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Autore: miss dark    27/01/2011    6 recensioni
Già, pensava Andrea guardando la piazza illuminata dal tenue blu del cielo, tu ce la fai sempre, tu sei la migliore, tu puoi fare tutto. Erano vent’anni che si ripeteva queste frasi e che costruiva la propria vita credendo in esse, ma ormai era stanca. Si sentiva infinitamente stanca e lontana dal proprio ideale di sé. Avrebbe voluto essere sempre al primo posto, ma non poteva. La vita, aveva scoperto troppo tardi, è fatta anche di sconfitte.
[Quinta classificata al concorso "Colori e...ore!" indetto da emily alexandre]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tremendamente blu





Andrea era seduta sulle grandi scalinate della propria università.

Erano le cinque del mattino e il vento dell’inverno soffiava secco e gelido tra le strade della grande città deserta. Andrea era sola con il silenzio e il proprio incontenibile rimorso: un triste triangolo di vertici indissolubilmente legati tra loro e, al contempo, disperatamente desiderosi di allontanarsi gli uni dagli altri.

Il cielo era un infinito manto blu, in cui solo un piccolo spicchio di luna calante brillava, proiettando sulla piazza e su Andrea una soffusa e malinconica luce, che sembrava ricordarle quanto poco lei avesse brillato nella propria vita e quanta poca influenza avesse avuto sulle altre persone.

Aveva bevuto tutta la notte con le sue amiche. Si erano divertite ed avevano dimenticato tutti i loro problemi, ma ora Andrea era sola e si sentiva confusa e abbandonata. L’alcool annebbiava la sua mente e le confondeva i ricordi, ma la sconfitta e la delusione bruciavano intensamente nella sua memoria.

Lei, la tanto lodata Andrea Sacchi, prima della classe, migliore tra i fratelli, era ora una pessima studentessa universitaria, bocciata tre volte e con risultati assai scarsi.

Non fa niente, aveva detto la madre al telefono, cercando di rassicurarla, la prossima volta andrai meglio, non ho dubbi. Sei bravissima.

Già, pensava Andrea, guardando la piazza illuminata dal tenue blu del cielo, tu ce la fai sempre, tu sei la migliore, tu puoi fare tutto. Erano vent’anni che si ripeteva queste frasi e che costruiva la propria vita credendo in esse, ma ormai era stanca. Si sentiva infinitamente stanca e lontana dal proprio ideale di sé. Avrebbe voluto essere sempre al primo posto, ma non poteva. La vita, aveva scoperto troppo tardi, è fatta anche di sconfitte e, o le accetti, o bevi e bevi finché non le dimentichi, finché non diventano un fastidioso ronzio nelle orecchie.

Era triste, lontana anni luce da quel mondo che l’aveva ferita troppe volte e in cui lei aveva, però, continuato ad avere fiducia. Ora, seduta sulla gelida pietra, con le lacrime agli occhi e le mani ghiacciate strette attorno all’ennesima birra, si rendeva conto che, per quante volte trovi la forza di rialzarti, ce ne sarà sempre una in cui la caduta sarà troppo profonda e il colpo troppo forte per lasciarti la possibilità di ricominciare. Si rendeva conto di ciò e sentiva morire qualcosa dentro di sé. La fiducia, la speranza, la voglia, la forza: tutti i suoi buoni propositi e i suoi ambiziosi obiettivi sprofondavano in un baratro profondo e lasciavano in lei una terribile sensazione di vuoto.

Estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una; quando l’ebbe finita, ne fumò un’altra. Osservare il fumo, nello stato di ubriachezza in cui si trovava, le impediva di pensare al proprio passato, ma non appena si distraeva, sentiva di nuovo la delusione farsi strada in lei.

Era una strana sensazione, insolita, diversa da tutte le altre, meno prorompente della rabbia, più duratura dell’indifferenza, più piatta e continua della gioia, più ingombrante della tristezza. Una sensazione nuova e incolore.

No, pensò Andrea, alzandosi all’improvviso, un colore ce l’ha: questo schifosissimo e sporco blu qui attorno.

Lasciò la bottiglia di birra sulle scale e iniziò a girare per la piazza, guardandosi intorno e odiando la luce bluastra che si espandeva per la città: ricopriva la strada, si arrampicava sui lampioni, scalava le case.

Andrea mise una mano in tasca e, invece di un’altra sigaretta, tirò fuori un sacchetto di plastica trasparente, contenente una pastiglia. L’aveva comprata qualche ora prima in un locale lì vicino ed ora la teneva tra le dita e la osservava come se fosse una piccola moneta d’oro di cui voleva accertare l’autenticità.

