Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: sailormoon81    06/02/2011    6 recensioni
E' una domenica mattina quando qualcuno bussa alla porta di casa Chiba con una lettera e una bambina: la figlia di Usagi...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

5.

Piacere di conoscerti… o forse no?

 

 

Pensando a quali strategie avrei potuto adottare per mantenermi a galla, cominciai a raccogliere i miei effetti personali dalla scrivania: in verità, non c’era molto da portar via, dal momento che tutto apparteneva alla redazione…

Tristemente mi accorsi che, con ciò che avrei dovuto prendere non avrei riempito neanche una ventiquattr’ore di dimensioni ridotte; al contrario dei miei colleghi, che avevano le scrivanie piene di foto, disegni dei figli o dei nipoti, e altri oggetti per render più accogliente il posto di lavoro, io non l’avevo mai vissuto come un’estensione della mia casa, e avevo sempre evitato di portare in redazione qualunque cosa che potesse darmi quell’effetto.

Terminai il lavoro di riordino prima di quanto potessi sperare; era ancora presto per salutare e voltare le spalle al Magazine, e pensai di ottimizzare il tempo che mi rimaneva da trascorrere in redazione facendo qualche ulteriore ricerca sullo Shinbun.

Rimasi sorpreso nel constatare come il motore di ricerca avesse trovato ben venticinque pagine di riferimenti al giornale. Pensando che sarebbe stato utile capire come raggiungere il mio nuovo lavoro, scelsi la pagina web con la mappa stradale e le indicazioni necessarie per non perdermi: non sembrava molto lontano da dove abitavo io, e calcolai che, con un po’ di fortuna, avrei impiegato poco più di mezz’ora di tragitto in auto.

Stampai le indicazioni e la mappa, e sfogliai qualche altra pagina; trovai quasi per caso un sito che permetteva visite virtuali alle varie redazioni locali e non mi feci sfuggire l’occasione di vedere dove fossi finito; con orrore, notai che quello che sarebbe stato il mio futuro posto di lavoro era molto più simile a una casa di bambole in dimensioni umane: l’edificio in mattoni rossi, al suo interno prevedeva cinque stanze adibite a uffici, tutte con pavimento in parquet e le pareti piene di quadri dai paesaggi più vasti. Le stanze sembravano praticamente tutte uguali tra loro, e mi venne un senso di vertigine a pensare che avrei lavorato in una stanza dove l’elemento più virile sembrava essere il quadro di un monte innevato…

Non volli sapere altro, e decisi che avrei atteso il giorno seguente per constatare quanto in basso fossi caduto.

Salutai rapidamente i miei colleghi, che erano già stati informati del mio trasferimento, e tornai a casa. Non riuscii a salutare Motoki, ma con lui ci saremmo visti anche se fossi andato ad abitare sulla Luna, perciò non mi attardai oltre, ripromettendomi di chiamarlo l’indomani per raccontargli il mio primo giorno di sevizio presso gli scout, come oramai avevo ribattezzato lo Shinbun.

Non persi tempo a cenare e mi tuffai sul letto completamente vestito: mi addormentai quasi subito, e il sonno fu popolato dai peggiori incubi, tra cui quello di vivere in una misera casa di campagna con due gatti e tre canarini, trascorrendo il tempo a scrivere notizie su UFO e fantomatici regni sparpagliati nell’Universo.

Mi svegliai alle prime luci dell’alba e per un istante sperai che tutto il giorno precedente fosse stato un brutto sogno; mi alzai e, cercando invano di stirare i vestiti con le sole mani, mi recai nel salotto dove, sul ripiano accanto al divano, un foglio con indicazioni stradali e una piccola scatola mi fecero capire che, da quel giorno, avrei fatto parte dello Shinbun e, quel che era peggio, avrei lavorato fianco a fianco con Tsukino.

Mi guardai allo specchio: facevo proprio pena! I capelli erano più disordinati del solito e gli abiti stropicciati mi davano un’aria da fallito. Per scacciare questa sensazione, mi ficcai sotto la doccia bollente e sentii con piacere i muscoli distendersi: la spiacevole sensazione provata appena sveglio sparì, e mi sentii ricaricato, pronto per affrontare quella nuova giornata. Per il mio primo giorno allo Shinbun scelsi un paio di pantaloni beige e una giacca sportiva verde, sopra una maglia nera a collo alto: non volevo sfigurare, ma neanche presentarmi come un damerino della corte imperiale…

Dopo neanche venti minuti ero in auto che percorrevo, a tutta velocità, la strada che mi separava dal giornale.

