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Autore: RobynODriscoll    05/02/2011    8 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Filo Rosso del Destino - la storia di Bianca Auditore da Monteriggioni' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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N.d.Runa (questa volta devo necessariamente metterle prima del testo)
Prima di tutto, devo chiedervi scusa. Anzi, genuflettermi. Sono mesi che non aggiorno e che, colpevolmente, non scrivo nemmeno mezza riga. Non mi sono dedicata ad altri progetti letterari: in realtà, a fine febbraio consegnerò la tesi di laurea specialistica, e questa stesura mi ha completamente assorbita e stressata, rendendo le ore al pc molto, molto penose. Questo, insieme a tanto lavoro e a diversi problemi famigliari, mi ha tenuto lontano dai progetti strutturati e impegnativi come questa fanfic (e pensare che l'avevo iniziata come un passatempo, eheheh...)


Non posso promettervi che mi dedicherò a Bianca con la stessa frequenza di prima...a dire il vero non so nemmeno se pubblicherò mai i capitoli a cadenza regolare, visto che non so bene cosa sarà della mia vita dopo la laurea. L'unica promessa che mi sento di fare a chi segue questa storia è che non la sospenderò mai definitivamente. Ci tengo troppo, i suoi personaggi ormai li sento sotto pelle e, soprattutto, a differenza di altri progetti, qui non procedo a tentoni: so dove devo arrivare, e ci arriverò! Perciò, se avrete ancora la pazienza di seguire Bianca nonostante la mia incasinatissima gestione, sappiate che non ve ne pentirete (magari mi pianterete una lama celata in gola, ma anche questo potrebbe essere fonte di grande soddisfazione dopo tutto).

Grazie a chi avrà la pazienza e la voglia di ricominciare a leggere Bianca, nonostante i mie mesi di silenzio. E grazie anche a chi ha continuato a recensire o sbirciare di tanto in tanto per vedere se avevo aggiornato. Cercherò di recuperare le risposte alle ultime recensioni, rispondendo piano piano a ognuno di voi...scusate se non lo faccio già in questo capitolo, preferisco rispondervi di persona con calma, spero capirete. 

Ps: Attenzione. In questo capitolo c'è poca azione, ma viene rivelata per intero la storia di Veronica, che è piuttosto forte. Il linguaggio e le immagini restano generiche per rispettare il rating, ma si parla di tematiche toste e qualcuno, soprattutto i lettori più giovani, potrebbero esserne disturbati. Io vi ho avvisati!  






Elena Bucelli non era morta: questo lo confermò anche La Volpe, di ritorno con Veronica dalle sue ricerche.

“E’ stata vista nei dintorni di Santa Maria Novella, questa mattina, un’ora dopo l’alba.”

“E vicino Santa Croce” aggiunse Veronica. “E anche vicino Santa Maria del Fiore. Tutti i testimoni che abbiamo interrogato l’hanno vista più o meno alla stessa ora.”

Rabbrividii, vedendo l'allieva assassina giocherellare nervosamente con gli stiletti che di solito nascondeva nella giarrettiera. Li ruotava con la punta sul tavolo, come fossero trottole, scavando un piccolo buco nel legno. Il suo sguardo era violento come la sera in cui mi aveva raccontato di Isotta.

Ero rientrata da meno di un’ora. Martino era tornato al Mirto di Venere, e io non mi levavo di mente il suo sguardo ferito dalle mie parole cattive. Perché l’avevo trattato a quel modo? La colpa di quel bacio che mi aveva tanto innervosito, dopo tutto, era mia quanto sua. Pensai che avrei dovuto chiedergli scusa al più presto. Poi ripensai al bacio in sé, e mi accarezzai distrattamente le labbra ancora gonfie.

Camilla scambiò un’occhiata con La Volpe.

“Pensi che…?”

“No” rispose Diamante, categorica. “La mela dell’Eden è al sicuro a Monteriggioni. Deve essere qualcosa di più semplice…nessuno ha il dono dell’ubiquità, nemmeno la Volpe.”

“Cosa sta cercando in quelle chiese?” fece ancora Camilla. Diamante rigirava tra le dita il pezzo di carta su cui Leonardo aveva ricopiato i versi criptati che avevamo trovato nella tomba di Gemma Donati.

“La stessa cosa che stiamo cercando noi: la Serratura. Solo che noi abbiamo un indizio su dove trovarla, mentre loro brancolano nel buio.”

Lesse di nuovo, ad alta voce, quei versi della Divina Commedia. Li avevo quasi imparati a memoria.

 

"O donna di virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,

tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.”

 

“Parla di Beatrice” rifletté Diamante ad alta voce.

“Che è sepolta in Santa Margherita dei Cerchi, lo so” intervenne Camilla. “Ho fatto aprire il suo sepolcro dalle mie ragazze stanotte…a parte il suo scheletro, non c’è nulla.”

