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Autore: Vichan    01/01/2006    15 recensioni
Due mesi, incredibile. Stavano insieme da due mesi. Né uno né l’altra avevano mai creduto che, come accadeva in quel momento, avrebbero passeggiato insieme tranquillamente coscienti ognuno dei sentimenti dell’altro. La fanfiction è il seguito di "Heiji e Kazuha" pertanto è consigliabile leggere questa appena citata. buona lettura.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“E così quando mi sono trasferita qui due mesi fa credevo che non avrei mai più ritrovato la pace che invece avevo a Kyoto prima che mia madre morisse, così improvvisamente

Capitolo3: “Chi è Azusa?”

 

 

 

“E così quando mi sono trasferita qui due mesi fa credevo che non avrei mai più ritrovato la pace che invece avevo a Kyoto prima che mia madre morisse, così… improvvisamente.

Grazie a Takada ho capito che deprimermi e rimanere chiusa a casa mi avrebbe fatto solo male.

 

Azusa sembrava una ragazza molto forte ma doveva aver passato brutti momenti nella sua giovane vita. Appariva radiosa, parlava e scherzava, sorrideva a ogni cosa buffa e possedeva anche gran senso dell’umor. Heiji però l’aveva notato il suo sguardo profondamente triste quando aveva accennato a sua madre e alla sua città, non poi tanto lontana da quella dove ora risiedeva ma vi aveva lasciato la casa della sua fanciullezza e gli amici più cari dell’adolescenza.

Il nostro detective non resisteva,  gli premeva sapere di più. Aveva la netta sensazione che Azusa aveva altro da rivelargli e quell’ “ improvvisamente” che la ragazza aveva aggiunto dopo aver detto della morte della madre, lo insospettiva non poco.

 

“Iwaya, perdonami se sono indiscreto, ma come è morta tua madre?”

 

La ragazza ebbe un sussulto, abbassò gli occhi a terra e volse leggermente il capo. Era triste, questo si, ma Heiji credette di leggere nei sui atteggiamenti qualcos’altro. Rabbia, sembrava voler contenere mordendosi il labbro inferiore e stringendo forte i pugni.

 

“Mia madre…è morta di infarto.”

 

Quelle parole erano state dette con una tale freddezza che sembravano essere le battute di un copione letto con distacco e disinteresse.

Heiji rimase molto stupito della sua affermazione. Azusa gli sembrava non più grande di diciannove anni, la madre dunque si poteva supporre fosse piuttosto giovane, inoltre le donne, com’è noto, sono molto meno soggette degli uomini a soffrire di cuore. Tentò allora di farsi spiegare.

 

“Mi dispiace molto. Doveva essere sofferente, quanti anni aveva?”

 

“Aveva appena quarant’anni. Non…e lei non aveva mai avuto problemi cardiaci.

 

Proprio come immaginava. E allora come poteva essere morta di infarto?

Avrebbe preferito evitare ad Azusa di ricordare, si sentiva assai invadente ma infondo c’era qualcosa che non quadrava.

 

“Ma allora…”

 

“Hattori-Kun per favore non chiedermi più di mia madre. Lei era una persona eccezionale, lavorava in polizia  e spesso le capitava di essere fuori di casa, mi mancava ma mai quanto adesso.”

 

“Scusami. Non volevo farti star male. Va bene, allora cambiamo discorso. Dimmi come mai sei arrivata nella mia città e come è possibile che una ragazza tanto carina abbia conosciuto uno zoticone come Takada?!

 

In questo modo Heiji sperava di poter farla sorridere almeno un po’. E così fu.

Non gli disse il motivo del suo trasferimento, forse non era così importante che aveva tralasciato o forse invece lo era, ebbe solo qualche notizia frammentata, né si sentì questa volta di insistere.

 

“Oh bè, mi sono trasferita qui con mio padre, come già detto, due mesi fa.

Per quanto riguarda Takada, lo conobbi precisamente venti giorni dopo il mio arrivo. Era il mio secondo giorno di scuola qui, ancora non te l’ho detto ma faccio l’ultimo anno, credo di avere la tua stessa età.”

 

“L’avevo immaginato. Non ne ero certo perché evidentemente frequenti una scuola diversa dalla mia e così non ti ho mai vista.”

