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Autore: BellaLuna    27/01/2011    4 recensioni
Dall'ottavo capitolo :
- Ti sembra che Bra abbia qualcosa che non và? -
Pan alza un secondo il sopracciglio destro scettica,fissando lo zio negli occhi per poi alzare con nonchalance le spalle.
- Non che io sappia - risponde,sa che non è esattamente tutta la verità ma non dà peso alla cosa preferendo schizzare via in cielo prima che lo zio proseguisse con altre insolite domande.
Quello si ritenne non proprio soddisfatto al cento per cento ma d'altronde i suoi discorsi con Pan non riuscivano mai a durare per più di due minuti scarsi.
Sospirò, tornandosene in cucina appollaito sul comodo divano,sperando vivamente di non pensare più alla questione : sanità mentale di Bra Brief e company.
La cosa, comunque , non gli fu affatto facile ...
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Goten, Nuovo personaggio, Pan, Trunks
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Richiamo

 

La pioggia scende fitta dal cielo, cosparso da nubi nere e dense ,che oscurano il Sole e rendono l’aria fredda e cupa.

Il vento è così forte che sembra volermi graffiare il viso e impedirmi di respirare, e la pioggia battente rende la visuale delle strade confusa e sbiadita.

Con l’ombrello color blu notte aperto sopra la mia testa e la faccia completamente affondata nel colletto alto del mio giubbotto, avanzo svelta in una delle principali strade del centro, costellata da negozi e boutique di tutti i tipi.

Le persone sfrecciano ai miei lati, correndo ai ripari dentro qualche negozio o sotto qualche tendone di un bar.

I fulmini dividono il cielo nero in due parti e il rombo di un tuono ,subito dopo, è talmente forte da sovrastare il ronzio fastidioso dell’auto che sfrecciano nelle varie corsie, liberando nuvole di gas tossico che rendono l’aria irrespirabile.

Sento le mie mani farsi sempre più fredde e la mia vista farsi sempre più appannata a causa di tutta questa stramaledetta pioggia.

È sabato pomeriggio.

In teoria, a quest’ora ,dovrei già essere a casa a prepararmi per uscire con le mie amiche ma, purtroppo ,ho un problema urgente che devo risolvere entro queste due ore che mi rimangono.

Domani è il compleanno della nonna e io – come al solito – non le ho ancora comprato niente.

A dire il vero, questa settimana ,ero troppo presa dai miei pensieri e dai miei guai per avere la voglia e la pazienza di preoccuparmi di chiunque mi stesse attorno.

Avevano cominciato a darmi fastidio anche i Robot-Domestici che girano per casa, e che non emettono nessun suono se non quanto passano l’aspirapolvere.

In testa ho come una specie di tarlo-tormento, dove gli occhi grigi di quel ragazzo sconosciuto non la smettono mai di fissarmi e di studiarmi come un continuo test psichico.

Ma non vedo quello strano tipo dall’ultimo nostro incontro sul tetto, quando mi sono svegliata inerme e senza forze su una terrazza, esattamente quattro giorni fa.

Le mie notti sono sempre piene di strani incubi : da scimmioni enormi che distruggono tutto a baratri neri e sconfinati dove ,senza una ragione apparente, mi perdo e non riesco mai ad uscirne, se non quando mi sveglio, ansimante e stravolta come se avessi lottato per ore e ore contro un nemico invisibile.

E poi sempre quella specie di richiamo … quella specie di voce che mi cerca … subdola e incantatrice.

Che cos’è? Chi è ?

Sono le domande più ricorrenti che mi pongo, quelle che mi spaventano di più.

Sto diventando pazza …

Sbuffo e una nuvola di vapore esce dalla mia bocca mentre ,con sguardo attento, scruto tutte le vetrine di ogni negozio alla ricerca di qualcosa che vada bene e che possa piacere a mia nonna.

Non che lei avesse gusti difficili, si accontenta di qualunque regalo, basta che sia fatto con il cuore.

