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Autore: Giulia Linton    26/01/2011    1 recensioni
Porcellana frantumata gettata fra il sudicio nello scantinato di una stabile, porcellana ricoperta da patine sottili di pelle, porcellana senza sogni e senza futuro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bei Individuen ist Wahnsinn eine Ausnahme;
bei Gruppen, Völkern, Epochen ist Wahnsinn die Regel.

 

Nei singoli la follia è una rarità; ma nei gruppi,
nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola.

 

Friedrich Nietzsche

 

Era seduta su di un ottomana rivestita da un disgustoso tessuto floreale ormai prosciugato di ogni armonia passata, dirimpetto a lei sopra un piccolo tavolinetto da thè accuratamente poggiati su di un raffinato centrino lavorato all'uncinetto si trovavano un piattino ed una tazza anch' essi rigorosamente decorati con graziose immagini di fiori; camelie, ciclamini, crisantemi, calendule e myosotis trovarsi in quella stanza era come affogare in uno dei piccoli stagni delle opere di Monet.
I pesanti tendaggi floreali non permettevano alla luce di filtrare all'interno dell'ambiente così come non ammettevano al suo interno nemmeno i riflessi della vita che fuori scorreva frenetica; intorno a lei e su di lei era come se si fosse posata una nebbia, una delicata nebbia quasi come un velo, una patina di arcaico e desolato; se si ascoltava attentamente si potevano percepire le microscopiche tarme e i vermi che si nutrivano dei vecchi mobili stile veneziano e di lei stessa.
Era seduta e sorseggiava i residui di un caffè ormai freddo, i suoi occhi velati si posarono sulle foto poste ordinatamente sullo scrittoio, ricordi lacerati e bruciacchiati, qui c'è una bambina in costume con le trecce che sorride accanto a sua madre in una spiaggia del mare del Nord, là c'è una ragazzina sontuosamente abbigliata difronte ad un elegante abitazione, ricordi di vita.

Novembre 1943
La prima volta che sentii il gemito delle bombe penetrare e devastare il suolo berlinese fu nel 1940, avevo solamente 10 anni e vivevo in un elegante villa alle porte della capitale tedesca, rimasi paralizzata da quel frastuono così in familiare e dal terrore abilmente dipinto negli occhi della mia balia mentre, tenendomi intrappolata la mano nella sua correva a nascondere entrambi nello scantinato. Mio padre, uno dei tanti generali della Wehrmacht, disse che non dovevamo preoccuparci poiché la Germania era una grande nazione e non si sarebbe piegata di fronte ad una semplice incursione aerea anzi, avrebbe fatto pagare caramente ai suoi nemici questo affronto intollerabile.
Mio padre, raffinato esemplare della
Herrenrasse ovvero la razza ariana, un uomo un Dio dalla pelle candida e dai capelli colore del grano maturo con occhi talmente azzurri che sembravano il riflesso del firmamento; lui era l'uomo, il figlio, l'amante, il marito, il servo ed il signore ma soprattutto era il sole che attraeva e teneva uniti i componenti della mia famiglia e come la luce del sole per me lui era verità.
Il Führer e mio padre
erano le mie verità.
La verità era che la nostra grande nazione stava perdendo la guerra.
Il nostro capo ci aveva mentito, mio padre mi aveva mentito e la Germania continuava a mentire a se stessa.
Non ricordo cosa provai quando mia madre tornò a casa e mi comunicò che rimanere nella nostra residenza era troppo pericoloso ora che le incursioni aeree su Berlino erano diventate troppo frequenti; sapevo che mio padre mi aveva mentito ma non ebbi nessuna reazione, nemmeno una lacrima, un gemito, un esclamazione, nulla si riversò fuori dal mio cuore ma effettivamente ciò che percepii fu il nulla poiché ormai non c'era cosa alcuna che io potessi fare, ero costretta semplicemente ad abbandonare tutti i miei ricordi, tutta la mia vita e fu lì che la mia mente cominciò a naufragare fino a colare a picco in un non essere che mi aveva privato di aspetto umano, una bambola di porcellana con le fattezze di una bambina, ecco ciò che ero divenuta.
Vivere inghiottiti dall'oscurità, celati agli occhi del mondo esterno, inspirare ed espirare cercando di incamerare più aria possibile sottraendone agli altri, reprimere il proprio corpo affinché non senta bisogni, astenersi dal sonno, morire. Le nostre vite erano ormai solamente un insieme di azioni, se tali le si vuol definire, con le quali cercavamo di sopravvivere agli altri e a noi stessi.
Porcellana frantumata gettata fra il sudicio nello scantinato di una stabile, porcellana ricoperta da patine sottili di pelle, porcellana senza sogni e senza futuro. Vivere anzi cercare di sopravvivere in queste condizioni rende anche il più raffinato e colto degli esseri umani un abominio senza dignità, che è pronto a lottare brutalmente con una bambina per un pezzo di pane duro, un abominio senza nome ne patria pronto a vendere se stesso e gli altri per un bicchiere di acqua torpida, un abominio senz' anima pronto a commettere ogni crimine pur di proteggersi; voi avreste il coraggio di biasimarlo?
Voi che non avete mai sentito la paura penetrare violentemente sotto la vostra pelle e lacerare muscoli e legamenti cibandosi nel contempo delle vostre terminazioni nervose, voi che non siete mai riusciti a stare fermi nello stesso punto per più di qualche minuto, voi che non vivete che delle luci abbaglianti della vostra fatiscente società contemporanea biasimereste quell'uomo che ha sentito la sua pelle piagarsi ed imputridire nell'oscurità di una cantina?
Ma in fondo cosa siamo noi esseri umani, non siamo anche noi animali, certo che lo siamo, possiamo definirci animali aristocratici e colti ammaestrati alle arti e al bello ma non siamo certo pronti all'istinto di sopravvivenza che è la vera realtà, l'assoluto della nostra natura.
Dove è ora la vostra razza superiore?

