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Autore: Yuki Delleran    27/12/2005    0 recensioni
Meiko, Satoshi, Kei, Suzu, Anju, Will, Yuko... storie d'amore dolci e amare... come la marmellata d'arance.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kei Tsuchiya/Alessandro, Meiko Akizuki/Meri, Satoshi Miwa/Steve, Suzu Sakuma/Suzi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

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L’INFINITO

 

«Mi dispiace, signore, ma è inutile che continui a telefonare. Non si sono liberati posti. E’ già stato fortunato a trovare un biglietto per il volo di domani considerando che è un giorno festivo.» disse la voce pacata dell’impiegata.

«Al diavolo!» esclamò William scagliando con rabbia il cellulare sul letto.

Alle sue spalle Michael e Brian lo osservavano preoccupati.

«Dovresti calmarti o finirai per avere una crisi di nervi.» consigliò il fratello maggiore.

«Come faccio a calmarmi?!» gli si rivoltò contro William. «La mia ragazza ha avuto un incidente e non solo non sono con lei e non so come sta, ma non posso nemmeno raggiungerla! Ho già una crisi di nervi!»

I due ragazzi uscirono dalla stanza rassegnati a lasciarlo sfogare. Fargli notare che prendendo il volo del giorno dopo sarebbe rientrato con loro, in quel momento non sembrava una buona idea. Accomodandosi sulla veranda insieme al fratello, Brian estrasse a sua volta il telefono cellulare dalla tasca dei pantaloni e compose il numero di Doris. Lei era l’unica da cui avrebbero avuto notizie fresche che potevano tranquillizzare William.

«Pronto…?» rispose la voce impastata della ragazza.

«Tesoro, sono io!»

«Brian? Tesoro un corno!» strillò Doris salendo di tono al punto da farsi sentire anche da Michael. «Lo sai che ore sono? Le sei del mattino! Mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fosse successo qualcosa a Jinny!»

«Proprio a proposito di questo…» tentò di intervenire Brian ma Doris continuò imperterrita: «E’ quasi una settimana che non ti fai vivo! Come osi chiamare adesso e farmi spaventare in questo modo dopo che te ne sei andato senza neanche fare finta di avvisarmi?! A proposito, come sta Yu?»

Colto alla sprovvista da quella domanda nel bel mezzo di una scenata, Brian ci mise un attimo a rispondere.

«Eh? Bhè… bene. Lui e Miki stanno bene. Will però non altrettanto. Rientriamo tutti e tre con il volo di domani pomeriggio. Doris, sinceramente, come sta Jinny? Cos’è successo esattamente?»

La sentì tentennare come se fosse indecisa su cosa rispondere, poi finalmente parlò.

«Jinny era arrabbiata con Willy perché, come qualcun altro di mia conoscenza, non l’aveva contatta prima di partire. Sai com’è fatta. Ha deciso per ripicca di partecipare a una di quelle feste zeppe di attori e modelli e mi ha chiesto di accompagnarla.»

Brian represse un moto di gelosia verso quegli ‘attori e modelli’ appena nominati e si impose di non pensare a simili sciocchezze in un momento come quello.

«Ovviamente sono andata con lei per tenerla d’occhio come sempre, e questa volta ho fatto davvero bene.» continuò Doris. «Stavamo rientrando, era mattina presto e avevamo bevuto un po’ tutti. Ho visto l’auto su cui viaggiava sbandare e andare a sbattere contro il muro di cinta di un palazzo. Probabilmente il ragazzo alla guida aveva avuto un colpo di sonno. Io mi trovavo sull’auto che li seguiva e abbiamo chiamato subito un’ambulanza. Sono così preoccupata, Brian! I medici hanno detto che ha battuto la testa e non si è ancora ripresa. Ti prego, tornate presto! Non ce la faccio da sola!»

Brian si rese conto che la ragazza stava per piangere e prese a rassicurarla alzandosi e lasciando solo Michael nella veranda.

«Saremo lì per le otto del mattino. Coraggio…» lo sentì dire il fratello minore e rimase ad osservarlo parlottare a bassa voce camminando su e giù per il giardino.

Quell’incidente era davvero l’ultima cosa che ci voleva per concludere una breve e piacevole vacanza, si disse sospirando. In quel momento sentì qualcuno scendere a precipizio le scale e si trovò davanti William con un’espressione stravolta.

