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Autore: spacedust    28/01/2011    2 recensioni
« I need a fix cause I'm going down... Down to the bits that I left uptown. »
Ecco la prima fanfiction che posto su questo sito, perciò sono un pò nervosa. Spero davvero che vi piaccia. :)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And the tears come streaming down your face, 
when you lose something you can't replace.
When you love someone but it goes to waste..
Could it be worse?


Ah, come mi capivano I Coldplay, nessuno.
Atterrati a Los Angeles, riposi il mio I-Pod nella borsa e mi costrinsi a scendere. Mi avviai al ritiro bagagli e presi le mie valigie, ma di papà neanche l’ombra. Come al solito era sempre in ritardo. SEMPRE. Anche al suo matrimonio arrivò in ritardo e fece lo stesso al mio battesimo, quindi non c’era bisogno di meravigliarsi.
Dopo un bel quarto d’ora ferma all’entrata del LAX ad aspettare mio padre, decisi di chiamare un taxi e di andare a casa quando, mentre stavo per prendere le mie valigie andai a sbattere contro qualcuno e finii a terra. « Cazzo, scusa! » esclamò il ragazzo che mi aveva buttata giù. Allungò una mano per cercare di tirarmi su ma io fui agile e mi alzai da sola.
« Non ti hanno insegnato a guardare dove metti i piedi? » dissi brusca. Ora che guardavo meglio quel ragazzo mi accorsi di quanto era bello. Ma che dico, di quanto era figo. Indossava una T-Shirt bianca con la scollatura a V e un paio di jeans stretti blu scuro. Portava i Ray-Ban e aveva stampato in faccia uno stupido sorrisino malizioso e sexy che avrebbe fatto sciogliere e arrapare qualunque ragazzina ingenua. Ma io non sono ingenua.
« E a te non hanno mai insegnato le buone maniere? »  mi chiese. Feci per rispondere ma proprio mentre stavo per aprire bocca e dire qualcosa il ragazzo venne chiamato da quello che immaginai fosse suo fratello.  « Beh, a quanto devo andare. Peccato.. » Mi disse, sempre sorridendo malizioso. Dio, gli avrei tirato un pugno in faccia solo per farlo smettere di sorridere in quel modo.
« Già. E’ un vero peccato. » dissi sarcastica. « Sai, spero proprio di rivederti. » mi sorrise ancora una volta e se ne andò. « Io no! » gli urlai di rimando. A quanto pare mi sentì perché lo sentii ridere.  Non appena il ragazzo se ne andò, mi sentii chiamare alle mie spalle. Mi girai e vidi mio padre che si faceva largo tra la folla spingendo e sgomitando per passare.
« Victoria! » urlò mentre spingeva via un ragazzino e mi veniva ad abbracciare. « Cavolo, scricciolo. Ti ho cercato per tutto l’aeroporto! » mi stringeva talmente forte da non farmi respirare. « Okay, papà ho capito. Ma adesso potresti anche lasciarmi, sai? Ho bisogno d’aria. » si scusò e mi lascio andare sorridendo come un ebete. « Sei davvero cresciuta! » disse, «  Sì, beh, non sono più uno scricciolo. Ho 19 anni adesso, duh. » gli sorrisi.
Nonostante tutto, mio padre mi era mancato. Cioè, lo vedevo solo a Natale e non chiamava spesso. Diciamo che non era il padre perfetto ma quando si applicava ci sapeva fare.  « Ehm, papà vogliamo rimanere qui a contemplarci o andare semplicemente a casa? » gli chiesi. Mio padre scoppiò a ridere, mi aiutò a prendere le valigie e andammo verso la macchina.
Durante il tragitto verso casa rimanemmo in silenzio, quando mio padre fu il primo a parlare. « Allora, Vicky? Come stai? » Non distoglieva lo sguardo dalla strada, ma sorrideva. « Sto bene, papà. B-E-N-E. E cosa? Tu e la mamma vi siete messi d’accordo per farmi innervosire? » gli chiesi irritata. « Preferivo quando mi chiamavi scricciolo. » sbottai. « Okay, scusa scricciolo. » disse e scoppiò a ridere. Risi insieme a lui e dopo 10 minuti circa arrivammo a casa.
L’enorme casa dove mio padre viveva affacciava sulla spiaggia, era una costruzione a due piani, ma era grandissima per un uomo solo. Certo, lui se la poteva permettere ma mi chiedevo spesso se non si sentisse un po’, appunto, ‘solo’. Sul retro c’era un giardino, anch’esso affacciante sulla spiaggia, ben curato e con una grossa piscina. « Ottima per le feste.. » pensai. Mio padre si accorse che stavo mangiando con gli occhi la piscina e rise. Mi accompagno in camera mia al piano di sopra e lì mi lasciò a disfare le valigie. Mentre mettevo a posto i vestiti nell’armadio scostai la tenda della finestra  e notai un gruppo di ragazzi in spiaggia, ridevano, scherzavano e si divertivano. Per un attimo provai invidia per loro, poi scossi la testa come per scacciare quel pensiero e mi gettai sul letto. Presi il diario e iniziai a scrivere.

Caro diario,
sono appena arrivata a Los Angeles. Non è poi tanto male, qui. Certo non è Londra ma qui sento che potrò distrarmi quanto basta. La gente che ci vive mi sta già sui coglioni, però. ( nota: ragazzo alto, figo e stronzo che mi ha scaraventata a terra all’aeroporto. )
Sembra strano, diario, ma sono arrivata da non più di 2 ore e già mi manca tutto. Mia madre, mio fratello, i miei amici  ( nonostante li avessi persi tutti ) e lui. Ma lui mi mancava anche quando ero a Londra.
Però devo ricominciare, DEVO FARLO. Lo devo fare per me. E spero proprio che Los Angeles mi aiuti a farlo.

Vick.

Posai il diario sul comodino e m’infilai il pigiama: una T-Shirt extra-large e un paio di boxer che avevo fregato a mio fratello ( dopo averli lavati e disinfettati, ovvio! ). M’infilai sotto le coperte e posso giurarvi che mi addormentai ancor prima di poggiare la testa sul cuscino.
  
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