Caffè
Non che mi piacesse
così tanto, il caffè.
Non che ci andassi matta
come te, che sfruttavi ogni
pausa possibile a incastrare monete ai distributori.
Ma lo adoravo, quando tu ti
avvicinavi a me con l’aroma
di caffè sulle labbra.
Mi piaceva sentirne
l’odore addosso a te, quando
respiravi accanto a me, o quando ti sporgevi troppo, sia che volessi
sia che
non lo facessi apposta.
“Malosti, si
bussa!”
Mi copro con la maglietta
blu della divisa che stavo per
indossare e lo spavento si tramuta presto in una piacevole circostanza
imbarazzante.
“Non ho mai
bussato in vita mia per entrare qui, e,
soprattutto, la sala medici non è uno spogliatoio, Gandini.”
“Solo
perché voi non avete niente da far vedere, non vuol
dire che noi donne non possiamo cambiarci qui!”
Ti porti le mani ai fianchi
e continui a guardarmi,
indeciso sul da farsi. “Dovrei andarmene?” concludi
poi.
“Fai un
po’ te.”
“Andrò a prendermi un caffè.”
“L’hai
già preso.”
Ti volti, stringendo gli
occhi. “Cosa te lo fa pensare?”
Mi avvicino prudentemente,
sorridendo.
Tu non ti sposti, quando la
distanza tra noi rimane
quella impalpabile di un cuscinetto d’aria.
Tu non ti muovi, quando mi
alzo sulle punte dei piedi.
Tu sorridi, quando credi che
ti volessi baciare.
Inspiro il tuo odore, la tua
bellezza, il tuo caffè.
E sorrido io, quando provi a
camuffare il tuo
impercettibile sporgersi per partecipare a quel bacio inesistente in un
gesto
senza fine specifico.
“Si sente,
Malosti.”
Non che mi piacesse
così tanto, il caffè.
Ma lo amavo, quando lo
respiravo dalla tua bocca.
Così come amavo
te.