«Allora?»

Michael lo guardò interrogativo.

«Allora cosa?»
«Non sono uno stupido! Brian sta parlando al telefono, voglio sapere se ci sono delle novità!»

Brian salvò il fratello da una probabile aggressione tornando verso di loro simulando quanta più calma gli era possibile.

«No, niente di nuovo.» disse. «Però tu faresti meglio a darti una calmata. Pensi di essere d’aiuto a qualcuno in questo stato?»

William si zittì all’istante: era un’esperienza decisamente nuova essere sgridato da un tipo allegro e impulsivo come Brian.

«Prima ha telefonato Miki per dire che stasera avrà ospiti a cena.» continuò il ragazzo. «Noi non saremmo certo di compagnia e anzi, date le circostanze, le rovineremmo la serata quindi andremo a mangiare fuori. Tutti.» Rimarcò l’ultima parola con un gesto deciso che non ammetteva repliche.

«Ti vanno gli okonomiyaki, Mikey?»

Il fratello minore annuì non osando replicare niente di diverso.

«Quante a te, Will, forse hai scordato di avere una faccenda in sospeso da sistemare prima di partire e non mi riferisco al lavoro. Ora vai e chiamala!»

William abbassò gli occhi sentendosi improvvisamente in colpa, sciocco, insensibile e una miriade di altre sensazioni negative. Mentre il cielo si rannuvolava minacciando un acquazzone, rientrò di corsa.

 

Era stata una giornata meravigliosa, come non ne trascorreva da anni. Kei era stato gentilissimo, al punto che si era quasi illusa che gliene importasse ancora qualcosa prima di rendersi conto che quello era il comportamento che avrebbe tenuto con una cara amica d’infanzia. Verso sera il temporale li sorprese per le vie del centro e i due ragazzi si ripararono sotto la tenda da sole di un bar.

«Accidenti, che peccato!» commentò Kei. «Se non fosse stato per questo avrei potuto dire di averti regalato l’appuntamento perfetto!»

Suzu sorrise passandosi le dita tra i lunghi capelli bagnati.

«E’ stato comunque tutto perfetto. Il più bel dono d’addio che abbia mai ricevuto.»

Rimase in silenzio appoggiata a lui godendo semplicemente della sua vicinanza finché il rumore della saracinesca del locale che si abbassava li fece sobbalzare entrambi. Non potevano più rimanere lì e la pioggia non accennava a smettere.

«E’ un guaio.» disse la ragazza. «E non abbiamo nemmeno un ombrello.»

In quel momento si sentì ricadere qualcosa di caldo sulla testa e sulle spalle. Alzando gli occhi si accorse che Kei le aveva messo addosso la sua camicia rimanendo con una leggera maglietta di cotone.

«Aspetta, io…» tentò di protestare ma il ragazzo la interruppe.

«Ti aspetta un lavoro importante, non puoi rischiare di ammalarti.»

«Nemmeno tu puoi ammalarti! Il concerto…»

Appena pronunciate quelle parole Suzu si rese conto che non sarebbe stata presente a quell’evento tanto atteso, e la sua espressione si fece triste.

«Non potrò vederti suonare. Mi dispiace.» mormorò.

«Poco male.» sdrammatizzò Kei. «Sbaglio o ultimamente non potevi sopportare di vedermi nemmeno vicino a un pianoforte?»

«Sì, ma…»

«Non prendertela. Non sarà niente di eccezionale.» continuò sminuendo brutalmente il lavoro che decine di persone stavano portando avanti da quasi un mese. «Ora andiamo. Si sta facendo tardi.»

Sentendosi improvvisamente sopraffatta dalla tristezza, Suzu si aggrappò al suo braccio. Non voleva lasciarlo, le sembrava ancora così presto.

«Vieni da me?»

Kei si liberò delicatamente.

«No. Avrai da fare.»

«Ma… la camicia… parto domattina, non potrò ridartela.»

«Non importa. Tienila pure, o buttala se non ti serve.»

Suzu strinse tra le dita la morbida stoffa celeste. Profumava di fresco. Profumava di lui.

«Sai che non lo farei mai.»

Lo abbracciò di slancio stringendolo a sé più che poteva. Alzò su di lui gli occhi umidi di pianto e lo baciò.

«Ti amo. Non dimenticartelo.»

