Un
Libro Senza Pagine
“Signorina
Swan come le è
sembrato transitare dall’anonima casa editrice di Forks alla
Random House di
New York?” i flash accecanti continuavano ad abbagliarmi
nonostante portassi
gli occhiali da sole.
“Signorina
Swan lei ha vissuto
un amore tormentato come quello dei protagonisti del suo
libro?” decisamente
non avrei risposto a questa domanda, come a nessun’altra del
resto.
“Signorina
Swan cosa può
dirci del padre di sua figlia, Renesmee?”
“E
di un certo Edward Cullen?
Era lui il suo ragazzo al liceo?”
L’ultima
domanda aveva avuto
il potere di paralizzarmi, sebbene per la frazione di un secondo, prima
di
sentirmi afferrata saldamente per un braccio e scortata da uno dei miei
assistenti fino alla macchina, cosa che non fu affatto facile.
Tirai
un sospiro di sollievo
non appena mi sedetti all’interno, mentre qualche pazzo
insistente aveva ancora
il coraggio di bussare sui finestrini.
L’auto
partì sgommando dopo
qualche secondo, mentre John mi porgeva un bicchiere d’acqua.
“Isabella,
la vedo pallida.
Si sente bene?” mi domandò con premura.
“Sì,
non preoccuparti. Vorrei
solo sapere come hanno fatto a scoprire tutte quelle cose sulla mia
vita
privata” sospirai mesta. Avevo tentato di lasciar fuori mia
figlia da questa
vita mondana, ma soprattutto di non far trapelare la notizia che fosse
nata
subito dopo la scomparsa di Edward.
“Sa
com’è…ai giornalisti
d’oggi non interessa più
riportare
notizie su ciò che accade, non vogliono più
informare la gente, perché tutti
vogliono solo gossip.”
“Non
è corretto irrompere
nella vita delle persone in questo modo, scavare così in
profondità può
arrecare dolore e loro non lo comprendono. Questo era uno dei motivi
per cui
non avrei mai voluto accettare l’offerta della Random. A me
non importa affatto
della fama, non scrivo certo per notorietà!”
sibilai adirata.
“E
per quale motivo ha deciso
di trasferirsi qui, signorina, se non sono troppo
indiscreto?”
“L’ho
fatto per Renesmee, per
tentare di darle un futuro migliore e poi…”
sospirai non sapendo se facessi
bene a confidarmi con un quasi sconosciuto o meno.
Fu
il suo sguardo comprensivo
a darmi la forza per continuare –“E poi avevo
bisogno di cambiare aria. Forks
non era più il posto adatto a me.”
“Vede?”
sorrise sincero
“Allora ha fatto la scelta giusta. Non si preoccupi per i
giornalisti. Sono
solo alla ricerca di novità, non sarà
così per sempre.”
“Lo
spero” dissi abbozzando
un sorriso.
E
se Edward avesse visto uno
di quei servizi? Se avesse scoperto della bambina? Cosa avrebbe potuto
pensare?
Che mi fossi rifatta una vita? Che avesse fatto la scelta giusta
abbandonandomi? Infondo…erano passati appena tre anni.
Lo
squillo del cellulare mi
riportò alla realtà quotidiana, e un sorriso vero
si dipinse sul mio volto
quando udii una vocetta squillante provenire dall’altro capo.
“Mamy,
mamy quando torni?”
“Amore,
torno presto te lo
prometto. Hai fatto la brava?” le domandai in apprensione.
“Sì,
zio Jake mi ha portata a
mangiare” continuò euforica.
“Siete
stati attenti, vero?”
“Certo
mamy. Ti aspettiamo!”
“Va
bene piccola, non
distruggete casa per favore!” alzai gli occhi al cielo
pensando al macello che
avrei trovato al mio ritorno.
“Ehi
Bella così mi offendi!”
risi alle proteste di Jake e li salutai promettendo di tornare presto.
Già…Jacob.