Veronica si illuminò per un momento. Batté le palpebre, come se non riuscisse a capacitarsi di non esserci arrivata prima. Lo stiletto con cui stava giocando cadde sul tavolo, con un rumore metallico.

“Beatrice Portinari era sposata.”

“Sì, con un banchiere. Simone Bardi” disse Camilla. Io le guardavo, stranita, sentendo quei nomi per la prima volta nella mia vita.

Veronica proseguì: “Dunque, dovrebbe essere stata sepolta nella cripta di famiglia del marito.”

“Che è in Santa Croce” annuì La Volpe, pensierosa.

“E’ vero” si intromise di nuovo Camilla “ma dopo la sua morte pare che il padre abbia chiesto che fosse sepolta in Santa Margherita…le era troppo affezionato per immaginare di riposare lontano da lei.”

“Questo significa” disse Veronica, quasi febbricitante “che potrebbe esserci un sarcofago vuoto nella cripta Bardi.”

Iniziavo a capire dove voleva portarci il suo ragionamento, anche se parecchie cose non tornavano.

“Perché Gemma Donati avrebbe dovuto nascondere il carteggio in un covo templare?” obiettai. Ancora più accesa dalla mia opposizione, Veronica esclamò:

“Per nascondere qualcosa bisogna metterlo sotto gli occhi di tutti! Quale templare penserebbe di cercare un tesoro assassino nel proprio nascondiglio?”

“Ha un senso” approvò Camilla. “Tu che ne dici, Diamante?”

La Volpe storse il naso, infastidita di essere chiamata con quel nome troppo elegante per lei.

“Dico che dobbiamo sbrigarsi, prima che i templari capiscano di avere la Serratura nelle loro mani.”

 

L’azione non ebbe luogo, perché quella notte, quando ci stavamo avviando verso Santa Croce, dalla balconata della Rosa Colta irruppero inaspettatamente Martino e Agamennone.

Nessuno dei due era in buono stato, ma il più malconcio era senz'altro Martino. Agamennone lo sorreggeva tenendo il suo braccio intorno alle proprie spalle. Sobbalzai quando li vidi in quello stato. Camilla di precipitò a chiudere la grande finestra che dava sul pergolato, mentre Veronica ed io aiutavamo i nostri compagni a sedersi sui divani orientali delle stanze della cortigiana.

“Io sto bene” disse subito Agamennone “solo qualche graffio.”

“Er pupo s'è battuto come 'n leone” fece Martino, cercando di ridere mentre stringeva i denti. Mi caricai parte del suo peso addosso, e lo adagiai lentamente sul divanetto, aprendogli la giubba. Era stato colpito al fianco, la camicia era inzuppata di rosso cupo. Senza nemmeno pensare, iniziai a premere la mani sulla ferita. Martino sussultò, ma non emise un gemito.

Camilla mandò a chiamare due delle sue ragazze più fidate, e diede disposizione che portassero acqua e garze, senza farsi notare dai clienti al piano inferiore. Quindi, chiuse di nuovo la porta.

Veronica si aggrappò al braccio di Agamennone. L'antibraccio del mio amico era sporco di sangue, ma non pareva il suo. “Che è successo?” gli domandò.

Per tutta risposta, Agamennone disse: “Abbiamo scoperto il segreto di Elena Bucelli. Ha delle sosia, almeno una decina. Le tiene segregate in una sorta di gineceo e le manda in giro in sua vece. Ci hanno scoperti mentre le spiavamo, non è stato facile scamparla...sono guerriere addestrate.”

“E tutte uguali” fece Martino, digrignando i denti. “Pareva de sta’ dentro a ‘nincubo.”

“Zitto” bofonchiai, continuando a premere la ferita. “Sta uscendo parecchio sangue. Con cosa ti hanno ferito?”

"Nun co' lo sguardo de sicuro" rise lui; ma la risata si sciolse in una smorfia di dolore.

“Con uno dei loro ventagli di acciaio” disse ancora Agamennone. “Sono davvero abili, siamo riusciti a seminarle solo grazie alla fortuna.”

Quando la ragazza di Camilla arrivò con le garze e il necessario per disinfettare e ricucire la ferita di Martino, continuammo a discutere delle sosia della Bucelli. Ripensai a quella che avevo ucciso il giorno prima…quale devozione l’aveva spinta a morire così, al posto di una donna di cui era soltanto una copia? E perché parlava come se fosse lei?

Diamante se ne stava pensierosa alla finestra e guardava fuori, elaborando le informazioni appena ottenute. “Dovrò scrivere a Ezio, tutto questo non mi convince.”

“Mio padre è a Siena, posso raggiungerlo in una giornata a cavallo” affermai. Lei scosse il capo, seccata.

“Non dire sciocchezze: tuo padre si trova a Bologna, e il valico tra gli Appennini è presidiato dai Templari. Ho bisogno di te, qui, e possibilmente viva.”

