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Autore: Yuki Delleran    27/12/2005    0 recensioni
Meiko, Satoshi, Kei, Suzu, Anju, Will, Yuko... storie d'amore dolci e amare... come la marmellata d'arance.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kei Tsuchiya/Alessandro, Meiko Akizuki/Meri, Satoshi Miwa/Steve, Suzu Sakuma/Suzi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marmalade Love Stories

Marmalade Love Stories

Storie d’amore alla marmellata d’arance

di Yuki Delleran

 

9

A VOLTE SBAGLIARE NUMERO PUO’ ESSERE PROVVIDENZIALE

 

Una sottile bruma mattutina, residuo del recente temporale, avvolgeva l’aeroporto di Narita quando il taxi si fermò davanti all’ingresso principale e il ragazzo scese trafelato. Era molto raro che non sentisse la sveglia e con tutte le occasioni che aveva avuto, proprio quella mattina doveva succedere? Pagò velocemente la corsa ed entrò nell’atrio. Nonostante l’orario la gente non mancava e sembravano tutti molto indaffarati. Alzò gli occhi verso il tabellone delle partenze e si sentì girare la testa.

«Così imparo a non fare colazione! Ho bisogno di un caffè, ma sono terribilmente in ritardo!»

Si diresse verso la sala d’attesa del volo che gli interessava pregando di essere ancora in tempo e stringendo tra le mani il sacchetto dorato e il fiore avvolto nel tulle rosa che portava con sé. Poi la vide. Era seduta in un angolo della sala vicino all’ampia vetrata e ascoltava con aria annoiata l’interminabile chiacchiericcio della donna accanto a lei. Quando quest’ultima si accorse della sua presenza fece un cenno alla ragazza che si voltò nella sua direzione spalancando gli occhi.

«Kei! Cosa ci fai qui?»

«Bel modo di accogliere un amico che si è trascinato fuori dal letto a quest’orario indecente apposta per venire a salutarti.» brontolò il ragazzo.

Suzu si alzò e lo prese per un braccio allontanandolo dalla manager.

«Un amico… bhè, comunque è venuto… Ti senti bene?» chiese. «Sei pallido.»

«Non ho fatto colazione per la fretta. Non preoccuparti, mangerò più tardi.» disse Kei anche se iniziava a dubitare che quelli fossero semplicemente i sintomi dello stomaco vuoto. Aveva freddo e si sentiva la testa leggermente confusa.

«Sono venuto perché ci tenevo ad augurarti buon viaggio e a darti questi.» continuò porgendole il fiore e il sacchetto.

«Una pervinca.» mormorò Suzu. «Significa dolce ricordo.»

«Proprio così. Sei stata tu a insegnarmi il linguaggio dei fiori. Quello invece è un piccolo pensiero. Se pensi che sia fuori luogo o ingiusta da parte mia sei libera di farne quello che vuoi.»

Suzu estrasse dal sacchetto una scatolina ricoperta di velluto blu con eleganti bordi dorati e la aprì delicatamente. All’interno trovò una sottile catenina d’oro alla quale era appesa una piccola chiave di violino tempestata di brillantini.

«Sei matto! Ti sarà costata un sacco di soldi!» esclamò Suzu tentando di avere una reazione diversa dallo scoppiare miseramente in lacrime.

«Di questo non ti devi preoccupare. Suzu, per favore, adesso non piangere.» la pregò Kei vedendo gli occhi della ragazza farsi lucidi.

In quel momento annunciarono il volo per Los Angeles. Suzu ignorò la voce dell’altoparlante e continuò a rivolgersi a Kei.

«E’ bellissima e per niente fuori luogo. Mi permetterà di avere qualcosa che mi ricorda di te… anche se dubito che potrei mai dimenticarti. La porterò sempre, ti ringrazio tanto.»

La voce di Mariko la interruppe.

«Suzu, è ora di andare.»

La ragazza non si voltò nemmeno a guardarla e accennò a riprendere a parlare. Kei alzò una mano per interromperla.