Kei la lasciò fare e quando finalmente si staccò da lui i suoi occhi verdi esprimevano solo una grande tristezza.

«Mi dispiace.» disse semplicemente, poi uscì sotto la pioggia scrosciante lasciandola sola con il suo dolore.

 

Miki fece strada all’amica nell’ingresso di casa. Mentre la faceva accomodare in salotto incrociò Yu che scendeva dal piano superiore.

«Oh, Miki, per fortuna sei tornata!» esclamò il ragazzo. «Per la cena c’è…»

Vedendo Meiko alle sue spalle si bloccò, poi sorrise forzatamente.

«Meiko, benvenuta. Mangiate fuori? No? Miki, ti posso parlare?»

Così dicendo, senza aspettare la risposta della ragazza, la afferrò per un braccio e la trascinò in cucina.

«Cosa ti è saltato in mente di invitare Meiko senza avvisarmi?» esclamò minaccioso.

«Yu, che modi sono?» lo sgridò Miki. «Tu inviti Satoshi un giorno sì e l’altro pure. Per una volta che sono io a invitare un’amica! La volevo consolare, Satoshi si è comportato proprio male con lei.»

«Satoshi è di sopra!» la interruppe Yu sottolineando il concetto con un gesto eloquente della mano. «Ti posso assicurare che non le ha fatto nessuna cattiveria, anzi!»

Miki prese ad agitarsi.

«Comunque non possiamo farli cenare insieme. Meiko non lo vuole incontrare, non dopo averlo visto con Midori!... A quanto pare non si è accontentata di te…»

«Prego?» fece Yu strabuzzando gli occhi.

«Eh? No, niente… ehm… non farci caso!» si affrettò ad assicurare Miki accorgendosi di aver parlato troppo. «Comunque potevi dirmelo che si vedeva con lei.»

«Midori? La nostra segretaria? Che storia è questa?» fece Yu dubbioso. «Io invece penso che sia un’ottima occasione perché si parlino e chiariscano l’equivoco. Perché è di questo che si tratta. Stamattina, dopo aver scoperto che se ne era andata, Satoshi era davvero depresso. In realtà lui è ancora…»

Le parole di Yu vennero interrotte da un’esclamazione sorpresa proveniente dal corridoio. I due ragazzi uscirono dalla cucina e trovarono Meiko e Satoshi che si fissavano con aria sbigottita.

Il ragazzo ridacchiò dissimulando il disagio.

«Anche tu qui? Che coincidenza.»

Meiko non proferì parola ma si limitò ad un’occhiata risentita poi volse gli occhi blu verso Miki.

«Ceniamo fuori?»

«No.» rispose Yu  al posto della confusa fidanzata. «Abbiamo bisogno di un po’ di tempo per preparare. Perché ne frattempo non ci aspettate in camera? Will e gli altri sono fuori.»

«Ma…» tentò di protestare Meiko lanciando uno sguardo smarrito all’amica.

«Yu…» fece Miki per venirle in soccorso.

«Andate-di-sopra!» ripeté Yu perentorio e detto questo riportò Miki in cucina mentre i due salivano le scale senza guardarsi.

«Fidati.» le assicurò. «E’ per il meglio.»

 

La carta da parati color champagne cosparsa di fiori lucidi del medesimo colore rifletteva la scarsa luce che le tende scostate lasciavano filtrare dalla finestra. Nell’angolo opposto Meiko riconobbe il mobile a specchiera di Miki proveniente dalla vecchia casa su cui facevano bella mostra di sé i pupazzi dei kappa, cari ricordi di un periodo piuttosto turbolento della sua vita, e alcune fotografie che la ritraevano sorridente insieme a Yu e agli amici. Sulla parete di fronte al letto matrimoniale, uno scaffale di legno chiaro ricolmo di libri di architettura sottolineava come quella fosse una stanza chiaramente condivisa. La ragazza si diresse alla finestra tenendo lo sguardo ostinatamente rivolto verso il giardino.

«Non vuoi nemmeno guardarmi?» disse Satoshi accomodandosi sulla sedia imbottita di rosa della specchiera. «Se è per quello che ti ho detto…»

«Potevi essere sincero!» esclamò Meiko voltandosi di scatto.

«Lo sono stato. Ti ho detto quello che pensavo.»