Rimasi perplessa alla notizia. “A noi aveva detto che sarebbe andato a Siena con Nicola e Vanni.”

Diamante si strinse nelle spalle. “A quanto pare non vi ha detto la verità. Ezio ha sempre avuto questo grande difetto di comportarsi da padre più che da capo.”

Gettai un'occhiata a Martino, che scherzava con le cortigiane che gli stavano disinfettando la ferita. Quel cretino se la stava cavando benissimo...ed io che mi ero perfino preoccupata! Un po' stizzita, incrociai le braccia, sporcandomi di sangue la giubba.

“Perché Bologna?” fece intanto Agamennone, improvvisamente agitato. “E’ successo qualcosa con i Bentivoglio?”

“Sono schiacciati, e stanno per essere annientati” rispose La Volpe, evidentemente infastidita che il discorso si fosse spostato su un altro argomento “Il Papa si è alleato con il re di Francia e presto prenderà la città. Ezio sta controllando la situazione e cercando di capire da che parte spira il vento. Ho soddisfatto la tua curiosità? Possiamo tornare alla nostra missione, adesso?”

Agamennone incassò il rimprovero e annuì; io pensai con una punta di irritazione che avrei chiesto conto a mio padre di quella bugia una volta tornata a casa, ma non replicai.

“Tornando a Elena” intervenne Camilla, mentre le sue ragazze ricucivano la ferita di Martino “Se ha radunato questa schiera di sosia…come potremo riconoscere quella vera?”

“Ce n’è una” disse a quel punto il mio amico romano, fermandosi un attimo ad imprecare sottovoce mentre l’ultimo punto veniva fermato dalle mani esperte delle cortigiane “"Una che va 'n giro co' mezza maschera sur viso. L'ho vista 'n mezzo alle artre, porta 'n cappuccio viola de velluto. Potrebbe esse lei quella vera...la bocca è 'a stessa, e anche 'a parte de viso che se vede è quella de Elena."

Camilla annuì, pensierosa; rifletté un momento, poi disse: “Avevi detto che stanotte Elena si sarebbe incontrata con Strozzi, Martino: ma è probabile che con il caos che avete scatenato al Mirto di Venere abbiano rimandato tutto. Manderò spie a verificare che sia così... Per stasera dormite tranquilli nei vostri letti. Ci avete servito bene, ragazzi” disse, rivolgendo uno sguardo ad Agamennone e Martino “anche se dovete lavorare sul passare inosservati...noto con piacere che “sopravvivenza” è una materia in cui raggiungete sempre la sufficienza.”

 

***

 

Quella notte pensai a lungo a ciò che La Volpe aveva detto.

Mio padre, dunque, non si trovava a Siena, ma a Bologna. Mi domandai se avesse portato Nicola e Vanni con sé. Ma certo...non poteva essere altrimenti. Per quale motivo li avrebbe lasciati da soli? Nicola era adulto e particolarmente in gamba, ma la responsabilità di occuparsi del più giovane tra gli assassini era troppo grande per un non-iniziato. Ezio era consapevole che Vanni aveva bisogno della sua autorità. Pregai, almeno, che fosse così. Perché non osavo pensare a quali sciocchezze avrebbe combinato il mio irruente fratellino senza che mio padre potesse tirare le sue redini.

Al mio ritorno, comunque, gliene avrei dette quattro. Avrei messo da parte il mio ruolo di allieva ubbidiente e rispolverato quello di figlia arrabbiata. Perché non mi aveva messo al corrente del suo vero piano? Tutta la fiducia che mi aveva dimostrato in quegli anni di addestramento, tutta la stima che Vanni mi invidiava, erano davvero così piccole?

La ragione, che ancora cercava di farsi sentire nel marasma di quei pensieri confusi, mi diceva che ero soltanto un'allieva come gli altri, ed era giusto che Ezio mi trattasse come tale. Il mio cuore di figlia, ferito, replicava che non avrebbe dovuto mentire, non a me. Che ero grande e potevo essere messa al corrente dei suoi piani. Che mi meritavo di più di quella squallida bugia...almeno un cenno, almeno un “non posso spiegartelo ora, ma poi capirai”!

Sospirai, rigirandomi per l'ennesima volta nel letto. Ero ancora tesa e vigile: mi ero preparata a lungo per la missione di quella notte, dannazione, ed ora che era saltata non riuscivo a rilassare né la mente né il corpo. Veronica, invece, dormiva. Le ho sempre invidiato quella capacità incredibile di addormentarsi in qualunque situazione.

Irritata dalla mia insonnia e insonne perché irritata, mi alzai dal letto e iniziai a camminare per i corridoi stranamente silenziosi della Rosa Colta.