«La tua manager ha ragione, non vorrai perdere il volo?»

«Veramente io… »

«Forza, non è il momento di farsi prendere dall’ansia. Vai e conquista l’America!»

Davanti a quel sorriso luminoso Suzu non resistè alla tentazione di abbracciarlo.

«Ti voglio bene.» sussurrò poi si staccò da lui e si avviò verso l’imbarco senza voltarsi.

 

Dopo il decollo dell’aereo e dopo averlo visto sparire nel cielo che schiariva, Kei si lasciò cadere su una delle poltroncine della sala d’aspetto sospirando. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato ma constatò che non era così. La consapevolezza di aver fatto soffrire Suzu più di quanto pensasse gli impediva di assaporare la sua nuova libertà. Inoltre la testa aveva cominciato a fargli male apparentemente senza ragione.

«Devo mangiare qualcosa.» si disse alzandosi con convinzione, ma venne preso da un violento capogiro e quando si riprese si accorse di essere ricaduto scompostamente sul sedile. «Accidenti, questa non è semplice fame. Ieri sera non avrei dovuto restare in canottiera e con i capelli bagnanti a chiacchierare col manager… Di questo passo non sarò nemmeno in grado di prendere un taxi…»

Stare in piedi gli dava fitte alla testa, capogiri e senso di nausea quindi rimase seduto mentre armeggiava con il cellulare nel tentativo di richiamare dalla memoria il numero dell’unico amico che gli veniva in mente dotato di auto e patente. Yu Matsura.

Rispose una voce femminile assonnata.

«Dev’essere Miki…» si disse il ragazzo. «Ciao. Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, ma potresti chiedere a Yu se può venire a prendermi a Narita? Non credo di riuscire a prendere un taxi…»

Un tintinnio risuonò acuto nel suo orecchio e il telefono rimase muto impedendogli di sentire la risposta che stava per giungere.

«Accidenti, la batteria!» esclamò Kei seccato.

A questo punto l’unica cosa che poteva davvero fare era aspettare e sperare che Yu arrivasse presto.

Era passata poco più di mezz’ora e si stava per appisolare sulla poltroncina, quando il tocco di una mano sulla spalla lo fece sobbalzare.

«Cosa ti è successo?»

Al suono di quella voce, Kei si voltò di scatto e a causa di quel movimento improvviso la vista gli si sfuocò.

«Yuko…?»

Una mano si posò sulla sua fronte.

«Scotti! Devi avere la febbre alta! Coraggio, andiamo.»

La donna lo sollevò quasi di peso guidandolo attraverso il grande atrio dell’aeroporto. Lo fece salire in macchina e partì verso la città.

 

Era primo pomeriggio quando i tre ragazzi varcarono la soglia dello stesso aeroporto diretti all’area dei voli internazionali. L’atmosfera era piuttosto cupa e le persone che li avevano accompagnati quasi non osavano augurare loro buon viaggio.

Anju si avvicinò timidamente a William. Occhioni dolci, labbra che sembravano fatte apposta per essere baciate…

«Faccio schifo. La mia ragazza ha avuto un incidente e io riesco ancora a pensare queste cose… Scusami, Anju, sono davvero una persona pessima.»

La ragazza non si scompose minimamente a quelle parole.

«Non scusarti, non è stata solo colpa tua. In un certo senso sapevo che sarebbe finita di nuovo così.»

Quanta tristezza in quelle semplici parole. Un rimpianto che lui provò l’impulso di consolare abbracciandola. Si trattenne appena in tempo. Lui non era Yu, l’amico d’infanzia di cui era perdutamente innamorata e che le aveva preferito un’altra.

«Già, ma sono Will che l’ha illusa cinque anni fa e adesso ed entrambe le volte l’ha abbandonata. Non so cosa sia peggio…»

La chiamata del volo per New York lo distrasse e nella sua testa ci fu spazio solo per il pensiero di Jinny.