A dire la verità penso che questa sia una neina che si ripete fin da giovane, quando il nonno ,per San Valentino, invece di regalarle un pacco di cioccolatini o un cuore gigante di peluche gli mostrava i nuovi prototipi di air car.

Col tempo deve averci fatto l’abitudine ,così come anche mia madre.

Anche se ,i due punti di vista, sono estremamente differenti.

Mi fermo alla vista di un negozio di fiori e ,per un possibile acquisto, vado a fare una sbirciatina lì dentro.

Mi accoglie un signore sulla mezza età ,completamente calvo e alto tre volte la mia testa.

Ha un’aria seccata, per nulla cordiale o affabile e si limita a lanciarmi una lunga occhiata dietro il giornale che sta leggendo, seduto dietro un bancone di metallo grigio,  mentre io, con la massima indifferenza, poggio l’ombrello al lato dell’entrata e inizio a dare un’occhiata alle piante grasse ,che sono le preferite della mia stravagante nonna.

Sento lo sguardo perforante dell’uomo dietro la schiena squadrarmi, come se fossi una qualche specie di mentecatto evaso dal manicomio.

O una ragazza a cui è appena spuntata la coda.

Scuoto forte la testa a questo pensiero e ,alcune goccioline d’acqua, scivolano giù dalle punte dei miei capelli umidi e un po’ gonfi per l’umidità.

Inizio ad osservare le piante ,una a una, lentamente.

Non sono una grande esperta di questo settore ma ,ricordo che il nonno, quando era ancora molto piccola e soprattutto ancora innocente, aveva fatto una lezione di giardinaggio a me e a Trunks, sotto lo sguardo rassegnato di mia madre e quello sconcertato di mio padre.

Qualcuna di queste particolari piante emana un buon odore, altre sono belle da vedere magari all’entrata della casa, altre hanno una forma particolare e stravagante come se provenissero da un altro pianeta.

Nessuna di loro comunque, attira di molto la mia attenzione.

Delusa faccio un cenno di saluto all’uomo, prima di riaprire l’ombrello e uscire.

La pioggia mi ri-accoglie fra le sue braccia fredde e taglienti.

Un brivido mi attraversa la schiena mentre l’orologio di una chiesa alle mie spalle rintocca le sette.

Pan e Marron saranno già in viaggio verso casa mia.

Mi stringo forte dentro il mio capotto, prima di ricominciare la mia caccia al regalo.

Entro ed esco da vari negozi, non trovando mai niente che mi colpisca al punto tale da comprarlo.

La pioggia non ha intenzione di placare la sua furia così, stanca e demoralizzata ,mi affretto a sedermi dentro un piccolo Bar verso la fine del corso.

All’interno ci sono poche persone, molte delle quali però bagnate fradice dalla testa ai piedi, venute a stare qui alla ricerca di un riparo sicuro.

Mi accomodo in un piccolo tavolino vicino all’entrata e ordino un caffè bollente.

Con lo sguardo, scorro l’altra fila di negozi, che c’è dall’altro lato della strada.

Una gioielleria, una farmacia, una profumeria e un … un?

Il mio sguardo indugia su un piccolo negozietto dalla vetrina imbandita di luci colorate e strani oggetti.

Strano,penso.

Non avevo mai fatto caso a quel piccolo negozio d’antiquariato.

Bevendo velocemente il caffè ,che il barista mi ha portato e pagando il conto con un paio di monete, esco di nuovo per strada ,con l’ombrello aperto e fradicio sopra la testa.

Come attirata da quella luce tenue e da quella vetrina illuminata, attraverso la strada ,evitando pozzanghere piene di fango e lo sfrecciare veloce delle auto in corsa.

Quando arrivo mi soffermo sulla vetrinetta di vetro, dove esposti ci sono degli antichi vasi in terracotta e delle statuette di legno scolpite a mano.