Come da previsione, arrivai in quarantacinque minuti. Il paesaggio circostante era completamente diverso da quello a cui ero abituato: non più enormi palazzi e grattacieli tecnologici, ma semplici villette e sempre più spazi verdi con altalene e giochi per i più piccoli; la frenesia che accompagnava i lavoratori di città era stata soppiantata da più pacate passeggiate, e sui volti dei passanti brillava un sorriso sincero e una parola gentile per i concittadini. Sembrava tutto un altro mondo, e non una cittadina a soli settanta chilometri da Tokyo.

Guardandomi intorno sempre più affascinato da quel nuovo modo di iniziare la giornata, giunsi all’edificio che ospitava la Shinbun. Il tour virtuale fatto la sera precedente mi aveva preparato a ciò che vidi, ma ugualmente sbattei le palpebre un paio di volte quando mi trovai di fronte il basso edificio in mattoni rossi, con un vialetto d’ingresso accompagnato da una serie di piccole aiuole.

“Ma dove sono finito? Sarà mica uno scherzo?” pensai, considerando anche l’ipotesi di fare marcia indietro e chiudermi in casa, in attesa del giudizio universale.

Una risata cristallina mi fece tornare alla realtà; mi voltai per scoprire chi potesse essere tanto felice alle sette e trenta del mattino, e incontrai il paio di occhi più bello che avessi mai visto. Le foto in bianco e nero sul giornale non le rendevano giustizia: Usagi Tsukino era a pochi passi da me e rideva con quella che doveva essere una sua collega; il suo sorriso e il suo sguardo limpido sembravano illuminare tutto attorno a lei.

La osservai imbambolato entrare in redazione, e solo dopo che la porta si chiuse alle sue spalle riuscii a respirare nuovamente. Avevo trattenuto il fiato solo per i pochi secondi che i miei occhi avevano incontrato quelli azzurri di lei, ma mi era sembrata un’eternità.

Tornato in me, decisi di non poter attendere oltre: mi incamminai verso l’edificio e, una volta dentro, attesi che qualcuno si facesse vedere, richiamato dal rumore della porta che sbatteva.

“Buongiorno” salutai, cercando di attirare l’attenzione, ma invano.

Mi guardai attorno: era tutto come l’avevo visto sul sito web. Il parquet e i numerosi quadri alle pareti davano l’impressione di trovarsi in una casa delle bambole.

Sentii qualcuno parlare e mi mossi in direzione di quelle voci; attraversai due delle cinque stanze che costituivano la redazione, notando con piacere come non fossero effettivamente tutte uguali: evidentemente, per realizzare il tour virtuale, i gestori del sito web avevano ripreso una sola stanza, apportando giusto qualche modifica per farla apparire ogni volta diversa.

Giunto alla terza stanza, bussai leggermente alla porta socchiusa e senza attendere risposta la aprii un po’ di più: due paia di occhi si voltarono in contemporanea verso di me, dandomi l’impressione di essere uno studente sorpreso a copiare durante un compito in classe.

“Buongiorno” dissi, non dimentico delle buone maniere, “sono…”

“Chiba Mamoru!” mi interruppe l’uomo apparentemente più anziano. “Prego, accomodati pure. Io sono Kenji Kodayashi, direttore dello Shinbun” si presentò, “e lui è Shingo Harata, fotografo.”

Sorrisi e strinsi la mano ai due, non potendo fare a meno di osservarli attentamente.

Kodayashi sembrava avere almeno duecento anni, tante erano le righe sul suo viso, ma nonostante questo lo sguardo era attento come quello di un ventenne.

Il fotografo, Harata, sembrava avere la mia età, ma i capelli sale e pepe mi fecero dubitare del mio stesso giudizio.

Osservandoli, non potei non congratularmi con la scelta del mio abbigliamento: anche loro indossavano abiti casual, e se su Harata i jeans scoloriti e il maglione girocollo lo facevano sembrare più giovane di quello che in realtà fosse, non lo stesso effetto avevano sul direttore.

