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Autore: RedMarauder    29/01/2011    5 recensioni
"Fisso la foto abbandonata li sopra: è un po’ stropicciata, per via dei mille viaggi che ha fatto in giro per casa, ma è ancora bellissima. Non l’aveva più lasciata: se la portava ovunque, in cucina, in salotto, sul comodino mentre dormiva.
Spesso mi fermavo a spiarla: la guardava sempre, si perdeva a disegnare con le dita sull’immagine finti cerchi intorno ai visi. Come se volesse accarezzarli."
sono tornata alla carica con una storia mooolto sentimentale, un pò triste all'inizio, ma tanto tanto romantica!
pariting--> JISBON!
Buona lettura
Giada:)
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5- BEFORE ALICE
 
 
Teresa
 
Siamo davanti alla prigione federale. Ancora mi tremano le gambe per la scarica di adrenalina che ho subito nell’arco di pochi minuti, meno di tre ore fa.
Si , perché meno di tre ore fa ho ucciso Kristina che mi ha puntato una pistola contro e ha sparato a Jane, colpendolo di striscio alla spalla, per difendere John. Poco dopo John il Rosso era in manette, Jane su un’ambulanza, e tutti gli altri intorno a me a guardare con disprezzo quel mostro.
Esito davanti alla prigione.
Jane è in macchina con me e fissa il finestrino, ma senza guardare realmente ciò che ha davanti.
Siamo fermi nel parcheggio in silenzio, aspettando di capire cosa fare. È lui che deve decidere, non io.
“Parti” dice Jane, con voce spenta.
“Patrick, non ti impedirò di fare ciò che vuoi, ma ascolta il mio consiglio” gli chiedo piano.
Lui si volta a guardarmi, e prendo il silenzio per consenso
“è l’ultima occasione che hai per parlagli. Verrà giustiziato entro tre o quattro mesi, e se non lo fai ora non lo farai mai più” mi spiego
Lui scuote lentamente la testa “Non ho niente da dirgli” risponde tornando a guardare fuori dal finestrino.
Poi si volta, ritornando a guardarmi.
“Andiamo?” insiste.
Sospiro, capendo i suoi sentimenti e metto in moto. Non voglio costringerlo. Immagino che per lui questa sia la scelta migliore da prendere.
Poco più di mezz’ora dopo siamo a Sacramento. Jane non ha mai staccato lo sguardo dal finestrino. Siamo rimasti in totale silenzio tutto il tempo.
Mi fermo nel parcheggio del CBI dove ha lasciato la macchina. Spengo il motore e mi giro a guardarlo.
“Lo so che ce l’hai con me” dico piano, sapendo benissimo che ho ragione.
Lui mi fissa come se fossi pazza “Perché dovrei essere arrabbiato con te?” chiede stupito, senza però variare di troppo la maschera di dolore che porta.
“Vorresti che io avessi premuto il grilletto, avevo l’occasione giusta. Vorresti che gli avessi sparato dopo aver sistemato Kristina, ma io non l’ho fatto. Non era armato, legalmente non avrei potuto, ma se avesse avuto in mano una pistola, un coltello o un’arma qualsiasi lo avrei fatto. Voglio che tu sappia che non avrei esitato un solo secondo, e che ho dovuto lottare con me stessa per non sparargli a bruciapelo. L’avrei fatto per te, perché io me la sarei cavata comunque, ma avrei rinnegato ogni cosa che ti ho detto in tutti questi anni. Non so se può farti stare meglio, ma questa è la verità” concludo, continuando a guardarlo negli occhi.
