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Autore: ross_ana    30/01/2011    1 recensioni
Fred/Angelina Ero nella casetta che Fred aveva comprato per noi, arredata di suo gusto e pieno di scatole ancora chiuse. Perché non avevo avuto la forza né la voglia di mettere a posto. Non avevo avuto la forza né la voglia di spostare il caos in cui lui adorava vivere.
Abbassai il maglione e mi avvicinai al letto, allontanandomi così da quella superficie riflettente che giorno dopo giorno mi faceva ricordare quanto io fossi sola. Sola con la mia immagine riflessa nell'attesa del mio bambino.
Con movimenti lenti e calcolati, mi accomodai sul bordo e fissai il telefono. E senza riuscire ad impedire alla mia mente di tornare indietro a momenti felici, mi persi nel ricordo di un altro giorno con lui.
Quinta classificata al ..Tra prima e dopo.. Contest indetto da Banryu.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NICK: ross_ana@ sul Forum, ross_ana su EFP
TITOLO: La vera perfezione deve essere imperfetta.
PERSONAGGI: Fred Weasley, Angelina Jonson
PAIRING: Fred/Angelina
PACCHETTO SCELTO: Maternità
CITAZIONE: La vera perfezione deve essere imperfetta
PROMPT: 16. Telefono, 30. Specchio
GENERE: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
RATING: Verde
NdA: Fred è morto durante la guerra, Angelina è sola a Dublino. E’ la prima volta che scrivo qualcosa su questi personaggi, spero di non aver commesso qualche scempio!


Le luci sono tutte accese, le porte sono tutte aperte, musica babbana rimbomba nelle casse della radio che ho comprato la settimana scorsa, ed io riesco a stento a trattenere le lacrime che, come ogni giorno, minacciano di rigarmi il viso.
Penso che devo farmi forza, che devo farmi coraggio, ma non è facile.
A volte mi pento di essere andata via, di essere fuggita, ma come potevo rimanere nella Londra ancora devastata dalla guerra? Come potevo rimanere nelle strade che erano state testimoni del mio amore ormai perduto?
Scossi la testa, costringendomi a deviare il corso dei miei pensieri. Il dottore l'aveva detto che non era affatto salutare, per il bambino, piangere in continuazione.
Come se quella parola avesse avuto un collegamento diretto con il braccio, portai la mano sulla pancia ormai gonfia, e con un sospiro profondo cercai di ritrovare la lucidità.
Mi alzai, con fatica, e attraversai il soggiorno, il piccolo corridoio e infine la mia stanza.
Posai lo sguardo sul panorama che si intravedeva dalla finestra a vetri della camera da letto. Mi stupivo sempre di quanto fosse bella Dublino. Ma Fred lo ripeteva in continuazione, diceva che era la città più bella del mondo. Per questo ero corsa a rifugiarmi li. Quello era il mio paradiso.
Ma come ogni volta che pronunciavo - anche mentalmente - il suo nome, una lacrima impavida sfuggì al mio autocontrollo.
Con uno sforzo immane distolsi lo sguardo dal ponte che divideva in due la città, e mi voltai verso lo specchio. Osservai il mio viso segnato dal dolore, fissai i capelli che non erano più costretti nelle treccine che tanto avevo adorato durante gli anni ad Hogwarts. E poi tirai su il maglione che, sbrindellato, mi arrivava fino alle ginocchia, e guardai il mio pancione.
Tondo, liscio e lucente, era l'unica cosa che mi teneva ancorata alla vita. L'unica cosa che mi permetteva di non mollare e non lasciarmi andare all'oceano di dolore che ogni giorno, ogni notte, tentava di annegarmi.
Quel bambino che portavo in grembo era la prova tangibile dell'esistenza di suo padre. Era il ricordo onnipresente del grande amore della mia vita.
Chiusi gli occhi, e mi concessi il lusso raro di rivivere uno dei momenti più belli di tutta la mia vita.