Poi degli oggetti particolari come : medaglioni, cornici, bastoni da passeggio e orologi da taschino.

Sembra che ogni uno di essi brilli di luce propria, raccontando un piccolo frammento di storia a cui appartengono.

Incuriosita, varco la porta del negozio.

L’aria qui dentro è calda e accogliente, così come la melodia di un’orchestra di sottofondo che echeggia per la stanza unica del negozio.

Un’anziana signora è seduta dietro alla scrivania ,dove si trova una piccola cassa, su una strana sedia a dondolo di legno che scricchiola ad ogni suo movimento.

Alza un istante gli occhi piccoli su di me, mi vede e mi porge un sorriso cordiale.

- Benvenuta … -

La sua voce sembra provenire da un altro tempo, profonda e soave come un antico cantastorie.

Lentamente si alza e mi guarda dritta negli occhi.

Il suo sguardo e più amichevole di quello dell’altro commesso alla fioreria.

Sembra voglia leggermi dentro, ma con calma ,come se si aspettasse che ,da un momento all’altro, io debba fare qualcosa che già lei conosce.

Deglutisco ,non sapendo neanch’io il perché, iniziando a dare un’occhiata intorno.

Il pavimento di legno ,sotto i miei piedi, è sovrastato da vecchi tappeti persiani, ogni uno con una decorazione diversa.

Il lampadario ,appeso al soffitto alto, ricorda vagamente quello delle grandi sale da ballo, nei palazzi dei nobili.

Solo che, dove un tempo ci dovevano essere delle candele ,ora ci sono delle lampadine, che proiettano una luce gialla e fioca per rendere l’ambiente più tenue e stranamente … familiare.

Ai lati delle pareti, sono appoggiate mensole e librerie piene zeppe di strani oggettini colorati e di libri vecchi e polverosi, affiancati ad essi ,negli scaffali della parete sinistra, c’è un vecchio orologio a pendolo che scandisce ogni secondo con il ticchettio delle sue lancette un po’ arrugginite.

Al centro ,a qualche metro di distanza dalla scrivania di legno e dalla sedia a dondolo, c’è un grande tavolo in legno rettangolare, dove sono esposti le più svariate forme di vasi di ceramica e terracotta.

All’entrata ,attaccati negli stipiti della porta, ci sono due gatti ,alti quando un bambino di tre anni, di legno scuro che poggiano sulle zampe posteriori e sembrano fissare chiunque entri con i loro occhi vuoti e inespressivi.

Fanno pensare all’antico Egitto, così come anche tutti i papiri ,esposti in semplici cornici, nelle pareti di fronte all’entrata.

- Do un’occhiata in giro … - sussurro, sbottonandomi i primi due bottoni del giubbotto.

La signora mi sorride flebilmente, stretta nel suo vestito scuro di maglieria a tema floreale.

Il viso scavato ,con rughe marcate che sembrano sfregiarle in due la pelle, e un paio di occhiali rotondi ,che le nascondono gli occhi piccoli e verdi, poggiati bassi sopra un nasino alla parigina.

Con lo sguardo attento ad ogni oggetto, faccio un piccolo giro attorno il tavolo.

Non so spiegarmi bene il motivo, ma è come se mi sentissi attratta da tutti quei piccoli utensili, anche da quelli in apparenza più inutili e insignificanti.

Sento ancora lo sguardo della signora su di me e allora ,con un sorriso a mezza bocca, mi rivolgo a lei … cordiale.

- Sono molto belli … - parlo a bassa voce per non intralciare quella strana sensazione di pace,tranquillità e silenzio che alberga qui dentro.

Come se il resto del mondo, fuori da queste quattro mura ,non esistesse.

Il fruscio incessante della pioggia e i ruggiti gracchianti delle auto in corsa, ora mi sembrano solo un vecchio ricordo, talmente distante e lontano da me da non farci neanche caso.