Per un attimo la sua maschera di dolore crolla, facendolo sorridere un po’, anche se di un sorriso triste.
“Grazie Teresa! Immagino siano amici sinceri quelli che ucciderebbero il tuo peggior nemico al posto tuo, per non farti andare in prigione”
Sorrido dolcemente, prendendogli la mano “Immagino di si” rispondo.
Restiamo in silenzio per qualche minuto, persi ognuno nei propri pensieri.
“Ti va di farmi compagnia stasera?” mi chiede all’improvviso “non mi va di stare da solo”
Gli sorrido piano “Certo che mi va”
Lui mi sorride e esce dalla macchina.
Sta per parlare, ma io lo fermo “Quando vuoi, sai dove trovarmi” gli sorrido.
Lui annuisce sorridendomi, senza rispondere, e va verso la sua macchina.
Metto in moto e torno a casa.
Ho bisogno anche io di compagnia, della sua compagnia, altrimenti rischio di cedere sotto il peso di tutti gli avvenimenti di quella giornata.
Non gli ho mentito, avrei davvero premuto il grilletto se avessi potuto. L’avrei fatto solo per risparmiargli tutto il dolore che avrebbe subito in seguito alla sua folle vendetta.
Invece, non so come, Jane non ha fatto una piega. È rimasto immobile a guardarlo, gli ha dato un pugno dopo qualche secondo, con la tacita approvazione di tutti, ed è salito sull’ambulanza per farsi medicare la ferita alla spalla.
Non gli ha detto niente. È rimasto in silenzio per tutto il tempo anche con me.
Mi aspettavo qualunque reazione, ma non questa! Mi ha sorpresa.
Entro dentro casa e filo subito sotto la doccia.
Cerco di rilassarmi, perché questa sera dovrò far fronte anche al suo dolore, e non sarà facile. Ma lo faccio volentieri..
Perché lo amo. Mi sono resa conto di amarlo, ma sono rimasta in silenzio, perché la situazione è troppo complicata. Non posso dirglielo, soprattutto in questo momento. Ma posso prendermi cura di lui, e fare in modo che stia bene.
Negli ultimi mesi ci eravamo avvicinati molto di più. Il nostro rapporto stava cambiando, ma per tacito accordo nessuno dei due ha fatto il passo successivo.
Gli sguardi erano diventati più intensi, le risate più spontanee e sincere. A volte passavo la serata in ufficio a lavorare, seduta sul suo divano con lui, che restava per tenermi compagnia.
A volte passeggiavamo mano nella mano senza nemmeno rendercene conto.
Il giorno dell’anniversario della morte di mia madre mi aveva fatto una sorpresa: mi ha portata al luna-park, dopo il lavoro, e ha addirittura fatto in modo che la ruota panoramica fosse tutta per noi, bloccata in cima.
Siamo rimasti lassù per quasi un’ora a guardare il panorama, e a chiacchierare.
Gli ho raccontato di mia madre, di mio padre e dei suoi problemi, dei miei fratelli e della mia vita distrutta dalla responsabilità di crescerli e proteggerli da un padre alcolista.
Era quasi successo. Ci siamo quasi baciati, ma poi siamo stati interrotti dal proprietario della ruota.
Da quella volta ho deciso di tirare il freno, anche se di poco.
Non volevo mettergli fretta, capivo quanto dovesse essere difficile. E ora che l’incubo è finito mi rendo conto di quanto ci metterà a rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Io sarò lì con lui, qualunque cosa accadrà.
Ci sarò sempre per lui, qualunque sia il nostro destino.
 
