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Autore: Prof    01/02/2011    3 recensioni
Danimarca chiuse gli occhi e continuò a bere come se ne andasse della sua stessa vita; e intanto la voce schiarita dal troppo bere, così insolitamente esultante, di Inghilterra prese a solleticargli le orecchie, rimanendo comunque troppo lontana per essere capita; o forse non ne aveva voglia, di essere capita (o lui di capire).
[risposte alle recensioni di "La Setta"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Senza Luce
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Danimarca, Inghilterra
Genere: introspettivo, malinconico
Rating: giallo
Avvertimenti: shonen ai (sottinteso)
Disclaimer: di Hidekaz Himaruya
Note: Non mi ricordavo benissimo cosa avessi scritto nella fic precedente, e rileggendola, mi sono stupita di certi passaggi. Nessuno li ha notati, a dire il vero, ma per me racchiudono tutto il rapporto Danimarca/Inghilterra, per quanto io ne sia ignorante. Ùù”
Un grazie a Rota, che ha sopportato le mie lamentele e ha corretto a tempo di record.
Per Aethelflaed.
Riassunto: Certo, il modo di fare di Danimarca, senza fronzoli e senza cazzate varie, arrivando direttamente al sodo e senza prendere tangenziali inutili, non gli dispiaceva, non gli dispiaceva per niente, ed era senza dubbio piacevole passare certi momenti con lui, senza pensieri e con il mondo buttato fuori a calci, e bere, bere e bere, fino a scoppiare e fino a farsi sentire la testa leggera e vuota, meravigliosamente vuota – così da non dover poi accampare stupide scuse.




Senza Luce




Il mattino dopo, al faticoso risveglio, un mal di testa lancinante proverbialmente puntuale gli ricordò che quella del bere la sera prima come una spugna, fino a scoppiare, fino a perdere ogni cognizione di sé, fino a non capire più nulla, non era una trovata delle migliori, anche se si trattava di sfottere per l'ennesima volta una certa rana perdente.

Le familiari quanto indesiderate sensazioni di mal di testa, nausea e stomaco sottosopra si facevano sempre più acute man mano che riprendeva coscienza di sé.
Si maledisse una, due, tre volte, reprimendo un conato di vomito e costringendo lo stomaco alla calma con sommo sforzo di auto-controllo, per quel dannato vizio che lo inchiodava sempre fermo e immobile, peggio di uno vecchio straccio lercio.

Abbatté la mano sulla faccia, stropicciandola, in uno stupido tentativo di ricerca di lucidità. Represse a stento un secondo conato: Dio, doveva smetterla di ridursi a quello schifo ogni volta.

Anche solo la pallida luce che trapelava dalle persiane abbassate lo infastidiva, acuendogli il già terribile cerchio alla testa. No, no, stava decisamente peggio del solito.

Con uno sforzo immane di ogni sua singola cellula nervosa, si costrinse a radunare ogni più piccola briciola di energia per obbligare quella carcassa del suo corpo a voltarsi su un fianco. L'operazione fu penosa e indegnamente faticosa, mettendo a serio rischio quel poco di equilibrio fisico che aveva; lo stomaco gorgogliò minaccioso, nel solo voltarsi la testa gli fu attraversata da una scarica di fitte aguzze come lame di ghiaccio, e sentì ogni singolo muscolo urlare il suo disappunto dolendogli come poche volte ricordava nella sua storia recente, senza parlare della schiena disastrosamente a pezzi.

Cacciò la testa contro lo schienale morbido del divano, cercando un po' di sollievo che non arrivò. Non era per nulla divertente stare male, per nulla. Oh, e la colpa era della rana, manco a dirlo; della rana, ovvio, perché quel dannato riusciva a trasformare la sua gioia maligna del vederlo sguazzare nel fango in quello schifo in cui riversava in quel momento. Colpa di quella dannatissima rana, di quel cretino di un francese, che se fosse stato un po' meno perdente non avrebbe istigato la sua voglia di bere per ridere delle sue debolezze. Colpa di Francia, punto, che era patetico, che era sempre stato patetico, e che ora sicuramente stava piangendo, perché era sempre stato un piagnone, sulla spalla di qualche altro deficiente, quel crucco di Germania, per esempio, o quel cretino di Italia, o quegli altri due imbecilli di Spagna e Prussia...

Una sequenza di brividi lungo la schiena gli ricordarono che aveva freddo.
Senza staccare la fronte dal tessuto del divano polveroso cercò a tentoni la coperta che svolgeva malamente il suo compito di riscaldarlo; ne agguantò un bordo, a caso, e la tirò su fino a coprirsi le spalle nude.

