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Autore: Danu    03/02/2011    2 recensioni
Lei vive da tutta la vita in un villaggio in mezzo alle montagne. Lui non è mai rimasto in un posto fisso.
Al villaggio ogni primavera arrivano i nomadi e Lydia sa che farebbe meglio a non avvicinarsi per nessun motivo a uno di loro. Ma trascinata dall'esuberanza e la spensieratezza di sua sorella, promesse e matrimoni segreti, attrazioni e nuove libertà, si troverà costretta a scegliere tra un matrimonio senza amore, ma con la certezza di un futuro sicuro, e un sentimento a cui per nulla al mondo vorrebbe rinunciare.
"“Vorrei proprio vedere come reagirebbero, o anche solo sentire cosa direbbero, se ti sapessero fuori la notte da sola nel bosco. Se ti sapessero qui sola. Con me.” Mi guardò con fare allusivo sapendo che avrei capito e che sarei diventata rossa.
“Non ho scelto di venire io qui.” ribattei sulla difensiva non sapendo bene come scusarmi.
“Sì, invece. Non sono io che ti ho chiesto di uscire la notte, anche perché non te l’avrei chiesto.” Lo guardai interrogativa e lui rispose guardandomi con aria accattivante e provocatoria: “Sarei direttamente venuto a prenderti."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ecco, questo è un piede di gatto.” Mi disse Gabriel strappando il fiore e tendendomelo.

Lo presi e me lo rigirai fra le dita: aveva uno stelo fine, ma la cosa più particolare era il fiore che aveva un aspetto molto simile alla zampa di un gatto. “Ci assomiglia davvero!” esclamai.

“Non avrai davvero creduto che ti avesse chiesto di amputare un gatto!” esclamò Gabriel divertito, ma anche abbastanza incredulo. Trovando nel mio temporaneo imbarazzo la risposta, rise.
Lo guardai leggermente imbronciata per un attimo. “Beh, io credevo…”

“Lo so cosa credevi: non è una strega.” Mi interruppe con tono non più divertito, piuttosto arrabbiato e seccato. Capii che non era la prima volta che lo diceva a qualcuno e mi sentii leggermente in colpa, come se fossi io a sussurrare tutte le cattiverie che si dicevano in giro su Lady Fortuna. “La gente…” iniziai.

Mi interruppe di nuovo. “La gente dice tante cose. Troppe.” Il suo tono era risoluto e secco come se volesse chiudere lì il discorso.

“Potrebbe esserci del vero.” Continuai .

“Lydia, sai cosa dirà la gente di te nei prossimi giorni?” mi chiese spazientito con un pizzico di cattiveria sorridendomi senza allegria. “Ti auguro di non sentirlo mai. Soprattutto se ciò che diranno non corrisponderà al vero, il che mi sembra probabile.”

Lo guardai male desiderando di dimostrargli il contrario, ma poi ricordai la faccia sconvolta di Mary Bell. Sicuramente aveva già iniziato a raccontare di avermi vista con due dei nomadi, ma tutti al villaggio pensavano fossi una fanciulla posata e a modo quindi non avrebbero ascoltato le sue cattiverie. Tuttavia, una volta scoperto che avevo portato mia madre al campo nomadi e deciso di restare lì con lei finchè non fosse guarita, cosa avrebbero pensato?

Avrebbero pensato sicuramente al peggio: se da una parte il mio gesto rivelava amore e apprensione per mia madre, dall’altro cosa avrebbe mai potuto succedere in quel periodo? Padre Philip avrebbe sicuramente avvertito tutti della minaccia a cui sarebbe stata sottoposta la mia anima, troppo vicina al peccato, alle tentazioni…
Guardai Gabriel e arrossii. Se in quel momento mi avesse vista Padre Philip…

“Non sarei dovuta venire, vero?” chiesi non tanto a lui quanto a me stessa.

Lui mi venne vicino, si mise proprio davanti a me prendendomi il fiore di mano. “Te l’ho detto: la gente dice tante cose, fin troppe.”

“Forse sto sbagliando tutto.” Replicai.

Lui sorrise. “Forse. Cosa ci sarebbe di male, comunque?”

