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Autore: B_Roberta    01/02/2011    3 recensioni
Si incontrarono, si amarono ma furono costretti a separarsi.
Chiara amava Marco. Marco amava Chiara. O almeno, così credevano entrambi.
Un giorno, però, un semplice messaggio sconvolse la vita di Chiara. Marco sembrava non volerla più. Ma perché?
Chiara non riuscii mai ad ottenere da lui una risposta. Ogni suo tentativo di avvicinamento era totalmente inutile. Lui la evitava. Sembrava scomparso nel nulla.
Non le restava che convivere con quell'inspiegato dolore.
Genere: Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tornavo dall’università. Un altro esame per me ed Aurora era andato, lasciandoci cominciare in maniera più che soddisfacente il mese di Settembre. L’estate era ormai alle spalle. Solo un ricordo. Sapevo che non sarebbe stato un giorno facile: era il 6 di Settembre. Marco l’indomani sarebbe partito. Dio quanto avrei voluto essere felice per quell’esame superato! Ma piangevo ( tanto per cambiare, sì ) e lo feci dalla fine dell’esame fino all’arrivo a casa.
« Non voglio essere cattiva, lo sai. Ma conosco mio cugino. Sono come lui in tante cose e non sarà felice di vederti piangere. Anzi.. so che non è facile. Ma cerca di farti vedere serena. Rischi di scatenare una reazione sbagliata in lui »
Aurora aveva ragione. Però che cazzo! Non dovevo solo stare a preoccuparmi di quello che stessi passando. Dovevo anche stare attenta a non piangere troppo per non infastidire Marco.
« Che caratterino facile che tenete. Ok su, sto bene. Mi ricompongo e vado da lui. Ci vediamo più tardi a casa. »
Aurora annuì mentre io mi apprestavo a scendere dalla macchina. Percorsi velocemente la strada che mi separava da lui, entrando dal retro della casa, da quella porticina che lui teneva sempre aperta. Musica a tutto volume, fumo di sigaretta che invadeva una casa: Marco era lì!
« Amoreeeeee!! Esame superato!! »
Mi buttai tra le sue braccia, dopo aver abbandonato borsa e libri sul tavolo della cucina. Non so nemmeno io come riuscii a stamparmi sulla faccia quel sorriso da ebete che mi faceva apparire quasi felice.
« Stai facendo la valigia? »
« Si Stella. Piuttosto.. mi aiuti? Non riesco a far entrare nulla. »
« Certo Amore Mio. Dammi la divisa… »
Ok, lo ammetto: non avrebbe potuto chiedermi cosa peggiore. Preparare la valigia? Dico io, ma sei idiota, Marco? Mi vuoi davvero così male? Io già trattenevo a stento le lacrime. Ed intanto, mi toccava. Mi toccò piegare quella maledetta divisa che me lo stava portando via e mi toccò aiutarlo a sistemare il tutto.
Ci muovevamo in simbiosi, mettendo in ordine la qualunque. Sembravamo in perfetta sintonia. Ogni movimento era intervallato da un momento di tenerezza. Lui mi cercava più di quanto facesse solitamente. Cercava le mie labbra. Cercava il mio corpo tanto da abbracciarmi di continuo. Non lo dava a vedere ma ero sicura che nemmeno per lui fosse un momento facile. Glielo leggevo in volto. E non mi sento affatto una stronza nel dire che la cosa mi rendeva un po’ più serena: se lui stava soffrendo per questa maledetta partenza, evidentemente ci teneva. Ed era proprio di questo che io avevo bisogno. Di piccoli gesti che mi facessero credere che lui, come me, stava soffrendo per quella separazione.
« Di più proprio non può entrarci. Il resto lo puoi mettere nel borsone. Per il pc hai la borsa adatta. Quindi.. Signorino, Lei è stato servito. Ora se Sua Eccellenza permette andrei a togliermi questa divisa da esami »
« Non mangiamo insieme? »
« Tu devi stare con la tua famiglia. Mangia da tua nonna, al solito. Io scendo appena ritorni e stasera ceno da te. Tanto Aurora e tua zia hanno detto che mi ospiteranno anche per questa sera. »
« Va bene. »
« Perfetto Amore Mio. A più tardi »
« Aspetta.. »
Marco mi bloccò tirandomi dal braccio. Improvvisamente aveva cambiato espressione. Mi metteva paura, davvero. Mi fece sedere sul divano del salotto e, subito dopo, prese posto accanto a me.
« Che c’è Marco »
Raramente, ormai, mi capitava di chiamarlo per nome. E lui questo lo sapeva. Afferrò subito la mia mano, quasi sapesse che era proprio quello di cui avevo bisogno: essere rassicurata.
« Amore. Ma tu verrai a trovarmi, vero? Io ho la possibilità di farti stare un mese con me. Non pagheresti nulla Amore. Mi sottraggono qualcosa dallo stipendio. E potrai stare lì con me. Possiamo gestirci questo mese come vogliamo. Una settimana prima, una dopo.. come vogliamo! Certo, io dovrò lavorare. Ma fuori dai turni di lavoro potrò stare sempre con te. Troverai qualcosa da fare nel frattempo, stai serena »
Mi si scatenò la tempesta dentro. Sentivo il cuore che stava per esplodermi nel petto. Le mani mi tremavano e Marco se ne accorse subito: avvertii la presa che si faceva più forte. Mi sorrideva mentre io ( dannazione! ) non riuscivo più a trattenere le lacrime.
« Cosa più bella non potevi dirmi. Faremo il possibile. Riusciremo a vederci, si »
Era vero. Non avrebbe potuto dirmi cosa più bella. Marco, quel ragazzo che non s’era mai impegnato, finalmente stava facendo qualche progetto. Piccolo, è vero. Ma era un progetto a lungo termine. Questo voleva dire solo una cosa: la sua partenza non avrebbe coinciso con la fine della nostra storia. Né per me, né per lui.
Ci baciammo sull’uscio di casa e scappai di corsa su, da Aurora. Suonai il campanello di casa con insistenza tanto che Aurora ( dall’alto dei suoi momenti di super benevolenza ) mi aprii urlandomi contro. Corsi verso la cucina, tirandomela dietro. La mamma di Aurora stava cucinando
« Signoooooora! Si ricorda quella domanda che m’aveva fatto ieri? »
« Quale Chiara? »
« Se io e Marco avessimo fatto progetti per la sua partenza, se avessimo pensato a come gestire il nostro rapporto. Ecco! E’ appena successo. »
Raccontai ad Aurora e sua mamma la proposta che m’aveva fatto. Ero felice neanche avessi ricevuto una proposta di matrimonio. Forse di più perché era ancora più inaspettata.
« Mi stai facendo venire la pelle d’oca, Chiara. Mio nipote s’è finalmente messo la testa apposto. Sono così contenta! »
 