Michael e Brian salutarono calorosamente Yu e Miki che li avevano accompagnati promettendo notizie al più presto. William si concesse un rapido abbraccio ad Anju poi si rivolse agli amici che lo avevano ospitato.

«Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me. Tornerò appena possibile per sistemare i problemi in sospeso con il lavoro all’osservatorio.» volse lo sguardo verso la ragazza. «Miki, sei stata una padrona di casa fantastica, fin troppo paziente.» poi strinse la mano a Yu strizzandogli l’occhio. «Sarà una perfetta mogliettina!»

Mentre Miki arrossiva, si accostò di più all’amico.

«Avevi ragione su tutto.» mormorò. «Abbi cura di lei.»

Yu annuì e poco dopo i tre amici si allontanarono. Ora li avrebbe di nuovo divisi un oceano.

 

Meiko sospirò e posò la penna sul foglio per metà coperto di una scrittura fitta e minuta. Aveva trascorso tutta la serata e gran parte della notte seduta al tavolo della sua stanza d’albergo e quello che aveva ricavato ora le stava davanti in tutta la sua quasi intollerabile realtà. Finalmente era riuscita a mettere nero su bianco la verità dei suoi sentimenti, smettendo di mentire a sé stessa, e per quanto ora le sembrasse inammissibile era sicura che sarebbe riuscita ad accettarla. Quello di cui l’aveva accusata Satoshi era vero: era gelosa. La sua dichiarazione, inaspettata dopo così tanto tempo e dopo le vicende che li avevano separati l’aveva resa… felice. Era felice che Satoshi fosse ancora innamorato di lei, felice che la persona che sapeva spronarla a dare sempre il meglio di sé e con cui nulla era mai scontato avesse continuato a pensare a lei per tutto quel tempo. Si sentiva mostruosamente egoista e felice. Sapeva che ora sarebbe stato tutto molto più complesso e non era ancora certa di quello che voleva. Le sarebbe occorso del tempo per capire sé stessa e la reale motivazione del negare con tanta ostinazione un sentimento che mai come ora le era parso chiaro. Tempo per sciogliersi dai precedenti legami. Tempo per trovare il coraggio di crearne di nuovi. Lui glielo avrebbe concesso? Sarebbe stato disposto ad aspettarla ancora? Non poteva saperlo. L’unica cosa che poteva assicurargli era che questa volta non sarebbe stato da solo.

Alzandosi con aria risoluta infilò in una busta il foglio su cui aveva scritto tutti i suoi pensieri, poi lanciò un’occhiata all’orologio della stanza. Segnava le 8:30 del mattino. Molto bene, a quell’ora gli uffici avrebbero dovuto essere aperti. Prese il telefono che si trovava sul comodino a lato del letto e compose un numero dalla sua agendina.

«Buongiorno.» esordì. «Vorrei parlare con l’assistente dell’avvocato Tanemura, la signorina Suzuki Arimi. Mi chiamo Akizuki.»

Dopo alcuni secondi la voce squillante di Arimi giunse dall’altro capo del filo.

Meiko sorrise.

«Arimi, avrei un favore da chiederti…»

Terminata la telefonata riprese in mano la penna e la busta, scrivendo la destinazione e indirizzandola al Sig. Miwa Satoshi della Prefettura di Kanagawa, Tokyo. Soddisfatta di sé per essere riuscita a compiere due grandi passi in una sola volta, si preparò velocemente e lasciò la stanza diretta al più vicino ufficio postale.

 

La busta raggiunse la sua destinazione la mattina successiva. Satoshi la trovò incastrata nella cassetta della posta davanti alla sua villetta celeste. Quando lesse il mittente quasi non credette ai propri occhi e si riprecipitò in casa ignorando la fretta che aveva avuto fino a pochi istanti prima. Si accomodò  su una delle poltrone del salotto e la aprì con le dita che tremavano leggermente. I suoi occhi scorsero velocemente il foglio che conteneva prima che riuscisse a impedirglielo poi, traendo un profondo respiro, riprese a leggere dall’inizio imponendosi almeno una parvenza di calma.