 
Dopo circa due ore il campanello suona.
Mi alzo e vado ad aprire, trovandomi di fronte Jane, con una cera decisamente migliore di quella di oggi pomeriggio. Gli sorrido lasciandolo entrare.
“Tutto bene?” mi chiede sorridendomi. Non è ancora un sorriso tipico del suo volto, ma è già un inizio.
“Certo. Tu come stai?” gli chiedo apprensiva, accarezzandogli una spalla.
Lui mi sorride di nuovo “Meglio”
“Vieni” gli dico, accompagnandolo in salotto.
Ci sediamo tranquilli sul divano, la tv accesa, ma non la ascoltiamo.
“Sono andato al cimitero, dopo che mi hai lasciato” mi dice tranquillo.
Resto in silenzio, lasciando a lui il discorso, senza invadere il suo spazio personale.
“Ho lasciato dei fiori. Sono stato lì un po’, ma..” esita guardandosi le mani “non riuscivo a stare tranquillo. Sentivo che qualcosa era sbagliato. Ci ho riflettuto e ho capito. Avrei dovuto ascoltarti” alza la testa sorridendomi “ho fatto marcia indietro e sono andato alla prigione”
Esito, incerta se chiederglielo. Capisco benissimo il suo dolore.
Prendo un bel sospiro “Cos’è successo?” chiedo con delicatezza.
Lui sospira, il suo volto torna a contrarsi, come quando stava in silenzio davanti a lui questa mattina,
“Ci siamo guardati per svariati minuti, poi lui mi ha detto che ero un fallito, che non avrei mai ottenuto niente dalla vita. Mi ha detto che ciò di cui sono capace è stato solo la rovina della mia famiglia, e che non potrò mai tornare ad essere felice, perché anche se lui ora morirà, la mia famiglia non tornerà indietro” racconta.
Rimango senza fiato “E..e tu cosa gli hai detto?”
Lui fa un mezzo sorriso “Che doveva andare all’inferno” risponde tranquillo.
Sorrido sollevata dalla sua reazione pacifica, e mi rilasso.
“Credo che abbia ragione” confessa tornando ad oscurarsi.
Rimango di sasso “Che diavolo stai dicendo?” chiedo improvvisamente arrabbiata.
Lui si volta a guardarmi senza reagire veramente “Sono solo un fallito. Tutto ciò che ho fatto nella mia vita ha causato dolore a qualcuno, ed è costato la vita stessa di mia moglie e mia figlia” risponde sempre tranquillo.
Scatto in piedi, come se una ago mi avesse punto improvvisamente il braccio.
“Tu ti rendi conto delle cazzate che stai dicendo?” chiedo sbalordita e infuriata.
Lui ride sarcastico e si alza piazzandosi di fronte a me “Vorresti dirmi che non è vero? Vuoi che ti porti al cimitero, per farti realizzare che loro sono morte per colpa mia?” chiede ironico, ma più nervoso di prima.
“Non sto parlando di loro, sto parlando di te!” gli punto il dito contro “tu non sei un fallito. Se quel mostro bastardo è dietro le sbarre è solo merito tuo! Hai fatto tante cose belle Jane. Ogni criminale che prendi equivale a una vita salvata in più, o forse anche più di una! E hai preso John! Pagherà per ciò che ha fatto, hai avuto la tua vendetta!”
“Ma loro non torneranno comunque indietro!” replica tornando alla sua maschera di dolore
“Jane questo l’hai sempre saputo, quello che non hai capito è che se continui a distruggerti l’esistenza in questo modo non le riporterai indietro comunque!” esclamo.
“Sono morte per causa mia, è così sbagliato sentirsi in colpa?” chiede sarcastico.
“Si, Jane, è sbagliato!” replico infuriata per la sua testardaggine “perché non è così che loro vogliono essere ricordate! Finché John era libero potevo capirlo, ma ora basta: devi vivere Patrick, devi ricordarle nel modo giusto, senza rancore, senza rabbia e senza dolore. Devi portarle nel tuo cuore con il giusto sentimento, smettendo di sentirti in colpa. Loro sono morte, ma tu sei vivo, e sicuramente loro non vogliono vederti così, perché questa non è vita! Permetti a John di distruggerti anche dietro le sbarre, e oltre la morte quando lo giustizieranno!”
Mi fissa immobile, nei suoi occhi non c’è più rabbia, ma solo dolore.
“La sera prima che mia madre morisse io e lei avevamo litigato” confesso all’improvviso, mentre il dolore del ricordo prende il posto della rabbia.
Lui continua a guardarmi, triste perché sa cosa sto per dirgli, e sa il dolore che provo nel raccontarglielo, ma lo faccio comunque.