Non so cosa mi guidò di fronte alla stanza dove riposava Martino. Forse la preoccupazione per la sua ferita. Forse il disagio per il modo in cui mi ero comportata con lui. Fatto sta che sbirciai attraverso la porta socchiusa. Nemmeno lui dormiva. Stava sdraiato sul letto con gli occhi neri fissi al soffitto, la candela che ancora sfrigolava sul comodino. Era a torso nudo: l'addome era avvolto in bende candide. Mi affacciai timidamente, e lui mi rivolse subito un sorriso. Non sembrava sorpreso che fossi lì.

"Se venuta a vede' se so' morto? Me dispiace deludete, Biancarella bella: me dovrai sopporta' ancora pe' 'n po'."

Non c'era rancore nel suo tono, e decisi di prenderlo per uno scherzo. Entrai, chiudendomi la porta alle spalle.

“Ti fa male?” mormorai, indicando la ferita.

"Solo quanno respiro" replicò lui, in un tono così falso che capii che ci stava calcando la mano. "Ma domani sarò de nuovo 'n piedi. Sai come so' fatto. Semeraro Martino nun se fa stende così facirmente."Quindi, si sollevò un po' sui gomiti. "Poi prenne quella sedia e mettete qua vicino. Questa sera so' inoffensivo, nun 'o vedi?” ammiccò, malizioso "O forse so' io che dovrei ave' paura che me sarti addosso?”

Gli rivolsi un'occhiataccia, di cui lui rise: mi sentivo sfidata, quindi presi la sedia e la sistemai accanto al letto.

Era vero che vederlo mezzo nudo non mi lasciava del tutto indifferente. Stavo in effetti cercando disperatamente di distogliere gli occhi dai muscoli ben definiti del suo torace. Impresa fallimentare, visto che ovunque posassi lo sguardo c'era una porzione di pelle scoperta. La vista delle spalle ampie bagnate dalla luce dorata della candela mi provocò un piccolo brivido, e inevitabilmente richiamò il ricordo di quel bacio appassionato. Martino era attraente, non potevo negarlo. Ma mi ero ripromessa che non avrei commesso lo stesso errore di quella mattina. Così, inspirai e cercai di fingere una freddezza che non provavo.

“Certo che, per essere un novizio...hai parecchie cicatrici” buttai lì in tono non curante “Ti fai colpire troppo spesso da Nicola in addestramento, forse?”

La mia presa in giro non lo scalfì: anzi, rise di nuovo.

"Come se dice dae parti mie, chi nun risica nun rosica!"

Si puntò il dito su una cicatrice sul braccio, poco sotto la spalla.

"Questa me la so' fatta mentre m'arrampicavo sur pennone da'a bandiera de Villa Auditore...volevo prova' a sta' in equilibrio lì sopra, come fa 'r Maestro...dicono che riesce a sta' appollaiato anche sopra 'e croci de'e chiese. E questa" aggiunse, indicando un punto sul costato "lo ammetto, è stata 'a scimitarra de Nicola...avevo tentato 'n affondo 'n po' azzardato e ho abbassato 'a guardia. Avessi sentito quanto s'è scusato, er lanzichenecco! Se sarebbe quasi strappato er core pe' fa' ammenda!"

Sorrisi: era vero, Nicola era fatto così. In addestramento era freddo e lucido, quasi spietato per certi versi, ma il suo senso dell'onore lo obbligava a chiedere mille volte scusa se per sbaglio feriva un compagno, a ringraziare prima e dopo ogni combattimento e a domandare qualsiasi cosa con una gentilezza e una reverenza tali che risultava un po' ridicolo a noi che eravamo cresciuti in maniera più spartana. A volte non sembrava affatto il semplice figlio di un capitano di ventura, ma un nobile tutto moine e cerimonie.

“E questa cicatrice, invece?” chiesi, indicandone una più sbiadita alla base del collo.

Il volto di Martino si rabbuiò.

"Me l'ha fatta er tipo ch'ha rapito mi' madre. Voleva portasse via pure mi sorella piccola, Giuditta. Cinque anni c'aveva. Jo'o strappata de mano appena 'n tempo. E giuditta ja strappato via 'a croce templare...te ricordi, quella ch'ho dato a tu' padre quanno so' arrivato. 'A piccolina mia è 'n portento."

“Non mi avevi mai detto che avevi una sorella.”

Lui accennò ad un sorriso. "Una? Quattro ce n'ho...de femmine. I maschi so' sette. Semo dodici fiji, Biancarella mia. Er più grande so' io.

“Dodici?” dissi, sgranando gli occhi.

"Già. 'na caciara che 'nte dico, soprattutto 'a sera quanno se magna tutti 'nsieme...ma nun è brutto, sai. C'è..." esitò, per trovare una parola che non fosse troppo dialettale “allegria.”

“E non hai loro notizie da tutto questo tempo?”

“Eggià.”

“Ma perché non scrivi a casa? Almeno qualche lettera, per far sapere che stai bene...”

Lui mi rivolse uno sguardo disarmante. "E chi sa scrive, Biancarella mia? Io no de sicuro."