Lui
era stato il mio appiglio
per tutto questo tempo. Da quando aveva scoperto che fossi rimasta
incinta di
Edward, allo stupore era seguita la paura. All’epoca non
conoscevo ancora la
sua vera natura, ma fu costretto a parlarmene quando tentò
di convincermi ad
abortire. Aveva paura che, essendo Edward un vampiro, il parto non
sarebbe
stato normale, né che la creatura che portavo in grembo lo
fosse. Ma di fronte
alla mia risolutezza si era visto costretto a cedere ed insieme al
branco mi
avevo assistita fino all’ultimo.
E
nemmeno adesso aveva voluto
abbandonarmi. O meglio, non avrebbe mai potuto abbandonare Renesmee.
“Isabella,
siamo arrivati. Dopo
la presentazione del libro e gli autografi sarà libera di
poter tornare a
casa.”
Sorrisi
e gli permisi di
scortarmi fino all’ingresso della Libreria, dove le urla di
tantissimi
teenagers e non mi accolsero.
“Prego
signorina Swan, mi
segua” il Direttore McKanzie, che avevo già avuto
modo di conoscere in
redazione, era entusiasta di avermi lì.
La
conferenza durò un’ora
all’incirca, un’ora in cui ebbi modo di rispondere
alle domande incuriosite di
parecchie ragazze insicure e innamorate, amanti dei miei libri, fino a
quando
non mi fu chiesto di leggere un passo del mio libro.
“Non avevo mai pensato
seriamente alla mia morte,
nonostante nei mesi precedenti ne avessi avuta più di
un'occasione, ma di
sicuro non l'avrei immaginata così.
Con il fiato sospeso, fissavo gli occhi scuri del cacciatore,
dall'altra parte
della stanza stretta e lunga, e lui ricambiava con uno sguardo garbato.
Era senz'altro una bella maniera di morire, sacrificarmi per un'altra
persona,
qualcuno che amavo. Una maniera nobile, anche. Conterà pur
qualcosa.
Sapevo che se non fossi mai andata a Forks non mi sarei trovata di
fronte alla
morte. Per quanto fossi terrorizzata, però, non riuscivo a
pentirmi di quella
scelta. Se la vita ti offre un sogno che supera qualsiasi tua
aspettativa, non
è giusto lamentarsi perché alla fine si conclude.
Il cacciatore fece un sorriso amichevole e si avvicinò con
passo lento e
sfrontato, pronto a uccidermi.”
Un
applauso accompagnato da
gridolini entusiasti si levò per la sala e, commossa,
scrutai fino in fondo i
miei fans, rimanendo esterrefatta quando, due occhi dorati mi
perforarono
l’anima. Fu come la quiete che precede
la tempesta. Un battito di ciglia e lui non c’era
già più.
Sempre
che ci fosse mai stato
lui.
Una
brutta allucinazione,
senza alcuna ombra di dubbio.
“Signorina
Swan se la sente
di firmare qualche autografo?” mi domandò con
estrema cortesia il direttore.
“Ma
certo!” esclamai
seguendolo.
Centinaia
di autografi e
dediche dopo, mi alzai esausta dalla sedia, stiracchiandomi un
po’ prima di
afferrare borsa e cappotto.
“Isabella,
la ringrazio di
cuore per aver accettato il nostro invito” eruppe il
direttore, quando ormai
anche gli ultimi clienti avevano lasciato il negozio.
“Si
figuri. E’ stato un vero
piacere!” esclamai sorridente –“Le spiace
se uso un attimo la toilette?”
“Certo
che no. Faccia pure,
io intanto la saluto. Arrivederci” mi congedò
gentilmente.
“Buona
serata a lei.”
John
fece cenno di aspettarmi
all’ingresso, così mi diressi al bagno per darmi
una rinfrescata. Si era fatto
relativamente tardi e avevo promesso a Renesmee che sarei tornata
presto.
Mi
chinai per sciacquarmi la
faccia e fu quando mi sollevai per tamponarmi il viso di fronte lo
specchio che
per poco non mi venne un infarto.
“Oddio!”
strepitai portandomi
una mano sul cuore.
“Perdonami
Bella, non volevo
spaventarti” si scusò dispiaciuto.