“La mattina dopo corsi subito da lei a chiederle scusa, perché era stata tutta colpa mia. Lei mi consolò dicendomi che il senso di colpa è stupido, perché capire i propri errori e saper rimediare è un segno di forza, che non ha nulla a che fare con il senso di colpa. Starsene con le mani in mano a crogiolarsi nella propria angoscia non porta da nessuna parte. Capisci il tuo errore e fai la cosa giusta. Mi disse questo, e quella sera stessa morì per colpa di un pazzo ubriaco. Me l’hanno portata via nel momento in cui avevo più bisogno di lei. E non passa giorno in cui non pensi che se non fosse uscita di casa quella sera, mi avrebbe vista crescere. Ecco perché cerco di fare sempre la cosa giusta, ed ecco perché ho cresciuto i miei fratelli con la stessa etica: non bisogna piangersi addosso, bisogna reagire e dimostrare di vivere veramente questa vita e di viverla per uno scopo. Tutte le persone accanto a te devono volerti bene ogni giorno, perché la vita non è facile, e tutto può accadere in un istante” una lacrima mi scivola dagli occhi mentre i ricordi mi affollano la mente.
“Non importa quale sia la tua ragione di vita Patrick, ma devi trovare la forza di vivere. Devi dimostrare a quel mostro che tu hai ancora la forza di andare avanti. Devi dimostrare a tua moglie e tua figlia che fai buon uso del dono che a loro è stato tolto. Perché se potessi parlare con mia madre, la prima cosa che le direi è che le voglio bene, che ringrazio di essere viva e che mai e poi mai farò in modo di tradire la sua memoria non apprezzando ciò che mi è stato donato” chiudo gli occhi, scossa da un’improvvisa fitta di dolore al ricordo di mia madre.
Sento le sue braccia avvolgermi. Mi stringo forte al suo corpo, lasciando andare la scarica di emozioni che mi attraversano.
Le lacrime scendono rapidamente lungo le mie guance. Dovevo dirglielo, dovevo fargli capire quanto sia importante la sua vita.
“Non so se ci riesco” confessa, la sua voce rotta. Sta piangendo anche lui.
Mi sciolgo dall’abbraccio restandogli vicina, lo guardo negli occhi, prendendogli il viso con le mani.
Ogni dolore e ogni lacrima che aveva cercato di trattenere erano venuti alla luce. Davanti a me non avevo più il Patrick Jane nascosto dalle mille maschere che portava, ma quello vero. Il vero uomo che viveva sotto quelle identità. La vera persona che soffriva e aveva paura di riprendersi la sua vita.
Gli accarezzo la guancia, asciugando le lacrime.
“Devi farcela” sussurro con un piccolo sorriso.
“Devi aiutarmi” risponde scuotendo leggermente la testa fra le mie mani.
“Io sono qui, non vado da nessuna parte” gli rispondo sincera.
Non l’avrei mai abbandonato, a qualunque costo.
Lascia andare la testa sulla mia spalla, sfogando tutto il dolore che aveva racchiuso. Lo stringo forte per tranquillizzarlo. Passo una mano fra i suoi capelli, accarezzandoli dolcemente.
Restiamo così per qualche minuto, in silenzio, a cercare e dare conforto.
Lui alza la testa dalla mia spalla, stringendomi di nuovo fra le sue braccia.
“Ti amo” dice all’improvviso.
Il respiro mi si ferma in gola, e per un momento credo di averlo solo immaginato.
Mi scosto guardandolo dritto negli occhi
“Ti amo” ripete “mi dispiace solo di non avertelo detto prima, perché forse ora le cose sarebbero diverse, ma ti amo. La mia vita è un disastro, e l’unica ragione che ho per apprezzarla sei tu” mi confessa.
Sorrido incapace di trovare una giusta risposta, rapita da un’emozione forte mai provata in vita mia.
Ci avviciniamo insieme e le nostre labbra si toccano, dando vita a un bacio meraviglioso e intenso che grida ogni singolo sentimento che ci unisce.
Le sue mani mi accarezzano, stringendomi più forte al suo corpo.
La mia mente smette di lavorare, e si lascia andare a quella scarica di emozioni improvvise e totalmente inaspettate.
Mi lascio trascinare nel vortice, senza paura. Lascio che ogni cosa che non sia lui si oscuri.
Mi perdo nel suo bacio, dimenticando persino tutto quello che ci aveva portato proprio lì.
 