Ero stata al San Mungo per degli accertamenti. Analisi di routine. E invece il Medimago mi aveva dato la notizia più bella che avessi mai potuto ricevere.
Con il cuore che batteva furioso per la felicità e le gambe che mi tremavano per l'emozione, mi diressi verso Diagon Alley. In quei tempi atroci e bui, quella novità avrebbe portato una ventata di aria fresca nelle nostre vite.
Per la prima volta, passeggiando per quella strada un tempo florida, non mi soffermai a guardare i negozi sprangati e i mendicanti accovacciati a terra. Per la prima volta, quella miseria non mi disgustò, e senza dar peso a tutto ciò che mi circondava, andai diretta verso l'unico negozio che ancora sprizzava allegria.
Tiri Vispi Weasley.
Aprii la porta e un coro di piccole campane preannunciò la mia presenza.
George stava girovagando per gli scaffali, e quando mi vide mi venne subito a salutare.
-Ehi, cognata! Come mai da queste parti?
Sorrisi entusiasta e lo abbracciai forte in uno slancio di euforia.
-Sono venuta a parlare con Fred.
Mi sorrise di rimando, anche se un po' sorpreso per quello slancio di affettuosità che avevo avuto nei suoi confronti, e poi mi indicò la tenda rossa vicino al bancone.
-È sul retro. Vuoi che lo vada a chiamare?
-No, non importa. Vado io.
E con passo deciso lo superai dirigendomi verso la parte
proibita del negozio.
Vidi Fred sistemare alcuni oggetti non identificati su degli scaffali color dell'oro, e rimasi a guardarlo per un po', finché non si piegò per prendere qualcosa che gli era caduto e mi vide.
I suoi occhi si illuminarono come ogni volta che gli facevo una sorpresa, e in un balzo mi fu accanto coinvolgendomi in un bacio che mi tolse il fiato.
Quando ci staccammo per prendere aria, non riuscii a trattenere un risolino che contagiò anche lui.
-Amore, cosa ci fai qui?
-Devo dirti una cosa importante.
-Sei stata al San Mungo? Cosa ti hanno detto i Guaritori?
-Ecco, è proprio di questo che devo parlarti.
Il silenzio che ci avvolse si riempì immediatamente di aspettativa.
Per la prima volta da quando avevo ricevuto la notizia, ebbi paura che Fred non sarebbe stato entusiasta. Ebbi paura che non avesse voluto quel bambino.
Le mie paure furono messe subito a tacere dal sorriso di incoraggiamento che mi rivolse.
Sospirai, poi lo presi per mano e lo tirai verso una sedia lì vicino. Lo feci sedere, e io mi accomodai sulle sue gambe. Stringevo la sua mano così forte da rischiare di bloccargli la circolazione, ma in quel momento non riuscivo a farne a meno.
Non sapevo come dovevo dirlo, non sapevo cosa dovevo dire. Alla fine, dopo lunghissimi secondi di ansia, optai per il modo più diretto.
-Amore, sono incinta. Aspettiamo un bambino.
Fissai i suoi occhi farsi grandi per la sorpresa. Vidi le espressioni del suo viso alternarsi tra gioia e stupore. Poi senza che riuscissi ad anticipare le sue mosse, mi ritrovai tra le sue braccia mentre mi faceva girare per la stanza ed urlava di felicità.
Scoppiai a ridere anch'io, contenta come forse non lo ero mai stata nella vita, e mi fiondai sulle sue labbra morbide, calde e carnose che riuscivano a farmi perdere il contatto con la realtà.


Aprii gli occhi e sorrisi mentre due lacrime calde scorrevano giù dai miei occhi lucidi.
Fred mi mancava terribilmente. Lui era stato tutto per me. L'amore della mia vita, l'unica ragione della mia esistenza. E poi era arrivata la gravidanza, aggiungendo armonia alla nostra vita insieme.
Sorrisi, pensando a George che era stato attirato dalle nostre urla di giubilo e che si era unito ai festeggiamenti quando gli avevamo dato la notizia.
Sorrisi, pensando ai progetti che da quella sera in poi cominciammo a fare. Fred mi aveva chiesto di sposarlo, voleva fare una festa in grande stile, però ripeteva sempre che avrebbe dovuto pietrificare sua madre, altrimenti avrebbe torturato tutti come per il matrimonio di Bill e Fleur.
Sorrisi, pensando alla cena che avevamo deciso di organizzare per dire a tutta la famiglia della nostra scelta, del nostro bambino.
E poi, come un uragano pronto a distruggere ogni cosa, tutti quei sogni crollarono come castelli di sabbia in riva al mare.