“Ed-Edward…che,
che ci fai
qui?” il cuore non voleva saperne di rallentare la sua corsa,
la sua voce,
quella che avevo sognato praticamente ogni notte da quando era sparito,
quella
che aveva sempre avuto il potere di tranquillizzarmi, adesso non faceva
altro
che mettermi ansia.
“Mi
sembrava un’ingiustizia
che tutti potessero ricevere un tuo autografo ed io no”
affermò con espressione
corrucciata mostrandomi il mio libro.
“Tu,
tu hai…letto…?” chiesi
sconcertata.
“Sì,
tutti. Beh questo non
ancora è ovvio…ma…ho, ecco, seguito la
presentazione e, sì, sembra…intrigante”
soffiò sensuale avvicinandosi a me.
Gli
strappai il libro dalle
mani e, senza farmi ammaliare dal suo sguardo, frugai nella borsa alla
ricerca
di un maledetto pennarello e scrissi il mio nome in copertina.
“Tieni.
Adesso puoi anche
andartene.”
Una
smorfia sofferente gli
attraversò il volto non appena sentì il mio tono
acre e risentito.
“Bella…”
mormorò con
afflizione.
“Cosa
ti aspettavi Edward? Un
applauso? Che ti gettassi le braccia al collo e facessi finta che non
mi avessi
mai abbandonata, senza cercarmi nemmeno una volta in questi tre
anni?”
continuai pacata ma distaccata.
“Non
volevo interferire
ancora con la tua vita, non mi sembrava giusto” si
giustificò fissandomi
intensamente.
“E
non ti sei mai chiesto se
stessi male, se avessi bisogno di te, se fossi mor..”
“Non
dirlo neppure per
scherzo!” mi interruppe risoluto –“Stare
con me significava sfidare la morte
ogni giorno, lo sai bene!”
“No,
idiota! Stare senza di
te è stato sfidare la morte giorno dopo giorno, salutare la
vita che tu avevi
portato via con te!” urlai spintonandolo verso il muro.
“Ma
sei andata avanti e stai
bene, adesso” constatò mesto.
“Non
per me Edward” mi
staccai da lui e feci per andarmene.
“Aspetta!”
mi bloccò
afferrandomi il braccio.
“Quando
hai cominciato a
scrivere?”
Era
una domanda semplice, che
molti mi avevano posto e a cui no avevo mai risposto, tuttavia mi
sorpresi
delle mie stesse parole.
“Stavo
male e…ho dovuto
affrontare parecchi problemi da sola. Dovevo stare a riposo e questo
non mi
aiutava di certo: il tempo libero mi induceva a ricordare te, quello
che avevo
perso. Poi un giorno avvertii l’impulso di scrivere.
All’inizio solo pensieri
brevi ma intensi…mi rendeva serena descrivere quello che
avevo in certo senso
vissuto…un amore puro ma impossibile, scrivere il mio
Crepuscolo, che
rappresentava, non solo il tramonto di ogni giornata e il sorgere di
una nuova
notte infinita per me, ma anche la morte di due amanti, costretti a
separasi a
causa delle loro diverse nature…”
“Perché?”
mi domandò ancora,
sofferente.
“Perchè?
Scrivo perché
scrivere mi aiuta a mantenere vivo il ricordo, sature le emozioni,
uniche le
sensazioni. Scrivo perché nessuno possa rubarmele, un
giorno, con la forza,
come hai fatto tu. Scrivo perché scrivere è
l’unico modo per mantenermi
saldamente ancorata a te” conclusi lasciandomi sfuggire una
lacrima.
“Mi
dispiace” due parole,
rapide ma sincere.
“Anche
a me. Senti…io devo
andare, sì è fatto tardi” sospirai
voltandomi verso di lui.
“Torni
da loro?”
Sgranai
gli occhi –“Loro
chi?”
“Jacob
e la bambina” mi
spiegò neutro.
“Come
fai a…?” domandai
incredula.
“Al
telegiornale locale non
si parla d’altro. Però la bambina non mi sembra
che gli somigli molto” rifletté
ad alta voce.
“E
tu come fai a dirlo?
