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Autore: Invader_from_Hell    12/01/2004    2 recensioni
Totalmente persa nel calore di un pomeriggio passato ad interrogarsi sulla transitorietà dell'esistenza umana e sulle abitudini della gente. Amore in un momento come tanti..
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gravità…

Freddo Fluire…

 

Invader: Ascoltando la canzone “Genesis of mind” dei Luna Sea, la dolcissima chitarra di Sugizo mi ha ispirato questa one-shot, alla quale pensavo già da un po’… cerca di descrivere uno stato d’animo complesso, di abbandono e lontananza, ma anche di grande ed atroce dolcezza. Di getto come al solito, non so scrivere che così… piccolo omaggio a Gravitation in un paio di nomi...

 

Hajimemashoo…

 

Era proprio perso quella sera… e persa era anche la sera stessa.

Le luci là fuori… non aveva bisogno di sporgersi tanto per scorgere le macchine che sfrecciavano in strada. Una delle più trafficate dell’intero Shinjuku (un quartiere di Tokyo). Passavano senza lasciare nemmeno un ricordo del loro passaggio, ed erano tutte uguali. Almeno dal decimo piano sembravano non differenziarsi in alcun modo… alcune però si decoravano di luci rosse intermittenti e leggermente fastidiose, come rubini in un anello troppo vistoso. Altre invece sembravano somigliare più a piccoli aerei che sfreccivano nei cieli asfaltati in un’infinita antifrasi, fino a sparire del tutto.

Avrebbei tanto voluto essere a conoscenza dell’identità di ogni singolo autista… della loro storia, della loro famiglia, della loro destinazione.. sapere se quella luce rappresentava per loro la proiezione della propria volontà transitoria, oppure… soltanto vederli in faccia una sola volta. Avrebbe voluto ricordare ogni singolo volto, chiuderlo in uno scrigno insieme a tutti gli altri e portarlo con sé fino all’ultimo giorno. E dopo il trapasso avrebbe usato tutti quei volti per non restare solo. Era convinto che fosse necessario ricordarne tanti per essere davvero al sicuro. Perché secondo lui si era sempre soli.

Inutile comunque, quegli aerei da asfalto passavano e si volatilizzavano, senza la minima pietà nei suoi confronti, senza la voglia di restare un po’ a fargli compagnia. Ma questo non era un problema, e neppure quello di cui aveva seriamente bisogno.

Ne vedeva così tante sfrecciare giù, adesso. Ed erano esattamente tutte uguali, come lo erano sempre state dal decimo piano di un palazzo. E poteva solo verificare e provare ad indovinare quale sarebbe stato il pattern luminoso dell’auto successiva, a seconda della velocità e dell’andatura, dati comunque quasi impercettibili da quell’altezza.

Proprio coem l’esistenza umana, infondo. Un languido viaggio che tutti percorriamo aventi per spettatori il resto degli abitanti del nostro pianeta. Apparentemente senza senso, come un’uscita in macchina di un gruppo di ventenni la domenica sera quando sanno di non aver voglia di andare in un qualche locale.

E le luci nel grande boulevard che percorriamo si accendono e si spengono, ma anche in presenza di luce, i nostri abbaglianti si mantengono ben in funzione, e siamo esposti al giudizio degli abitanti di tutti i palazzi del mondo, della nostra vita.

Ci vedono sfrecciare, lasciandoci dietro solo la domanda “ chi verrà dopo? Hai già capito di che macchina si tratta?”. E siamo tutti uguali dalle grandi altitudini, chi ci guarda da lassù a fatica riesce a dare un senso al nostro continuo illuminarci per farci strada nel buio. Da lassù anche la luna basta ad illuminare tutto. Ma si vedrà la luna da una città come Tokyo? Non si ricordava se la Luna splendesse a Tokyo. Forse era stata bandita in qualche epoca precedente. Forse nella Yamato Jidai.. ma come poteva esserne sicuro? Non era uno yamatologo, anche se forse lo sraebbe diventato. Era un bel nome “yamatologo”, dava l’idea di uno che se ne intendeva davvero. Di tutto. Non solo di epoca Yamato.