Pensò a se stessa e al vuoto che la riempiva, al buio che la circondava; mise in bocca la pasticca e la ingoiò. Non pensò alla vodka che aveva bevuto, allo spumante degli innumerevoli brindisi, al gin per divertirsi, alla birra che era costata poco. Tutto quell’alcool non bastava, evidentemente, per addormentare i suoi neuroni.

Andrea non pensò a niente, se non che voleva smettere di pensare.

Iniziava a sentire le formiche nella testa e mani e braccia raggelare. Si guardò attorno e vide che il blu infinito che la circondava stava cercando di impossessarsi anche di lei. Una massa informe di vermi blu strisciava attorno a lei e su di lei e, mentre si concentrava su come le formiche avessero potuto entrare nella sua testa, i vermi avanzavano e strisciavano e, lentamente, iniziavano a mangiarle la pelle.

Andrea urlò in preda al panico ed iniziò a correre per la strada, per scappare dalla piazza, ricoperta da quei vermi che lei temeva tanto, ma il forte vento di pochi minuti prima si era trasformato in un’insormontabile onda che le s’infrangeva addosso e che presto l’avrebbe soffocata. Non aveva via di scampo, l’unica cosa che poteva fare era nuotare. Perciò nuotò in quel mare blu e profondo che ora la trasportava lentamente ma inesorabilmente verso un’enorme caverna scura, illuminata da una piccola ma luminosissima lanterna blu. Andrea cercò di nuotare controcorrente, ma le sue braccia erano ormai fatte, anch’esse, di vermi blu.

Tutto era blu attorno a lei, tutto la soffocava, finché non si rese conto che la caverna non era altro che la stazione. Perché non ci aveva pensato prima? Colpa delle formiche! Se avesse preso il treno, si sarebbe salvata. Iniziò a nuotare con tutte le proprie forze verso l’entrata della stazione, ma quando vi arrivò davanti la trovò sbarrata da un’enorme tavola di legno: TE LO SEI MERITATO?, c’era scritto.

Come fare? Doveva passare da dietro ed entrare dalla porta secondaria, ma l’acqua si faceva sempre più profonda e la corrente sempre più forte. Lei era infinitamente spaventata e non riusciva a coordinare i propri movimenti.

Braccia, braccia!, gridava, ma i vermi non obbedivano e, anzi, iniziarono ad urlare con le loro bocche dentate: Te lo sei meritato? Te lo sei meritato? Urlavano sempre più forte e Andrea sprofondava sempre più in quell’abisso di voci e di onde che si confondevano in un’unica accecante luce che le faceva sanguinare gli occhi. Cercava il telefono nella tasca, per chiamare la madre e chiederle di dire a quegli schifosi vermi blu che se l’era meritato, se l’era meritato eccome!, ma la mano ebbe solo il tempo di afferrare qualcosa di cartaceo, prima che un’ultima enorme onda urlante si scagliasse addosso ad Andrea e la gettasse sul fondo di quel viscido mare. Batté la testa e l’ultima cosa che vide, prima di chiudere gli occhi sanguinanti, fu il cielo blu, rischiarato, in lontananza, dall’alba.

Luce, salva il cielo!, esclamò prima di abbandonarsi completamente ai vermi.

 

Erano le 5 e 20 di una mattina tremendamente blu.                                                                             

Il grande orologio della piazza non dava la possibilità di dubitare.

Il corpo di Andrea era freddamente steso in una via appena dietro la stazione, la testa reclinata contro il muro di mattoni, le gambe abbandonate sul marciapiede grigio, le dita della mano destra strette attorno ad un oggetto di carta: un pacchetto di Winston. Blu, naturalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Per quanto riguarda l’eventualità di morte a seguito di una quantità di alcool non indifferente e dell’assunzione di droghe sintetiche, non mi sono informata approfonditamente, ma ho letto articoli di giornale e chiesto nel forum (nella sezione “Domande che ti bloccano”) e mi hanno confermato che è più che possibile.

I parametri da rispettare per il concorso erano un personaggio (nel mio caso: studentessa), un orario (io ho scelto le 5.20 del mattino) e un colore (per me, ovviamente, il blu). Era da molto tempo che volevo scrivere una storia sulla droga e credo che ne scriverò anche altre. Per il momento, spero che mi facciate sapere che cosa ne pensate di questa.

A chi continua a seguirmi, nonostante tutto, a presto.

Miss Dark.


 

  
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