 
 
 
 
« dobbiamo decidere se cominciare dalle pulizie o dalla spesa »
Eccola lì! Sempre lei. Sempre pronta a portarmi alla realtà:  Aurora. Era così stranamente attiva da incutermi terrore quel giorno. Lei che era solita vegetare la mattina ( e dico vegetare nel senso reale della parola ) non aveva smesso per un attimo di parlare. Andava e veniva da una stanza all’altra sistemando quante più cose possibili. Io la osservavo impassibile, accovacciata sulla mia sedia con davanti la mia tazza di caffè. Aveva persino deciso di svegliare l’intero palazzo accendendo lo stereo a tutto volume. Quando si parla di geni
« questo giusto perché non volevo far sapere che fossimo in casa »
Borbottavo in merito a quella decisione di rendere nota a tutti la nostra presenza. Non mi interessava in realtà di “tutti”. Mi interessava solo diLui, scontato. Era anche vero, come diceva Aurora, che finchè sarei rimasta tra quelle quattro mura non avrei corso alcun rischio. Non si sarebbe mai sognato di venire nella tana del Lupo. Era troppo furbo. O quanto meno, speravo che fosse così furbo da non farlo. Motivo per cui, finalmente, decisi di rispondere al dubbio che attanagliava Aurora
« direi di cominciare dalle pulizie, sì ( … ) Aurora? Aurora il telefono. Aurora? Squilla il telefono »
Come non detto. Aurora aveva ben pensato di rifugiarsi sotto le casse dello stereo, al pc. Non sentiva il telefono, era inutile che mi sforzassi di urlarle contro. Ne avrei perso solo di salute. Mi toccò alzarmi e raggiungere la camera da letto.
« pronto »
« Aurora? »
« eh no, sono Chiara. Chi parla? »
« oh Chiara. Ciao tesoro, come stai? Sono Daniela »
Oh che culo! Non rispondo mai al telefono. Ma quando decido di rispondere ( ennò, quando sono costretta a rispondere ) chi chiama? La Zia di Marco.
« Daniela, ciao. Tutto bene, ti ringrazio. Tu come stai? »
« Bene, bene. Ho saputo dell’esame.. complimenti! Adesso aspettiamo la Laurea, mi raccomando »
« Grazie! Sì, infatti. L’ultimo traguardo finalmente. Volevi parlare con Aurora? Perché ha deciso di stabilirsi sotto lo stereo che, come potrai ben sentire, è a tutto volume. Te la vado a chiamare? »
« In realtà avevo un attimo bisogno di parlare con te. So bene che avrai le scatole piene di chiacchiere su Marco. Però mi ha chiesto di parlarti. E cerca di capirmi, quello è mio nipote ( … ) »
Cerca di capirmi? Era ovvio che tutti pretendessero d’essere capiti. Ma non c’era nessuno che si sforzasse di capire me. C’era da dire, però, che Daniela era sempre stata una persona molto riservata. Per avermi chiamata significava che avesse qualcosa di molto importante da dirmi. Non mi restava che ascoltarla.
Nel frattempo Aurora, che per fortuna non aveva perso interamente l’udito, si era affrettata ad aprire la porta dopo che qualcuno aveva insistentemente suonato al campanello.
Passò davanti alla camera da letto e chiuse la porta, lasciandomi all’interno. Non sapevo chi avesse suonato ma, in realtà, non stavo nemmeno a preoccuparmene più di tanto. Daniela mi aveva tirato in mezzo ad una discussione infinita, raccontandomi per filo e per segno tutto ciò che la sera prima s’era detta con suo nipote. Devo essere sincera: inizialmente l’idea di quella chiamata mi aveva alquanto innervosita, ma stavo cominciando ad apprezzare il gesto di Daniela. Ero chiaramente ancora interessata a Marco. Era ovvio che volessi sapere tutto ciò che lui diceva su di me, su di Noi. Sia mai che fossi anche riuscita ad ottenere un minimo di spiegazione per quel messaggio di chiusura.
Mi tenne al telefono per una mezzora abbondante.
Nel frattempo in cucina…
 