Jane
 
È mattina presto, ma io sono già sveglio. Teresa dorme ancora, fra le mie braccia. La sento respirare dolcemente.
Fisso il soffitto mentre mi perdo nei miei pensieri.
Ieri sera il vortice di emozioni scatenato dagli eventi mi aveva portato a dirle la verità. Sapevo che anche lei mi amava, lo avevo capito tempo fa. Eppure ho apprezzato la sua scelta di lasciarmi spazio e tempo. È stato un gesto davvero bello.
Abbiamo passato la notte insieme, la notte migliore della mia vita, da quando l’incubo era cominciato.
La amo, eppure..c’è qualcosa che non va. Mi sento strano e vuoto, come se avessi sbagliato qualcosa.
Sento Teresa risvegliarsi e smetto di pensare.
“Buongiorno” le dico con un sorriso.
Lei mi sorride “da quanto sei sveglio?” mi chiede
“Da un po’” rispondo.
Lei si china a baciarmi, e improvvisamente mi dimentico tutto quello a cui stavo pensando.
Ricado nello stesso vortice in cui ero caduto la sera prima, e tutto mi sembra nuovamente perfetto.
 
Teresa
 
Esco dal CBI più tardi del previsto.
Sapevo che sarebbe stata una giornata complicata. Abbiamo chiuso il caso di John il Rosso, quindi questo significava conferenza stampa, carte burocratiche infinite, telefonate da amici e parenti delle vittime per i ringraziamenti.
E tutti i superiori che chiedevano di incontrare Jane, che ovviamente  non è venuto al lavoro.
Gli ho detto io di stare a casa, sapevo che per lui la giornata sarebbe stata peggiore della nostra.
Parcheggio l’auto davanti a casa e lo vedo seduto sul gradino della mia porta.
Sorrido mentre vado verso di lui. Quello che è successo ieri sera è stato magnifico, e non lo rimpiango. Ma nei suoi occhi rivedo lo stesso dolore che lo ha accompagnato nei giorni prima della cattura.
Ho paura che sia stato troppo affrettato e forse è giunto il momento di parlarne.
“Ma come, non hai trovato la chiave?” lo prendo in giro.
Lui mi sorride allegro “L’ho trovata, ma volevo fare il bravo e aspettarti!”
Rido “Non c’è nessuna chiave!” puntualizzo.
“Lo so, ti ho mentito” mi sorride.
Alzo gli occhi al cielo sorridendo e apro la porta facendolo entrare.
Andiamo in cucina e ci sediamo al tavolo. Non so perché, ma nel mio stomaco di forma uno strano nodo che mi fa tremare. Non mi piace il suo sguardo.
“Devo dirti una cosa” mi dice alzando lo sguardo dal tavolo. La sua espressione è molto seria, e anche un po’ triste.
Il nodo allo stomaco si stringe, reagendo ai suoi occhi.
“Dimmi” rispondo cercando di non far tremare la voce.
“Io..” esita tornando a fissare il tavolo. Non l’ho mai visto così in difficoltà
“Io non sto bene” dice tutto d’un fiato alzando gli occhi poco dopo.
Lo fisso perplessa senza capire, e lui, capendo il mio sguardo, si spiega.
“Non so cosa mi sia preso, ma mi sento confuso e vuoto. Sto cercando di capire cosa mi renda così, ma non lo capisco. Ieri sera..” esita di nuovo.
Il nodo nel mio stomaco si stringe ancora di più.