Non gli risposi. Rimanemmo per un po’ in silenzio, lui che giocherellava con il fiore e io ad osservarlo quasi incantata. “Sai, “ mi disse ad un certo punto “quando decisi di vivere, mi sono detto la stessa cosa: forse sto sbagliando tutto.”

“Vivere?” chiesi ancora fissando le sue mani.

“Sì, vivere seriamente a fondo ogni attimo della mia esistenza.” Replicò come se fosse normale.

Alzai lo sguardo verso il suo viso strizzando gli occhi per la luce del sole e vidi i suoi occhi brillare. Non era una luce vera e propria come quella del sole, naturalmente, era piuttosto il brillante riflesso di un’emozione.

“E ti sei mai pentito?” chiesi, nonostante sapessi la risposta. Ero curiosa: cosa significava davvero vivere come diceva lui?

“No, per ora no.” Rispose con una scrollata di spalle, come se non stesse parlando di qualcosa di importante.

“Gabriel, io non sto scegliendo di vivere veramente, come dici tu. Non è la stessa cosa.”

“Invece sì, perché il primo passo è fregarsene di ciò che dice la gente ed è proprio quel che dovresti iniziare a fare tu.”

Feci una smorfia: sembrava facile detta così. Ma in verità non lo era affatto. Pensai a mia madre, sempre così preoccupata di quel che la gente pensava di lei, sempre così stressata. Non sarebbe stata contenta, di questo ero certa, ma era per il suo bene. Tutto questo era perchè lei guarisse. E allora cosa contavano le dicerie e i pettegolezzi?
Ripresi il fiore che Gabriel mi aveva rubato di mano e lo buttai nella cesta. Avevo scelto.
 
                                                                                                           
 
“Gabriel? Chi eri prima di scegliere di vivere?” gli chiesi. Mi piaceva come suonavano quelle tre parole, scegliere di vivere. Ed ero curiosa, chi era Gabriel? Era una domanda a cui non riuscivo a rispondere.

“Un essere fatato, un Changeling.”

“Davvero?” esclamai sconvolta.

Sorrise amaramente. “Lady Fortuna mi trovò su una collina vicino ad un biancospino. Lei dice che sono uno di loro, un bambino fatato messo nella culla di un bimbo umano. I miei genitori devono avermi abbandonato lì per riavere indietro il loro bambino, credo.”

“È molto triste.” Come faceva a dirlo con così tanta leggerezza?

“Sì, lo credo anch’io. Comunque non ti ho risposto. Ero un semplice bracciante.” disse solamente.

Risi. “Non mi prendere in giro!”

Lui sorrise. “È la verità, davvero!”

“Non puoi essere stato un bracciante, altrimenti non avresti queste mani. Non potresti suonare il violino così bene.” Replicai prendendogli una mano. Non pensai a quanto audace fosse il mio gesto e rimasi ad osservare le linee del palmo della sua mano. Erano callose, ma ugualmente troppo fini per quelle di un bracciante. O forse no? In fondo, quante mani di contadini avevo osservato da così vicino?

“Ma se eri un bracciante, come hai fatto ad imparare a suonare il violino? O addirittura ad averne uno?”

“Non l’ho rubato, se è questo che pensi. Me l’ha regalato Lady Fortuna. Mi aveva lasciato presso una famiglia di contadini e li aiutavo a lavorare la terra in cambio di una moneta di rame al giorno. Naturalmente non avrei mai potuto comprarlo.” Sorrise.

“E come hai imparato?” dissi alzando lo sguardo.

“Da solo.” Rispose. “Lady Fortuna dice che è il mio dono. Potrei riuscire a farti piangere con le mie nenie, potrei riuscire a farti ballare e ridere con una ballata. Avevi ragione, quel giorno.” Disse alludendo a quel tempo trascorso nel prato quando avevo dubitato che fosse umano.

Lo guardai a bocca aperta leggermente spaventata. Mi osservava incuriosito aspettando una mia reazione. Chissà cosa c’era di vero e cosa si era inventato in quel racconto! Mi stava sicuramente prendendo in giro, per cui mi girai e iniziai a camminare.

“Dove vai?”

“Non possiamo perdere tutto questo tempo a scherzare.” Replicai senza fermarmi.  




 

   
 
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