Aprile 1945
I russi, gli alleati come venivano definiti alla radio, erano entrati a Berlino ed io nella mia ingenuità continuavo a domandarmi se questi alleati fossero i nostri e perciò ormai potevamo solo sperare in una nuova gloria o per noi, essi erano solo la prova definitiva di una indecorosa capitolazione della Germania di Hitler. Quando ero arrivata insieme a mia madre e alla balia nello scantinato avevo contato oltre a noi altre dodici persone ma ora eravamo rimasti solamente in sette, sette per così dire in quanto eravamo l'ombra di esseri umani eravamo ridotti ad un mucchio di coperte di lana e sporcizia che ci trascinavamo dietro ad ogni nostro passo, con le ossa che si piegavano sotto il peso delle nostre armature di fortuna per ripararci dal freddo.
Una mattina mi svegliai di colpo lasciando scappare quella quiete apparente e sognante che di sonno riposante aveva ben poco, i russi o almeno erano loro da quello che avevo dedotto, avevano fatto irruzione all'interno del nostro scantinato e a gran voce gridavano alla ricerca di soldati tedeschi, qui non ce ne erano proprio, infatti eravamo solo vecchi, alcune donne e bambini.
Erano in tre, tutti giovani ragazzi poco più che adolescenti, ragazzi che giocavano a fare gli uomini valorosi dell'esercito di liberazione con in braccio i fucili. Ci ordinarono di disporci in fila con la fronte rivolta verso di loro e ci contarono, pensai che se ne sarebbero andati subito dato che qui eravamo solo delle ombre coperte di cenci e non c'era nessun soldato e tanto meno armi, ma invece iniziarono a perquisirci tastandoci brutalmente, soffermandosi su noi che eravamo le più giovani.
Quando il soldato mi tolse le mani di dosso potei scorgere quello che sembrava un ghigno compiaciuto scambiando sottovoce alcune parole con un commilitone, mi prese per un polso e vidi mia madre e la balia correre verso di lui, non riuscivo veramente a capire cosa stesse succedendo, sentii solo due spari che rimbombarono nella cantina e nel mio cuore; fui trascinata a forza e sbattuta su di una brandina, mi spogliò e immobilizzò, non riuscivo nemmeno a respirare e in me si fece largo la verità fredda e affilata con tutta la realtà di quello che mi stava per accadere.
Chiusi gli occhi e cercai di imporre al mio corpo la sopportazione di qualunque cosa ma non riuscii a trattenere il gemito di dolore che sali dalla mia gola quando entro in me inumanamente, lo pregai lo supplicai e piansi ma ciò lo fece incattivire e il male che già prima era intenso divenne insopportabile ed ero consapevole che nessuno mi avrebbe aiutato mentre sentivo le mie membra infrangersi sotto il peso e le spinte delle sue.
Era questa la Germania gloriosa alla quale mio padre si era inginocchiato e aveva reso ogni onore e gloria?


Era seduta su di un ottomana rivestita da un disgustoso tessuto floreale, fuori era appena sceso il crepuscolo ma la stanza era già immersa nelle tenebre, la sonata per pianoforte in La maggiore di Wagner si diffondeva nell'aria con le sue note come un morbo; la tazzina con i residui del caffè era stata ancora una volta, per l'ultima volta accuratamente sistemata sopra il piattino finemente decorato.
Sedeva con le palpebre che pesantemente le ricoprivano gli occhi come i tendaggi di velluto rosso delimitano il palco alla fine di una rappresentazione teatrale separando la realtà umana degli attori e lasciando sognare al pubblico un finale o un proseguimento in una storia che in realtà finisce lì.

   
 
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