Camminavo sotto la pioggia incessante. Tutto era grigio. Nulla aveva luce.
Anche il cielo aveva deciso di essere triste. Ad un tratto, come se fossi stata io deciderlo, un sbuffo di vento mi agitò i capelli. Ero nervosa, agitata, sconvolta.
Tutte le mie certezze già poco salde, vacillavano e le sentivo precarie, stavano per crollare come un castello fato di carte.
Mi ero illusa. Per l’ennesima volta avevo creduto che qualcuno potesse interessarsi a me. Edward era stato chiaro. Solo amici, nulla di più. Eppure ci avevo creduto, avevo creduto alle sue parole, ai suoi complimenti, agli sguardi carezzevoli come seta che mi riservava quando eravamo d a soli.
Diceva che l’avrebbe lasciata per me.
Che stupida.
Perché avrebbe dovuto mettere a rischio il suo rapporto con Tanya per me….
Come la regina di un castello fittizio, come la regista di un film di cui ero sicura, era stato lui per primo a scrivere la sceneggiatura.
Continuavo a camminare sul marciapiede, incurante delle persone che si scontravano con me. Un camminare incessante, uno slalom tra individui estranei alla mia tristezza.
Il mio passo si era fatto sempre più veloce, fino a quando non mi accorsi che avevo iniziato a correre.
Piangevo. Perché Edward era stato così cattivo con me.
“non era questo il rapporto che volevo con te”, mi aveva detto.
E allora che cosa voleva da me. Perché mi faceva questo. Magari mentre io stavo piangendo in quello stesso momento lui se ne stava tranquillo, con lei e magari rideva anche della stupidità ed ingenuità.
Ingenua per l’ennesima volta.
Ancora una volta.
Arrabbiata con la vita che aveva deciso per me un destino così triste. Una vita senza amore, condannata a non essere mai corrisposta.
Stremata da quei pensieri, andai a casa e trattenni ancora una volta le mie urla, le quali facevano nella mia testa un rumore più assordante che se le avessi urlate davvero.