 

“Già, che peccato…”

 

Un reale dispiacere si leggeva nei suoi occhi ed Heiji ne fu commosso e allo stesso tempo compiaciuto. Si rese subito conto che quei sentimenti contrastanti gli si insinuavano nel cuore e la cosa non gli piacque, similmente era successo con Kazuha prima ancora che entrambi si dichiarassero. Quando la sentiva appiccicosa e gelosa, da una parte lo infastidiva terribilmente: si sentiva braccato e controllato, più che un’amica di infanzia pensava di avere accanto una guardia del corpo. Dall’altra però ne era lusingato: infatti non sapeva se quella di Kazuha era solo iper-protezione verso un caro amico o vera e propria gelosia.

Tutto ciò lo turbava moltissimo.

Quella ragazza lo aveva forse stregato? Come erano state possibili poche ore per indurlo a porsi tali dubbi e preoccupazioni? Ora però non ci voleva pensare e riprese la conversazione.

 

“Allora continua a raccontarmi di quel poliziotto fanfarone!”

 

“Dunque, mio padre era passato a prendermi e l’ho accompagnato in banca, perché doveva sistemare molte faccende, sai a seguito del trasferimento. Mentre aspettavamo che il direttore ci ricevesse entrarono due tizi, volevano rapinare la banca. Minacciarono tutti i presenti, intimandoci di stenderci a terra e lasciare i cellulari. Io ero terrorizzata e non riuscivo a muovermi, così uno di loro iniziò a urlarmi contro, puntandomi la pistola. Credo che mi avrebbe sparato se Takada non fosse intervenuto.”

 

“Takada?!”

 

“Era proprio lui. Si trovava in baca per affari personali, era fuori servizio. Non voleva intervenire e aspettare che arrivasse la polizia, nel timore che una sua azione facesse perdere la testa ai rapinatori. A farlo però sono stata io e così mi ha “dovuto” salvare.

 

“Per ringraziarlo mio padre lo volle incontrare personalmente. Quel giorno ci presentammo e mi disse una cosa che mi colpì molto:

- Saresti potuta morire, io non credo che ne valga la pena –

Takada aveva capito ciò di cui nemmeno io ero cosciente: non ero ferma per la paura, inconsciamente credevo che in fondo se fossi morta sarebbe stato meglio. Ma rischiando la sua vita per la mia, quello sciocco mi ha “costretta” a sperare ancora nella felicità. Ho così cominciato a fare amicizia e ho pensato che impegnarmi in un lavoretto che mi mettesse a contatto con la gente non sarebbe stato male, così sono diventata la barista par-time della sala giochi e lì ho rincontrato Takada, che è diventato mio caro amico.

 

La vita è davvero strana e ingarbugliata. Un giorno c’è il sole ha riscaldarci, un altro solo vento e pioggia a scuoterci e a bagnarci. Crediamo di aver trovato finalmente la felicità, un po’ perché ti è capitata addosso per caso, un po’ perché te la sei meritata ma ecco che scivola via dalle dita.

Per fortuna non siamo soli, anche se a volte può sembrarlo. Magari basta girare l’angolo per trovare chi ti può aiutare oppure bisogna spostarsi di qualche chilometro o di più, ma sicuramente qualcuno c’è.

 

Era rimasto trasognante a fissarla. Aveva raccontato tutto con una tale emozione, con una tale gioia che fecero sentire Heiji a disagio. Lui, stupido, che litigava con la sua ragazza per cose così futili; che non capiva di sprecare solo tempo; che si era precluso l’opportunità  di avere altri amici; ora sentiva di dover riflettere, non sapeva ancora su cosa ma sentiva di doverlo fare.

 

 

“Heiji… Heiji…HEIJI!!!!

 

“Ma!? Cosa?! Oh, Azusa, scusami ero soprapensiero.”

 

“Non ti preoccupare volevo solo avvisarti che hai sporcato il collo del giaccone di gelato.

 

Era proprio una bella giornata, di quelle che stan dicendo addio alla calda e soleggiatissima estate e che salutano i bagliori di una nuova stagione, tiepida e colorata di calde tonalità. L’autunno era forse la sua stagione preferita, fu proprio durante una giornata come quelle di diversi anni prima che Kazuha visse quello che oggi era per lei un dolcissimo ricordo.

-------------------

“Ragazzi avanti avvicinatevi a me e vi dirò a che classi siete stati assegnati.

 

Una giovane e carina insegnante, con la sua debole e sottile voce invitava i nuovi alunni a iniziare il loro primo giorno di scuola media. Tutti quegli più anziani erano già nelle loro classi.