Rimasi di sasso a quell'affermazione. Ma certo, era ovvio: perché non ci avevo pensato? Martino era un contadino, non sapeva né leggere né scrivere e non si era mai preoccupato di imparare.

“Ti insegnerò io, se vuoi. Quando torniamo a Monteriggioni.”

"E perché? Nessuno de loro sa legge. E poi nun posso mica racconta' che sto a 'mpara a uccide 'a gente. Loro nun sanno gnente d'assassini, templari e tutto er resto...e più a lungo ne restano fori, più ar sicuro saranno."

Mi ammutolii, riflettendo sulle sue parole. Aveva ragione.

Il silenzio tra noi ristagnò per qualche istante, finché non lo spezzai di nuovo.

“Martino?”

“Sì?”

“Mi dispiace per questa mattina.”

"Perché? Ch'è successo stamattina? L'ho già dimenticato."

Sorrisi di quella sua premurosa bugia.

“I tuoi fratelli…ti mancano molto?”

Si strinse nelle spalle. " 'n po'."

Ma sotto la sua finta leggerezza io vedevo finalmente il cuore di Martino. Gonfio di pianto, come quello di Veronica, di Agamennone, di Nicola. Pieno di rabbia e di domande. In quei mesi non aveva chiesto nemmeno una volta di poter raggiungere la sua famiglia, né di mandare un messo per avere loro notizie. Si era dedicato all’addestramento con più disciplina di quel che avevo considerato, senza mai mettere la ricerca di sua madre davanti alle necessità più impellenti della Confraternita. Aveva ubbidito a ogni ordine di Ezio, e scherzato con noi con una maschera di abbagliante allegria sul volto, nella paziente attesa di essere finalmente pronto a compiere la propria vendetta.

Mi sentivo una grandissima stupida: come spesso capita in queste situazioni, anche quella volta coprii la vergogna con un fiume di parole.

“Ci vendicheremo di tutto questo, vedrai. Uccideremo Ermes Bentivoglio, che ha ammazzato la madre di Agamennone e il padre di Nicola. Faremo fuori Strozzi per Veronica. E troveremo il templare che ha rapito tua madre, ne sono certa. Ti prometto che la riporteremo a casa.”

“Biancare’, tu fai promesse più grosse de te.” Esitò un attimo "Senti...dispiace pure a me. Per bacio, sai. Pensavo che ar massimo me davi 'n ceffone e finiva lì."

Aveva un bel sorriso. Puro, infantile quasi. Distolsi gli occhi dai suoi.

“Non avrei dovuto dirti quelle cose orribili. Non le penso affatto.”

Sentii il fruscio delle coperte. Si era sporto verso di me, percepivo in maniera pressante la sua vicinanza. La sua voce bassa e un po' roca mi diede un brivido. "E se mo te ribacio, che fai? Me picchi o m'ensurti?"

Gli rivolsi un sorriso malizioso. “Dovresti riprovarci per saperlo, Semeraro Martino.”

Con quelle parole mi alzai e me ne andai, lasciandolo con un palmo di naso.

 

***

 

Il giorno successivo, le ragazze di Camilla arrivarono da noi con una novità. Strozzi era arrivato a Firenze: da voci di taverna avevano scoperto che l'incontro con la Bucelli si sarebbe tenuto quella notte stessa, dietro Santa Croce.

Martino, naturalmente, aveva insistito per venire. La Volpe si era rifiutata: non voleva ingombri in battaglia. “Se ti si riapre la ferita ci sarai solo di peso” disse, e lui, pur bofonchiando una qualche maledizione ai suoi antenati, ubbidì.

“Voglio Marescotti appostato sul tetto di palazzo Cocchi-Serristori. Auditore: tu, sul tetto della Chiesa. Il vostro compito sarà eliminare gli scagnozzi dei templari, di certo avranno messo qualcuno a pattugliare la zona. Fracassa, tu devi avvicinarti abbastanza per ascoltare ciò che si diranno, e seguirli, se necessario”

Ricevemmo quegli ordini annuendo, serissimi e concentrati. Poi, Veronica disse:

“E a quale punto di questo illuminante piano li togliamo di mezzo?”

Gli occhi viola della Volpe si strinsero a due fessure. “Non ho parlato di ucciderli. Soprattutto Strozzi...ci serve vivo. E' una potenziale miniera di informazioni su Lucrezia Borgia e ciò che sta cercando a Firenze. Senza di lui siamo fottuti.”

“Non posso ubbidire” sbottò Veronica. La Volpe abbaiò per tutta risposta:

“Allora sarai esonerata dalla missione.”

“Non potete farmi questo! Io devo ammazzarlo, quel porco! Devo ammazzarlo con le mie mani, è per questo che sono qui!”

Presi da parte la mia amica, per farla calmare: ma Veronica pareva uscita di senno, aveva gli occhi sbarrati e respirava affannosamente.

