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Autore: moira78    29/01/2011    15 recensioni
SEQUEL DI DESTINI INTRECCIATI. Dopo la vicenda del terremoto le vite di Ranma, Akane e company sono cambiate radicalmente e si sono formate nuove coppie. I destini, ormai indissolubilmente intrecciati, cominciano a essere ricolmi di desideri, di sogni, di illusioni: dov'è la felicità completa?
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 2: AKARI

Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...


Immagina non ci sia il Paradiso
Prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
Viva al presente...


(“Imagine” – John Lennon)

Lacrime di pioggia
il tuo ricordo mi parla
Dalla mia finestra
io guardo il mondo che passa

Ed ogni giorno ci sarai ogni minuto che vorrai ad ogni passo della vita
E quale strada sceglierai che direzione mi consiglierai ad ogni passo della vita
Sei solo un’ ombra ma la tua voce mi parla.

(Lacrime di pioggia
– Antonello Venditti)

You should come with me to the end of the world
Without telling your parents and your friends

You know that you only need to say the word,
So end my play with the end of the world.
But I know
That I’ll go away by myself
I feel you don’t want to come


Dovresti venire con me fino alla fine del mondo
Senza dire nulla ai tuoi genitori e ai tuoi amici

Sai che è sufficiente una tua parola
per mettere fine al mio gioco con la fine del mondo.
Ma so
Che andrò via da solo
Sento che tu non vuoi venire.


(End of the world - Aphrodite's Child)



Akari si accorse del cambiamento evidente sul volto di Ryoga e abbassò lo sguardo.

“Non mi guardare così, ti prego…” Disse sorridendo tristemente; i capelli corvini le ricaddero davanti al viso.

Il ragazzo sentì le gambe come immerse nella melassa e ogni passo gli costava una fatica inconcepibile; le si avvicinò annaspando come un pesce fuor d’acqua, prendendo fiato e rilasciandolo poco dopo nel disperato tentativo di articolare un suono che avesse un senso.
“Ma… come… quando…” Essenziale ma orribile, considerando che voleva dire qualcosa di confortante. Akari, però, non pareva dispiaciuta e alzò di nuovo lo sguardo su di lui con una serenità che gli fece male.

“È stato durante il terremoto: una trave mi è caduta sulla schiena. I dottori dicono che forse, col tempo…” Celò il senso di quella frase con un sorriso, ma Ryoga capì immediatamente che mentiva. La vide rianimarsi improvvisamente mentre diceva: “Oh, però fino all’altezza della vita sono sana come un pesce! Per fortuna il danno è esteso solo alle gambe. Posso ancora fare pesi, spostare le ruote a mio piacimento…” si produsse in una specie di piroetta spostando la sedia con agilità e una parvenza di allegria “…e avere dei figli in futuro!” Arrossì mentre ridacchiava evidentemente in imbarazzo.

Per fortuna? Solo le gambe? Figli? Oh dei, e ora cosa le avrebbe detto? E come soprattutto?! Si rese conto in un lampo che, probabilmente, Akari si aspettava che lui, innamorato, la sposasse nonostante tutto e le desse dei figli.

Oh, credimi, lo farei con tutto il mio cuore, se solo…

Si costrinse a sorriderle mentre si accucciava accanto a lei e le prendeva una mano, teneramente.
“Mi dispiace di non essere venuto prima, questa cosa del terremoto… sono stato così occupato con mille cose!” Subito dopo aver pronunciato quella frase si odiò e si sarebbe volentieri preso a pugni. Certo, era stato occupato a piangersi addosso e a innamorarsi, troppi impegni per passare a trovare un’amica che gli aveva dedicato alcuni dei momenti più belli della sua vita.

Akari annuì lentamente e gli passò una mano sulla guancia con dolcezza; Ryoga temette di scoppiare a piangere per quel gesto.

Akari, mia dolce Akari, cosa non darei per amarti…

“Sei tornato per me?” Mormorò quella domanda con un tono di voce così basso che solo standole così vicino riuscì a percepire. Nei suoi occhi vide passare due nubi, distintamente: quella della supplica e quella di un sentimento tanto vicino alla follia che temette di impazzire a sua volta se ci si fosse soffermato troppo a lungo.

Fu l’istante più lungo della sua vita.

Dalla sua risposta sarebbe dipeso il destino della ragazza e Ryoga Hibiki desiderò essere morto durante il terremoto di svariati mesi prima.

***



Finì di pulire il tavolo e lo guardò.