Non si trattava di una lettera e non era nemmeno direttamente indirizzata a lui. Poteva assomigliare a una pagina di diario. Quel foglio era un concentrato delle emozioni di Meiko, la ragazza aveva riversato in quelle righe tutta sé stessa, i suoi turbamenti, le sue paure, le sue speranze. Un passaggio in particolare lo colpì: “Lui è la mia fonte di ispirazione. Per quanto sia egoista, irrazionale e ingiusto da parte mia, l’unica cosa che desidero davvero è potergli stare vicina. Solo con lui ho l’impressione di poter essere pienamente me stessa, sa tirare fuori il meglio e il peggio di me e di questo gli sono profondamente grata. Satoshi seppe senza ombra di dubbio che quelle parole si riferivano a lui stesso e una gioia incredula proruppe in lui mentre esclamava a voce alta: «Egoista? Egoista?! Sciocca che non sei altro, io ti amo!» e scoppiava a ridere da solo. Sapeva di comportarsi in modo insensato, dopotutto Meiko non aveva scritto di essere innamorata di lui, anzi era stata molto chiara sul fatto di aver bisogno di tempo prima di creare nuovi legami, ma solo il fatto che lei desiderasse la sua vicinanza gli provocava un’ondata di felicità pura. Prima che si alzasse e prendesse a saltellare per la stanza però la sua euforia venne interrotta dallo squillo del telefono e dalla voce di un irritato Yu che dallo studio si aspettava una giustificazione più che valida per la sua mezz’ora e più di ritardo.

 

Fu un risveglio dolce, avvolto da lenzuola fresche e da una luce morbida che filtrava attraverso leggere tende colorate. Ancora intontito e confuso dalla nebbia del sonno, Kei si chiese da quando nel suo appartamento si trovavano tende del genere. Davano all’ambiente un’atmosfera accogliente che non ricordava.

Sentendo dei passi sommessi avvicinarsi, voltò piano la testa e scoprì di non trovarsi affatto nel suo appartamento. Yuko, che avanzava verso di lui reggendo un vassoio, si accorse che era sveglio e si inginocchiò accanto al letto.

«Ben svegliato, bell’addormentato.» sussurrò. «Come ti sento oggi?»

«Meglio.» riuscì a rispondere Kei.

Ora che era un po’ più sveglio ricordava cos’era successo. All’aeroporto aveva tentato di chiamare Yu, ma per errore aveva selezionato il numero di Yuko, immediatamente successivo. Così lei era corsa a prenderlo e scoprendo che aveva una febbre non indifferente, lo aveva portato a casa propria e messo a letto. Tutta la giornata e quella successiva le aveva passate nel dormiveglia, svegliandosi solo per bere qualcosa di simile a the e vedendo sempre Yuko accanto a lui. Ora finalmente si sentiva più lucido anche se non esattamente in forze.

«Mi dispiace arrecarti tanto disturbo.» disse. «Non volevo…»

«Alt, non dire altro!» esclamò Yuko. «A volte anche sbagliare numero può essere provvidenziale, e poi come resistere alla tua vocina che chiedeva aiuto al telefono?»

Yuko rise e Kei arrossì fingendo di sistemare le lenzuola per dissimulare l’imbarazzo. La donna gli porse la tazza che si trovava sul vassoio aiutandolo a mettersi seduto. Appena si alzò, Kei fu preso da un leggero capogiro che lo costrinse a riappoggiarsi al cuscino.

«E’ normale che ti senta debole, non hai niente nello stomaco.» sentenziò Yuko. «Bevi questo mentre ti preparo un po’ di riso.»

Kei prese la tazza scrutando dubbioso il liquido bluastro che vi era contenuto.

«Stai tentando di avvelenarmi con la scusa che non mi posso ribellare?» chiese alla donna che stava lasciando la stanza.