L’ampio cortile ospitava numerosi ragazzini che indossavano la loro prima divisa: c’era chi chiaccerava felicemente avendo ritrovato i compagni delle scuole elementari, chi spaesato sedeva solo in un angolo aspettando pazientemente che l’insegnante lo chiamasse, chi solcava trafelato e sudato il cancello della scuola non avendo udito il suono della sveglia e prendendosela con i genitori per non aver provveduto.

 

“Anf…anf…Heiji!!! Maledizione, perché non mi hai aspettato. Dovevamo venire insieme!”

 

Uno di quei ritardatari era proprio lei, Kazuha Toyama. E il suo amico d’infanzia? Possibile che l’avesse lasciata da sola il loro primo giorno nella nuova scuola.

 

“Ehi ragazzina, parli da sola?!

 

Non ebbe modo di arrabbiarsi per bene con quello “stupido screanzato” (così decise che avrebbe definito Heiji appena incontrato) che una voce cupa e roca la distolse dai suoi pensieri.

 

“Chi sei tu, cosa vuoi?”

 

Non era un tipo rassicurante e il fatto che fossero da soli non le dava sicurezza, tutti gli altri studenti infatti avevano già iniziato ad entrare nelle loro classi.

 

“Non essere così scorbutica coda di cavallo, cerco solo di aiutarti. Forse hai bisogno di una mano, io faccio la terza media ma non mi andava di entrare e sono rimasto fuori e ho fatto bene… se ho incontrato una ragazza così carina”

 

Parlava da sopra qualche metro rispetto il terreno, si era arrampicato sulle scale di sicurezza, quando fece un balzò e fu subito a pochi centimetri dalla nuova studentessa.

Le prese il viso con la mano destra, osservandolo per qualche secondo.

 

Sei proprio bella, lo sai. Che ne dici di venire con me a fare colazione?”

 

A quel punto le mise un braccio intorno alla vita e la avvicinò di più a sé.

 

“Lasciami razza di pervertito, mi fai schifo!”

 

Non tremava, non piangeva, Kazuha lo guardava fisso negli occhi e gli trasmetteva tutto il suo disprezzo.

 

“Faresti meglio a essere più gentile con i ragazzi più grandi o ti farai male.

 

Le portò il braccio dietro la schiena e iniziò a comprimerlo.

 

 

 

“Dio, com’è tardi. Mi sarei dovuto sbrigare prima e ora chi la sente quella cornacchia.

 

Un ragazzino magrolino con la propria cartella e due grossi sacchetti in mano correva a più non posso nel tentativo disperato di solcare il limite di quel “dannato” cancello prima che la campanella suonasse.

Accellerò ed era dentro, tutto taceva. Non vi erano ragazzi che chiacceravano ma nemmeno campanelle che suonavano, eppure qualcosa si sentiva.

 

“Lasciami, mi fai male!”

 

“Te lo puoi scrord…”

 

 

“LASCIALA!”

 

“Non provare a toccarla o ti picchio.”

 

Aveva ragione poteva sentire delle voci in lontananza, gli bastò avanzare di qualche metro per vedere che in fondo a destra due ragazzi ancora erano fuori, ma non si trattava di semplici ritardatari e quella… quella era…

 

“Tu!? Mi vorresti picchiare tu?! Piccolo e gracile come sei. E poi chi saresti, il suo amichetto forse?!

 

“Heiji, vattene me la so sbrigare da sola!”

 

Ovviamente non le diede retta posò a terra ciò che aveva con sé e raccolse un ramo appena potato, lungo e diritto. Faceva kendo, voleva poter dire qualcosa, no?!

 

“Vuoi fare a botte, eh?! E va bene vieni qua”

 

“Cosa?! No. Non se ne parla. Heiji allontanati!”

 

Forse perché nei momenti di pericolo l’istinto di sopravvivenza ci porta a fare cose oltre le nostre capacità o forse perché era davvero un portento nella lotta, Kazuha si staccò dalla presa del ragazzo con una gomitata ben assestata nello stomaco e con un calcio nell’incavo del collo, che li toccò non poca fatica con ampio svolazzamento di gonnellino, lo mise ko.

 

“La prossima volta me ne vado dritto in classe…”

 

“Avanti non sarai mica invidioso perché l’ho steso io invece che te! Ora puoi lasciarlo quel bastone, Heiji…”

 

Le gambe divaricate, le mani strette intorno la sua spada e il guerriero si lanciò all’assalto.

Quel maledetto si era rialzato e si preparava ad afferare Kazuha un’altra volta. Non gli fu permesso: la bastonata di quel ragazzino così “ piccolo e gracile” gli arrivò in piena fronte. Una mossa agile e veloce, il giovane soldato aveva trionfato.

