Capitolo
5
Don’t bother me
Il
turno di domenica mattina è qualcosa di devastante. Se bevessi sarebbe
disastroso perché dovrei smaltire la sbornia e tutto ciò non mi aiuterebbe di
certo nel catalogare i libri. Per fortuna non è il mio caso.
Non ho
bevuto, è vero, ma almeno la domenica vorrei stare a letto un po’ di più…
Se
ripenso al musetto triste che aveva il mio cuscino, quando l’ho abbandonato, mi
si spezza il cuore.
Mi
accascio sul bancone, decisa a riposarmi un po’, quando la campanella attaccata
alla porta tintinna.
Fanculo, mi tocca lavurà.
Mi
rialzo sui gomiti e sfodero uno dei miei sorrisoni
smaglianti più falsi che si siano mai visti.
-Heilà! Come procede, qua?-
Alzo lo
sguardo dal libro.
Mitchie, che tu possa essere
benedetta!
-Una
noia totale e allo stesso tempo un inferno!- comincio a sclerare,
accompagnando le mie sventure con ampi gesti teatrali degni della migliore
tragedia shakespeariana, -E un colpo viene la vecchia che ha letto tutti gli Armony e che, quando le propongo L’amore ai tempi del colera, mi dice che lei schifezze non ne
legge, e poi arriva la madre con il figlio che insiste nel volere le caramelle eeee…-
-Oddei, Sara, respira! Ti
ho portato un frappé dalla yogurteria qui accanto,
quindi bevitelo e vedi di darti una calmata, ok?- mi risponde lei, porgendomi
il bicchierone di carta e appoggiandosi poi sulla scrivania.
Io
annuisco e trangugio mezzo frappé (alla vaniglia, divino), intervallando sospiri a tirate di cannuccia.
-Cos’è ‘sta storia della
vecchia, degli Armony e…?-
-Niente,
semplicemente stavo venendo alle mani con un’ottuagenaria perché ha osato
venirmi a dire che L’amore ai tempi del
colera fa schifo! Ma te ne rendi conto? Già ho sopportato a fatica il fatto
che lo abbia paragonato a quei romanzetti da vedove allegre, ma insultarlo è troppo… Non c’ho più visto dalla rabbia!- e giù un altro
sorso.
Mitchie ridacchia ma, dopo
essersi beccata una mia occhiataccia inceneritrice,
si azzittisce e torna seria. Più o meno.
Io
riprendo a sorseggiare rumorosamente il mio frappé, facendo girare una signora
tutta impellicciata, che mi guarda piuttosto scandalizzata, beccandosi un mio
sorrisone a tremila denti per risposta.
Tzè.
Spero
di morire prima di diventare vecchia.
Il
silenzio viene ovviamente interrotto da Mitchie che,
le mani a coppa, inizia a bisbigliare parole sicuramente senza senso.
-Hey, hai notato quel
ragazzo?-
No, vabbè, non può…
-Dai,
non sporgerti, sennò ti vede… Quello con la giacchetta… È da quando sono entrata che non fa altro che
continuare a guardarti…-
Sì,
purtroppo l’ha fatto. Occhio di falco!
-Oh,
davvero? Non c’avevo fatto caso.- apro un cassetto,
fingendo di cercare qualsiasi cosa possibile ed inimmaginabile.
Non la
vedo, ma so che sta alzando un sopracciglio, lo sento.
-È cariiiiiino!- squittisce nuovamente.
Gli
lancio un’occhiata distratta, per poi tornare con lo sguardo a lei: -Non male.-
-Eddai, Sara! “Non male”?
Mi pare un po’ riduttivo.-
-E tu
mi pari un po’ esaltata. O sbaglio?-
Mitchie caccia la sua lingua
fuori e me la rivolge, fintamente sprezzante, interrompendosi però subito.
-Uh,
sta arrivando, falalala!-
COME?
In
effetti il tipo è già a meno di un metro dalla scrivania, e ha un libro in
mano.
Ovvio.
Quella
scema della mia coinquilina prende un depliant di non so quale mostra e
comincia a sfogliarlo svogliata, facendo finta di nulla, mentre il ragazzo si
materializza, intento a rigirarsi il libro tra le mani.
Non so
cosa stia aspettando, forse che lo chiami?
-Scusa,
devi…?-
Lo vedo
alzare gli occhi e guardarsi intorno, per poi ritornare con lo sguardo a me.
-Oh,
credevo ci fosse la signorina…- e, con un cenno del
capo, mi indica Mitchie.
-Oh,
no, lei è semplicemente la mia rompipalle preferita…
Dimmi pure.-
Mi
sorride e mi porge il volume, mentre miss “Falalala”
mi guarda malissimo.
-Toh, L’amore ai tempi del colera! Che scelta originale!- esclamo, sottolineando
volutamente l’ultima parola; il ragazzo arrossisce e lo vedo contorcersi le
mani, mentre Mitchie mi rivolge l’ennesima
occhiataccia.
Non
pensavo di farlo imbarazzare, uffa!