All'improvviso l'idea che risvegliarsi in un ampio e comodo letto, con le lenzuola bianche e profumate, invece che in uno stretto e polveroso divano, fosse decisamente meglio gli attraversò la mente, provocando un'altra serie di fastidiose fitte e un lieve aumento di malumore.

Certo, il modo di fare di Danimarca, senza fronzoli e senza cazzate varie, arrivando direttamente al sodo e senza prendere tangenziali inutili, non gli dispiaceva, non gli dispiaceva per niente, ed era senza dubbio piacevole passare certi momenti con lui, senza pensieri e con il mondo buttato fuori a calci, e bere, bere e bere, fino a scoppiare e fino a farsi sentire la testa leggera e vuota, meravigliosamente vuota – così da non dover poi accampare stupide scuse.

Con Danimarca le cose succedevano e basta, erano il “presente”, qui ed ora, e non ci sarebbe mai stato un “dopo”, e il “prima” era così lontano, ed indistinto, e sotterrato sotto una miriade di secoli e polvere da non poter permettere la nascita di nessuna preoccupazione.

Però, un letto, risvegliarsi in un letto, magari dalle lenzuola candide e dal profumo dolce ed inebriante, sarebbe stato quantomeno più comodo; e meno deprimente.

Il cigolare di cardini e il successivo sbattere di una porta nel pesante silenzio della stanza fece sussultare Inghilterra, senza che però il rumore lo impensierisse tanto da fargli alzare la testa per indagare. Per quanto stava male poi, un'azione tanto sconsiderata lo avrebbe ammazzato all'istante.

Pochi passi pesanti, per nulla rispettosi di un certo bisogno di tranquillità, e poi il piombare dietro la sua schiena di un peso dalla grazia di un elefante in una cristalleria lo fece sussultare, insieme a tutto il divano. Inghilterra si ritrovò lo stomaco in gola e la testa perforata da aghi.

La subitanea risata di Danimarca, roca e gutturale, divertita da chissà quale scemenza, gli trivellò i timpani fino a scavargli nel cervello.

Inghilterra mugugnò il suo dissenso e si voltò supino, strizzando gli occhi per inquadrare meglio il volto scanzonato del danese. Fu giusto l'impressione di un secondo, data dal cervello annebbiato da fiumi di alcol, eppure gli sembrò, per un solo attimo, che quel sorriso si fosse trasformato in un ghigno felino.

Sbuffò, mandando qualche maledizione a caso, e si stropicciò ancora la faccia con entrambe le mani.     

Danimarca ne approfittò per sistemarsi meglio, allungando un braccio sopra di lui e piantandogli un ginocchio nel fianco. La smorfia di fastidio di Inghilterra parve divertirlo.

Si chinò fino a lasciare meno di una spanna fra i loro due nasi, sempre quel sorriso stupidamente divertito stampato in faccia.
“Buongiorno, bella addormentata.” gli soffiò in faccia, non facendo altro che aumentare l'irritazione di Inghilterra. E la cosa parve divertirlo ancora di più. “Dormito bene?”

“Una schifezza.” rispose secco l'altro, subito dopo pentendosi di aver aperto bocca a seguito di un'altra scarica di fitte alla testa.

“Uh, ci siamo svegliati nervosetti stamattina, eh?”

“Sto male.” tagliò corto Inghilterra, arricciando il naso e al contempo mettendo su un'espressione minacciosa. Con il risultato di far scoppiare una grassa risata di pancia a Danimarca.

“Forse ci sono andato troppo pesante ieri sera?” gli sussurrò all'orecchio, prendendo subito dopo a baciargli il collo con movimenti del tutto casuali.

Lo stomaco di Inghilterra ebbe un altro sussulto disgustato. Con l'ultimo briciolo di lucidità allontanò con la mano la testa di Danimarca, voltandosi poi con uno scatto e di nuovo sul fianco, e di nuovo ficcò la testa nel divano.
“Ma vaffanculo!” biascicò, il mal di testa che ormai lo stava uccidendo.

Ancora la risata roca e scanzonata di Danimarca gli irritò le orecchie; lo sentì dire qualcosa, qualcosa di stupido e cretino e inopportuno su cui non valeva la pena stare a ragionare.

La testa gli faceva male, un dannatissimo male. Gli si stava spaccando la testa, in due come un cocomero. E mentre sentiva che la coperta veniva appena alzata, e una mano sgusciare sotto di essa per poi risalire veloce una sua gamba fino ad arrivare a parti più intime, che in teoria avrebbero dovuto rimanere ben nascoste, non riuscì a non desiderare di sentire il profumo dolce ed inebriante di quelle bianche lenzuola.



   
 
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