 

Portò il bastone alla nuca e con sorrisetto compiaciuto disse alla sua amica di infanzia:

 

“Hai bisogno di me, piccola.”

 

Il viso della “piccola” Kazuha si imporporò di rosso fuoco ma fu meno diretta nelle parole.

 

“Ehi, non mi fare tanto il gradasso ora. Comunque sia, sappi che anche tu hai bisogno di me.

 

“Tu senza dubbio di più, guarda un po’!”

 

Raggiunse ciò che precedentemente aveva posato a terra prima dello scontro e pose a Kazuha uno di quei due sacchetti che aveva trasportato insieme ai libri e ai quaderni.

 

“Cos’è?!

 

“Ho pensato che, dal momento che ti sei svegliata tardi e sapendo quanto ci tieni alla puntualità, non avresti fatto in tempo a prepararti il pranzo così sono andato dal chiosco più vicino ed ecco qua il tuo pranzo.

 

Questa volta era rimasta davvero a bocca aperta, non poteva proprio aspettarsi una cosa del genere anzi era pronta a rimproverarlo di essere scappato via subito dopo che gli era stato detto che veniva proprio quando si stava alzando.

 

“Heiji… io…”

 

“Ehi, non credere che lo avrei fatto se non fosse stato che mancava anche a me il pranzo!”

 

E prendendo l’altro sacchetto aggiunse:

 

“Inoltre il mio è il più buono”

 

“Razza di stupido screanzato!”

 

Si era tolta una soddisfazione. Ma lo sguardo di Heiji e il suo sorriso le fecero capire che non era proprio la verità ciò che aveva detto: il pranzo lo aveva comprato anzitutto per lei.

 

“E ora andiamo a vedere in che classi siamo stati assegnati. Avanti Kazuha non rimanere lì imbambolata!”

 

Si avvicinarono al tabellone affisso fuori e videro i loro nomi nello stesso elenco, classe I° G.

 

“Bene, così potrò controllarti meglio.”

 

Le si voltò sorridendo. Un sorriso così luminoso e caldo che le parole per la controbattuta le morsero sulle labbra e ve ne uscì soltanto:

 

“Sono felice”

------------------

 

“Sono felice…”

 

Fu quella volta, che capì…

…che sarebbe stato impossibile per me stare lontano da lui, perché io ne ero innamorata. Il mio primo e unico amore.

 

Una vibrazione la scosse dai suoi pensieri e poi un'altra e un’altra ancora le ricordarono di avere nella tasca dei pantaloni il cellulare, lo prese e lesse sul display -Ran-.

Sorrise, doveva aspettarselo da parte sua, sempre così premurosa…

 

“Pronto, ciao Ran”

 

“Kazuha! Ti sto chiamando per…”

 

“assicurarti se sono uscita come mi hai consigliato?!

 

“Ehm…sì, che diventerai anche tu un detective?!

 

“Avevi ragione, fare una passeggiata mi ha aiutato a riflettere. Ora cercherò Heiji e gli parlerò. Grazie.”

 

“E di che. Sbrigati, piuttosto.”

 

“Ehi, Ran. Ma quell’ Akira…”

 

“Kazuha!!!!!!”

 

“Va bene va bene, ho capito. Però se non interessa a te, magari potrebbe interessare a me nel caso in cui io ed Heiji…”

 

“Questo non accadrà, vai!”

 

Schiacciò il pulsante per chiudere la conversazione e proseguì. Aveva pensato di iniziare a cercare Heiji  andando a casa di lui, in caso non vi fosse stato sarebbe andata alla questura.

Era lì, di fronte la porta che molto probabilmente la divideva dal raggiungere il suo vecchio amico di infanzia e il cuore le pulsava forte, sintomo di un sentimento vivo. Suonò e la porta si aprì, ma comparve sull’uscì la madre del giovane detective.

 

“Kazuha, ciao. Cosa ci fai qui?”

 

“Cercavo Heiji, è in casa?”

 

“Ma era con te o sbaglio?! Non è ancora rientrato. Forse è andato da suo padre.”

 

“Già deve essere così, proverò in questura. Grazie e arrivederci.”

 

“Kazuha, c’è qualcosa che non va? Hai qualche problema o avete litigato?”

 

“Bhe ecco, io devo parlargli.”

 

“Perdonalo se a volte fa lo stupido ma sebbene si da tante arie, è ancora un giovane ragazzo.”

