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Autore: Lady_blood    31/01/2011    3 recensioni
-Sebastian, quando la pianterai di seguirmi?
-Io non ti seguo.
-Ah no??
-No. Studio a fondo i tuoi movimenti.
-Sei un fottuto paraculo.
-Me ne rendo conto da me, senza il bisogno dei tuoi atteggiamenti scurrili, Veronika.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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*****Angolo autrice*****
ecco a voi miei carissimi lettori due capitoli in una volta, quello precedente e ora questo che è un capitolo speciale che tratta dei ricordi di Ciel. Rigrazio tutti coloro che hanno recensito e co hanno incoraggiate ( me e BumBj) a continuare questa fanfiction. a questo punto BUONA LETTURA ^^



Memories:
Ciel – Rodolphus.

Camminavo a braccetto con la ragazza per le vie di una Londra che non era più sotto il mio controllo. Una Londra aperta, una Londra sviluppata, una Londra “moderna”. Eppure gli Umani sono così prevedibili.
“My Lady… cosa succede?” chiesi, il tono umile. Il mio orgoglio ribollì.
“Rodolphus, stiamo andando a conoscere quello che dice di essere mio padre. Tu sai che devi uccidere tutti coloro che infangano il suo nome, vero, Rodolphus?”
“Yes, my Queen.”
Guardai la mia padrona: era bellissima, da intensi occhi viola e capelli particolari, d’un bianco latteo. Però la pelle distesa e liscia e pallida narravano la giovinezza della ragazza. Al dito portava la gemella della mia scheggia.
Il suo nome? Lady Hannah Bodlaire.
Bussai alla porta del signorotto anziano che ciarlava di essere un Bodlaire.
Una cameriera mi aprì, e senza sorridere ci fece entrare.
Un uomo panzuto, con baffoni grigi e capelli dello stesso colore ci venne incontro ridendo con un vocione paterno e amichevole. Disgustosa, era però, la sua anima: scialba, consumata dall’avidità.
La lady mi guardò ed io scossi il capo.
“Papà!” gridò lei, correndo ad abbracciare lo sconosciuto. Io rimasi lì, facendo cadere dalla manica il mio pugnale, che si incastrò perfettamente nel mio palmo. Chiusi gli occhi ed inspirai, isolandomi. Tra me ed il mio obbiettivo c’era solo la mia padrona e la cameriera. Che uccisi. Non ebbe il tempo nemmeno per gemere, e poi feci scivolare la lama sotto il collo dell’uomo, tra il quinto e quarto mento. Anche con i guanti sentivo la pelle unticcia.. inghiottii il disgusto e mormorai
“La scheggia di Hope sceglie da sola il proprio padrone.” Sorrisi, famelico, e con uno scatto tagliai la gola al tipo. Appena la testa rotolò via la inchiodai al pavimento con il pugnale appena prima che incontrasse i piccoli piedi calzati della mia padroncina.
La presi in braccio, e lei si chiuse a riccio su di me. Uscii, e mi diressi verso la carrozza.
“Rodolphus… perché la cameriera?!” mi chiese, con tutta l’aria di chi sta per farmi una ramanzina.
“L’anima di quella ragazza era deplorevole.” Dissi solo, e lei annuì senza poi dire nulla.
Avevo solo dieci anni come demone, eppure Londra era molto cambiata.
“Andiamo alla residenza, signorina?”
“No, voglio andare al parco.” Ordinò, ed io la sistemai sul sedile.
Mi misi al posto del cocchiere, e feci partire la carrozza.
Arrivammo poco dopo, quando già ormai si chiacchierava di un assassino in circolazione che si divertiva a lasciare dietro di se prove inutili ed inconcludenti.
Sorrisi piano, quando nel verdeggiante parco la mia padrona si mise in una piccola raccolta di fiori viola.
“Guarda, Rodolphus, dello stesso colore dei miei occhi!” disse, meravigliata.
“Sono meravigliosi, signorina.”