- Stai cercando un regalo per una persona speciale? –

La domanda della donna mi fa sussultare leggermente e fa spostare il mio sguardo dal piccolo carillon che stavo guardando ai suoi occhietti vispi e verdi.

- Si … - rispondo, senza pensare ,spinta dalla stessa forza che mi ha fatto entrare in questo negozio.

- Ooh, allora ho quello che fa per te ,mia cara – mi comunica allegra ,con le mani intrecciate dietro la schiena e un sorrisetto compiaciuto sulle labbra sottili.

La seguo senza dir nulla, fidandomi.

La donna cammina con passo calmo e regolare ,senza emettere alcun suono ,mentre i miei stivaletti con tacco cinque provocano dei ticchettii fastidiosi quando vengono a contatto con il legno del pavimento, interrompendo così quella pace che regna sovrana.

La voce di un cantante lirico mi entra leggera nelle orecchie, così come il suono melodico dell’orchestra che segue.

Sembra una ninna nanna : lenta e dolce.

Girando di nuovo intorno al tavolo, la donna mi porta alla vetrina dove ,leggermente nascosto da un portagioie ricoperto di perline bianche e un orologio d’oro da taschino, si trova un ciondolo dove incastonata vi è una pietra luccicante ,che sembra brillare di luce propria e fare risplendere la stanza più delle lampadine su il lampadario ottocentesco.

Lo fisso incantata, non riuscendo più a distogliere il mio sguardo da esso.

Avverto dentro di me la voglia infrenabile di averlo, di stringerlo, di toccarlo.

Come se mi chiamasse … come se stesse aspettando me.

La mente mi si fa improvvisamente pesante e il mio corpo trema scosso da brividi.

- Co- cos’è? – chiedo titubante, la voce stranamente spezzata e flebile che stento a riconoscermi. 

Sembra una pietra preziosa, ma non ne ho mai visto di questo colore e soprattutto di così brillanti.

Nemmeno un diamante favilla in quel modo.

La donna continua a sorridermi, con ancora il prezioso oggetto in mano ,mentre sento il mio fiato diventare sempre più corto e la mia forza scorrermi impetuosa nelle vene.

È una sensazione strana in realtà, che mai avevo provato.

Il mio corpo sembra da una parte inesorabilmente attratto da quell’oggetto ,dall’altra è come se lo temesse ,che mi supplicasse di stragli alla larga.

Ma la testa è pesante e senza nemmeno rendermene conto alzo la mano come per sfiorarlo.

Ma mi fermo a metà indecisa.

- Questo è un cristallo molto particolare cara … - mi rivela la donna, ridacchiando sommessamente ,con un’aria saccente da grande intenditrice.

La mia bocca è secca, e anche se avessi voluto non sarei riuscita a spiccicare più nemmeno una parola.

Mi sento così inerme come in balia di qualcosa di molto più grande di me, qualcosa che mi spinge a compiere queste determinate azioni.

La donna mi guarda e annuisce tra se e se ,prima di continuare a parlare con la sua voce calma e caotica - … ne esiste solo uno in tutto il mondo di questi … solo uno … -

Le sue parole echeggiano dentro la mia mente come una neina stordendomi e confondendomi.

PRENDILO!

Mi ordina una voce nella mia testa con tono duro e freddo.

PRENDILO, ADESSO!

Ma la mia mano è ancora ferma lì, a mezz’aria indecisa e spaventata.

La donna sfrega un dito ossuto sulla parte in metallo che riveste il cristallo, poi sulla catenina lucida in argento.

- Non ti piacerebbe portarlo … Bra? – continua , ma ormai non la sto più a sentire, persa nei mille pensieri che in questo momento invadono la mia mente scombussolata e turbata.

Qualcosa mi sta chiamando … qualcosa.