Il suo amico d’infanzia.
Il suo spasimante.
Suo marito.

Si erano sposati dopo che il Consiglio era stato messo a conoscenza che aveva sconfitto Ranma e lei. Ricordò quando aveva temuto che morisse. Aveva avuto paura, paura di perderlo per sempre. Aveva anche creduto di amarlo.

Ma non lo amava.
Lei amava Ranma. Non c’entravano le leggi del suo villaggio, lo amava davvero.

Era arrivata lì, stordita dalla perdita di sua nonna e di Ranma, con Mousse al suo fianco e gli anziani avevano deciso per lei.
Era stata celebrata una cerimonia breve e solenne e ora divideva il letto con un uomo che non amava.

“Mousse smettila”, si lagnò sentendo le labbra di lui sulla nuca. Non gli aveva permesso di toccarla e pensava che non l’avrebbe mai fatto. Non poteva concedersi al suo migliore amico. Non era giusto per nessuno dei due.

“Ma Shampoo…”

“Ne abbiamo già parlato”, lo liquidò abbandonando lo straccio sul piano di lavoro.

“TU ne hai già parlato! Io sono tuo marito! Potrò almeno baciarti!” Esclamò spingendola verso il muro.

“Mousse… ti prego…”

“No! Ascolta! – gridò scrollandola – Ho visto la morte in volto per te, mi sono umiliato, prostrato e ho gettato il mio amor proprio alle ortiche! Ora non puoi trattarmi così!”

Shampoo ebbe paura di lui per la prima volta in vita sua: i denti le batterono per la violenza con la quale l’aveva scossa. Sentiva le piastrelle del muro della cucina fredde e dure alle sue spalle e il corpo morbido e caldo di Mousse premere esigente contro di lei; gli occhi spalancati, la bocca socchiusa per lo stupore, Shampoo lo guardò mentre la baciava. Si sentì sospinta ancora di più contro il muro, mentre il ragazzo aderiva a lei, approfondendo il bacio, insinuando le mani sotto la gonna.

Lo schiaffeggiò.

I suoi occhiali volarono attraverso la cucina, ne vide la traiettoria con la coda dell’occhio e le parve che impiegassero un’eternità prima di sbattere contro il muro, poco più lontano, e rompersi. Shampoo avvertì l’ardore di Mousse scomparire, il suo corpo rilassarsi e lo vide rimanere lì fermo a guardarla gelidamente. Scorse il mare nell’iride verde smeraldo di lui e quasi ne fu attratta. Eppure ne era, allo stesso tempo, spaventata. Non voleva fargli del male, ma non si era mai comportato così prima.

“Perdonami Shampoo – le disse infatti – non so cosa mi sia preso.” Il tono della sua voce era piatto, meccanico. Cercò a tastoni gli occhiali rotti per qualche minuto e infine, quando li ritrovò in un angolo tra la credenza e il lavello, se li rimise sul naso anche se privi delle lenti. Poi uscì sbattendo la porta.

Shampoo scoppiò a piangere e si accasciò a terra. Le faceva male trattarlo così. Ma non poteva… non con lui. Gli voleva bene, ma non lo amava. Cominciò a raccogliere i vetri lentamente, metodicamente.

Il Consiglio voleva un erede.

E lei non era innamorata.

I vetri caddero di nuovo sulle piastrelle del pavimento, sparpagliandosi.

***



Akari colse l’esitazione negli occhi di Ryoga ancora prima che lui emettesse un suono. Ci aveva pensato, al suicidio, qualche tempo prima, quando i medici le avevano detto che c’erano ben poche speranze che riprendesse a camminare. Ma poi si era detta che c’era ancora qualcuno per cui valesse la pena vivere, oltre alla sua famiglia: il ragazzo con la bandana incarnava quel misto di dolcezza e timidezza esagerata che lei adorava. Inoltre, grazie a una fonte maledetta, si trasformava nell’animale che lei più amava al mondo. Se non era amore quello…

E le era rimasto solo lui per poter sperare in un futuro e in una vita normali.

Ora gli leggeva sul volto qualcosa che la spaventava ancora di più del fatto di non poter camminare: il rifiuto. La solitudine che sarebbe venuta. Il buio, l’oscurità.

La morte.