E sia.
Alzo
gli occhi al cielo: -Tranquillo, è un libro stupendo: hai fatto un’ottima
scelta.- e gli abbozzo un sorriso, a cui lui mi risponde con uno ancor più
grande e radioso.
-Ehm,
io mi sono ricordata di aver lasciato la pentola sul fuoco! Devo correre immediatamente a casa, altrimenti i miei
ramen vanno al Creatore! Ma voi continuate pure!- interviene farfugliando quella cerebrolesa
di Mitchie.
Le
lancio un’occhiata che è un misto tra l’acido e la compassione per il suo
patetismo, mentre il tipo le sorride bonariamente.
Quella
svitata sta per uscirsene, quando io la chiamo: -Mitchie?-
-Sì?-
-Controlla
se per caso c’è anche la tua testa, sul tavolo. Mi pare che tu abbia scordato
pure quella.-
La vedo
diventare ancor più paonazza, balbettare un mezzo saluto e volare via, facendo
sbattere furiosamente le campanelle attaccate alla porta.
Ma sbaglio o era parecchio su di giri?
Non
faccio in tempo a continuare i miei pensieri che il ragazzo riprende a parlare.
-Ehm,
ti secca dirmi di cosa parla… questo?- e mi fa vedere
il libro.
Oddei, ma chi me l’ha fatto fare!
Comunque
decido di indossare una maschera di falsa tranquillità e, dopo essermi
schiarita la voce, comincio: -Florentino è un
impiegato che ama Fermina, un’adolescente:
quest’ultima, però, si comporterà come se lui non esista affatto, sposandosi
con il medico del paese. E la vicende proseguono per una cinquantina d’anni,
con Florentino che continua a sperare in un
ripensamento della sua amata. È molto bello, davvero.- Mi fermo un attimo a
pensare. -C’è una frase… una frase che mi piace
parecchio. Dice: “È
incredibile come si possa essere tanto felici per così tanti anni, in mezzo a
tante baruffe, a tante seccature, cazzo, senza sapere in realtà se è amore o se
non lo è.” Penso che tutti abbiano vissuto, almeno una volta nella
loro vita, una situazione del genere. Ed è.. è penoso, ecco. Tutti dovrebbero
sapere cos’è l’amore, nessuno escluso.-
Rialzo
il capo e incrocio il suo sguardo, un’espressione indecifrabile nelle iridi.
-Scusami… Mi sono lasciata
trasportare un po’ troppo dalla fantasia, dal libro…-
distolgo lo sguardo. -Maledetto García Márquez…-
-Macché,
mi ha fatto piacere sentirti.-
Aggrotto
le sopracciglia e lo vedo, i gomiti sul bancone e il viso appoggiato sulle
mani. -Si vede che ti piace molto: riesci a farlo apprezzare anche ad uno che
non l’ha ancora aperto.- e mi sorride.
Vabbè, è carino. Molto carino. Ma con me non attacca.
Poi mi
ritorna in mente la domanda che devo fargli da venti minuti buoni:
-Scusa,
io e te ci siamo già visti da qualche parte, per caso?-
Lo vedo
vacillare, ma forse è solo una mia impressione.
-Ehm,
sì, ieri sera… Alla festa.-
Riduco
gli occhi a due fessure, sforzandomi di ricordare.
Ho un
flash.
Una
mano che stringe la mia. -Hey, vorresti sposarmi?-. Quattro ragazzi
con completi scuri e capelli in ordine.
Schiocco
le dita.
-Ci
sono! Sei uno di quei quattro che erano vestiti come gli esattori delle tasse!-
trillo, facendolo scoppiare a ridere.
-Eh
già, proprio uno di loro.-
-E come
diamine hai fatto a trovarmi?-
-Ehm…- tituba, le guance un
po’ rosse.
-Mi… Mi hai pedinata?-
strabuzzo gli occhi.
-Ma-macché…- balbetta lui,
ridacchiando -Il tuo amico, quello che mentre te ne stavi andando ti ha bloccato… Quello, ecco. Ho chiesto a lui.-
Dannato Daltrey!
Non solo mi scrocca i soldi perché li ha finiti, ma mi sputtana alla grande!
Questa me la paga.
-…E non ti ha detto come
mi chiamo?- riprendo la discussione, ostentando una finta calma.
-Ehm,
no. Mi ha solo detto che lavoravi qui. E devo dire di essere stato abbastanza
fortunato, date le condizioni in cui versava. È già tanto che abbia azzeccato
l’indirizzo della libreria.- mi sorride di rimando.
Ciucco come non so cosa. Dopo vado veramente a
fargliela pagare.
-Comunque… Posso sapere il tuo
nome?- riprende lui, sempre con il sorriso sulle labbra.
Lo
fisso. Vabbè, dirgli il mio nome non mi costa nulla.
-Sara.- replico asciutta,
forse un po’ troppo asciutta. -Tu invece sei quel McCharmly?-
Il tipo
scoppia a ridere: -Oh, no. Quello è uno stupidissimo soprannome che mi ha dato
quel cretino di Lennon. Il mio vero nome è un altro.- e mi porge la mano.