«Non mi risulta che tu mi abbia chiesto di andarmene per lasciarti più libertà con quella rossa!»

«Perché non era quello che volevo.» rispose Satoshi senza capire. «Scusa, di quale rossa stai parlando?»

«La tua… segretaria.»

Il tono di Meiko era sprezzante e Satoshi comprese l’equivoco.

«Hai frainteso.»

«Certo, come no? E lei ti stava attaccata perché siete molto amici. Senti, non fartene un problema. Tornerò dai miei, li sopporterò. Troverò il modo di farlo. Almeno finché non troverò un appartamento.»

Satoshi si alzò dalla sedia e le si avvicinò sorridendo maliziosamente.

«Hai scritto in fronte ‘sono gelosa’.»

Meiko arrossì suo malgrado.

«Smettila di dire scemenze!» scattò innervosita.

L’espressione di Satoshi si fece di colpo seria. I suoi occhi blu erano talmente profondi che sembravano poterle leggere nell’anima.

«No, tu smettila di dire scemenze. Ma non hai ancora capito?»

«Ho capito fin troppo! Adesso lasciami in pace!»

Detto questo fece per afferrare la maniglia della porta e uscire, quando Satoshi la trattenne per un braccio.

«Non pensare che ti lasci scappare.»

Meiko tentò di liberarsi ma lui non accennò a lasciare la presa, anzi la costrinse a voltarsi in modo da poterla guardare negli occhi.

«Adesso ascolta mi bene. Sì, è vero, Midori è una mia amica. E’ figlia di un caro amico di mio padre, è ovvio che andiamo d’accordo e il fatto che lavori allo studio fa più comodo a noi che a lei. E’ vero anche che c’è stato un periodo in cui ho tentato di innamorarmi di lei, ma non ci sono riuscito e proprio ultimamente è successo qualcosa che ha dato il colpo di grazia ai miei sforzi.»

Meiko scosse la testa.

«Hai tentato? Cosa significa? Non capisco.»

«Invece tu dovresti capire meglio di chiunque altro cosa significhi stare con una persona per dimenticarne un’altra. Ho tentato in tutti i modi di mettermi il cuore in pace dicendomi che era passato troppo tempo, che ormai non c’era più niente da fare e che mi stavo solo facendo del male, ma è stato inutile. Akizuki… Meiko… io sono ancora innamorato di te.»

A quella rivelazione la ragazza sentì la testa girare e le ginocchia piegarsi. Innamorato di lei? Perché? E cosa significavano le lacrime che avevano iniziato a scorrerle sulle guance? Non era dolore, tristezza o pena. Era… sollievo?

 

L’ironia del destino vuole che

io sia ancora qui a pensare a te

Nella mia mente flash ripetuti

attimi vissuti con te.

E’ passato tanto tempo ma

tutto è talmente nitido

così chiaro e limpido

sembra ieri.

 

Ieri avrei voluto leggere i tuoi pensieri

scrutarne ogni piccolo particolare

evitare di sbagliare

diventare ogni volta l’uomo ideale.

Ma quel giorno che mai mi scorderò

mi hai detto non so più se ti amo o no

domani partirò, sarà più facile dimenticare

dimenticare…

 

E adesso che farai?

Risposi io non so.

Quel tuo sguardo poi lo interpretai come un addio.

Senza chiedere perché

da te mi allontanai

ma ignoravo che in fondo non sarebbe mai finita.

 

Teso, ero a pezzi ma un sorriso in superficie

nascondeva i segni di ogni cicatrice.

Nessun dettaglio che nel rivederti potesse svelare quanto c’ero stato male.

Quattro anni scivolati in fretta e tu

mi piaci come sempre forse anche di più

L’ho detto so che è un controsenso ma

l’amore non è razionalità

non lo si può capire ed ore a parlare

poi abbiam fatto l’amore, è stato come morire

prima di partire, potrò mai dimenticare?

Dimenticare?

 

L’infinito sai cos’è?

L’irraggiungibile fine o meta che

rincorrerai per tutta la tua vita.

Ma adesso che farai?

Adesso io non so.

Infiniti noi.

So solo che non potrà mai finire.

Mai ovunque tu sarai, ovunque io sarò

non smetteremo mai

se questo è amore, è amore infinito.

 

INFINITO…

 

“L’Infinito” © Biagio Antonacci

 

CONTINUA…

 

 

   
 
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