I Galeoni d'oro che la Granger ci aveva dato quando avevamo formato l'Esercito di Silente cominciarono a brillare. Sia io che Fred lo tenevamo sempre in tasca, certi che prima o poi ci sarebbe servito, ed entrambi leggemmo il messaggio insieme.
Harry era tornato a scuola, bisognava combattere.
Ci muovemmo nello stesso istante, pronti a sfoderare le bacchette per lottare al fianco di Harry, ma prima che potessi poggiare il piede a terra, Fred si mise ad urlare come un matto.
-Tu non vai da nessuna parte.
-Si, invece.
-No. Angelina, ascoltami. Sei incinta, non puoi rischiare così la vita di nostro figlio.
L'amore e la preoccupazione racchiuse in quella piccola frase mi lasciarono senza parole per un attimo. Ma quell'attimo di esitazione bastò a convincerlo di avermi fermata, così mi diede un bacio sulla fronte e si smaterializzò immediatamente dal nostro appartamento, lasciandomi con l'illusione delle sue labbra ancora sulla mia pelle.
Rimasi immobile a pensare ancora per qualche minuto, poi il panico ed il terrore mi sommersero e capii all'istante che non sarei riuscita a restare lontana da Hogwarts, non sarei riuscita a rimanere a casa sapendo che Fred avrebbe rischiato la sua vita.
Strinsi la bacchetta tra le dita e con un sonoro pop lo seguii, comparendo un attimo dopo nel pub
La testa di Porco.
Vidi Alicia, la mia migliore amica, e corsi ad abbracciarla.
-Angelina, tesoro, sapevo che saresti venuta. Ma Fred?
-È già qui. Lo troveremo su.
E senza attendere oltre, ci arrampicammo su per il ritratto che nascondeva il passaggio segreto per la scuola.
Ci ritrovammo in una stanza enorme già parecchio affollata, ma non feci in tempo a guardarmi intorno che la voce furiosa di Fred mi perforò da parte a parte.
-Cosa ci fai tu qui?
-Non potevo rimanere a casa sapendoti qui.
-Angelina tu...
-No, Fred. Questa guerra la dobbiamo vincere insieme. Non si tratta solo di noi, ma è del piccolo che sto parlando. Voglio dargli un mondo migliore e non ti lascio qui a combattere da solo.
-Ma non sono solo, c'è Harry e c'è tutta questa gente.
-Bene, ci sarò anch'io. Una bacchetta in più non può far male.
Vidi George avvicinarsi e poggiare la mano sulla spalla del fratello.
-Fred, c'è tutta la nostra famiglia. Perché non glielo dite ora? Penso sia l'occasione giusta.
Ma Fred scrollò la testa e mi strinse la mano.
-Glielo diremo a cena, una di queste sere. E poi organizzeremo il matrimonio. E poi andremo a vivere a Dublino, in quella casetta sul lato est del ponte, perché è perfetta per noi.
E mi persi nel suo sguardo che trasmetteva sicurezza, trovando la forza e il coraggio di affrontare quella battaglia.
-Ti amo.
-Ti amo.


Quelle erano state le ultime parole che ci eravamo detti.
Ti amo.
Fissai le mie lacrime che nello specchio rilucevano, e con maggior vigore continuai ad accarezzare il pancione, che inesorabile aveva scandito il tempo da quel momento in poi.
I mesi passavano, la pancia cresceva, il dolore non accennava a diminuire, ma la consapevolezza si faceva largo nella mia mente, costringendomi ad abituarmi alla sua assenza. Alla sua morte.
Ero nella casetta che Fred aveva comprato per noi, arredata di suo gusto e pieno di scatole ancora chiuse. Perché non avevo avuto la forza né la voglia di mettere a posto. Non avevo avuto la forza né la voglia di spostare il caos in cui lui adorava vivere.
Abbassai il maglione e mi avvicinai al letto, allontanandomi così da quella superficie riflettente che giorno dopo giorno mi faceva ricordare quanto io fossi sola. Sola con la mia immagine riflessa nell'attesa del mio bambino.
Con movimenti lenti e calcolati, mi accomodai sul bordo e fissai il telefono. E senza riuscire ad impedire alla mia mente di tornare indietro a momenti felici, mi persi nel ricordo di un altro giorno con lui.