Una serie di Flash invadono la mia mente e l’ultima immagine che vedo – prima di lasciarmi andare in balia delle mie sensazioni - netta e altera è la figura lattea di una scintillante Luna Piena che brillava orgogliosa su un vasto cielo nero e privo di stelle, poi avvicinai le mie dita, sfiorando appena nel centro quel ciondolo rotondo che brillò ,e la sua luce mi invase per un momento interminabile ,facendo scomparire ogni cosa intorno a me.

La Luce poi ,venne sostituita dalle Tenebre più nere, e tutto … calò nell’oblio.

 

Qualche minuto prima, Capsule Corporation …

 

Vegeta ,con un asciugamano sulle spalle e una lattina di birra gelata sulla mano destra, fissava attento le gocce di pioggia scagliarsi contro il vetro della vetrata, della cucina di casa sua.

Ipnotizzato da quella danza, sembrava completamente immerso nei suoi pensieri, assorto totalmente nel suo mondo.

Lo sguardo era vacuo come alla ricerca di un punto non distinguibile sotto quel manto scuro di cielo, che si divertiva a lanciare scintille e a buttar giù acqua a catinelle.

Portò un altro sorso di birra alla bocca, bevendo avidamente ,come per distrarsi dai suoi introversi pensieri.

Sentiva che c’era qualcosa là fuori.

Qualcosa che non andava, o che non andava esattamente come doveva andare.

Eppure ,si ritrovò a constatare indispettito, non avvertiva assolutamente nulla ,se non qualche scarica di energia dovuta ai fulmini violenti che si scagliavano dal cielo sinistro di quella sera.

Ma la sensazione era quella di sempre, impossibile e troppo crudele per non poterla riconoscere.

Era la stessa di quando aveva visto per l’ultima volta quello che un tempo era il suo pianeta o quando ,la notte prima del risveglio del mostro - panzone - rosa, non era riuscito a chiudere occhio.

Qualcosa non andava, ne era sicuro.

E il fatto di non sapere di che cosa si trattasse lo rendeva particolarmente irritato, ansioso e nervoso.

La lattina si attorcigliò come semplice carta velina sotto la presa ferrea della sua mano e il liquido biondo si riversò per tutto il suo palmo gocciolando poi sul pavimento di marmo bianco e lucido.

Bulma lo colse proprio in quel momento - dopo aver fatto accomodare Pan e Marron in salotto, spiegando loro gentilmente che Bra sarebbe arrivata a momenti - e con un’aria scettica e allo stesso tempo angosciata gli chiese diretta – Vegeta, che hai, che succede? –

La voce della compagna fece sussultare il sayan leggermente, e quando quest’ultimo posò i suoi occhi su di lei non seppe esattamente cosa risponderle ,perché neanche lui era ancora riuscito a darsi una risposta.

Decise di non considerarla proprio, e si sedette su una delle sedie attorno al tavolo rotondo, posando quel catorcio di metallo che una volta era la lattina su di esso.

- Ho fame! – proclamò autoritario, seppur con voce distante e assorta.

L’espressione scrutatrice nel volto della moglie però ,non si dissolse nemmeno per un istante.

Continuava a fissarlo sfacciata, sull’uscio della porta ,con le mani sui fianchi e la fronte aggrottata e pensierosa.

Vegeta sbuffò infastidito, non comunque intenzionato a dirle qualcosa di più.

Ma non c’è ne fu bisogno.

Il suono assordante di un tuono nella tempesta, le luci che saltarono l’attimo dopo all’unisolo in tutta la città, il silenzio che calò inesorabile dentro e fuori l’abitazione, e le tenebre che li avvolsero con il loro manto oscuro e devastante, risposero per lui.

 

Angolo dell’autrice …

Eccoci arrivati finalmente al momento clou di tutta la storia >.<

Spero di aver descritto tutto alla ben meglio e di non avervi confuso troppo le idee …

Ringrazio di cuore : MiladyN, Mimi93 , Fede8755 e Yori per aver recensito lo scorso cap ^^

Grazie anche a chi legge soltanto …

Un bacio,

Delphinium :)

  

  
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