Yuko si voltò con espressione ironica.

«Chissà…» rispose. «Non è detto che quella sia una semplice tisana alla malva. Potrei avervi aggiunto qualche piccolo ingrediente segreto per, diciamo così, indurti a rimanere qui…»

Detto questo gli strizzò l’occhio e uscì diretta in cucina. Kei rimase immobile per un attimo e quando realizzò l’esatto significato di quelle parole, arrossì di nuovo.

Sorseggiando la tisana probabilmente addolcita da un cucchiaio di miele, il ragazzo si rese conto che la situazione gli stava sfuggendo di mano, anzi gli era sfuggita di mano già da un pezzo. Si sentiva sciocco ad arrossire in quel modo come un ragazzino alla sua prima cotta, a sentirsi a disagio eppure a desiderare così intensamente la vicinanza di lei. Prima d’ora gli era successa una cosa simile solo con Miki e lei lo aveva rifiutato. Quanto a Suzu,era stata sempre la prima a cercarlo e mai viceversa. Era la prima volta che una ragazza… una donna… gli “dava corda” in quel modo. Si sentiva sciocco, d’accordo, ma per niente intenzionato ad allontanare quelle sensazioni. Lei gli piaceva davvero molto e se, come sembrava, il sentimento iniziava ad essere reciproco, non sarebbe stato certo lui a tirarsi indietro. Mentre appoggiava la tazza sul comodino, si trovò a chiedersi che giorno fosse esattamente. Se erano passati due giorni da quella mattina all’aeroporto allora doveva essere… martedì.

«Yuko!» esclamò alzandosi di scatto.

La testa gli girò di nuovo costringendolo ad appoggiarsi allo stipite della porta che dava sulla cucina.

«Cosa fai in piedi? Torna subito a letto!» lo sgridò la giovane donna voltandosi verso di lui con espressione preoccupata. «La febbre non è ancora scesa del tutto.»

«Non sei andata a scuola!» esclamò Kei. «I tuoi allievi ti staranno aspettando e assentarti così dal lavoro potrebbe crearti dei problemi.»

«E’ questo che ti preoccupa?» disse Yuko sorridendo suo malgrado. «Stai tranquillo, ho telefonato alla direttrice domenica sera per chiederle un paio di giorni di ferie visto che dovevo curare una persona che si era presa l’influenza.»

Kei sospirò, voltandosi per tornare in camera.

«Una persona? Non era necessario, davvero. Le hai mentito inventando un fratello o un cugino?»

Yuko lo fulminò con lo sguardo indignata.

«Non sono abituata ad inventarmi dei parenti per giustificare le mie azioni!» esclamò. «Le ho detto semplicemente che il mio ragazzo si è sentito male e non volevo lasciarlo solo!»

Kei si bloccò e sgranò gli occhi incredulo balbettando: «Il… il tuo… ragazzo…?»

Questa volta fu il turno di Yuko arrossire.

«Bhè, definirti semplicemente un amico sarebbe alquanto riduttivo, non trovi?» disse guardando altrove. «E mi sembra un po’ presto per la parola ‘fidanzato’.»

Accorgendosi che Kei non si muoveva e non le rispondeva, Yuko riportò lo sguardo su di lui. Era immobile e volgeva le spalle alla cucina. Un silenzio imbarazzante era sceso tra loro e dovette fare uno sforzo per spezzarlo.

«Spero che questo non crei problemi a te.»

«Stai scherzando?!» esclamò Kei girandosi di scatto.

Il movimento brusco lo fece barcollare e Yuko fu lesta a sostenerlo e a riaccompagnarlo a letto.

«Adesso stai buono qui un altro po’. Il concerto è tra due giorni e devi assolutamente arrivarci in forma, capito

Così dicendo si chinò a posargli un bacio sulla punta del naso e se ne andò sorridendo lasciando un Kei a dir poco sconvolto per la piega inaspettata che aveva preso la situazione. 

 

CONTINUA…

 

 

 

   
 
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