“Potrebbe condurci da Lucrezia Borgia, non lo capisci?” le bisbigliai all’orecchio.

“Siete voi a non capire.” Con un gesto secco, mi scostò da sé. Di fronte a tutti gli altri, si strappò la camicia. Cercai di fermarla, ma lei si divincolò con rabbia: “Guardate, fratelli. Guardate se Ercole Strozzi merita di vivere!”

Prima cercai di aiutarla a rivestirsi; poi, notai i segni sul suo addome. Violacei, lividi, orrendi. Mi scostai, mentre Veronica mostrava senza vergogna i seni grandi. Sotto di essi, dallo stomaco fino a sparire sotto l’ombelico, qualcuno aveva tracciato con la punta del pugnale la parola PUTTANA, spezzata a metà dalla croce templare.

Fissai quelle orrende cicatrici, con sconcerto e rabbia crescente.

Veronica ci guardò tutti negli occhi, per essere certa che le avessimo guardate bene. Solo allora, si coprì, stringendosi addosso i lembi della camicia come una bimba fa con una bambola. Sedette sul divanetto, a testa china, il volto nascosto tra i capelli rossi.

Notai a malapena che Camilla faceva un cenno a Diamante. La Volpe scosse il capo, sospirò e infine disse duramente: “Tutti portiamo delle cicatrici, fisiche o meno. Se permetti al dolore di offuscare la tua fiducia nel Credo, non sarai mai un’assassina.”

Le rivolsi un’occhiata incredula; ma la donna era già uscita dalla stanza, senza permettermi di ribattere.

Camilla, più comprensiva, si inginocchiò accanto alla nostra consorella, accarezzandole i capelli rossi.

“Penso che dovresti raccontare loro la tua storia, tesoro. Sono i tuoi fratelli...meritano di sapere.”

Per un momento il terrore balenò sul volto di Veronica. Le labbra le tremarono: sembrò stesse per piangere. Ma non lo fece.

“Avete ragione” mormorò. E con enorme fatica aggiunse: “Ecco…i fatti si sono svolti così.”

 

*

Veronica ha quattordici anni quando Isotta va sposa. Ricorda l’abito dorato e bianco, che si intona con la carnagione chiara e i capelli biondi di sua sorella. Veronica le invidia i capelli biondi. I suoi sono di un colore indefinibile. Biondo scuro, li chiama sua madre. Color topo, ridacchiano le amiche, quando credono che lei non senta.

Sciocchezze, sono invidiose. Veronica è bella, e lo sa. Lo vede riflesso nello specchio tutti i giorni. Occhi grandi, volto da bambola, bel seno, gonfio, alto. La statura non è granché, ma ha un bel portamento. Anche lei troverà presto marito.

Il garzone di suo padre, Francesco, è d’accordo. Veronica è bella, le sue labbra sono morbide, il suo corpo è caldo. Dice che la ama e la porterà via di lì. Ha lo sguardo penetrante di chi è abituato a dire alle donne quel che vogliono sentire. Ma Veronica è ancora ingenua, si affida alle sue mani e al suo amore. Le promette che chiederà al padre di sposarla, e lei gli vuole credere.

Per questo, quando i genitori le dicono che si sposerà presto, il cuore le salta in petto per la gioia. Ma la speranza svanisce appena le rivelano il nome dell’uomo. Un vecchio decrepito, socio in affari di suo padre. Come il marito di Isotta, che ha le mani sudaticce e rugose, e la palpa sempre, anche in pubblico, per rimarcare il fatto che quella giovane giovenca gli appartiene.

Veronica ha un giramento di testa, si sente male. Pensa alle mani di un vecchio sulla sua pelle bianca. Sa che ne morirebbe. Chiede a Francesco di scappare insieme. Lui acconsente.

La vita per strada non è facile. Francesco è nervoso e impaziente ogni volta che gli chiede quando manterrà la sua promessa, quando farà di lei una donna onesta. Si nascondono in una taverna a pochi spiccioli, fuori dalla laguna. Lui non ha intenzione di lavorare: passa il tempo a suonare il liuto per la strada. Dice che, dopo gli anni da schiavo sotto suo padre, merita di fare ciò che ha sempre amato. Arriva a casa con due monete che qualche anima pia gli getta, stanca dei suoi miagolii. Veronica rimpiange la vita di prima, e quando lui l’abbandona, una notte, finge di non sentire i suoi passi che si allontanano. Si sente quasi liberata. Non sa che è solo l’inizio dell’incubo.

Per prima cosa, va da Isotta. Non da suo padre, sa che la ucciderebbe. Il perdono non è mai stata una virtù di famiglia.

Sua sorella è rimasta vedova presto, con un figlio e una buona rendita. Veronica ha dovuto supplicare una serva e darle quei pochi zecchini sottratti a Francesco, ma alla fine l’hanno portata dalla signora. Isotta trasale quando la vede. Veronica si getta ai suoi piedi, domanda perdono. Le chiede di intercedere presso il padre, farà qualunque cosa.