E anche quel pensiero scomparve lasciando tante domande, come tutte le macchine che attraversano il grande boulevard della vita.

Adesso si sentiva frustrato.

Le macchine l’avevano annoiato e neppure riusciva a considerarle mezzi di trasporto.. erano puntini rossi e gialli adesso, che passando creavano nel fondo della sua visione una fastidiosa gravità aumentata per le lacrime. Se le sentiva schiacciate addosso. Pronte a penetrargli nel cervello. Masayuki però, non aveva la minima voglia di piangere.

E Shuichi non si sarebbe avvicinato per il momento, si sarebbe limitato ad osservare la scena da dietro le righe di un libro di Yukio Mishima, “La foresta in fiore”.

Yuki (lo chiameremo così per comodità) pensò che fosse ora di trovare un altro soggetto da osservare, sperando che non sfuggisse come le macchine, ma che lasciasse almeno una sensazione a testimonianza del suo passaggio.

L’appartamento era pervaso da elegante modernità, che faceva sentire i due ragazzi protetti da qualcosa di superiore, ed appartenenti ad una dimensione che poteva permettersi di passare una serata a osservare le macchine di Shinjuku.

Faceva tutto sommato freddo fuori, mentre dentro l’appartamento il riscaldamento era piuttosto alto. Ma non l’avrebbero abbassato.

Le cime degli alberi che popolavano il viale, simili a sottospeci di pali della luce frondosi, si muovevano sensibilmente, un po’ di vento doveva essersi alzato da quando erano arrivati a casa della loro amica. Quando Sonoko entrò nell’ampio salotto, non si soffermò molto a chiedersi cosa stessero pensando i due – per lei era sempre piuttosto chiaro- bensì provò a indovinare cosa stesse guardano Yuki con tanto interesse. Poi si ricordò che erano al decimo piano, e che quindi il ragazzo doveva essere perso nei suoi pensieri, che non necessariamente rimanevano nella sua testa, spesso potevi vederli charamente delinearsi sui contorni del vetro rinforzato della finetra. Quella era la finestra di Yuki da un anno a quella parte. Lei stessa ci pensava con affetto, a quella finestra. Era Yuki stesso quel vetro, che ogni volta rimaneva inviolato, fatta eccezione per un alone quasi impercettibile lasciato dal respiro soffice del ragazzo.

E lei non lo puliva, voleva capirlo…

-         io torno a scrivere ragazzi…- disse poi cercando gli occhi dei due ragazzi seduti in salotto. Quello alla finestra emise un sospiro, quello assorto nella lettura sorrise e annuì.

E così la stanza ripiombò nell’agonizzante e sognante torpore che l’entrata di Sonoko aveva attutito, e Yuki sembrò non accorgersi di nulla, certe cos eper lui erano ormai abituali. Anime sempre perse nel loro delirio d’onnipotenza, ma infondo solo molto frustrate. La frustrazione possiede e nutre l’ambizone, e spesso viene considerata erroneamente la migliore compagna di essa.

Yuki scagliò uno sguardo innamorato verso la strada. Incontrò l’ultima frontiera della capacità visiva di un essere umano. Dal decimo piano vide un fiore lasciato cadere sul marciapiede. Si sentì finito.

La stanza si fece bollente. Colpa delle braccia che adesso lo cingevano da dietro.

E della guancia che si accostò alla sua, in una morbida e soffice maledizione.

L’angolo della sua bocca entrò in contatto con quello della bocca di qualcun altro, e fu una sensazione di profondo disgusto.

E poi quel profumo. Quella massa. Quell’atroce senso di completezza che non riusciva mai a ritrattare e a mandare via in quelle situazioni. E l’abbandono. Ed un bacio.

Si sentiva paurosamente completo tra le braccia di Shuichi. Ma anche tanto solo.

Perso nella morsa della felicità, tuttavia in via di risalita, e non avrebbe tardato a riprendere la situazione in pugno. Di scatto si girò e ridendo sotto i baffi atterrò Shiuchi su alcuni cuscini.

Sonoko rise malinconica.

-         usciamo?- disse Setsuna tornando dalla cucina. – tanto qui… fa caldo-

 

 

 

 

 

 

  
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