei uno stupido! Rispondi alla mia domanda!
»
Si avvicinò e mi tirò un ceffone con tutta la mano. Mi portai la mano sulla guancia, accarezzandomela, ancora in silenzio ed a capo chino. Era da qualche mese che frequentavo una banda di teppisti, la mia vita non dipendeva solo da lei e volevo svagarmi, ma ogni volta, ogni sera, tornavo a casa da lei, ancora giovane, malconcio ed ubriaco. Questo non le faceva di certo bene.
Mi levai le scarpe ed entrai, poggiando i calzini umidi sul pavimento di legno, freddo. Presi una valigia, la riempii con le poche cose che mi ero permesso di comprare. La guardai, con occhiate veloci, senza distrarmi dal fare i bagagli, che ora della fine era la sacca della società di calcio che frequentavo da bambino e che non restituii mai. Mi guardavo, sbigottita, appoggiata al muro con una mano. Quasi le mancavano le forze, era pallida e non voleva, come non la volevo io, una situazione del genere.
« Dove vai? »
« ... »
« Hazuki, dove stai andando? »
« A prendere le sigarette ... »
Mi avviai verso la porta, senza guardarla negli occhi.
« Che fai, scappi? »
« ... »
«
Non mi vuoi più bene?! » Era infuriata, ma io la ignorai comunque, continuando per la mia strada ed uscendo da quella porta. In un istante m'inzuppai di pioggia, acqua che copriva le mie lacrime e faceva scorrere via il sangue dalla pelle. Camminavo, senza voltarmi. Scesi le scale che portavano al nostro piccolo appartamento, o meglio, camera. Perchè era una camera con due porte scorrevoli che separavano il bagno e la cucina dalla grande stanza soggiorno e da letto. Avevamo un letto singolo, normale, ma cercavamo di starci in due. Purtroppo, con una paga da operaio in officina ed una studentessa non potevamo permetterci molto, ma eravamo comunque felici, anche con situazioni come queste.
Continuavo, ignorando quei passetti che stavano subito dopo di me. Avevo paura per lei, avevo paura che rischiasse guai per colpa mia. M'era venuto mal di stomaco, sempre più forte, ad ogni passo di distanza che si aggiungeva. Scese le scale arrivai in quella specie di giardino, senza erba, infangato dalla pioggia che lo bagnava. Lo attraversai, non volevo prendere il vialetto, volevo tagliare corto, ma quei passetti li udivo ancora, appena dietro di me. Scivolavano a volte, interrompendo il ritmo costante che seguiva i miei passi. Ma lei s'ostinava a seguirmi, anche sotto quel diluvio. Arrivai in strada, non c'era nessuno. Come al solito quel quartiere era deserto, percui, anche circolare in mezzo alla strada non era un pericolo. Chi mai frequenterebbe un quartiere malfamato come questo? Con teppisti e coppie così giovani che non sanno ancora affrontare la vita quotidiana? Mi veniva da ridere solo a vedere tutto questo in rovina, siamo la parte oscura di Tokyo, quella peggiore, ma nessuno se ne cura di questo. Le risate, però, non erano adeguate ad una situazione del genere. Non era la prima volta che succedeva, ma questa sembrava essere l'ultima. Speriamo in un lieto fine. Gridava, urlava, sbraitava il mio nome per strada, ma facevo finta di non sentirla, andando avanti per il mio cammino. Mi strinse il braccio; mi fermai, piangendo e singhiozzando, voltandole ancora le spalle.
« ... Lasciami ... »
« Credi che così risolverai qualcosa? »
Mi girai, lentamente, guardandola e chinandomi di pochi gradi, per darle un bacio in fronte. Rimase shockata, ad occhi spalancati, guardandomi che diventavo sempre più lontano. Ma ricominciò a correre, sotto quella pioggia incessante che la faceva scivolare e sbattere la faccia, ma lei si rialzava e continuava.
Piangeva, disperata, non per il dolore procurato dalle cadute, ma il dolore procurato dall'allontanamento dei due pezzi di cuore, spezzati da me, un orribile mostro che non dovrebbe aver mai incontrato in vita sua. Mi dispiace lasciarti li, ma se non lo faccio soffrirai ancora di più. Mi riprese il braccio, mi raggiunse sfinita.
« Sei proprio ostinata, eh? »
« Hazuki, mi dispiace. Qualsiasi cosa sia che ti spinge in quest'azione, ti prometto, la cambieremo in meglio insieme! Io e te! »
« Devo andare ... »
« L'importante è che tu possa tornare ... »
« Non tornerò. Non aspettarmi, non illuderti di una cosa che non avverrà mai. »

« Non importa ciò che chiedi, farò ciò che ritengo giusto per me ... Ti aspetterò, fosse l'ultima cosa che faccio! »
« Ma allora non capisci! »
Mollai la presa e la spinsi a terra, facendola cadere sull'asfalto bagnato. « Vedi di dimenticarmi! »
« Come faccio a dimenticare la persona che amo?! HAZUKI, RISPONDI! » Si rialzò, ma la spinsi al muro.
Digrignai i denti, alzai il pugno, teso, pronto a colpire qualcosa e...
Sbam!
Colpii il muro, a pochi centimetri dalla sua faccia terrorizzata. Abbassai la testa, lasciando che i capelli bagnati mi coprissero gli occhi. Mi mise una mano sulla guancia, alzandomi il viso e portandolo a pochi centimetri dal suo, labbra contro labbra. La guardai negli occhi, lucidi, per qualche istanti; fissi tutti e due, l'uno sull'altro, distanti pochi centimetri. Il mal di pancia mi svanì, ora c'era solo lei. Mi ri-innamorai di lei, come per la prima volta che vidi quel faccino dolce e quegli occhi a mandorla, profondi, che mi scrutavano dentro l'anima.
« Torna da me ... »
« ... Sì ... »

Non esitai altro tempo in più: la baciai, come in una scena del film, sotto quella pioggia malinconica che ritraevano il quadretto che dipingevamo. Le portai la mano alla guancia, accarezzandola dolcemente e lievemente, sentendo la sua pelle fredda, che riscaldava comunque il mio cuore, ricomponendolo. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue labbra soffici. Sembrava il paradiso e lei era il mio angelo, che mi salvava sempre dai momenti più difficili.
Makoto, ti amo.

 

Hazuki

(grazie ad Asuka Soryu Langley per aver interpretato il ruolo di Makoto)

  
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