Isotta è gelida. La allontana come se avesse la peste. Come se potesse contaminarla con il suo peccato imperdonabile. Però promette che intercederà per lei presso il padre, le dà perfino qualche soldo per sopravvivere. Ma quando viene il giorno in cui finalmente Veronica rivede i genitori, è trattata come una puttana, schiaffeggiata e umiliata. Capisce che non c’è più posto per lei in quella casa. Nell’ira, per sciocco orgoglio, getta addosso al padre i soldi che Isotta le ha dato. Senza uno zecchino, disperata, si ritrova di nuovo per strada. Ha quindici anni e la sua vita è già finita.

Affamata, stanca, distrutta, si trova quasi per caso alla porta della Rosa della Virtù. Conosce la fama di quel posto, ma ha fame e i piedi le sanguinano per quanto ha camminato. E pensa che, dopo tutto, tra essere considerata una puttana e diventarlo per davvero non c’è una grande differenza. Per questo bussa alla porta di Teodora.

Oh, quella donna. E’ stata per lei tutto quello che aveva perso. Una madre, una sorella, un’amica. Deve aver visto qualcosa di speciale in lei, forse la determinazione. Prima le concede soltanto asilo e amicizia, chiedendo in cambio di fare le pulizie. Poi, le parla del conflitto tra Templari e Assassini, della loro eterna guerra. Non tutte le ragazze della Rosa della Virtù sono assassine, ma lei potrebbe diventarlo. Se questo è suo desiderio, naturalmente.

Veronica pensa che deve tutto a Teodora, le ha messo la vita tra le mani quando era così fragile da spezzarsi con un soffio e lei l’ha risollevata. Non l’ha costretta a lavorare nel bordello, mai. Ma dal giorno in cui decide di contribuire alla guerra degli Assassini, Veronica si tinge i capelli di rosso e inizia a darsi agli uomini, per ottenere da loro informazioni.

Ed è qui che accade l’irreparabile. Quando, indagando sul poeta Pietro Bembo, scopre che Isotta è diventata l’amante di un templare.

Veronica si affanna, cerca, domanda, quasi scopre il fianco pur di avere il nome dell’uomo. Non ha ancora mai ucciso: la prima volta succede una notte in cui sta rientrando dalle sue ricerche. Ha fatto tardi nel letto di un notaio, un amico di Bembo. Ha fatto qualche domanda di troppo, l’amante è diventato sospettoso e l’ha cacciata con la metà del compenso promesso. Sa che Teodora sarà furiosa con lei, perché si muove come un cane sciolto e mette in pericolo se stessa e l’Ordine. Veronica cammina mentre la sua mente cerca di ricostruire le poche informazioni ottenute. L’amante di Isotta è un ferrarese, anche lui poeta, uno zoppo…

Poi, un rumore nel vicolo vuoto. Veronica è stata addestrata da Teodora e reagisce d’istinto. Per fortuna.

Si volta e inchioda l’addome dell’uomo al muro, con uno dei lunghi stiletti che porta infilati nella giarrettiera. Lui, con gli occhi sbarrati, abbassa il pugnale che stringe in mano, e che stava per affondarle nella schiena. Inconfondibile, la croce d’argento con i rubini esce dalla giubba del morto.

Dunque, il templare ferrarese sa che lei è sulle sue tracce. Non ha più tempo.

Irrompe a casa di Isotta, una notte. Vince la sua incapacità quasi totale nell’arrampicarsi, ed entra dalla sua finestra. La sorprende alla toletta: la donna la vede nello specchio, fa per urlare, poi la riconosce, si congela.

Veronica le spiega, le racconta ogni cosa. Assassini, templari, guerre millenarie per la supremazia o la libertà del genere umano. Non deve fidarsi dei templari, la calpesteranno per i loro scopi. Il suo amante è il peggiore dei criminali, non deve lasciarsi coinvolgere in questo sporco gioco.

Isotta prima ride; poi, davanti alla sua determinazione, cambia tono. La supplica. Quali idee folli le ha messo in testa la vita dissoluta? Perché non lascia il bordello, una volta per tutte? Lei può farle vivere un’esistenza decente, darle dei soldi e farla fuggire lontano perché ricominci daccapo. Veronica è furiosa: vuole che Isotta capisca la gravità della situazione. Le loro grida allarmano i servi, si sentono rumori dabbasso. Veronica fugge dalla finestra: il suo primo Salto della Fede è al buio, e solo la fortuna fa sì che cada nell’acqua fetida del canale, invece che su un pontile o dentro una gondola ormeggiata. Riemerge, e, mentre scivola silenziosa tra le calli di Venezia, sente Isotta che chiama da lontano il suo nome.

Una settimana dopo, giunge al bordello un messaggio di Isotta, portato da una delle sue serve. Avevi ragione, su tutto. Ti prego, devo parlarti.