“Akari, mi dispiace, ma… no.” L’aveva mormorato appena, ma era come se glielo avesse gridato in faccia. Sbatté le palpebre, e quella fu l’unica reazione che ebbe: avrebbe voluto gridare e rompere a mani nude la propria sedia a rotelle, ma possedeva un autocontrollo che spesso stentava a capire lei stessa.
Vide Ryoga deglutire più volte, cercare le parole e capì che quella risposta gli era costata un coraggio abnorme. Allora gli pose un dito sulle labbra, per zittirlo dolcemente.

“Non fa nulla, io ti capisco.” La voce le uscì più ferma di quanto avesse sperato. Il cuore le martellava nella gabbia toracica come se volesse scappare via, correre lontano come non avrebbe più potuto fare.

“No, tu non capisci! Non è per… questo! Ti avrei voluta comunque con me se…” Dall’enfasi con cui aveva esclamato quelle parole, Akari capì che non era certo la sua condizione a spaventarlo.

Ryoga era andato là col chiaro intento di dirle addio, chiaro come il sole; e, se riusciva a immaginare quanto gli fosse difficile in condizioni normali, capì quanto gli fosse insopportabile dirle la verità vedendola ridotta così. Saperlo, tuttavia, non la aiutò a sentirsi meglio.

“È per lei, per Akane, vero?” Lo interruppe. Non odiava Akane, sapeva che il ragazzo era combattuto tra l’amore per lei e quello per la fidanzata di Ranma Saotome. Ma l’aveva sempre accettato: erano giovani, spensierati e pieni di vita; aveva tutto il tempo del mondo per conquistare il cuore di Ryoga.

Il tempo però si era fermato per lei il giorno in cui la sua casa le era crollata sulla schiena.

Ora la sua era solo una lotta per la sopravvivenza e per la normalità. L’ultima parvenza di un futuro sereno si era appena spenta: Ryoga, l’eterno disperso, Ryoga, il dolce maialino nero, Ryoga, così tenero e indeciso, aveva appena detto qualcosa con una sicurezza e una maturità tali che stentava a riconoscerlo.

È cresciuto. Lui ha potuto farlo e superare i momenti difficili…

“Oh, no… lei ora sta con Ranma! Cioè… sta davvero con Ranma. Se li vedessi non li riconosceresti, si vede da un miglio quanto si amano!” Ryoga smise di parlare improvvisamente, come conscio di aver parlato troppo.

Akari attese pazientemente, poi si decise a domandargli: “Allora… perché?” Stavolta la voce le si spezzò sull’ultima sillaba e non fu più tanto sicura di riuscire a frenare le lacrime.

Lo vide afferrare il bracciolo della sua sedia con entrambe le mani e stringerlo a tal punto che sembrava volesse spezzarlo. Poi, finalmente, parlò:

“Mi sono innamorato di un’altra, che io sia dannato se so come è accaduto.”

***


Shampoo si gettò sul letto, stanca nel fisico e nella mente. Per distrarsi dai pensieri angosciosi si era messa a pulire l’intero ristorante con una cura quasi maniacale: su alcuni tavoli si era accanita quasi con furia ed erano rimasti i segni della parte ruvida della spugna con cui li aveva

graffiati

lucidati fino a farsi dolere le mani. Solo quando si era resa conto che la spugna si era ormai ridotta a una poltiglia informe di colore verdastro e giallo aveva smesso. Si era trascinata in camera da letto

la nostra camera da letto

e aveva aperto tutti i cassetti con l’intenzione di fare le valigie e fuggire. A stento aveva riacquistato il controllo: con calma metodica aveva rimesso tutto a posto e fu allora che le trovò.

Foto.

Immagini della vita passata, quella vita che aveva vissuto mille anni prima. Prima del terremoto, prima che la sua adorata bisnonna morisse, prima che Ranma l’abbandonasse del tutto, prima che Mousse…

Ha rischiato di morire per me e io sono un’ingrata!

Si soffermò sulla figura del suo migliore amico in pantaloncini corti su una spiaggia, in mezzo a tutti gli altri. Lei stava abbarbicata al braccio di un imbarazzatissimo Ranma: gli occhi del codinato erano corsi preoccupati in direzione di Akane nel momento del flash, ma lei sorrideva con la guancia schiacciata sul suo avambraccio

facendo finta di non rendersene conto

senza rendersene conto. Il ragazzo dai lunghi capelli corvini aveva il viso rivolto verso di lei e, seppur col volto per metà nascosto dai suoi buffi occhiali, poteva percepirne la gelosia, il dolore.
Gli occhiali che io gli ho rotto. Il dolore che io gli ho procurato.