« Sei la solita testa di Cazzo, Marco! »
« Ha parlato. Siamo gli stessi e lo sai. »
« Si, ma io non mi sarei mai e poi mai sognata di trattare Alessandro come tu hai fatto con Chiara. Caspita, vuoi lasciarla? Ma fallo! Ma abbi almeno le palle di dirle perché. Una non può uscire pazza con le tue minchiate. Un giorno pensi una cosa, il giorno dopo un’altra. Sei un bambino. »
« Si, continua pure cara cugina.. »
« No, Marco. Su questo non transiggo. Sei un coglione. Ed avrei sperato che tu non tornassi. Dimostra quanto poco carattere hai e se lei ritorna da te.. ecco, doppiamente cogliona lei. »
Mi intrufolai in cucina proprio in quel momento, interrompendo quel discorso. Non sapevo ancora chi ci fosse con Aurora. Una volta aperta la porta della stanza da letto, esattamente davanti alla cucina, non potevo nascondermi ad origliare. M’avrebbero vista.
« Cacchio quanto parla Daniela! Mi fa male l’orecchio! »
Entrai in cucina trovandomi Marco di fronte. Rimasi inebetita davanti a quella scena. Erano seduti al tavolo. Avevano uno sguardo strano: Aurora era incazzata, Marco sembrava un agnello nelle mani di un seviziatore.
« Mi spiace. Non volevo interrompervi.»
« Tranquilla. Io stavo andando. Tanto Lui è qui per te. Ho sentito fin troppe stronzate. »
Aurora si alzò, lasciando la cucina in brevissimo tempo. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Che stava succedendo? Ecco. Non era il momento, però, di preoccuparsi d’Aurora. Marco era lì. Io e Marco eravamo lì. Da soli. In una stanza. “Cuore smettila di battere così forte.” Sentivo le gambe che tremavano. Altre volte era capitato di trovarsi in quella cucina io e Lui, da soli, a discutere. Mai di cose belle!
« Io lo so che non dovrei essere qui. Cazzo! E’ inutile che mi facciano tutti la predica. Lo so bene anche io! Ma che ci posso fare? Io non avevo pianificato niente. Non avevo pianificato di tornare e trovarti qui. Speravo di non vederti mai più »
« Ah, perdonami se mi sono anche permessa di capitarti davanti. Ma se sua Maestà si fosse preoccupato di farmi sapere, per vie trasverse, che sarebbe tornato non mi sarei fatta trovare. »
« Chiara perdio, smettila pure tu! »
Era nervoso da fare paura. Sbatteva quei pugni sul tavolo facendo ballare tutto ciò che c’era su.
« No, Marco. Mi spiace! Anzi no, cazzo. Non mi spiace per nulla. Non mi spiace e non ti permetto di dirmi di smetterla. Non hai alcun diritto di farlo. Nessuno, hai capito? »
Chiara, Santo Cielo, calmati! Ero certa che mi sarebbe venuto un infarto. La salivazione era zero. Tremavo come una foglia in balia d’una giornata di scirocco. Eppure trovai la forza per tirare fuori tutto ciò che provavo. In realtà non so dove la trovai, ma cominciai a parlare senza più fermarmi.
« non hai alcun diritto di presentarti qui. Soprattutto con questa prepotenza. Non hai ragione! Non hai per nulla ragione! L’avresti potuta avere. Credimi, Marco. Se avessi avuto un po’ più di intelligenza… »
« E che ci vuoi fare?! Sono un povero coglione stupido. Non sono intelligente io. »