Teodora non vuole lasciarla andare. Di fronte alla sua determinazione cede; ma insiste che, almeno, non sia sola. La manda insieme a due ladri di Antonio. L’ingresso è quello dell’altra volta, attraverso la finestra lasciata aperta per lei.

Qualcosa non va, lo intuisce subito. Nella stanza, una sola candela accesa. Isotta è bianca come un morto.

Mi dispiace” mormora “è per il tuo bene.”

Gli scuri vengono chiusi di colpo. Molti uomini li sopraffanno; cerca di combattere, ma la colpiscono alle spalle e cade in ginocchio. Un colpo alla nuca la stende a terra. I due ragazzi che la accompagnavano…uno ucciso sul colpo, l’altro portato via, come lei. Torturato a morte, ha ceduto dopo due giorni di garrotta.

La tortura, la subisce anche lei, dal momento in cui si risveglia negli scantinati del palazzo di Pietro Bembo e si trova davanti la faccia dello zoppo Strozzi. Magra, con poca barba biondiccia. Untuosa. Sadica.

Lui sorride, mellifluo.

Mi hai trovato, tesoro.”

Inizia l’agonia.

 

Gli occhi di Veronica erano trasparenti. Svuotati di ogni sentimento, perfino il dolore, perfino la rabbia. Come se nel raccontare la sua storia se ne fosse, finalmente, liberata.

“Stozzi e i suoi non mi hanno risparmiato nulla. Nulla. Ero una puttana, dopo tutto: secondo loro avrei sentito soltanto il solletico. Si divertivano con me tutti insieme, come bestie. Mi tenevano incatenata per le braccia e facevano di me ciò che volevano. Ma io non ho parlato. Non ho tradito Teodora, mai, ve lo giuro. Non ho detto una parola.”

Sentivo la gola secca. Le strinsi la mano, e lei rispose alla mia stretta.

“Come ti sei liberata?”

“Teodora e Antonio. Sapete come la pensano: non si lascia nessuno indietro. Bembo e Strozzi erano già ripartiti per Ferrara, maledetti, ma i loro scagnozzi non hanno fatto una bella fine.”

“E Isotta?”

“Ripescata nel Canal Grande due giorni dopo la mia cattura. Aveva il viso sfregiato e una scritta sulla pancia identica a quella che hanno fatto a me. Ma lei…lei non aveva voluto farmi del male, la sua serva me lo disse tempo dopo. Credeva che Strozzi e i suoi uomini mi avrebbero costretta ad accettare il denaro e fuggire con la forza se mi fossi opposta. Voleva darmi l’opportunità di vivere una nuova vita, lontano da tutte le mie scelte sbagliate.” Sospirò. Raccontava come chi non è più dentro al proprio corpo. “Povera Isotta mia, ingenua come una bambina…”

A quel punto, Agamennone si inginocchiò ai suoi piedi. Solenne, come un cavaliere degli antichi tempi. Non avevo mai visto tanto tumulto nei suoi occhi, dalla notte in cui era arrivato a casa mia dopo la strage di Bologna.

“Le mie frecce berranno il sangue di quell’uomo. San Sebastiano al suo confronto avrà sofferto il solletico. Te lo prometto.”

Lei gli rivolse un sorriso dolce. Poi guardò Martino, e infine me.

“Mi dispiace. Per molto tempo…non mi sono fidata delle persone. La mia famiglia mi ha rinnegata e poi tradita. Ma adesso, con voi…io credo di averne trovata un’altra.”

“Ma certo!” esclamò Martino, quasi ruggendo “Te vendicheremo, sorella mia."

Non so cosa provassi in quel momento. Se fosse maggiore l'indignazione, o l'orrore, o la voglia di fracassare il cranio di Strozzi con le mie mani. Ma una cosa era certa: ora capivo molte più cose di Veronica, ed ero annichilita dalla sua forza. Se avessi subito ciò che lei aveva subito, forse non sarei nemmeno riuscita a reggermi sulle mie gambe. Invece lei aveva impugnato di nuovo le armi. Aveva ricominciato a combattere, per se stessa, per la sorella uccisa, e per quel Bene Superiore che Ezio ci indicava sempre. Mai mi parve più bella che in quel momento, in cui avevo scoperto quanto fosse indomabile il suo spirito e forte la sua volontà.

“Cautela, ragazzi” ingiunse Camilla. “Capisco ciò che provate adesso...ho perso molte delle mie ragazze in questi anni per colpa di animali come Strozzi. Ma ricordate ciò che ha detto Diamante. Lui ci serve...almeno per ora.” Strinse forte la mano di Veronica. “Ma quando avremo trovato ciò che stiamo cercando...”

Lasciò la frase in sospeso, e noi allievi assassini ci scambiammo uno sguardo. Sì, era vero, la vendetta non era lo scopo primario del nostro ordine...ma in quel caso avremmo fatto un'eccezione.









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