Per un attimo pensò che lui era là fuori, disperato e cieco

inerme

e sentì la punta acuminata del senso di colpa trafiggerle il cuore.

***


La sua mente si era arrovellata furiosamente per diversi secondi prima di concepire una risposta decente. Alla fine si era reso conto che la cosa migliore per tutti sarebbe stata dire semplicemente la verità; che senso avrebbe avuto rovinare la vita a se stesso, ad Akari e… a Ukyo con una bugia? A essere sinceri non era nemmeno così egoista da pensare esclusivamente alla propria felicità. Ma non avrebbe mai potuto prendersi gioco dei sentimenti di due ragazze che amava, seppur in maniera diversa: non poteva dare ad Akari quello che desiderava, non senza che risultasse un sentimento troppo simile all’amicizia e alla riconoscenza. E non poteva negare a Ucchan l’amore che meritava, abbandonandola in quel modo e facendola soffrire per il resto della sua vita.

Se sei davvero diventato un uomo, questo è il momento di dimostrarlo. Non sempre la verità rende felici tutti.

Quando le aveva detto quel no, le nubi che la ragazza aveva negli occhi si erano trasformate in qualcosa di indefinibile ma in qualche modo peggiore: era un sentimento definitivo.

Rassegnazione?

Ormai era troppo tardi per tornare indietro, doveva togliersi quel peso dal cuore e fare quello per cui era giunto fin lì. Ma, dèi, quanto era difficile con Akari in quelle condizioni! Si stupiva per l’ennesima volta della forza che aveva avuto a non voltarsi e fuggire.

Vigliacco, con Ukyo l’hai fatto eccome invece!

Anzi, pur con una sofferenza che lo spaccava in due, era addirittura stato in grado di dirle che non era per Akane, ma che amava un’altra. E in realtà sapeva anche benissimo come era accaduto, tutto ora gli appariva chiaro come la luna che si rispecchia perfettamente su un mare calmo.

Mentre tu trovi la pace in te stesso questa ragazza soffre terribilmente! La vita è talmente ingiusta…

Vide nettamente qualcosa che ormai si spezzava definitivamente dentro di lei e decise che, se non poteva spiegare i propri sentimenti perché a stento li capiva lui, doveva quantomeno fare qualcosa per renderla

felice?! Che felicità può avere questa ragazza ora che ha perso anche te?!

serena.

Si avvicinò ancora di più a lei, stringendole le mani con trasporto, desiderando darle una parte della sua vita per farla stare meglio. E tentò di trasmetterle quel sentimento con tutto se stesso.

“Akari, tu non immagini neanche quanto io ti voglia bene. Sono stato uno sporco bastardo a non venire da te prima, e mi prenderei a calci da solo se potessi! La verità è che avevo paura; Akane non mi ha mai amato, non potevo ferirla. Ma avrei ferito te e odiavo doverlo fare! Sono stato settimane ad arrovellarmi, a cercare di capire perché… l’altra e non te. E sai qual è stata la risposta?” Fece una breve risata infelice. “Che non c’era un perché. Era così è basta. E quando sono venuto qui da te, oggi, ero certo che non avrei mai trovato il coraggio di dirti una cosa del genere. Quando ti ho vista in queste condizioni io… ho desiderato morire.”

Tacque per qualche istante, cercando di tradurre in parole ciò che sentiva. Il volto di Akari era impassibile, pallido e attento.

“Ma non meriti le mie menzogne, né un amore che non sia degno di te. Ti posso giurare sul mio onore che ti starò accanto e sarò l’amico più fedele e leale che tu possa mai avere… ma non posso amarti come meriti, ti farei solo del male se fingessi qualcosa che non provo veramente.” Il vento fu l’unico suono a rompere il silenzio per circa un minuto.

Ryoga si rese conto per l’ennesima volta che, ultimamente, un mucchio di cose che prima non riteneva possibili si verificavano in lui con una semplicità impressionante. Non aveva mai espresso così chiaramente i propri sentimenti a qualcuno, forse nemmeno a Ukyo in quei brevi istanti di felicità.
Ora, facendolo, stava distruggendo la vita di una ragazza, ed era devastato da questa consapevolezza.

***


La prima cosa di cui si rese conto, una volta aperti gli occhi, fu che il sole inondava la stanza mentre tramontava. Si stropicciò le ciglia: si era addormentata in mezzo ai ricordi come una scolaretta, lei, un’amazzone!
Si alzò a sedere di scatto, cercando di riacquistare la propria fierezza e la foto cadde con un bisbiglio di carta. La raccolse e la guardò ancora una volta: la sua bisnonna la guardava dall’alto del suo bastone quasi con rimprovero.