« Scusa non volevo dirti che se stupido! Però se fossi stato più rispettoso, probabilmente avresti acquisito più diritti adesso in questa discussione. Cavolo Marco. Ma tu hai idea di quello che mi hai fatto passare? Ti rendi conto che ho dovuto pagare due mesi d’Amore con cinque mesi d’Inferno? Secondo me tu non lo vuoi capire. Ho passato un mese cercando di abituarmi alla tua partenza. Ero disperata. Vivevo in simbiosi con il telefono. Mi accontentavo di quelle tre chiamate a settimana e di quei messaggi, nei giorni rimanenti. Hai idea di come vivessi? Ero un vegetale. Quando arrivava la Domenica entravo nel panico. “e se non mi chiama? e se già si è dimenticato di me?” una cretina. Una povera idiota che accettava di rimanere fedele alla persona che amava e che conosceva da soli due mesi. Mi bastava, Marco! Mi accontentavo di quei pochi gesti d’Amore. E quando stavo cominciando ad abituarmi a quella lontananza, sparisci. Cazzo Marco! Sparisci. Non una telefonata, non un messaggio. Il giorno prima ci mettiamo d’accordo su come incontrarci, mi saluti dicendomi “comunque ti chiamo dopo Amore” e poi? Puff! Sparito. Per dieci giorni mi hai fatto penare. Non mi hai degnato di un segno di vita e come se non bastasse, cornuta e bastonata. Perché sei andato in giro a dire che io avevo fatto assai. Hai fatto credere a tutta la tua famiglia che io ti avessi fatto chissà che cosa. Lo capisci questo? E quel benedetto messaggio? Non sai cosa dirmi? Non sai cosa diavolo dire? Ma prenditi le tue responsabilità. Dimmi: non ti amo! Non mi voglio impegnare! Non sei la persona adatta a me! Ho un’altra! Ma dimmi qualcosa, cazzo. Io non me lo meritavo quel comportamento. Non me lo meritavo. E non perché sono chissà chi. Non me lo meritavo perché io ti amavo davvero. Ti amavo dannatamente al punto di accettare tutto. Tu non hai mai capito un cazzo. Tu giocavi con me. Tu hai giocato con i miei sentimenti. Tu mi hai preso in giro. E la cretina sono stata io. La colpa è stata la mia nel non rendermi conto che le uniche volte che tu sei stato sincero con me sono state quando, guardandomi negli occhi, hai trovato il coraggio di dirmi che la nostra era una storia senza né capo né coda e che sapevi che non sarebbe potuta durare. Sono stata io la Cogliona a voler nascondere la verità. Tu me l’avevi detto. Come ho potuto non accorgermene? Come ho potuto lasciare che ti prendessi gioco di me? Come? Come ho potuto innamorarmi di te? Non dovevo farlo. »
Quelle parole mi uscirono con una veemenza tale da non lasciare spazio nemmeno alle lacrime. Non riuscivo a piangere. Che mi stava succedendo? La rabbia stava venendo fuori e non c’era spazio per altri sentimenti. Non più, probabilmente.
Lui non aveva più nemmeno il coraggio di guardarmi. L’avevo messo davanti ad una realtà che, probabilmente, anche lui stava cercando di ignorare. Era inutile: Marco ed io non ci saremmo mai potuti amare per il semplice motivo che volevamo due cose completamente diverse. Io volevo stabilità. Una cosa che Marco non poteva darmi. E, ancora più probabile, non voleva darmi.
« Dobbiamo accettarlo! Anzi, devo accettarlo io Marco. Devo accettare l’idea che è finita. E un giorno ti ringrazierò.. ne sono sicura! Perché la tua cattiveria è riuscita a darmi la forza per cancellare quello che altrimenti non avrei mai potuto dimenticare. »
Non so se fu la violenza delle mie parole o se, forse, anche Lui la pensava come me.. ma andò via sbattendo la porta alle sue spalle.
Era la fine. Avevamo toccato il fondo.
 
 
 
 
 
  
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