 

Le sorrise, un sorriso che voleva dire tante cose: la incoraggiava, la consolava, le diceva di volerle bene. Era quello stesso sorriso che Heiji le regalò quel giorno di autunno di cinque anni fa e che ancora oggi le scaldava il cuore.

Ora era ancora più certa che la cosa giusta era trovarlo e risolvere tutto. Trovare insieme un modo per poter superare gli ostacoli.

 

Oramai aveva percorso a piedi quasi due chilometri e le mancavano ancora cinquecento metri per raggiungere la meta, decise di riposare qualche minuto. Distante qualche metro vi era il parco, vi si recò e pensò di rinfrescarsi prendendo un gelato.

Cinque mesi prima era lì che Heiji per la prima volta l’aveva baciata, il solo pensiero le faceva diventare rosso il viso sul quale si stendeva un lungo sorriso di felicità.

Dopo aver preso e pagato il gelato si diresse proprio verso quel vicolo, il luogo dello scontro-incontro. Ricordava bene che lì vi stava una panchina, svoltò a destra ma quella panchina era occupata, ed era occupata da una coppia. Il giovane di spalle aveva la divisa della sua scuola i capelli castani, le spalle larghe e allenate, tipiche di uno sportivo di Kendo. Quel ragazzo sembrava tanto…

 

 

 

“Ma a cosa stavi pensando?! Alza il mento, proverò a ripulirti io.”

 

Aveva un profumo fresco come il mare in estate, il vento leggero le sfiorava i lunghi capelli che accarezzavano il viso di Heiji.

 

“Ho fatto quello che potevo, ti consiglio di metterlo subito a mollo nell’acqua appena arrivi a casa”

 

Aveva il viso molto vicino a quello di lui e le mani ancora appoggiate in entrambi gli incavi del collo. Il suo sguardo intenso la rapì. Le si era serrata la bocca, non sapeva cosa dire e un lieve rossore le imporporava le guance.

 

“Iwaya…ti ringrazio”

 

Heiji era inebriato del suo profumo ma presto si accorse che i loro visi erano troppo vicini, ciò lo imbarazzava tantissimo e si odiava: non avrebbe mai dovuto permettere che si verificasse una situazione del genere. Kazuha lo amava e lui amava Kazuha. E allora perché si sentiva così fortemente catturato dai suoi occhi così grandi e profondi. Era un detective e non avrebbe lasciato che la ragione fosse schiacciata dalla forza istintiva di sentimento fugace.

 

“Di niente…”

 

Poggiando le mani su quelle di lei tentò delicatamente di allontanarle dal suo collo.

 

“Ecco io credo che sia meglio se…se…”

 

 

 

Non poteva crederci: quel ragazzo non somigliava a Heiji, era Heiji. Aveva fatto tanta strada a piedi, si era tanto preoccupata di cercarlo il prima possibile, era disposta a mettere da parte il suo incredibile orgoglio e lui era al parco, proprio in quel luogo, con una ragazza.

Inoltre non si trattava di una qualunque, era bella e gli stava vicino, molto vicino. Gli abbracciava il collo, le loro mani erano le une sulle altre e i loro visi a una distanza tale che solo un foglio vi poteva passare.

Kazuha non capì se fu a causa della stanchezza o se vedere Heiji “avvinghiato” a un’ altra le aveva provocato tanta delusione da privarla delle forze, ma non reagì come avrebbe voluto e come tutti si sarebbero aspettati da quella testa calda, come spesso la definiva il suo amico, di Kazuha Toyama.

 

Non disse una parola, non esplose in una scenata di isterismo o gelosia, non pianse nemmeno, soltanto girò i tacchi e se ne andò. Con il capo chino si trascinò via da quel luogo, che un tempo era stato la cornice di uno dei suoi più bei ricordi e ora invece diventava  la tomba delle sue speranze.

 

 

Note Dell’Autrice:

Salve^^, anzitutto scusate il ritardo: avrei dovuto postare l’ultimo capitolo almeno un mese fa e invece… Il problema miei cari lettori sono i compiti -__-

Ora voglio dirvi qualcosina riguardo l’ultimo capitolo. E’ stato molto difficile scriverlo perché dovevo caratterizzare bene il nuovo personaggio: Azusa. Immagino che a qualcuno non piaccia, ma avrà un ruolo importante in tutta la storia. Le cose si complicano per la neo coppietta…

Vi confesso che non so ancora come proseguire la storia, sarà tutta una sorpresa anche per me^^

 

Ringrazio moltissimo tutti coloro che hanno commentato, mi raccomando continuate a recensire perché in tal modo mi incoraggiate sempre più.

 

Vì-chan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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