-Cos'è un televisore?
-È una scatola che ti fa vedere tante cose, come notiziari e pellicole babbane.
-E chi ce le mette dentro?
-Nessuno. È tutto collegato via cavo.
-Intendi quei buchi nel muro?
-Quelle si chiamano prese elettriche, e ci vanno attaccate le spine della corrente.
-Continuo a non capire.
Fred sbuffò, ma più che esasperato mi sembrava divertito.
Per lui era quasi
eccitante spiegarmi ciò che non sapevo. Ma più di tutto, lo elettrizzava il fatto che avessi acconsentito a vivere nella parte babbana della sua città preferita. Dublino.
Diceva che comunque, con la magia, avremmo potuto essere a Londra in pochi attimi, e che sarebbe stato bello vivere per conto nostro, lontano da tutti, per un po'.
Avevo detto subito di si, perché l'unica cosa che mi importava veramente era stare con lui.
Se me l'avesse chiesto, avrei vissuto con lui anche nella capanna di Hagrid, ma francamente, ero contenta che la scelta fosse ricaduta su un luogo romantico come Dublino.
-Hai presente il telefono?
-Il cosa?
-Il telefono. -Cos'è un tefono?
-Te-le-fo-no. L'ho visto dagli zii di Harry, una volta. Serve per comunicare a distanza.
-E non potrebbe andare bene il camino?
-Ma no. Puoi stare tranquillamente seduta davanti al televisore e parlare al telefono con chi vuoi tu.
-Ma se non ho capito cos'è un televisore, cosa vuoi che ne sappia di cosa sia un telefono? E poi lo trovo inutile, visto che lo abbiamo solo noi.
Il mio cipiglio lo fece scoppiare a ridere. Poi senza preavviso, mi tirò dalla vita e mi fece cadere sul letto insieme a lui. Cominciò a baciarmi il collo, le guance, la bocca. Scese a leccarmi la pancia, e tutto a un tratto cominciò a farmi il solletico.
Cominciai a contorcermi, a implorargli di smetterla, ma non ne voleva proprio sapere niente delle mie
lamentele.
Non so quanto tempo passammo a giocare come due ragazzini, ma ad un certo punto il borbottare del mio stomaco mi fece tornare con i piedi per terra.
-Fred, dai, fammi alzare. Vado a preparare qualcosa.
-Non ce n'è bisogno.
-Se tu non hai fame...
-Oh, io sto morendo di fame, ma non c'è bisogno che ti metta ai fornelli.
Lo guardai confusa mentre si avvicinava a quel
tefelono e compose dei numeri.
-Salve, vorrei ordinare due pizze... si, da asporto... va bene miste... 27 Eustace Street... arrivederci.
Posò quella cornetta - come l'aveva chiamata qualche ora prima - e mi guardò sorridente.
Io, per risposta, assottigliai lo sguardo.
-A chi hai dato il nostro indirizzo?
-Alla pizzeria. Ci porteranno il cibo a casa tra poco.
Non capii cosa volesse dire fin quando qualcuno suonò il campanello. Rimasi sorpresa, visto che non aspettavamo visite, ma andai ad aprire ugualmente, sollecitata da Fred che dietro le mie spalle ridacchiava.
Quando aprii la porta, vidi davanti a me un ragazzo della nostra età, più o meno, con una divisa a scacchi bianchi e rossi e un cappellino abbinato.
-Le vostre pizze signora. Questo è il conto.
Visto che rimanevo immobile senza dire né fare niente, Fred, continuando a ridere, mi superò per prendere le pizze e per pagare il fattorino con delle monete babbane. Io rimasi a guardare incredula finché il ragazzo non sparì chiudendosi dietro la porta.
-Allora? Non sei contenta?
Scrollai le spalle sentendomi un po' stupida, e poi andai a sbirciare cosa ci fosse in quegli scatoli. Fu una tragedia convincermi a mangiare un morso di pizza, ma dopo che l'ebbi assaggiata giurai a me stessa di mangiare pizza almeno una volta al giorno.


Un altro sorriso si formò sulle mie labbra quando lessi per l'ennesima volta il numero della pizzeria che era diventata quasi una seconda casa per me. Fred lo aveva incollato sulla cornetta per le emergenze!
Ma quello non era il momento di mangiare, piuttosto di fare una telefonata molto più importante.
Composi il numero, e come ormai avevo imparato a fare, ascoltai pazientemente gli squilli, finché una voce non rispose dall'altra parte.
-Pronto?
-Molly! Ciao, sono Angelina.
Sentii le sue lacrime e io seguii il suo pianto, perché non potevo fare a meno di piangere sapendo che la donna con cui mi ero rifiutata di parlare per tutti quei mesi era la madre dell'uomo che mi aveva cambiato la vita.
Non l'avevo fatto per cattiveria, ma avevo bisogno di ricominciare lontano da tutto ciò che aveva dei legami con Fred, dalla sua famiglia in particolare, perché io avevo bisogno di piangere il mio dolore senza dovermi curare di quello degli altri.
-Angelina, tesoro, torna a casa.
-No Molly, dove sono ora è casa mia.
-Ma Dublino è lontana.
-Non tanto. E poi c'è sempre il telefono per parlare, no?! Fred te l'aveva regalato apposta.
-Si, e ad Arthur ha dato la scusa per costruire un impianto elettrico alla Tana.
Risi, per una volta con il cuore in mano, e ascoltai sollevata la voce di quella donna che infondo mi adorava come se fossi figlia sua.
-Molly, il termine è quasi scaduto, potreste venire qui per la nascita del bambino.
-Sei sicura di voler partorire in quell'ospedale babbano? Ne sei certa?
-Si, voglio dare il benvenuto al nostro bambino come desiderava Fred. Ma mi farebbe piacere se ci foste anche voi.
-Un'ora e saremo da te.
Chiusi il telefono con la speranza nel cuore, sapendo che il mondo in cui il nostro bambino sarebbe nato e cresciuto sarebbe stato diverso da quello che aveva lasciato Fred, e mi abbandonai al pensiero di aver trovato la forza di uscire da quel guscio di solitudine che mi ero creata intorno.
Dopotutto, come diceva sempre Fred, la vera perfezione deve essere imperfetta.




Questa storia si è classificata quinta al ..Tra prima e dopo.. Contest.
Grazie per aver letto :****
   
 
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