Se almeno tu fossi qui…

Sospirò: non era piangendosi addosso che sarebbe giunta a una soluzione. Doveva prendersi le sue responsabilità e basta, non era più una bambina!

Risoluta, aprì il cassettone del comò e ne trasse l’album di foto per riporre quella che ancora stringeva tra le mani. I ricordi erano stati la sua ancora di salvezza per troppo tempo, era ora di vivere nel presente e accettare la realtà. Trovò una trasparenza vuota e ripose quel frammento del suo passato in mezzo agli altri, imponendosi di non guardare le immagini che riempivano le pagine

in ogni singola foto Ranma ha lo sguardo rivolto a lei…

di quell’album impolverato.

Invece Mousse guarda sempre te, disperatamente…

“E così sia.” Disse alla stanza vuota. Il suono della propria voce quasi la spaventò: la decisione che vibrava in essa non era pari a quella che provava. Ma ormai non poteva e non voleva più tirarsi indietro. Si abbracciò per un istante le spalle, sentendo la propria pelle fredda, domandandosi se una volta fatto il proprio dovere sarebbe stata la stessa. Fece scivolare le mani sulle proprie braccia in una carezza confortante, assaporandone la morbida innocenza a cui stava per dare l’addio definitivo con

il suo migliore amico, l’unico uomo che l’amasse…

un uomo che non amava quanto Ranma.

Avrebbe dato un erede al Consiglio, un figlio a Mousse… come ci si aspettava da lei.

***


Akari ascoltò le parole di Ryoga come se venissero da lontano, sussurrate da una nebbia ignota nei reconditi meandri del suo cervello.
Pochi minuti prima, quando lo aveva visto nel giardino di casa sua, aveva temuto che fosse un’allucinazione; poi si era detta che, se fosse stato così, anche Biancanera avrebbe dovuto esserne vittima. A stento si era resa conto di non poter correre da lui e per un attimo aveva provato una rabbia cieca nei confronti di se stessa.
Lo aveva visto boccheggiare di fronte all’evidenza della sua condizione, ma il timore che lui avrebbe potuto rifiutarla per quello non l’aveva neanche sfiorata.

Ryoga era venuto per dirle che l’amava.
Ryoga era venuto per dirle che voleva sposarla.
Ryoga era venuto per dirle che voleva passare tutta la vita al suo fianco, che si sarebbe preso cura di lei nel bene e nel male.

Invece no.

E non perché fosse inchiodata su una sedia a rotelle, ma perché si era innamorato di un’altra; un’altra che non era Akane. Una terza donna per cui ora Akari provava un sentimento che mai, mai nella sua giovane vita aveva pensato di poter provare.

Odio.

Tremò al pensiero di essere diventata, a causa delle sue gambe, una persona triste e rancorosa, ma si arrese all’evidenza che la vecchia Akari, felice e spensierata che amava la vita e le persone, era morta il giorno dell’incidente. Al suo posto c’era un essere misero e inutile, ora anche irrimediabilmente solo.

“Chi è lei?” Chiese senza lasciar trapelare alcun sentimento. Se avesse lasciato che la nuova se stessa prendesse il sopravvento si sarebbe persa definitivamente e non voleva che accadesse di fronte a lui.

Lo vide distogliere lo sguardo e lo udì fare un nome che la lasciò spiazzata. Si accigliò, incredula, tentando di riportare alla memoria quello che sapeva della cuoca di okonomiyaki; non era una delle promesse spose di Ranma? Lui non la ricambiava e la ragazza doveva soffrirne parecchio. Come era potuto accadere? Non aveva molta importanza, ma prima di

morire…

dire addio a Ryoga per sempre voleva per lo meno essere sicura di lasciarlo a una donna che lo amasse sinceramente. Glielo chiese, e rimase ad ascoltarlo mentre il sole tramontava dietro le montagne in un tripudio di colori.

Mentre il suo piccolo mondo, rinchiuso in quel giardino dove c’erano solo loro due, riceveva gli ultimi raggi di sole.

Mentre si domandava se, nel momento in cui tutto sarebbe cessato, la parte oscura che sentiva prendere il sopravvento nel suo animo l’avrebbe abbandonata togliendole un peso orrendo.
   
 
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