“Non è stato un errore, ma..forse, è stato affrettato” torna a guardarmi e nei suoi occhi vedo solo sincerità “questo non cambia quello che provo per te. Ti amo comunque, qualsiasi siano gli errori che ho commesso”
Il nodo si allenta un po’, facendomi sentire molto meglio. Ma non bene..
“Possiamo tornare indietro, se è quello che vuoi” propongo tornando a respirare.
“Non ti piacerà..” mi avvisa tornando alla sua espressione dolorosa.
“Che cosa?” chiedo perplessa. Ma ho come l’impressione di non volerlo sapere.
“Quello che sto per dirti” risponde. Si alza in piedi e mi prende per mano, alzando anche me e abbracciandomi.
Poi lui parla senza sciogliere l’abbraccio.
“Devo andarmene” mi sussurra all’orecchio.
Il cuore si ferma a metà battito, il respiro rimane nei polmoni. La mia mente si svuota.
“Devo andarmene da Sacramento, devo rimanere da solo per un po’. Ho bisogno di rimettere a posto i pezzi della mia vita, e ho bisogno di tempo. Non è una spiegazione valida da darti, ma spero possa bastare per aspettarmi. Non so quando tornerò, ma so che lo farò. Tornerò da te, perché ti amo. Ti chiedo solo di darmi una possibilità, di potermi perdonare un giorno. So cosa sto per fare, e so che ti farà male, ma lo devo fare. Ne ho bisogno, o rischio di perdere il controllo e danneggiarti ancora di più”.
Non sento niente. Il cuore è fermo..la mente è spenta.
Il nodo allo stomaco si rompe sotto il peso del dolore che comincia a farsi strada attraverso ogni cellula.
Si scosta da me, guardandomi negli occhi.
Improvvisamente mi rendo conto di quello che sta succedendo, scuoto la testa, mentre sento una voragine aprirsi dove prima c’era il mio cuore.
I suoi occhi capiscono, e lasciano andare una lacrima in risposta.
Si avvicina a me e mi bacia dolcemente, talmente tanto che per un momento dimentico il perché di quel bacio.
“Mi dispiace” mi sussurra sulle labbra.
Sento le sue mani allontanare le mie dai suoi fianchi. Uso l’ultima forza rimasta per riabbracciarlo di nuovo, mentre con una voce che non sembra nemmeno mia glielo dico
“Non andare via, ti prego”
“Ti amo” è tutto ciò che mi dice.
Un secondo prima era lì ad abbracciarmi. Il secondo dopo mi allontana e se ne va. nei suoi occhi vedo solo il dolore di quella scelta, forse il riflesso del mio dolore.
Improvvisamente non sento più le gambe, mi appoggio appena in tempo al tavolo crollando sulla sedia sotto il peso del dolore.
Appoggio la testa sul tavolo e scoppio a piangere, capendo solo ora cos’è veramente successo.
 
Dopo quelle che mi sembrano ore sento il telefono squillare.
Lo prendo meccanicamente e rispondo
“Pronto?” la mia voce, rotta dal pianto quasi ininterrotto fino a pochi minuti fa, è bassa e roca.
“Capo sono Van Pelt” risponde Grace con una leggera nota d’ansia.
“Ciao, dimmi” cerco di schiarirmi la voce e riprendermi.
“Volevo  dirti che..posso venire un attimo da te?” chiede preoccupata.
“Ok” rispondo e riattacco.
 