Notai di essere anche io sotto esame, e mi sentii quasi impacciato nel mio completo, per quanto casual potesse essere, in confronto a loro, in jeans e maglione.

“Usagi sarà qui a momenti” commentò Harata. “È arrivata pochi minuti fa, ed è da Michiru per una consulenza musicale” spiegò al direttore.

“Ma esattamente” intervenni, “in cosa consiste la collaborazione di cui si parla? Abbiamo visto tutti che Usagi ed io seguiamo due scie diverse.”

“Signorina Tsukino per lei, signor Chiba.”

La voce che pochi minuti prima mi era sembrata un canto angelico, risuonò tagliente alle mie spalle.

Mi voltai e incontrai nuovamente quell’azzurro intenso che mi aveva rapito proprio fuori dalla redazione, ma stavolta non traspariva alcuna luce da quello sguardo: solo irritazione, rivolta esclusivamente a me.

Non mi feci intimidire da quel tentativo di dettar legge ancora prima delle presentazioni. “Bene, signorina Tsukino” cominciai, rimarcando la parola signorina, “sono ansioso di poter trovare con lei un punto d’incontro, altrimenti temo che la nostra unione non avrà vita lunga, e tutto a scapito del giornale. E noi non vogliamo che lo Shinbun chiuda… o no?” conclusi, sostenendo il suo sguardo gelido.

Avvertivo gli occhi dei due uomini con noi nella stanza passare da me a lei e viceversa, e la tensione creatasi si poteva tagliare con un coltello.

La risata profonda del direttore ebbe un effetto benefico per quel silenzio imbarazzante. “Ragazzi miei” disse cercando di trattenersi dal ridere ulteriormente, “voi due insieme farete fuoco e fiamme, ed è questo ciò che vogliamo!” Poi si rivolse al fotografo: “Vieni, Shingo. Lasciamoli soli: magari riusciranno a studiarsi meglio. Buon lavoro, ragazzi.” Ci superarono e, continuando a ridere, Kodayashi sbatté la porta alle sue spalle.

“Bene” provai a rompere il ghiaccio, tendendole una mano, “direi che potremmo ricominciare da capo e presentarsi come si deve.”

Usagi restò immobile, non staccando gli occhi dai miei.

Ritirai la mano e con esso, pensai, anche ogni tentativo di andare d’accordo con quella giornalista da strapazzo: “Dovevo essere proprio rimbambito, poco fa, per trovarla angelica” pensai. “Questa qua è il demonio in terra!”

“Mi stia bene a sentire” disse dopo quello che a me sembrò un’eternità, “se spera di venire qua e fare il bello e il cattivo tempo, be’ può anche tornarsene da dove è partito. Sono io che comando” specificò, puntandomi un dito sul petto, “e lei non deve fare altro che seguire le mie direttive. Sono stata chiara?”

Aveva grinta, e non potevo non apprezzare quel lato del suo carattere. “Signorina, mi sa che non ha letto bene gli accordi presti tra i nostri due giornali” commentati, sornione. “Lei ed io dovremo lavorare insieme, fianco a fianco, e ciò vuol dire che lei non è il mio capo. Sono stato chiaro?” conclusi, facendole il verso.

Aprì la bocca per replicare qualcosa, ma evidentemente non trovò nulla a cui appigliarsi.

“E ora, se vuole indicarmi la mia stanza…”

“Lavorerà qui dentro, insieme a me” replicò. “Dopotutto, dovremo lavorare fianco a fianco” socchiuse gli occhi come a voler leggere una mia reazione a quella notizia.

Non mi andava a genio dover stare tutto il giorno con lei attorno, ma non le diedi la soddisfazione di vedermi seccato. “Perfetto” commentai tranquillo, incamminandomi verso la scrivania e prendendovi posto, “direi che possiamo cominciare la nostra giornata.”

Prese una delle sedie che stavano in un angolo della stanza e si sistemò accanto a me: sono sicuro che stesse mormorando qualche maledizione in mia direzione dal momento che, a quanto sembrava, avevo occupato il suo posto senza neanche curarmi di domandare, prima.

