Libri > Il diario del vampiro
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Autore: Scaldotto    28/01/2011    2 recensioni
E se nell'oscura realtà dei fratelli Salvatore, nella Firenze Rinascimentale, non fossero stati soli?
E se questa persona li avesse raggiunti anche a Fell's Church?
E se avesse rubato il cuore di Damon, ma non sapesse cosa farsene?
Una creatura della notte, una delle più temibili, ma anche l'unica persona in grado di comprendere.
E se anche Elena ne fosse attratta al punto di venir posseduta dalla sua attrazione e dimenticasse Stefan?
E se a Stefan questa cosa andasse anche bene?
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Non è un addio

 

Circa un anno dopo.

 

«Damon.» chiamò la giovane, notando una figura stagliata contro la luce della luna, alla finestra della biblioteca spaziosa. C’era odore di vecchiume in quella stanza, e i suoi “nuovi” occhi potevano distinguere ogni singolo granello di polvere che volteggiava nell’aria tra sé e il vampiro. L’odore di Damon era insopportabile. Colonia? Forse. Di una di quelle ragazze la quale si era divertito a mordicchiare.

Poggiò una nivea mano sullo stipite della porta, e si concentrò sul movimento delle sue dita, per evitare di incontrare il suo sguardo. Indossava una lunga veste a balze, di un color rosa pallido, indistinguibile dal bianco al chiarore della luna.

Dopo averla resa come lui, come poteva andarsene?

Merda.

La consapevolezza della realtà la investì come una terribile doccia fredda.

All’inizio non era che la vocina fastidiosa della coscienza, quella vocina che lui le aveva insegnato a spegnere con facilità.

«Catherine.» disse severo, le sopracciglia corrugate. No, Damon non sapeva assolutamente gestire quel genere di situazioni, era come un gigante che maneggia dei delicati bicchieri di cristallo.

E in un battito di ciglia era già a pochi centimetri da lei, e le sollevò il viso tenendole una mano sotto il mento, in modo che gli occhi neri potessero specchiarsi in quelli di lei.

«Non fare lo schifo di sdolcinato con me, Damon Salvatore.» soffiò lei tra i denti, cercando di divincolarsi.

L’aveva usata. Perché si annoiava. Perché si sentiva solo.

Damon non la lasciò andare, con espressione dura a celare l’animo leggermente affranto del non riuscire a gestire un banale addio.

Cielo, ne aveva inferti così tanti, di addii! Dov’era il vero Damon? Perché la sua stupida lingua si attorcigliava?

Era vulnerabile, e lo irritava non poco il fatto che lei potesse percepirlo benissimo.

In fondo, dopo tre anni dall’inizio della sua nuova vita si era abituato a far perdere la testa a un milione di ragazze, che aveva sedotto, ma non aveva mai avuto alcun problema ad abbandonarle.

«Me ne vado.» disse, scandendo le parole, e inchiodando le iridi negli occhi di lei, così sfuggenti, facendo scivolare la mancina a stringerle l’avambraccio.

«Perché?» Sbottò lei, come se facesse cadere un masso gigantesco a terra, con un’espressione glaciale, di tacita sfida. Damon sapeva bene che non c’era una risposta convincente che le potesse dare, nessuna che potesse in qualche modo argomentare per convincerla. Perché lei non era stupida. Era una domanda trabocchetto? Forse. La giovane voleva trovare una risposta alle due domande.

«Perché ci dev’essere sempre un perché, Catherine? Perché le cose non possono succedere e basta?» contrattaccò Damon, ben sapendo che non sarebbe sopravvissuto, metaforicamente parlando, a quella conversazione. A meno che non tirasse fuori il Damon crudele, quello spietato e terribilmente maligno. Non sapeva nemmeno se questo avrebbe potuto ferirla. Da lei ricevette solo un amaro silenzio che non poteva, o forse non voleva, interpretare.

«Perché mi va, va bene?» rispose poi, praticamente contraddicendosi, ma che importava ormai? Perché doveva essere costretto a quell’agonia? Nonostante quella sua malach fosse la persona alla quale teneva di più al mondo, anche se si teneva ben lungi dall’ammetterlo, perché lo stava costringendo a fare questo? Non poteva semplicemente capire?

Lei lo capiva sempre. Perché adesso no? Perché è egoista, proprio come te!, pensò amaramente.

Cercò di stringerla a sé, ma non era più una debole umana. Lo respinse con un’estrema facilità.

«Vattene, Damon.»

Fu colpito da quelle parole nello stesso modo in cui l’avrebbe colpito un sonoro schiaffo, che si sarebbe effettivamente meritato, lo ammetteva anche lui.

Beh, la vampira stava cercando di capirlo, a modo suo. Catherine faceva tutto a modo suo.

 

La finestra si spalancò, lasciando entrare il vento gelido novembrino che piegava Praga da giorni, ormai.

Damon era sparito.

«Non è un addio.» le parole le arrivarono flebili ma chiare.

Catherine sospirò. Per quanto si sforzasse, non riusciva a odiarlo. Voleva detestarlo, ma non ci riusciva.