-Piacere di conoscerti, Sara: il mio nome è Paul, Paul McCartney.-
Restiamo
tre minuti buoni a fissarci, io con un’espressione alquanto perplessa e lui con
un sorrisone ebete che gli va da un orecchio all’altro. Evidentemente si sta
aspettando qualcosa.
Bah,
meglio interrompere questo silenzio imbarazzante.
-Oh. Va bene.-
A
queste mie parole mi sembra di vedere le sue braccia cadere in terra, ma è solo
frutto della mia immaginazione.
Ritrae
la mano e se la passa tra i capelli, per poi schiarirsi la voce: -Err, è stato un vero piacere conoscerti, Sara.-
-Uh,
anche per me.-
Riprende
a fissarmi, mentre io, con un sorrisone a tremila denti, continuo:
-Fanno
16 sterline e 45 pounds, Sir.-
Torno a
casa e mi accascio sul divano distrutta, pronta a cadere in uno stato
vegetativo, quando Mitchie mi assale.
-Allora-allora-allora?-
-Allora
che?- bofonchio.
-Hai
parlato con il tipo cariiiino?
Il tipo cariiiiino
ti ha chiesto il numero? Ti ha chiesto di uscire con lui, il tipo cariiiiiino?-
-Oddio,
Mitch! Se non la pianti di dire in continuazione “cariiiiiino” quelle i
te le faccio inghiottire una ad una, oppure te le ficco dove non batte il
Sole!- ringhio, per tutta risposta.
Si
azzittisce un attimo, pare pensare a qualcosa, poi riparte alla carica.
-Mmmm, ma assomigliava un
sacco a Paul McCartney! Cioè, era cariiiino- e qua c’è la mia occhiataccia torva, al che lei
si corregge subito -ehm, volevo dire carino,
come lui…-
-Paul chi?!-
Rotea
gli occhi: -Niente, lascia perdere. Vado a farmi un tè, va’.- e se ne va nel
cucinino.
Passano
un paio di minuti, tra il rumore di tazze, della scatola in latta che contiene
le bustine e dei miei occhi che, pur essendo stanchi, non vogliono saperne di
tirar giù le saracinesche.
-Uh! Sai
che coincidenza? Anche lui si chiamava Paul, ora che mi ci fai pensare…-
Un
enorme fracasso, causato probabilmente dalla caduta del barattolo di latta, mi
fa strizzare gli occhi e tappare le orecchie.
-Ahia, cazzooo! Mitchie, sono rimasta traumatizzataa! Ora resterò sorda e cieca a vita!- urlo
fuori di me, rotolandomi sul divano e simulando una sofferenza atroce. Anzi no,
un po’ soffro sul serio.
Ma il
peggio non è ancora arrivato. Difatti Mitchie mi
aggredisce, prendendomi per il colletto della camicia:
-CHE
CAZZO HAI DETTOOO?-
La
scosto e, riacquistando la mia proverbiale freddezza, la apostrofo con un bel:
-Hai sentito benissimo. Qua la sorda sono io, ricordi?-
Per
tutta risposta quella pazza si alza di scatto e comincia a camminare in tondo,
accompagnando ogni passo con una serie di -OMMIODDIO.OMMIODDIO.OMMIODDIO.-
Per non
sentirla inizio a fischiettare Satisfaction, al che lei mi salta nuovamente addosso.
-Aaaah, ma lo fai apposta, alloraaa!-
La
guardo stranita e riprendo fiato: -Tu. Non. Stai. Bene. Cazzo vuol dire “lo fai
apposta”? Cos’è che starei facendo apposta, scusa?!-
-Canti
i Rolling Stones!-
-Perché,
scusa, non posso?-
-Non in
questa situazione!- urla, riprendendo a girare in tondo, per poi bloccarsi di
nuovo -Ma ti rendi conto della fortuna che hai avutooo?-
-Scusa,
posso sapere di che cazzo stai parlando?-
-Quel
ragazzo non assomigliava a Paul McCartney!-
La
fisso stranita. Chi cazzo è ‘sto
McCartney?
-Quel
ragazzo ERA PAUL MCCARTNEY DEI BEATLES!-
Who are you?
Muahahaha! Ditelo che v’ho fregate tutte, avanti! :D
Dio,
quanto mi diverto a scombinarvi i piani x°°D
Coooomunque! La targhetta (splendida, come
al solito :Q_) è stata realizzata dalla mia socia, e
io non posso fare a meno di ringraziarla ♥
Per quanto riguarda il capitolo, posso solo
dire che mi sono divertita da matti a scriverlo, specialmente a rendere Paulie un adorabile demente :D
Ora vi lascio u.u
Alla prossima, darlin’
(:
Kisses,
Dazed;
p.s. Nel capitolo 4 l’unico
messaggio subliminale era il braccialetto con il ciondolo a forma di ragno (Boris The Spider degli Who vi dice nulla? :D)