“Li adoro, Rodolphus, ne posso cogliere uno?” me lo chiese come se fossi suo padre.
Io annuii, unendo le mani dietro la schiena.
Lei sorrise dolcemente, un sorriso che non illuminò gli occhi viola, bellissimi, mentre io mi inginocchiavo accanto a lei.
“Sai, Rodolphus.. la mamma diceva che papà era un angelo, un angelo bellissimo. Diceva che gli assomigliavo tanto, anche i capelli, lui ce li aveva chiari come i miei. Quando papà mi ha dato quest’anello mi ha detto che era importante, per eliminare l’impuro.” Raccontò, ed io gelai. Ricordi troppo vividi si fecero sentire nella mia testa.
“Quando è morto, suo padre, signorina?” chiesi, sorridendo.
“Undici anni fa. Avevo sei anni.” Feci un rapido calcolo. Ero diventato demone solo dopo un anno che Sebastian aveva quasi mangiato la mia anima. La stessa sera che Sebastian aveva ucciso Ash… come faceva di cognome?, cioè undici anni fa. Chiusi gli occhi.
“Il cognome non è della casata di suo padre, vero?”
“No, è di mia madre. Non so nemmeno come si chiamasse mio padre, Rodolphus.” Disse, chinando il capo. Ciocche chiare sfuggirono allo chignon che raccoglieva i capelli della mia signorina, ed io le intrappolai fra le dita, sistemandogliele dietro le orecchie.
“Allora perché sono qui, Signorina?”
“Perché mi devi dare le risposte che cerco..”
“Potevate contattare uno spirito, per quello, signorina.”
“.. e anche perché voglio che tu uccida chiunque si spacci per mio padre per avere la mia scheggia di Hope. Lei mi ha scelta, io sono la Meticcia. Devi proteggermi senza mai farmi sporcare di sangue, Rodolphus.”
“Yes, my Queen.” Mormorai, e lei mi sorrise intenerita.
“Posso farti una domanda, Rodolphus?”
“Ma certo, signorina.”
“Qual è il tuo vero nome? Rodolphus non mi piace più.”
“Io… io sono Ciel Phantomhive, signora. Ora, però, solo Ciel. Solamente Ciel, da lei detto Rodolphus, un diavolo di maggiordomo.” Lei mi accarezzò i capelli.
“Piantala di fingere che Rodolphus sia un bel nome, Ciel. Ormai, riprenditi il tuo nome, te lo meriti. Hai lavorato egregiamente in questi sei anni.”
Avevo l’aspetto di un vent’enne, aggraziato e non effeminato come ero da bambino. La mia padrona invece ne aveva diciassette. A dodici anni si era venduta l’anima per salvare il nome della sua famiglia, per salvare se stessa dalla Disgrazia di Hope. Inceppando, però, in un’altra disgrazia ben peggiore.
Per questo la servivo con devozione senza mai protestare, neanche quando mi faceva richieste assurde.
Per questo io tacevo ogni volta che mi picchiava, tirandomi addosso sculture, vasi, quadri, testiere dei letti.
Per questo avevo cominciato ad adorare quella ragazza. Per questo l’amavo.
Io amavo Hannah Bodlaire.
Ma lei non amava me.
Per questo io l’amavo anche di più, facendo fruttare il mio amore in silenzio.
Godevo di qualcosa di migliore di un grasso salario a fine lavoro: godevo del permesso d’amare, un permesso tacito e taciuto da entrambi.
“Ciel..” la guardai, mentre strappavo da terra due fiori viola, per poi cominciare a togliere il terriccio e le radici fragili.
“Si, signorina?”
“Mi ami? Rispondi e sii sincero.”
“Non potrei comunque mentire, signorina.”
“Rispondi, Ciel. Rispondi.”
Le porsi un bracciale fatto con lo stelo e le radici dei due fiori, intrecciandoli, le corolle a coronare e a decorare il tutto. Sorrisi, per poi inclinare il capo.
“Non mi è stato ordinato, Hannah. Non posso amare.”
“Ciel, io ti ordino di amarmi.” Facile, troppo facile.
“Yes… My Queen.”

 


  
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