Dopo circa mezz’ora Grace è seduta di fronte a me.
“L’ha detto a Cho per telefono, pensavo scherzasse” ammette asciugandosi una lacrima fuggitiva.
“Faceva sul serio a quanto a pare” rispondo sentendo il cuore spezzarsi per l’ennesima volta dopo che lui.. Scuoto la testa cercando di ricompormi, ma mi sembra un gesto impossibile.
Grace mi prende la mano
“Vuoi che resti con te stanotte?” mi chiede preoccupata.
Scuoto la testa, cercando si sorriderle “sto bene”
Lei annuisce e si alza.
Mi alzo anche io e Grace mi abbraccia.
“Se hai bisogno di qualunque cosa chiamami” mi dice piano.
Annuisco “Grazie Grace”
“Figurati”
Esca da casa mia e io vado di sopra, mi getto sul letto e chiudo gli occhi.
Il cuore si trasforma in blocchi di ghiaccio, il sangue smette di fluire rapidamente, come se fosse molto più denso e faticasse a scorrere. La testa pulsa e il respiro diventa pesante.
Sono i sintomi di un dolore con cui dovrò convivere.
Mi lascio sprofondare in un buco nero, non so se sia il sonno o qualcos’altro, ma mi lascio  andare.
Tutto diventa un incubo, e io vorrei solo svegliarmi..
 
Il giorno dopo..
 
Sono a letto, penso di non essermi mai alzata.
Rimango sotto le coperte, al buio, cercando di dormire. Mi sono accorta che se dormo non sento niente, quindi voglio dormire così non posso pensare.
Posso perdermi senza soffrire..
 
Non so quando..
 
Sono sul divano, non so nemmeno da quanto e come ci sono arrivata.
Grace è seduta di fianco a me, mi tiene la mano.
Sento freddo..
Il cuore è freddo..
E tutto è buio..
 
Risalita
 
Sono al CBI.
Sono tornata al lavoro stamattina, dopo una settimana di congedo temporaneo.
La Hightower è stata informata da parte di Grace che non stavo bene e che avevo bisogno di stare a casa.
Lei ha capito che la cosa aveva a che fare con un’altra persona che una settimana fa ha lasciato il suo cartellino sulla sua scrivania con la lettera di dimissioni, e un biglietto di scuse.
Sono seduta alla mia scrivania e sto cercando di cominciare a smaltire il lavoro che si è accumulato in mia assenza.
Ma ogni cosa mi ricorda lui..ogni cosa mi ricorda che lui era qui e che ora non c’è più..
 
Ricaduta
 
Lo vedo ovunque.
Nei miei sogni, nei miei ricordi.
Vedo sempre il suo sorriso davanti a me.
I suoi occhi azzurri mi guardano anche se non ci sono realmente.
E ogni volta tutto diventa buio, e io crollo di nuovo, perché non c’è niente che può tenermi in piedi ora.
Non ho nessuna ragione che mi aiuti a farlo.
Lui non c’è..
 
 
Silenzio
 
Ho esaurito ogni sfogo, e ogni lacrima. Ormai la verità è arrivata.
Sono seduta nel corridoio dell’ospedale, Grace mi tiene la mano.
All’improvviso comprendo.
“Grace” dico piano.
“Si?” chiede lei.
“Mi aiuterai vero?” chiedo guardandola.
“Certo che ti aiuterò” mi sorride.
Annuisco piano e sfioro la pancia con la mano.
Cala il silenzio fra noi due, e nella mia mente. È così piacevole il silenzio.
Sospiro piano. Una nuova vita sta crescendo dentro di me, e io la proteggerò.
Qualunque sia il prezzo che dovrò pagare.
“Tornerà” dice Grace sicura.
Annuisco senza rispondere.
Cerco di nuovo il silenzio, perché mi fa stare bene. Spegne le voci nella mia testa..
Tornerà..
 
 
 
DICE L’AUTRICE:
lo so questo capitolo è triste, ma tranquille, era l’ultimo della fase “tristezza”.
D’ora in poi si va avanti con i momenti felici!
Spero vi sia comunque piaciuto! Volevo descrivere cosa succedeva dopo la cattura di John e farvi vedere cosa era successo fra loro due!
Non ho dato un’identità a John, l’ho lasciato ignoto (o comunque a vostra libera scelta), ma ho inserito la Kristina che odio tanto nel team dei cattivi muahahaah!!
Ringrazio come sempre le tantissime donzelle che hanno recensito e tutti quelli che mi stanno seguendo e sostenendo!! Grazie davvero : )
Un bacione!!
Giada
  
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