 

                                                                                     ***

 

Nulla ammorbidì il salto che Damon compì dalla finestra al terzo piano, atterrando praticamente in ginocchio sulla strada deserta per quelle quattro di notte.

Si tirò diritto e si spolverò con noncuranza i pantaloni neri.

I suoi ricci scuri sfioravano il colletto della camicia coperto dal cappotto, che si sistemò in modo da avere una buona metà del viso celata, lasciando intravedere solo gli occhi neri. Non voleva certo essere infastidito da nessuno, e non è che avesse proprio una buona reputazione tra gli uomini della città.

Non gli era ancora mai capitato di trasformare un umano in un malach, anche se avevano detto che sarebbe successo.

Infilò le mani nelle tasche e, costeggiando gli edifici della strada principale, indirizzò lo sguardo su un punto indefinito del cielo tempestoso, aggrottando le sopracciglia.

Non era mai stato particolarmente emotivo, nemmeno nella sua vita passata, per quel che si ricordasse. Quello era il ruolo di Santo Stefan.

Non che provasse emozioni talmente sconvolgenti da farlo cambiare, anche solo per un secondo.

Era… turbato? Forse. Turbato per il fatto di essersi lasciato coinvolgere emotivamente, il che non era affatto un bene.

Qualunque emozione è uguale a una debolezza che i nemici potrebbero usare contro di te. Era una lezione che aveva imparato da tanto tempo.

La sua figura scura scomparve tra la nebbia che agguantava le strade vuote.

 

 

                                                                                   ***

 

 

Stefan salì di sopra in un attimo, appena sentì che la massa di potere di Damon fu scomparsa in lontananza.

La finestra era spalancata, e da essa entrava un vento gelido.

Lui, abituato ormai al sangue di animale, si era abituato a quelle piccole debolezze quasi umane come sentire freddo.

Chiuse le imposte e si voltò verso Catherine, che aveva le braccia incrociate sul petto e un’espressione indecifrabile.

«Stefan, se n’è andato.» disse, senza che la voce si spezzasse, senza tralasciare alcuna emozione da quel viso splendido.

«Tornerà…» cercò di consolarla lui, avvicinandosi un poco, le sopracciglia corrugate e lo sguardo affranto.

«E quando lo farà, io non ci sarò.» rispose secca, alzando il viso e inchiodando gli occhi trasparenti di Stefan.

Verdi e limpidi. Buoni. Come lui.

Quindi, decisamente, non il suo tipo.

Tuttavia era piacevole passare un po’ di tempo con lui, dato che si prendeva tutte le colpe ed era molto premuroso. Bastava far finta di non bere sangue umano e Santo Stefan era al settimo cielo.

«Dove andrai?» chiese, preoccupato, allungando una mano sul braccio esterno della giovane.

Lei si ritrasse, leggermente stizzita, andando a sbattere contro il muro retrostante. Non con forza, per fortuna del muro.

Stefan la abbracciò.

Lei si irrigidì, diventando come una specie di tronco, solo molto più morbida.

Spalancò gli occhi quando lui la strinse un po’ di più e affondò il viso nei suoi capelli sciolti.

Sospettosa, scandagliò per bene la sua mente, ma, per la fortuna di Santo Stefan, non c’era nessuna intenzione strana, e così andava a confermare la sua fama di Santo.

Era… affettuoso? Che strano. E pure senza motivo.

Damon non era mai affettuoso, forse giocoso.

Provò a stringerlo anche lei.

 

 

                                                                            ***

 

Quando si svegliò, era stravaccata sul divano del salotto, adagiata sotto una coperta di lana.

La scalciò via senza ritegno, e, una volta in piedi, fece un giro su sé stessa per controllare la stanza, non si ricordava un bel cavolo di cosa fosse successa la sera prima.

“Aspetta, sono andata a letto con Santo Stefan?”

“No, beh, me lo ricorderei di certo”, pensò, il volto piegato in una smorfia riflessiva.

«Stefaaaaaaan!» chiamò, con voce imperiosa, sapendo bene che sarebbe arrivato in un lampo.

Ed eccolo lì, con espressione corrucciata, che rivolse prima alla coperta arrotolata per terra, poi a lei, che ghignava soddisfatta.

«Ho intenzione di andarmene. Oggi.» disse, giusto per gustarsi la reazione del giovane.

Questi corrugo le sopracciglia ancor di più.

Mmmh, lui mi lascerà andare, pensò Catherine.

«Sì… Ma…»

«Non preoccuparti, Stefanuccio, non è certo un addio.» disse sogghignando, e Stefan vide in quel sorriso e in quegli occhi Damon. Sospirò.


Angolino dell'autrice.

Bene, qui si conclude l'"introduzione" della mia fanfiction.

D'ora in poi i capitoli saranno ambientati a Fell's Church, nel presente.

Grazie a tutti quelli che hanno letto Beginning e che hanno letto Non era un addio,

ma soprattutto grazie mille al betaggio Bonnie _85, per aver riguardato questo capitolo e per aver corretto cose delle quali forse non mi sarei mai accorta. 

Bene... Recensite!

Bacioni,

Scaldotto

 

  
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