Quando mai l’avresti vista? Oh cielo! Tu ci hai
spiati!” esclami stridula.
“Beh,
ero curioso” si difese
imbarazzato.
“Dunque
l’hai vista?” come
fa
a non capire che è sua figlia? Sono due fotocopie,
pensai.
“E’
splendida. Vi somigliate
molto” sorrise dolcemente.
“Ma
se somiglia più a te!” mi
lasciai sfuggire ad alta voce.
Mi
scrutò stralunato,
sorpreso, confuso…una miriade di emozioni presero forma sul
suo bel viso bianco
e perfetto, fin quando l’ultima, la consapevolezza, non si
fece strada in lui.
“E’
impossibile!”
“No,
non lo è.”
“Alice
l’avrebbe vista.”
“Non
poteva. Renesmee è il
frutto di un’unione tra due nature diverse, pertanto presenta
sia le mie che le
tue caratteristiche. E’ un po’ come
Jacob” spiegai, cancellando in lui l’ultima
briciola di dubbio.
“Come
fai a sapere tutte
queste cose?” mi sembrava di essere davanti alla Santa
Inquisizione.
“Sai
Edward sono tre anni che
non ci vediamo. Dovevo pur capire cosa mi stesse succedendo, non credi?
Jacob
mi ha portata dai Quileute, sono loro ad avermi aiutata a capire,
nonostante la
paura per ciò che portassi in grembo e per le complicazioni
contro cui sarei
potuta incorrere portando a termine la gravidanza” risposi
acida.
“Io
non lo sapevo…” intuivo
quanto fosse devastato, ma era nulla a confronto di ciò che
avevo dovuto
sopportare io.
“E
come potevi? Renesmee mi
chiede ogni giorno di suo padre. Certo c’è Jake,
ma con lui è una cosa
diversa…” continuai restando sul vago.
“Che
intendi dire?” chiese in
allerta.
“Mmh
non mi sembra il caso di
parlarne. Troppe notizie in così pochi minuti potrebbero
costarti
un’emicrania.”
“Mi
avresti mai detto di lei
in altre circostanze? Mi è sembrato che non volessi dirmelo,
prima…”
“Sinceramente?
Non lo so,
Edward. La verità è che ho ripreso in mano la mia
vita solo quando è nata lei. Non
posso permettermi il lusso di perdere me stessa ancora una volta, con
te. Io
sono proprio come la pagina di un libro, basta tirarla troppo e si
strappa. E
tu sei come lo scrittore che ci scrive sopra. L’inchiostro ha
marchiato la mia carta,
la mia pelle, ma poi, insoddisfatto l’ha fatta a brandelli,
cancellata come se
niente fosse!” un’analogia che non faceva una piega
a parer mio.
“Ma
lo scrittore non voleva
distruggere il suo capolavoro, voleva solo dargli
l’opportunità di riscriversi
da sé, voleva renderlo libero.”
“Ma
forse alla pagina
piaceva, forse era lieta di stare insieme allo scrittore. Quando lui
è andato
via non è rimasto che un libro senza pagine, privo di
vita” riuscivo a parlare
di noi solo così, solo metaforicamente. Era meno doloroso.
“Adesso
lo scrittore ha
rincontrato il suo libro però, un capolavoro perfetto anche
senza di lui e…non
vede l’ora di sfogliarlo per vedere quello che sì
è perso. Secondo te me lo
permetterà?” mi domandò teneramente,
tendendomi una mano.
“Credo
proprio di sì.”
Salve a
tutti
(:
Ringrazio
coloro che sono giunti a leggere fino a qui u.u
Questa
è una
delle mie poche one-shot pubblicate, la prima in questa sezione,
proprio perché
per la prima volta sono riuscita ad attenermi alla brevitas XD
Spero che
tra
le righe abbiate colto il messaggio, l’ho scritta di getto
proprio perché, come
Bella, anch’io mi sento un po’ così e
sento il bisogno di scrivere nei momenti
più bui.
Beh, che
dire…grazie
ancora, spero di non avervi annoiato.
Buona
domenica
=)
Mary