Il piano di lavoro era piuttosto grande, e in teoria sarebbe bastato per tre dipendenti, anche se con qualche disagio, ma in due stavamo quasi stretti: non so chi dei due avesse cominciato a rubare spazio all’altro, ma verso metà mattinata eravamo gomito a gomito, e litigavamo silenziosi per chi dovesse togliersi dai piedi.

“Così non ce la faccio a lavorare!” sbottò infine, alzandosi dalla sua postazione. “Se vuoi occupare tutta la scrivania, caro mio, hai sbagliato alla grande! Chiedi a Kenji, e magari ti darà un tavolino per le tue stupide scartoffie!”

“Vedo che siamo passati a darci del tu… A cosa devo questo cambiamento?” la stuzzicai, divertito.

Per tutta risposta, afferrò cappotto e borsa e, dopo aver urlato “Quello è il mio articolo per domani. Studialo e aggiungici qualcosa, ma non rovinare tutto!”, uscì sbattendo la porta.

I vetri quasi tremarono per la violenza dell’urto.

Una volta solo, esplosi in una risata liberatoria: era da tanto che non ridevo in quel modo e, dopo essermi asciugato le lacrime, mi sentii pronto anche a fare un passo indietro, per andare incontro alla mia nuova collega.

Avremmo dovuto iniziare a collaborare, altrimenti sarebbe stata tutta fatica sprecata.

Lessi distrattamente il documento che aveva lasciato aperto sul suo computer e repressi uno sbadiglio: era un discorso sulla musica natalizia, e se Usagi avesse voluto addormentare i lettori sicuramente ci sarebbe riuscita già alla terza riga.

Iniziai a scrivere qualcosa per dare un tono diverso al pezzo, e mi accorsi che, più scrivevo, più eliminavo parti da lei ritenute importanti.

Terminai in poco tempo, anche perché non ci voleva molto a smontare un articolo la cui base portante riguardava i motivetti per allietare le festività…

Usagi rientrò dopo un’ora, e dall’espressione che aveva, sembrava si fosse fatta un giro di corsa intorno alla città.

Senza una parola, dopo essersi liberata del cappotto, si sedette alla scrivania e cominciò a leggere le mie modifiche.

“Ma sei diventato matto?” domandò inorridita. “I miei lettori non vogliono sentirsi dire certe cose!”

“Ora sono i nostri lettori, e sentiranno anche la mia campana, finché starò qui.”

Scosse violentemente il capo, come a volersi svegliare da un incubo. “Ma non puoi riscrivere tutto il pezzo, stravolgendone completamente il senso!” Respirò a fondo e per qualche minuto nessuno dei due parlò.

“A te non importa nulla del giornale” disse infine. “Non puoi immaginare come ci sentiamo noi qui, con una spada di Damocle che pende sulle nostre teste ogni minuto che passa.”

“Usagi, non è una questione personale, e lo sai bene” provai a scusarmi.

“Per te forse no” convenne, “ma noi siamo una famiglia, e se dovessimo fallire…” Non concluse la frase. Non sapevo se l’avesse fatto volutamente, con l’intento di causarmi sensi di colpa, o altro.

La osservai, sentendomi per un istante un povero fallito, la stessa sensazione provata quella mattina. Mi riscossi in fretta, prima che potessi fare o dire qualche sciocchezza: io ero lì per evitare una resurrezione del giornale, e non potevo perder tempo con qualche sciocca sdolcineria!

“Io ho fatto il mio lavoro” dissi lapidario. “E questo è quanto.”

Presi la mia roba e, salutando con un gesto della mano, lasciai Usagi ferma, di fronte il monitor acceso.

 

 

 

Okay, lo ammetto… mi ero dimenticata di questa storia T_T

Facendo un po’ di pulizia nel computer me la sono ritrovata davanti e con sommo orrore ho notato di non aver concluso neanche la prima parte, sul sito.

Chiedo umilmente perdono ç_ç sono pronta al linciaggio…

Come sempre, ringrazio chi ha letto e chi ha la pazienza di attendere i miei lenterrimi aggiornamenti.

Un abbraccio a tutti voi, che mi date la forza per andare avanti :*

 

Bax, Kla

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: sailormoon81